Absinthe
di baci non ricambiati, sguardi persi e fata verde
Pioveva. Le gocce d’acqua sporca, cariche delle polveri della grande città cadevano con un ticchettio insistente e fastidioso sui tettucci delle auto parcheggiate, creando un suono simile a quello di proiettili destinati a vagare nel vuoto, assistiti solo dal pesante cielo plumbeo che minaccioso tuonava e mostrava fantasmi di fulmini tra le nuvole antracite.
La finestra lasciava entrare il gelido vento e sputava residui d’acqua sulle gambe distese del ragazzo dai capelli argentei e sul posacenere, creando chiazze più scure e facendo alzare quello squallido odore di morte dei sensi e irrecuperabile tristezza. Nosaka lo fissò qualche secondo dallo stipite della porta: la schiena appoggiata al muro di quella stanza che un tempo conteneva il suo letto, le gambe rilassate davanti a sé, un piccolo portacenere di marmo alla sua sinistra era appena visibile sotto la montagna –c’erano almeno venti mozziconi lì- di filtri marroncini, una bottiglia di un limpidissimo vetro già vuota era rotolata poco distante mentre un’altra, contenente un brillante liquido verde, era tenuta stretta dalle dita minore, con così tanta forza da far sbiancare le nocche. Era il ritratto della decadenza.
Si avvicinò incerto e curioso, allontanando il pacchetto ormai vuoto con un piede, chiudendo la finestra prima di sedersi al suo fianco e cercare lo sguardo, perso e assente, del fidanzato; passarono diversi minuti, forse ore o anni, mentre l’odore di alcol diveniva sempre più forte in quella stanza ormai pervasa da un silenzio che gravava come un macino. Nosaka allungò una mano sulla bottiglia, la cui etichetta bianca raffigurante l’effige di un occhio sgranato recitava “La Fee, Absinthe parisienne”, tentando di strapparla dalle mani del compagno con l’intento di riportarlo alla realtà, interrompendo quel maleficio, e di assaggiare quel liquore che sembrava averlo ipnotizzato.
«Non ci provare nemmeno, ti ammazzerebbe sul colpo.» quelle parole fredde uscite dalle labbra appiccicose e lucide del compagno lo fecero sussultare, gli occhi rossi e gialli guardavano lontano, come se nemmeno fossero rivolte a lui
«Allora perché tu lo bevi? È un veleno, l’assenzio. Lascialo.»
«Non ha importanza che mi salvi io. Ha importanza che ti salvi tu.»
E il ragazzo dai capelli rossi lo fissò senza parlare, le viscere si attorcigliarono nel suo ventre come un groviglio di serpi mentre i lampi illuminavano la stanza, le sue mani diafane si appoggiarono su quelle scure dell’altro mentre si sporgeva a lasciargli un piccolo bacio che mai venne ricambiato, alla ricerca di un piccolo contatto, qualcosa che potesse risvegliare l’altro facendogli capire quanto lui avesse bisogno di averlo con sé, cosciente.
Rimasero fermi fino ad addormentarsi, Nosaka tra le lacrime silenziose, sommesse, impregnate di sconforto e un senso di inettitudine che sembrava soffocarlo e Haizaki con lo stupore alcolico, un retrogusto amaro di alcol e baci lasciati a marcire su labbra amare d’assenzio.
Era pronta prima della fluff precedente ma volevo mantenere un equilibrio Fluff-Suicidial
❧ Si sfocia nell’OOC ma qui le mie headcanon hanno la meglio, dove io e Haizaki andiamo a braccetto con cattive abitudini, piercing fatti in casa, fumo, assenzio fino a perdere coscienza, odio represso per sé stessi e tante altre cose molto belline.
❧ L’assenzio è il liquore della decadenza, sempre stato più illegale che altro: allucinogeno, terribilmente forte, tendenzialmente l’alcol di chi muore giovane e nel peccato, da qui la frase “ha importanza che ti salvi tu”. È il complesso dell’anima dannata, di chi sa che è destinato all’inferno e ci scende a testa alta ma non ci trascina gli altri.
Adesso mi dedico al fluff importante, questo voleva essere angst ma non troppo
-Ade