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Autore: Elisewin Ci    19/04/2020    0 recensioni
Nina arriva a Roma perché ha una storia da dimenticare. Niccolò ha dei sogni da inseguire.
Lui è schivo ma con lei è semplice parlare.
Si avvicinano, si prendono e si dimenticano, per poi tornare e non sapere dove andare.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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“Niccolò. Mi chiamo Niccolò”

 

Guarda davanti a sé e io ho gli occhi puntati sulle mie scarpe da ginnastica: ha iniziato a piovere a vento e piccole raffiche d’acqua mi colpiscono il viso.

Un lampo illumina la strada e annuncia un tuono che mi fa sussultare più del dovuto.

Un frastuono improvviso che esplode che sembra rimbombare all’altezza del mio stomaco.

 

“Hai paura?”

 

Sento il suo sguardo su di me, il fiato che esce dalla bocca di questo sconosciuto sulle mie guance aumenta i miei brividi.

 

Eppure... eppure sono brava con gli uomini.

Non mi intimoriscono, ci vuole molto prima che uno di loro mi scuota.

Che stupida sei, Nina.

È il temporale e una ritrovata timidezza che ti scuotono, lui non c’entra niente.

 

Non lo guardo ma mi sembra che sorrida mentre aumenta la presa sulla mia schiena e cammina un poco più veloce.

 

“Stai tranquilla Nina.

Siamo quasi arrivati” mi rassicura gentile.

 

“Grazie. Io... io non so come avrei fatto se... se non ti avessi trovato.”

Ho cercato di formulare una frase che sembrasse meno disperata ma queste sono le uniche parole che sono uscite dalla mia bocca.

 

Il tragitto che ci separa dal mio portone è davvero breve ma per qualche strano motivo a me sconosciuto in quel momento mi sembra un percorso interminabile.

Sono abbracciata a uno sconosciuto sotto una pioggia senza fine, lui profuma di vino e il suo è il primo profumo che sento non so più da quanto tempo.

 

Niccolò inizia a canticchiare sottovoce una canzone che non conosco, una melodia dolce che mi porta ad alzare lo sguardo su di lui.

Il colletto del giubbotto di pelle è alzato e sul suo collo intravedo solo qualche macchia d’inchiostro, il volto è disteso, l’espressione serena, lo sguardo superbo mentre mi guida con maestria per le strade di casa sua.

 

Ha una bella voce.

 

Il suo profilo è intenso contro la notte di quel quartiere che adesso più che mai mi sembra dimenticato da Dio. 

 

È bello toccare un corpo caldo.

Sembra naturale sentirlo addosso.

Forse sto impazzendo.

Si, decisamente.

 

Uno, due, tre.

Uno dietro l’altro conto i miei passi mentre questo sconosciuto che mi guida continua a canticchiare chiuso nel suo mondo.

 

“Niccolò ci siamo quasi. È la seconda porta a sinistra”

 

Quattro, cinque, sei.

Continuo a contare. 

Inganno l’attesa e il nostro incontro.

 

Sto dandogli più importanza di quella che ha.

Il cervello gioca brutti scherzi quando scegli la solitudine come unica compagna.

 

Ci siamo quasi, riconosco casa mia, la vernice scortecciata intorno al portone, i gerani della signora del secondo piano, i panni stesi ad asciugare anche adesso che piove.

La piccola finestra della mia cucina da cui immagino un mondo nuovo nascosto dai fumi della Nomentana, il viottolo che percorro ogni mattina per raggiungere la fermata dell’autobus. 

Il mio piccolo mondo racchiuso in pochi metri quadri; lo osservo, in questo buio fatto di pioggia, e mi sento finalmente al sicuro.

 

“Grazie. Adesso posso correre lungo il marciapiede e raggiungere il portone” - non vorrei disturbarlo ancora, chiuso com’è nel suo mondo e nella sua melodia abbozzata a labbra semichiuse.

 

Niccolò scuote la testa, lascia la presa lungo la mia schiena e chiude meglio il giubbotto posando lentamente i suoi occhi su di me per la prima volta da quando mi ha detto il suo nome.

 

“Stasera ti va di parlare?” mi prende in giro bonario.

 

Lo guardo interdetta, non capisco quello che vuole dirmi, non so a cosa allude.

Infondo, infondo ci siamo solo incrociati un paio di volte.

 

“Io... no. Pensavo di averti disturbato a sufficienza” balbetto un po’, mi sento stupida nell’apprendere che la solitudine forzata mi ha resa più timida di quanto sia mai stata.

 

“Scappi sempre. Ti ho incontrata due volte e sei fuggita via... Adriano c’è rimasto male” e adesso ride, non sorride, ride davvero mandando la testa indietro e lasciando scoperta ai miei occhi la curva del suo collo.

È poco più alto di me e così stretti, vicini, sotto quel piccolo ombrello arrossisco al pensiero di respirargli sulla pelle del corpo.

“Scusami è che sei un po’ l’attrazione delle ultime settimane. Nessuno si trasferisce a San Basilio a meno che non sia agli arresti domiciliari o sia senza un soldo. E tu, non sembri né l’uno né l’altro”

 

“E tu? Sei agli arresti domiciliari o sei senza soldi?” 

Io e il mio dannato caratteraccio. Mi ha messo in imbarazzo e la risposta acida mi è salita alle labbra prima che potessi controllarla.

 

“Io sono nato qui, straniera. Se vivi qui sei e sarai per sempre un po’ di entrambe le cose”

Guarda in lontananza, oltre il palazzo che stiamo fiancheggiando e oltre quello che ci para l’orizzonte, sembra che cerchi come un appiglio il fumo della Nomentana che distorce i contorni e chissà in quali pensieri ha scelto di nascondersi.

 

“Scusami”

Non so cos’altro aggiungere.

 

“Sei arrivata”

Sospira.

Sospiro dopo di lui.

Si è creata nell’aria una strana tensione, senza saperlo Niccolò ha toccato un nervo scoperto: sono una ragazza di buona famiglia, sono cresciuta piena di vizi e ho creduto di essere più grande e forte di quanto fossi in realtà finendo per bruciarmi con il fuoco.

Io, con questo posto, non ho niente da spartire.

San Basilio - e la sua gente così spontanea, naturale, vera - non ha niente da offrirmi.

Sono solo un’ospite indesiderata.

 

“Non volevo offenderti Niccolò”

È la prima volta che pronuncio il suo nome e suona bene tra le mie labbra.

C’è una strana chimica che mi lega a questo sconosciuto, per qualche assurdo motivo non mi decido ad avviarmi verso il portone di casa, ma si è fatto tardi, me lo ricordano i rintocchi delle campane: sono le undici.

 

“Non sono un tipo permaloso ma si è fatto tardi...”

 

“E vuoi che me ne vada. Tutto chiaro.

Buonanotte.”

Gli passo davanti e mi sento afferrare per un braccio, la sua presa è salda su di me.

Mi ritraggo come se mi avesse schiaffeggiata.

Lui non lo sa, non può saperlo ma io non accetterò mai più la presa ferrea di nessun uomo su di me.

Non voglio sentirmi mai più in balia della forza di un maschio, me lo sono ripromessa mentre chiudevo quella dannata valigia e salutavo la mia vecchia vita.

“Non farlo mai più”

Sono tagliente. 

Già immagino che il mio cambio repentino d’umore gli abbia dato un’occasione in più per etichettarmi come una pazza fuori di testa.

 

“Non girare per questo quartiere da sola di notte. Smettila. Con noi non avrai problemi, ma non sono tutti così. Sei sempre in un quartiere della capitale, qui Milano by night non esiste. Se urli, sappi che ci sarà chi farà finta di non sentirti”

 

Stringo forte i lembi della felpa in modo da coprirmi il più possibile, l’elastico scivola via dai miei capelli puliti e mi ritrovo a coprire i miei brividi con la chioma lasciata improvvisamente libera dal vento.

Rabbrividisco, e non so se la mia reazione è dovuta all’umidità, al vento o alle parole di questo sconosciuto che mi fissa come se fossi un alieno.

 

Ha le spalle larghe, il collo e le mani tatuate, è poco più alto di me, i capelli scuri sembrano avere vita propria, un ciuffo irriverente gli cade sugli occhi scuri, profondi.

È magro, forse un po’ troppo per i miei gusti eppure c’è qualcosa che mi incatena ai suoi occhi.

 

Stupida Nina.

Stupidissima.

Sei troppo emotiva.

 

“Va bene”.

Non so cos’altro aggiungere.

 

Niccolò muove appena le labbra in un sorriso sghembo che mi tranquillizza.

Forse si sta prendendo gioco di me.

 

“Non sto scherzando” sottolinea, come se potesse leggermi nel pensiero.

 

“Va bene”.

Ripeto, immobile accanto a lui.

Non mi muovo, resto al suo fianco, sotto lo stesso ombrello verde e continuo a tenere i miei occhi fissi nei suoi.

Non so cosa fare.

Lo vedo - e lo sento - sospirare.

“Fumi?” mi chiede mentre dalla tasca del giubbotto tira fuori un pacchetto di sigarette.

“Si, a volte si” mi guardo intorno per evitare il suo sguardo confuso, poso gli occhi su una pozzanghera, mi piacciono gli strani giochi di forme che le gocce di pioggia generano sull’asfalto.

“Ne vuoi una?”

“Va bene” rispondo mentre allungo le dita verso le sue per prendere la sigaretta che mi sta porgendo.

 

“Sei strana” 

“In che senso?” non mi aspettavo un’affermazione del genere. Sembra così convinto di quello che dice da sprigionare intorno una strana forza che calza a pennello con la pioggia che continua a scendere.

È a suo agio.

Lo si nota in modo così forte da obbligare il mio istinto a mettersi sulla difensiva.

“Stasera mi sembri più strana delle altre volte. Sei... docile. Non sfuggi più”

Sospiro.

Lo guardo e non proferisco parola.

“Nina” si ricorda il mio nome “sei arrivata a casa.”

Mi ha gentilmente dato il ben servito.

Non ha motivo di passare il suo tempo con una sconosciuta che ha già etichettato.

 

“Resti? Solo un po’“ abbasso gli occhi imbarazzata “solo il tempo di una sigaretta” azzardo portandomi i capelli dietro l’orecchio ma stando attenta ad evitare accuratamente il suo sguardo.

“Ti senti sola?”

“Io...” è un estraneo e mi rendo conto che sto decisamente esagerando. Gli ho chiesto aiuto, sono stata stupida a credere inconsciamente che volesse saziare il mio bisogno di calore umano. “Scusami, ti sto importunando. Me ne vado.”

 

E così come sono arrivata, corro lontana, a proteggermi dentro le mura familiari del mio appartamento.

 

 

••••

 

[ai lettori silenziosi... battete un colpo, mi farete felice]

 

 

  
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