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Autore: manpolisc_    18/04/2020    8 recensioni
•Primo libro della trilogia•
Sharon Steel è una ragazza di diciassette anni che vive a Ruddy Village, una cittadina tra il Nevada e la California. La sua vita non è mai stata semplice: è stata definita pazza per le cose che vede e alle quali la gente non crede, che l'hanno portata a sentirsi esclusa. Solo l'arrivo di una persona come lei riuscirà a farle capire di non essere sbagliata, ma solo diversa. Scoprirà la sua vera natura e dovrà decidere del proprio destino.
Dal testo:
- È solo un bicchiere che è caduto. - Mormoro. Mi guarda, accennando un sorriso divertito.
- E la causa della sua caduta è solo qualcosa alle tue spalle, che brancola nel buio, pronto ad ucciderti. -
Genere: Azione, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Capitolo 8

Mi sveglio di soprassalto nel letto, con la fronte sudata e il cuore che batte come un tamburo. Sento scoppiarmelo nel petto. Cerco di calmarmi, ma non ci riesco. Un dolore alla spalla m’impedisce di muovermi completamente e non riesco ancora a mettere a fuoco la mia camera, buia e silenziosa. Gli occhi mi bruciano, come se ci fosse del fuoco dentro. Fanno così male che vorrei strapparmeli via. Quando il dolore si attenua un po', dopo averli strofinati più volte, riesco a osservare meglio la stanza. Però, non è la mia. Vorrei scendere dal letto, ma le mie gambe non ce la fanno a muoversi; come quando all'una di notte vuoi girarti dall'altro lato, ma non lo fai, nonostante la tua testa continui a dirti il contrario. Poi, alla fine, ci rinunci. Mi ributto sul cuscino, liberando un sospiro di frustrazione. Odio non avere il controllo sul mio corpo, soprattutto quando mi trovo chissà dove e gli arti preferiscono dormire invece che scappare via. Osservo il posto per un po', provando a riconoscerlo dato che è l'unica cosa che posso fare, e cercando di adeguarmi anche al buio. Quando i miei occhi si sono finalmente abituati all'oscurità, riesco a notare alcuni particolari che caratterizzano la stanza. C'è una piccola finestra non molto lontana da me, però chiusa, quasi blindata. Non riesco a capire se sia notte o meno. Dal silenzio, però, penso sia notte. Infatti non riesco a sentire neanche un ipotetico rumore dal piano di sotto, tantomeno in strada. Giro la testa verso destra, e sul muro vicino a me noto subito un poster dei Muse durante un loro concerto. Sotto questo c'è una sedia piena di panni. È tutto un casino: c'è roba ovunque. Quando volto la testa a sinistra incontro degli occhi blu che mi fissano nell'oscurità. Riesco a riconoscere il loro colore grazie alla luce chiara proveniente dallo schermo del cellulare che il ragazzo regge vicino al suo volto. Sussulto dalla paura. Mi chiedo come abbia fatto a non notarlo prima.
- Ti sei svegliata. - La voce di Jackson mi dà un senso di tranquillità. Almeno è qualcuno familiare. - E hai finito di lottare con le coperte. -
- Dove... dove sono? - La mia voce è molto roca e la mia gola così secca da farmi male. Mi tiro su col busto, con gran fatica, e mi appoggio allo schienale del letto per guardare meglio il ragazzo.
- Nel mio letto. – M’informa mentre si allontana dalla parete a cui era appoggiato e blocca il cellulare. Accende la lampada sul comodino per illuminare la stanza prima di sedersi di fianco a me, accanto alle mie gambe, e porgermi una bottiglia d'acqua. La afferro e me la scolo in pochi secondi, regalando alla mia gola un senso di sollievo finalmente.
- Cosa ci faccio qui? - Gli domando. Si gira per avermi di fronte e incrocia le gambe sulle coperte, accertandosi di non darmi fastidio.
- Sei svenuta. - Mi spiega. - Era tardi e non ti potevo portare da tua madre in quelle condizioni. Hai dormito per ben dodici ore. -
- Dodici ore? - Chiedo basita. - È... mezza giornata! Mia madre mi darà per dispersa... -
- Mi sono preoccupato anche di questo. - Mi rassicura. - Tua madre sa che sei da Delice. Ho preso il tuo cellulare e ho chiamato la tua amica. Mi regge il gioco, quindi prima di stasera non lascerai casa sua. - Dice con un'espressione soddisfatta in volto, avendo progettato tutto.
- E come facevi a sapere che Delice era mia amica e che ti avrebbe potuto aiutare? - L'avrebbe aiutato sicuro dato che gli sta sbavando dietro da quando è arrivato, ma questo lui non lo sa.
- Nella tua rubrica ci sono solo tre numeri, tra cui quello di tua zia e l'altro di tua madre. - Dice alzandosi dal letto. - Non ci voleva un genio per capirlo. E poi che nome è Delice? Sembra la merendina Kinder. - Ride del suo stesso commento mentre si gira a guardarmi. Io sono ancora molto confusa riguardo tutto. Alcuni ricordi della notte prima sono ancora offuscati e molti altri sembrano spariti. Non riesco neanche a pensare. Vorrei raggomitolarmi tra le coperte e dormire fino a domani, ma so che non posso. Non qui, almeno. - Oh, andiamo, è vero. -
- Puoi darmi, per una volta, una spiegazione decente? Sono stanca di pensare che sia pazza e non voglio passare l'intero mese a sognarti di nuovo per quest'altro episodio. - Mi accorgo solo dopo di cosa abbia detto e arrossisco immediatamente. La stanchezza sta prendendo il controllo, dovrei far attenzione alle cose che escono dalla mia bocca.
- Mi hai sognato? - Aggrotta la fronte, sorpreso. Avrebbe fatto lo stesso se tutto questo fosse successo a lui. Mi levo le coperte di dosso e poggio i piedi a terra, ma non riesco ad alzarmi. Sento la spalla tirarmi in quel piccolo gesto e mi massaggio delicatamente in quel punto. Meglio se comunque cerco di riprendere il controllo sulle mie gambe, altrimenti rimarrò qua a vita. Non che mi dispiaccia: stranamente mi sento protetta qui, ma allo stesso tempo so che non è il mio posto, e non mi posso permettere di rifugiarmi qui e scappare dalla realtà, anche se lo vorrei tanto.
- Mi puoi biasimare? Saresti rimasto scioccato anche tu... - Lo guardo, lasciando la frase incompleta. - ... se per tutta la tua vita non avessi combattuto mostri. - Abbassa lo sguardo sulle sue mani, pensando a una ragione plausibile, ma purtroppo non c'è. Fortunatamente alcune delle cose che ha detto le ricordo ancora. Mi ricordo anche del fatto che il suo amico è un mostro. Non so affatto il perché, però, ma non posso saperlo: non lo conosco. L'unica cosa chiara nella mia mente è il suo volto. Harry, mi sembra che si chiami.
- È troppo lungo da spiegare. Poi non ci crederesti e non voglio esporti a pericoli inutili e... -
- ... e non sono come te. Io non sapevo neanche della loro esistenza fino a poche settimane fa! - Esclamo, interrompendolo. - Non devo combatterli. Voglio solo una spiegazione e poi ti lascio in pace. -
- Il fatto è che non sei tu che devi lasciarmi in pace. È... tutto complicato. -
- Beh, non lascio casa di Delice fino a stasera. Abbiamo tutto il tempo. - Alza di nuovo lo sguardo nei miei occhi, poi annuisce.
 ***
Rimango stesa al sole, beandomi di quella fresca brezza pomeridiana. Non fa così caldo come i giorni precedenti. Sono contenta di essere riuscita ad alzarmi dal letto e di trovarmi qui ora: quella camera stava cominciando a deprimermi. Jackson è andato a prendere la mia maglia. Ha dovuto lavarla: era piena di sangue, e così la mia felpa. Quando esce dalla porta, mi raggiunge a mani vuote e con sguardo affranto. Si siede sull'erba, accanto a me, e mi osserva.
- Tieni la mia maglia. - Dice poi.
- Dov'è la mia? -
- Non sono bravo a fare la lavatrice. Mamma si occupa di queste cose. - Scoppio a ridere, per la prima volta dopo l'incidente a scuola. Non c'è bisogno che gli chieda che fine abbia fatto la mia felpa: sarà ristretta insieme alla maglia ora. Lo guardo, aspettando finalmente la verità. Fa un grande sospiro e poi inizia a parlare. Prima di tutto, mi rassicura dicendomi che non sono pazza. Rimane qualche secondo in silenzio, cercando le parole giuste, ma effettivamente parole giuste non ci sono per dare una spiegazione a quello che ho passato dall'episodio a scuola. Chiude gli occhi, scuotendo la testa. Continuo a tenere il mio sguardo su di lui: parlarmi del suo mondo non dev'essere affatto semplice. Prima di tutto perché è un mondo surreale, secondo perché è il suo. Ma in un certo senso lo capisco: è come se stesse al mio posto, assumendo lui la parte del pazzo questa volta.
- Onestamente non trovo le parole giuste per iniziare questa conversazione. - Gira il volto verso di me. - Tu mi hai chiesto, la settimana scorsa, cosa fosse successo negli spogliatoi. Non si è solamente rotto un tubo come ti hanno detto tutti. -
- Questo lo avevo capito. - Taglio corto, impaziente di sentire cosa mi dirà. Lui annuisce.
- Ci sono delle cose nel tuo mondo che vanno oltre a quello che tu vedi o percepisci. Che cosa penseresti e faresti se un bicchiere si rompesse cadendo dal tavolo? Da solo? - Stavolta è lui ad aspettare una risposta. Mi stringo nelle spalle, non sapendo cosa rispondere. Mi aspettavo un discorso diretto, non un mezzo interrogatorio.
- Penserei che l'abbia messo alla punta del tavolo e... -
- Se il bicchiere fosse al centro del tavolo. – M’interrompe di botto per specificare, forse sapendo già che avrei trovato qualsiasi spiegazione razionale per contrastarlo, ovviamente. È nella natura umana aggrapparsi alla realtà e alla razionalità, no? Lo guardo non sapendo che dire. - Io mi metterei sulla difensiva, aspettandomi un demone o un mostro nascosto da qualche parte, pronto a divorarmi. - Lo guardo perplessa, non riuscendo a seguirlo. So benissimo cosa ha affrontato in questi ultimi giorni, ma non può subito reagire in quel modo anche per una tazza che si rompe. Allora quando ruppi il vaso di mia madre avrei potuto dirle senza problemi che un fantasma me lo aveva fatto scappare di mano in modo da non beccarmi una settimana di punizione.
- È solo un bicchiere che è caduto. - Mormoro. Mi guarda, accennando un sorriso beffardo.
- E la causa della sua caduta è solo qualcosa alle tue spalle, che brancola nel buio, pronto ad ucciderti. - Sento un brivido corrermi lungo per la spina dorsale. Rielaboro le sue parole e un altro brivido scorre verso il basso, facendomi venire la pelle d'oca. Riprende la parola appena nota il mio turbamento. - Volevi la verità, no? Eccola. Il mondo è molto più vasto di quanto tu possa mai immaginare. Hai presente, da bambina, quando avevi paura dell'Uomo Nero, o del mostro che si nascondeva sotto il letto o nell'armadio? - Annuisco piano, cercando con tutta me stessa di seguire i suoi discorsi. - Perché non sei mai andata a controllare se effettivamente questi mostri c'erano? - Schiudo piano la bocca per darmi una risposta, ma la richiudo subito. Non so davvero cosa dirgli.
- Perché... - Abbasso lo sguardo in imbarazzo. - ... avevo paura che mi potessero mangiare. - Mormoro per poi rialzarlo subito nei suoi occhi.
- E hai fatto bene, perché avrebbero potuto farlo tranquillamente. - Dice con sguardo serio. - So che gli unici mali che conosci in questo mondo sono i brutti voti a scuola o le litigate con tua madre o con le tue amiche, oppure quanto la tua vita sia ingiusta a volte, ma fidati: esistono mali peggiori. Ne hai avuto la prova, li hai visti con i tuoi occhi. -
- Cos'erano allora... - Mormoro con il fiato corto. Metabolizzare tutte quelle informazioni non è per niente facile.
- Quel mostro negli spogliatoi era un Adaro, quella ragazza nel vicolo che ho decapitato era un vampiro e i mostri di ieri sera erano Ek Ek. - Nonostante mi stia dicendo finalmente la verità e abbia visto personalmente quei mostri, ho difficoltà a credere alle sue parole. Sembra tutto assurdo. Più volte, mentre parla, sono tentata di correre via. Però, il buco nella spalla che mi ha curato è la prova che quello che sta dicendo è vero. E ora, il ricordo di ieri sera diventa sempre più chiaro nella mia mente. Quelle donne-uccello, l'artiglio di una delle due conficcato nella mia spalla, l'amico di Jackson che correva fin troppo veloce per chiunque ed era anche decisamente più forte. Con un solo pugno, è riuscito a scaraventare una delle due donne contro il palo della luce e, la cosa più brutta di tutte, quell'atmosfera inquietante: perfino l'uomo dei panini era scappato via. Come avrei voluto fare lo stesso.
- Harry. - Comincio io dopo un po'. - Ha detto che lui è uno di loro... cosa intendeva? -
- Harry è un dampiro, madre umana, padre vampiro. Ma non succhia sangue, mangia i nostri stessi cibi. Però ha delle abilità "speciali": può diventare invisibile, hai visto come corre veloce... poi è anche forte e può soggiogare. Diciamo che queste cose gli sono rimaste da parte del padre. Qualcosa di buono gli ha lasciato, in fin dei conti. -
- E tu cosa sei? - Chiedo, guardandolo negli occhi.
- Un essere umano. Solo che sono anche un cacciatore di mostri. -
- Non puoi essere umano. - Scuoto la testa, diffidente. - Ho visto le cose che sai fare. È impossibile. -
- Il nome preciso è Elementale. E sono umano, come te o tua madre o qualunque persona su questa terra, con l'unica differenza che posso controllare gli elementi. Hai mai visto, che ne so, "L'ultimo Dominatore Dell'Aria"? È stato bravo il regista, si è avvicinato alla verità. - Scuoto la testa per dirgli di no. Mi guarda un attimo, scioccato dalla mia risposta. Credo che sia appassionato fin troppo ai film fantasy dalla sua espressione. Dopo il suo piccolo shock, riprende a parlare. Il mio sguardo diventa sempre più perplesso mentre parla. Ho costantemente la fronte corrugata. Inglobare tutte queste nuove cose insieme è difficile. Nonostante il mio sguardo sia sconcertato, Jackson non si ferma dal rivelarmi tutto. Racconta che gli Elementali sono sempre esistiti, fin dall'alba dei tempi. Il primo segno della loro presenza risale a quando l'uomo ha scoperto il fuoco. Racconta che non è stato un fulmine a far incendiare quell'albero, bensì un Elementale che stava imparando a controllare il suo potere. Molte persone, anche importanti personaggi storici, lo sono state. Mi fa l'esempio di Eraclito, un filosofo greco che aveva incentrato tutta la sua vita sui quattro elementi: fuoco, aria, terra e acqua.
- Aspetta... e come fai a esserlo? Cioè, è tutto assurdo. Ti sei svegliato un giorno e hai visto che sapevi dividere le acque mentre ti facevi un bagno? - Scoppia a ridere forte, attirando perfino l'attenzione di un signore che sta camminando tranquillamente. Per un attimo la sua risata mi contagia e rido anch'io, almeno per non piangere. Jackson è un ragazzo duro che non smuovi facilmente, ha costantemente la stessa faccia da maniaco, ti osserva e quando parla ha sempre una battuta pronta. È un po' strano vederlo così rilassato ora.
- Ognuno di noi lo è. Solo che ci sono persone scettiche, che non ci credono, e che non capiranno mai queste cose. Altre, invece, che ci credono così tanto da sentirsi troppo potenti e credersi superiori alle persone che conducono una vita normale, dimenticandosi della loro umanità. - Sputa queste ultime parole con un'amarezza improvvisa e rabbiosa, quasi come se la cosa lo toccasse personalmente, ma mi limito a non far domande. Inspira ed espira per calmarsi, poi riprende il discorso. - Ogni Elementale ha un proprio spirito. Io sono uno Gnomo. - Abbozzo una risata divertita alla sua affermazione, ma lui s’infastidisce per la mia interruzione dato che per la prima volta sta facendo un discorso serio. O forse perché non sono la prima persona a ridergli in faccia per il modo fiero in cui l'ha detto. Si schiarisce la voce e riprende a parlare. - Lo Gnomo è lo spirito della Terra. Ieri, infatti, ti ho salvato legando delle radici degli alberi insieme per sostenerti. - Ecco cos'era quel pavimento che mi ha salvato la vita. Ora ricordo perfettamente cosa sia successo ieri sera. Per l'ennesima volta, Jackson mi ha salvata. - Poi ci sono gli Ondini, o Nereidi per le donne, che sono gli spiriti dell'acqua, le Silfidi per l'aria e le Salamandre per il fuoco. -
- Quindi tu sei più legato alla Terra? Ti facevo un tipo da fuoco. - Commento, per poi rimanere qualche secondo in silenzio per cercare di fissare in mente quelle informazioni. - E come sai a quale elemento sei più legato? Cioè, lo scegli? E come te ne sei reso conto? -
- No, dipende dalla tua anima. E non lo diventi da un momento all'altro. Diciamo che cominci ad approcciarti in modo diverso alla natura, sentendola quasi parte di te. - Abbozza mezzo sorriso, per poi riprendere a parlare. - Tu a cosa ti assoceresti? - Mi lascia un attimo senza parole. Sicuramente non è una domanda che qualcuno ti pone appena lo conosci. Ci penso per un po', ma non mi viene niente in mente. Sono sempre stata attratta dalla chimica, meglio dire alchimia, nonostante non sia una cima. Penso a quello che so dell'alchimia per indovinare il mio elemento. Mi acciglio per ricordare quelle poche parole che Mr. Douglas ci ha detto quando ha parlato del Medioevo, ma non credo che la risposta sia in quelle informazioni.
- Acqua, mi piace. Comunque è inutile chiedermelo, non sono un Elementale, tantomeno una cacciatrice di mostri. -
- Invece sì. - Dice con tono pacato. Si stende sull'erba, con le mani dietro la nuca. Io, invece, rimango sconcertata ancora di più. Fino a ieri ha cercato in tutti i modi di tenermi lontana da questo mondo, e ora insiste affinché ne faccia parte. Che il ragazzo sia strano e lunatico l'avevo già capito, in fondo. - E tu sei una Salamandra, non una Nereide. -
- Cosa ne sai tu? E poi no, non ho mai ucciso nessuno e mai lo farò. -
- Dopo l'incidente a scuola con quel mostro, che hai ucciso tra parentesi, ne sono sicuro. Ho sentito quel calore sul palmo della tua mano, l'altro giorno. Tu hai sentito solo un pizzico, come se ti avesse punta qualcosa, ma io stavo per bruciarmi i vestiti addosso. Non negare che quando sei arrabbiata o spaventata senti qualcosa dentro che hai bisogno di cacciare, per vendetta o per sentirti al sicuro. -
- Non è vero. -
- Vorresti far sparire tutto, soprattutto la causa di quelle sensazioni. -
- Smettila. -
- Non negarlo. -
- Basta! - Urlo. Sento la mano bruciarmi subito dopo che mi costringe a gemere di dolore. La studio con lo sguardo e appena la tocco noto che è fredda. Guardo Jackson che sorride soddisfatto mentre m’indica un filo d'erba: ha una piccola fiamma che si sta spegnendo. Mi alzo di scatto, allontanandomi da lui. – Che cosa hai fatto? - Chiedo con il cuore a mille.
- Sei stata tu. -
- Non è vero. Io non sono come te! Io non dovrei essere qui... non avrei dovuto seguirti! E non avrei mai dovuto chiederti niente. Non capisci quanto sia surreale tutto ciò? Non esistono gli Elementali. Non esiste che produca fuoco. Non esiste niente. - Mi sento gli occhi lucidi e scoppiare dentro. Ecco, di nuovo. Devo iniziare a calmarmi. Se quello che sta dicendo è vero, avrei potuto scatenare un incendio. Non una, ma più di una volta. Avrei potuto uccidere delle persone...
Scuoto subito la testa, pensando all'assurdità di quella frase. Anche lui si alza e guarda l'erba. Ci passa lentamente il palmo della mano, lambendola, e una piccola margherita spunta qualche secondo più tardi. Mi ritraggo ulteriormente.
- Anche questa non esiste? - Non rispondo alla sua domanda, ma corro via, uscendo di corsa da quel giardino. Jackson non m’insegue stavolta, tantomeno io mi guardo dietro. Arrivo a casa e mi chiudo in camera. Mi sento svenire. Nella mia testa non c'è spazio per tutto questo. È troppo. Non la voglio la verità, avrei preferito mille volte vivere nella menzogna. Non posso vivere anche con la paura dei mostri ora. Mi sta facendo male questa verità. Ho sempre creduto di essere diversa, ma non può dirmi di essere un mostro. Non può dire che lui è umano se entrambi sappiamo che non è vero. Come può esserlo se passa la vita a uccidere? Avrei preferito mille volte essere asociale che una persona con poteri che non so neanche usare, che non so neanche se esistano davvero! Vorrei davvero che ci fosse qualche trucco di magia dietro. Voglio che tutto sparisca e che rimanga solo io, in una stanza bianca, vuota, sorda. Solo io e i miei pensieri. Anzi, neanche loro, nonostante sia cosciente che ciò è impossibile. Voglio piangere, urlare, ma voglio anche qualcuno che mi prenda a schiaffi dicendomi di smetterla e di affrontare questa situazione. A volte avrei bisogno solamente che qualcuno mi dia la forza di superare le difficoltà. Non voglio essere quella che rimette in piedi tutti, ma non sa farlo con se stessa. Sono stanca di essere quella forte. Perché devo reggere tutti e nessuno regge me? Non sono fatta di metallo. Sono umana anch'io. O almeno così credevo. E cado, cado peggio di quanto qualcuno possa mai fare, con l'unica differenza che io ho cercato di imparare a rialzarmi e ad asciugarmi le lacrime da sola. Chiunque altro, invece, si sarebbe alzato comunque, ma avrebbe continuato a lamentarsi e a cercare qualcuno da incolpare per la sua caduta. Se è caduto è perché egli stesso è inciampato, nessuno ha messo una pietra sotto i suoi piedi. Solo che, questa volta, non posso far finta di niente. Non è una situazione che si può nascondere, come se non sapessi niente. Soprattutto se Jackson vuole riparlarne.
Involontariamente alcune lacrime sono scappate dai miei occhi. Me le asciugo per poi buttarmi sul letto, ormai distrutta da tutto, mentre la stanchezza, non solo fisica, comincia a prendere il sopravvento su di me.
***
- Sharon! - Urla mia madre da sotto, costringendomi ad aprire gli occhi lentamente. Me li strofino. Sono ancora un po' umidi. Non ricordo di essermi addormentata. Mi sento così frastornata che non ce la faccio ad alzarmi dal letto. Ho la mente che è un peso morto, come se non bastasse già il mio corpo.
- Sono in camera. - Alzo un po' il tono di voce per farmi sentire. Poco dopo apre la porta.
- Ciao tesoro. Com’è andato il pigiama party da Delice? - Chiede con un sorriso smagliante. Finalmente mi sento al sicuro. L'abbraccio, stringendola forte.
- Bene. Mi sei mancata. - Rimane un attimo stupita del mio gesto, poi mi abbraccia e mi accarezza i capelli. È raro che le dica qualcosa del genere, ma fortunatamente non mi fa domande. Non vorrei di nuovo scoppiare a piangere e so benissimo che, in un modo o nell'altro, scoprirebbe tutto. E non voglio che Jackson finisca nei guai per colpa mia.
- Anche tu, ma per una notte che sei stata fuori tutto quest’affetto è esagerato! - Ride ancora, sorpresa. - Che avete fatto? - Chiede poi mentre scioglie l'abbraccio. Mi osserva per assicurarsi che sia tutta intera, come sempre. Aggrotta leggermente la fronte notando la maglietta di Jackson. Avrei dovuto levarmela. - Avete parlato di scuola, ragazzi? - Mostra un sorriso divertito, alzando ripetutamente le sopracciglia, e riporta lo sguardo nei miei occhi. Fortunatamente non ha commentato sulla maglia: ne ho una simile, sempre nera e dei Ramones, quindi non deve essersi fatta tanti problemi, anche se non la metto da secoli. Scuoto la testa mentre sorrido e mi strofino l'occhio. - Va bene! Argomento di cui non si discute con la mamma. Comunque, sono stanca per cucinare. Ho avuto una giornata pesante a lavoro. Ordino una pizza. - Dice alzandosi e uscendo dalla stanza.
- Una diavola per me! - Le urlo, anche se sa perfettamente la mia preferenza. Quando chiude la porta rimango sola di nuovo. Fuori è buio ormai. Controllo il cellulare: dieci messaggi di Delice. Le risponderò più tardi. Respiro profondamente e poi mi alzo dal letto. Prendo il pc e mi siedo nuovamente dopo aver spento il telefono, almeno per un po' voglio star sola. Mi connetto a internet e digito "Elementale". Inizio a cercare tutto quello che potrebbe essermi utile. La prima cosa che trovo sono le distinzioni degli elementi e gli spiriti legati a essi di cui Jackson mi ha parlato nel pomeriggio. Dopo una mezz'oretta che leggo, decido di riaccendere il cellulare per chiamare Delice dal momento che so che sarà piena di domande, dati i messaggi. Dopo che si è completamente acceso, ne trovo uno nuovo. Qualcuno ne ha lasciato uno in segreteria:
"Sharon, sono Jackson. Quando ti sei calmata e hai ascoltato questo messaggio, fammi sapere cosa vuoi fare. Se ci credi a quello che ti ho detto, lascia che io t’insegni quello che devi sapere. Non voglio che tu ti faccia male per colpa mia."
Ascolto il messaggio più di una volta. Voglio sentire la sua voce, ma voglio anche prendere una decisione ascoltando le sue parole. Non mi chiedo neanche come abbia il mio numero, ma sicuramente sapeva come intrattenersi per tutto il tempo in cui sono rimasta incosciente. Da un lato potrei accettare il suo aiuto: anche se rifiuto tutto questo, dei mostri hanno cercato davvero di uccidermi; dall'altro, mi sento una stupida a pensare che tutto questo faccia davvero parte della realtà.
Quando finalmente ho preso una decisione gli mando un messaggio e spengo il computer. Non voglio leggere più nulla sui mostri e sugli Elementali.
- La pizza è arrivata! – M’informa mia madre da sotto.
- Arrivo. -
   
 
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