Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: _Zaelit_    19/04/2020    1 recensioni
[What if? in cui tutta la squadra di Bucciarati è sopravvissuta agli eventi di Vento Aureo.]
Irene è una ragazza cresciuta per strada e dal carattere ribelle che conduce una vita monotona e pericolosa. A salvarla dalle sue condizioni è Bruno Bucciarati, ora braccio destro del boss di Passione, Giorno Giovanna. Irene comprende di poter ricominciare daccapo e di poter far parte di una famiglia ma, non appena entra a far parte dell'organizzazione, una nuova minaccia ostacola Passione e i suoi membri. Una nuova organizzazione criminale, infatti, sta muovendo guerra a Giorno e ai suoi sottoposti, i cui fili vengono tirati da una figura misteriosa soprannominata "Arcangelo". Irene comprende di ritrovarsi in una battaglia che la coinvolge in prima persona e dovrà quindi scavare nel suo passato e trovare la forza e il coraggio necessari per impedire la sconfitta di Passione, tutto ciò in compagnia del saggio e protettivo Bruno e dei suoi formidabili compagni: Guido Mista, Narancia Ghirga, Leone Abbacchio e Pannacotta Fugo.
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bruno Bucciarati, Giorno Giovanna, Leone Abbacchio, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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DAYSLEEPER ]

Narancia adorava assillare Abbacchio con domande di ogni tipo. Quella volta non fu tanto diverso. Pensò che fosse una buona idea chiedere curiosità casuali sulle navi e sul mare a un tipo come lui.
«Che vuoi che ne sappia?» rispose lui a un tratto, incrociando le braccia con un movimento lento quanto annoiato. «Facevo il poliziotto, non il comandante su una nave.» sbuffò quindi.
Il più giovane sollevò un sopracciglio.
«Ma anche la polizia ha le navi, no?»
«Quelli sono motoscafi.»
«E quindi tu non hai mai guidato una nave?»
«Non ero nella Marina Militare.» continuò a rispondere lui, seccato. Era piuttosto ovvio, fra l'altro. Nel farlo, si voltò per appoggiare le spalle contro la ringhiera della balconata della nave e assicurarsi che Irene non si fosse allontanata troppo.
Nel frattempo, Narancia continuò a esprimere i suoi dubbi.
«Però non è così diverso, no? E poi non solo la Marina Militare ha le nav-!»
«Narancia!» lo interruppe Leone, irrigidendosi di colpo.
«Cosa? Stavolta è vero!» si lamentò lui.
«No, non parlavo di...! Oh, dannazione, girati e guarda!»
Il giovane fece come chiesto e si rivolse alla balconata. Inutile dire che sbiancò di colpo.
«René... è scomparsa!» realizzò correndo verso il punto in cui si trovava lei fino a poco prima.
Abbacchio scoprì i denti come un cane rabbioso. Desiderò veramente tirare un calcio a qualcosa per sfogare un po' il nervosismo.
«Bruno le aveva detto di non allontanarsi, maledizione!» A grandi passi avanzò, furibondo. «Quando la troveremo mi assicurerò di farle entrare il concetto in quella bella testolina che si ritrova. Non capisce che la situazione è pericolosa?!»
Narancia afferrò la sua manica, bloccandolo. «Abbacchio, aspetta! Non credo che Irene si sia allontanata da sola. Perché mai avrebbe dovuto farlo?» chiese riflettendo, «Fino ad ora non si è mai mossa senza prima avvisarci, persino a casa ha sempre chiesto il permesso per andare al bagno o per dormire, e tutto per non darci alcun tipo di preoccupazione.» continuò poi a spiegare, «Deve esserle successo qualcosa, ne sono certo!»
Abbacchio avrebbe voluto rispondere le rime, tuttavia prese un bel respiro profondo e si calmò.
«Quindi c'è un portatore di Stand nemico sulla nave...» realizzò di colpo. Gli bastò fare qualche rapido calcolo per sapere cosa fosse necessario fare. «Narancia,» chiamò dunque in seguito, «Quando siamo arrivati qui? Quanti minuti fa hai parlato con Irene per l'ultima volta?» domandò rigidamente.
Lui balbettò per un attimo e contò sulle dita delle mani.
«Ecco... cinque o sei minuti fa?» rispose poi, non del tutto sicuro.
Leone annuì. «Lei si trovava qui, ne sono sicuro. Riguarderemo velocemente gli ultimi minuti che abbiamo trascorso qui sulla nave.» annunciò.
Il ragazzino gli lanciò uno sguardo incredulo.
«Stai dicendo che vuoi usare...?» provò a chiedere.
«Non fa troppo piacere neanche a me, ma è l'unico modo che abbiamo.» storse lui le labbra. Un attimo dopo sollevò una mano quando un colpo di vento più forte degli altri sollevò i lunghi capelli alle sue spalle, facendoli fluttuare in aria per qualche secondo. «Moody Blues!» evocò senza esitare oltre.
La sagoma del suo corpo vacillò e si sdoppiò lentamente. Una figura apparve baluginante alle sue spalle, di un colore violaceo, e si allontanò poco a poco rimanendo in piedi fra Leone e Narancia.
Aveva occhi grandi, dalla forma tonda e l'aria impassibile, molto simili agli speaker di una radio per cassette. Non possedeva tratti simili a un naso o una bocca, tuttavia sulla sua fronte era incavato un piccolo timer digitale con delle cifre: "00: 00: 00".
Lo Stand emanò un suono simile a quello di un telefono che squilla in attesa che qualcuno risponda, mentre piccoli glitch attraversavano il suo corpo lucente.
Narancia si grattò con energia la testa.
«Hai sul serio richiamato Moody Blues, Abbacchio?!» esclamò sorpreso.
«Te l'ho detto, è l'unico modo che abbiamo per trovare subito Irene.»
«Ma così non avrai più difese! Se ci fosse un possessore di Stand nemico sulla nave potresti finire nei guai!»
«Lo so benissimo. Ecco perché dovresti iniziare a pregare che quella ragazzina non ci stia facendo solo uno scherzo.»
Presa una boccata d'aria e recuperata la calma, la mano di Leone si mosse rapida verso la ringhiera. L'ordine fu chiaro: il suo Stand occupò lo spazio dove fino a poco prima si trovava la ragazza e, nel giro di qualche secondo, assunse il suo aspetto fisico. Era in tutto e per tutto identico alla vera Irene, eccezion fatta per il timer sulla fronte, che segnava ben cinque minuti di tempo.
Abbacchio ripeté a velocità aumentata alcuni secondi del passato, finché non notò lo sguardo della ragazza, pur essendo solo una replica, mutare di colpo. Sembrava preoccupata.
Narancia notò qualcosa subito dopo.
«Ah! L'hai vista? Ha mosso le labbra!», indicò.
«Stava parlando sottovoce con qualcuno...», analizzò con più attenzione l'ex-poliziotto, avvicinandosi alla copia, «E non era affatto a suo agio. Guardava verso di noi in continuazione.» serrò i denti.
«Merda! Se le hanno fatto del male, io...!», iniziò a surriscaldarsi il più giovane.
Gli occhi di Abbacchio, intanto, notarono un altro dettaglio.
«Quei segni...»
I suoi occhi si puntarono sul braccio della ragazza.
Narancia si sporse per osservare.
«Huh?»
«Guarda il suo polso. La pelle è premuta in maniera anormale. Qualcuno l'ha afferrata per il braccio.»
Non appena Leone ebbe finito di esprimersi, Moody Blues voltò loro le spalle e si diresse altrove, mostrando il percorso che Irene aveva seguito poco prima.
«Non... non sembra che l'abbiano trascinata, però...» commentò poi il ragazzino.
L'altro scosse la testa. «Quell'idiota... l'avranno minacciata per convincerla a seguirli. Non ha pensato di chiamare aiuto, invece? Adesso sta mettendo tutti nei guai.» si lamentò. Subito affondò le mani in tasca e avanzò rapido per seguire il suo Stand. Narancia lo seguì a ruota.
Il percorso non fu lungo: bastò procedere lungo il fianco della nave, entrare all'interno della zona coperta e allontanarsi di qualche metro.
La replica di Irene si arrestò di fronte all'ascensore del terzo piano. Questo si aprì senza che lei premesse alcun tasto. Era ormai certo che fosse scortata e sorvegliata da qualcuno. Il problema risedeva nel non sapere quanti nemici l'avessero allontanata e quali fossero le loro abilità.
«Presto Narancia, chiama l'ascensore!» ordinò frettolosamente Abbacchio.
Il più giovane era il più vicino al pulsante, motivo per il quale eseguì senza fiatare. Il riavvolgimento si arrestò finché non poterono entrare a loro volta nell'ascensore e le porte metalliche si richiusero.
A quel punto Moody Blues si avvicinò al tastierino con i numeri di ciascun piano e il tasto d'emergenza. Mostrò come Irene avesse coperto quel tastierino con il suo stesso corpo dopo essere rimasta ferma per qualche secondo.
«Ah?! Ha coperto tutti i pulsanti?» quasi strillò Narancia, nel panico, «Ma così perderemo troppo tempo a cercarla su ogni altro piano sottostante!»
Abbacchio lo fermò subito sibilando per zittirlo. Indicò poi il viso semicoperto dai capelli della ragazza. Oltre quella sottile tenda di ciuffi rossastri, le labbra erano ben visibili e si mossero per pronunciare qualcosa. Era chiaro che stesse scandendo bene quella singola parola, lettera per lettera, senza dirla a voce alta.
«Aspetta...» Abbacchio si chinò alla sua altezza per osservare meglio e rallentò il replay, ripetendolo tre volte per assicurarsi di comprendere cosa stesse cercando di dire.
«"Primo". Irene ha mimato la parola "primo". Ma come...?» si domandò, sconvolto.
«Quindi sapeva che avremmo osservato il replay, giusto? Non pensavo che conoscesse il segreto del tuo Moody Blues, però...» sottolineò Narancia.
«Perché non lo conosce. Non le ho mai mostrato il mio Stand, neanche una singola volta. Eppure sembra davvero che fosse cosciente del suo potere...»
Leone era incredulo. Premette il pulsante del primo piano e tentò di riflettere. Narancia non sarebbe comunque mai arrivato a una soluzione complessa, la logica non era il suo forte.
«Temo che, chiunque sia il nostro nemico, conosca i nostri Stand. Tieniti pronto, Narancia.» avvisò l'altro una volta dedotta l'ipotesi più sensata.
Lui batté velocemente le palpebre per la sorpresa.
«Ma nessuno, a parte alcuni fidati membri di Passione, sa dei nostri Stand!» si lamentò.
«Allora è probabile che ci sia una spia tra le fila di Passione.»
L'ascensore scese lentamente mentre quella rivelazione faceva tremare Narancia.
La finta Irene uscì dall'ascensore e camminò in silenzio finché non arrivò ai piedi di una scalinata.
«Dobbiamo risalire? Vuoi confondere i miei compagni, dico bene?» pronunciò poi all'improvviso, a voce abbastanza alza da poter essere riprodotta da Moody Blues in maniera impeccabile.
I due alleati aguzzarono vista e udito finché la giovane non riprese a spostarsi.
«Nessuna risposta?» chiese confuso Narancia.
«Il suo interlocutore ha continuato a parlare sottovoce per tutto il tempo, non è un ingenuo. Ma Irene è riuscita a darci degli indizi importanti.»
«E cioè?»
«Primo: chiunque l'abbia rapita l'ha portata di nuovo ai piani alti, per cui non può averla fatta scendere dalla nave con un'imbarcazione. Secondo: il nostro nemico agisce da solo.»
«Oh... giusto... ha rivolto la domanda a una persona soltanto.»
«Ottimo. Così potremo prenderlo a calci in tutta tranquillità...»
I due ricominciarono a salire, seguendo passo per passo ogni spostamento di Irene. Era stata portata in alcuni negozi e aveva acquistato degli oggetti casuali. Il suo rapitore voleva che desse l'impressione di essersi allontanata di sua spontanea volontà, ma il segreto era ormai stato rivelato. Infine si era diretta verso una zona un po' isolata e li aveva lasciato le sue buste.
Nessuno sulla nave, tra i passeggeri, sembrava notare la presenza di Moody Blues. Era impossibile che il nemico fosse uno di loro, o si sarebbe allarmato.
Seguendo lo Stand, dunque, i due raggiunsero uno stanzino.
Era una curiosa sala fumatori che si affacciava su una sorta di balconcino sul fianco del traghetto, uno spazio non troppo grande ma abbastanza da ospitare qualche sedia e un tavolino con vari posacenere già usati.
Abbacchio e Narancia videro Irene entrare là dentro proprio mentre il timer dello Stand stava per raggiungere lo zero. Di conseguenza, quindi, la ragazza doveva trovarsi ancora lì dentro. Si prepararono all'incursione: avrebbero spalancato la porta, ancora chiusa, e sorpreso il nemico. Meglio non utilizzare subito Aerosmith per farlo fuori: forse avrebbe potuto sganciare qualche informazione importante.
Alla conta del tre, la porta si aprì e i due membri di Passione si ritrovarono nello stanzino.
Irene era lì, seduta e imbavagliata con una delle magliette che era stata costretta a comprare a uno dei negozietti sulla nave. Non sembrava agitata ma, quando notò i due amici, spalancò gli occhi ambrati e tentò di raggiungerli.
Un uomo, Marzotto, le sbarrò la strada andando a posizionarsi tra lei e i due compagni.
«Irene!», Narancia si sentì sollevato nel constatare che non le fosse stato fatto del male, ma presto la rabbia lo pervase: desiderava poter spaccare la faccia di quell'idiota che le aveva messo le mani addosso per trascinarla fin lì. Era comunque una sua cara amica, ormai!
Abbacchio squadrò la ragazza: sembrava stare bene, grazie al cielo. Adesso, però, andava liberata. E per farlo avrebbe dovuto fare molto, molto male a quel nemico.
«E così siete arrivati fin qui grazie a Moody Blues, eh? Quindi questa piccola bugiarda vi ha lasciato degli indizi senza che me ne accorgessi...» sospirò quest'ultimo, incrociando le braccia.
Irene parve quasi ringhiare sotto al suo bavaglio. Era alquanto nervosa, seppur contenta di essere riuscita ad attirare fin lì i suoi amici senza allarmare tutti gli altri.
Narancia stava per avanzare ma la mano di Abbacchio lo afferrò per la spalla sinistra, impedendoglielo.
«Lasciala andare immediatamente e spiegaci come fai a conoscere i nostri Stand,» minacciò lui con tono grave, «e magari non ti calpesterò fino a farti implorare pietà.»
Il labbro di Marzotto si sollevò in una smorfia.
«Dato che ho intenzione di uccidervi, sarò generoso e risponderò alla tua domanda. Facevo parte di una squadra di Passione, prima di unirmi ad Apocalisse.»
«Apocalisse? E che roba sarebbe?» continuò l'altro.
Raffaele fece schioccare la lingua. «Non hai bisogno di saperlo.»
Abbacchio lo fissò truce.
«Comunque sia, l'aver fatto parte di Passione in passato non è una valida ragione. Nessuno di cui non sappiamo già conosce i nostri Stand.»
«Forse... o forse no.» Marzotto sollevò le spalle. «Curioso, non trovate? Di sicuro non sto mentendo, conosco davvero le vostre abilità. Avete considerato l'idea che mi sia stato riferito da qualcuno?»
Quella domanda scosse entrambi. Narancia tentennò e si avvicinò all'amico.
«Cosa... cosa sta dicendo questo idiota, Abbacchio?» domandò insicuro.
«Solo un mucchio di fesserie.» gli venne risposto.
Marzotto si fece una breve risata.
«Non è un mio problema se non mi credete. Ma... sbaglio o siete già stati traditi da qualcuno della vostra squadra in passato?»
Anche Irene, che non poteva fare altro che ascoltare, drizzò le orecchie.
«Questo non è vero!» ribatté il più piccolo, «Siamo uniti come una vera famiglia! Nessuno fra noi tradirebbe l'altro!»
«Ah sì?» lo interrogò il nemico, «E ditemi... non vi preoccupa sapere cosa abbia fatto il vostro amico, Pannacotta Fugo, dopo aver lasciato la vostra squadra mesi fa?»
Narancia strabuzzò gli occhi, Leone mostrò un ghigno disgustato.
«Bastardo...» lo insultò l'ex-poliziotto, comprendendo le sue intenzioni.
Il compagno, invece, gli puntò un dito contro.
«Stronzate!» gli gridò in faccia, furioso come mai Irene l'aveva visto, «Fugo è un nostro carissimo amico! Non ci ha mai traditi, neanche dopo aver abbandonato la squadra! Ha solo preso una decisione!»
Irene non era a conoscenza degli eventi accaduti all'interno della squadra Bucciarati l'anno prima, quando avevano mosso guerra al Boss di Passione per sovvertire le sue leggi e salvare sua figlia Trish, ma quel che Marzotto stava dicendo non le piaceva affatto.
«Sei davvero un ingenuo, ragazzino. A quanto pare ti sei fidato troppo di lui...»
«Smettila! Basta, maledizione!» strillò ancora lui, «Non mi spingerai a dubitare di Fugo, questo mai! Ti faccio a pezzi, razza di-»
Non terminò neanche la frase, sostituendo il colorito termine finale con un urlo frustrato e gettandosi addosso a lui. Era così arrabbiato che non utilizzò Aerosmith per attaccare, ma si gettò lui stesso sull'avversario e lo trascinò a terra.
«Narancia! Fermo!» provò ad avvisarlo l'amico, invano.
«Ti distruggo! Ti distruggo!» urlò lui furente mentre lo ricopriva di pugni. Marzotto si limitava a ripararsi con gomiti e mani, ma gli venne assestato qualche colpo anche in pieno viso o sulla gola. Il suo naso sanguinava.
Poi, all'improvviso, la figura del nemico si sdoppiò. Tutti, a parte l'aggressore, compresero che Raffaele aveva richiamato il suo Stand.
Questo si sollevò dal petto del suo portatore e prese posto alle sue spalle: sembrava un vecchio uomo incappucciato dalla schiena un po' ricurva. Il viso era ulteriormente nascosto da una visiera semitrasparente, attraverso la quale si intravedevano gli occhi, simili a due brillanti luci laser rosse che sfumavano ai contorni. Non aveva labbra né orecchie, e il busto era piuttosto spoglio e compatto, così fino ai piedi, che presentavano un puntino rosso su ognuno come unica peculiarità. Curiose erano invece le mani: di colore nero come il cappuccio, quasi come se fossero coperte da guanti, avevano i palmi bucati da strani cerchi spenti che pian piano presero a brillare di una luce dorata. Il cappuccio alle sue spalle, anche se dall'aria pesante, andava a trasformarsi in uno strumento simile a una frusta che quasi sfiorava il terreno e che ricordava molto la coda di cavallo del portatore.
Irene percepì il pericolo e provò a urlare ma ottenne come risultato solo un vago mugolio. Si gettò istintivamente in avanti ma dimenticò le maglie legate che tenevano strette le sue caviglie a scivolò a terra, impotente, mentre Leone si lanciava verso Narancia per tirarlo indietro. Purtroppo non fece in tempo.
«Daysleeper!» chiamò il nemico, mentre il suo Stand emetteva un suono simile a quello di un fucile laser futuristico che carica energia prima di sparare il suo colpo.
Il suo spirito si gettò in avanti, afferrò Narancia per le spalle e premette i palmi contro il suo corpo.
«C-cos..?» provò a dire Narancia, sentendosi strano.
Tutto inutile: non ebbe neanche il tempo di realizzare quanto accaduto. I palmi riversarono in lui qualcosa che gli fece spalancare bocca e occhi: da essi uscì la stessa intensa luce che si era formata al centro delle mani. Con un grido e quello stesso suono simile a un laser, Narancia venne spedito indietro e investì in pieno Abbacchio. I due volarono via con tanta forza da colpire e piegare la porta della stanza.
Irene provò di nuovo a gridare mentre Marzotto si rialzava e il suo Stand tornava composto davanti a lui.
Leone dovette riprendersi dal colpo, confuso dall'intenso dolore alla schiena. Si ritrovò Narancia addosso, riverso sulle gambe e privo di sensi. Dal suo corpo sembrava provenire un sottile fumo grigio e un vago odore di bruciato.
«Narancia!» gridò, sollevandolo immediatamente con le proprie braccia e mettendo due dita sulla sua gola. «Grazie al Cielo... c'è ancora battito...» respirò con affanno. Un attimo dopo si volse a fronteggiare l'avversario. «Cosa gli hai fatto, bastardo?!» gli gridò contro indicandolo.
Marzotto rise di gusto. Non fu difficile notare come, pian piano, le sue ferire e ammaccature scomparvero. Tornò come nuovo, eccezion fatta per il sangue perso e per la polvere finita sui suoi vestiti e nei suoi capelli, che andò a sistemare con un passaggio delle mani ben curate.
«Lasciate che vi presenti Daysleeper...» introdusse il suo Stand senza troppi complimenti. «La presenza di Narancia mi preoccupava, devo essere sincero. Vedete, Daysleeper ha il potere di assorbire qualsiasi danno fisico da me ricevuto e di incanalare l'energia dell'attacco stesso dentro di sé, per poi riversarla direttamente nel corpo dell'avversario al singolo tocco, portandolo al sovraccarico. Nei casi più gravi, se l'energia è troppa per un solo corpo, quest'ultimo potrebbe persino esplodere... consideratevi fortunati.»
Abbacchio non poté che emettere un singolo "tsk" preoccupato, prendendo in braccio Narancia con un po'di fatica a causa del corpo indolenzito e poggiandolo sui sedili della saletta. Ormai il ragazzo era fuori combattimento.
«Il mio Stand non può assorbire attacchi se non attraverso un diretto contatto fisico. Aerosmith avrebbe potuto crivellarlo di colpi senza alcun problema, per questo mi sono assicurato di occuparmi prima di lui.» sorrise vittorioso. «Leone Abbacchio... sbaglio o il tuo Moody Blues non ha alcuna abilità utile al combattimento? Puoi solo sfidarmi in un corpo a corpo, che peccato...» lo derise.
Leone iniziò a sudare freddo. Quel maledetto idiota aveva ragione. L'unico potere del suo Stand era quello di visualizzare un replay di un qualsiasi momento temporaneo al mondo, anche i più lontani, e non aveva modo di sfruttarlo per un attacco. La questione stava diventando sempre più complicata.
Marzotto si avvicinò a lui, infastidendolo con un piede.
«Avanti, amico, non ti va proprio di colpirmi?» continuò a provocarlo.
Lui si rialzò, guardandolo con uno sguardo carico d'odio.
«Pezzo di...»
«Ah? Come come?» Marzotto mise una mano a cono davanti all'orecchio, «Continui a insultarmi nonostante tutto? Che maleducato... forse per vendicarmi dovrei tornare a prendermela con Narancia?»
Mosse un passo verso di lui.
Leone non poté trattenersi.
Il suo pugno si abbattè sullo zigomo di Raffaele con forza inaudita, spedendolo dall'altro lato della sala. Persino le sue nocche iniziarono a sanguinare.
Daysleeper gli apparve accanto, aggrappandosi alla sua spalla sinistra, e scaricò l'energia dell'attacco contro di essa. Il braccio dell'ex-poliziotto cadde inanimato mentre lui finiva in ginocchio, urlando.
Marzotto si rialzò: la sua mascella era mostruosamente scomposta ma tornò automaticamente al suo stato originale mentre lui si lamentava. Sputò persino un molare, imprecando.
«Non hai un minimo briciolo di intelligenza in quel tuo cervelletto da scimmione?» gridò massaggiandosi la guancia, «Razza di idiota! Te lo ripeterò per l'ultima volta: se mi colpisci ti renderò l'attacco con la stessa potenza! Che dolore...»
Irene capì che doveva fare qualcosa. Non poteva stare semplicemente ferma a guardare mentre Leone si faceva massacrare da un nemico che non poteva colpire senza ricevere in cambio un danno uguale.
Sapendo che Raffaele era troppo concentrato sul nemico a lui di fronte, individuò un posacenere quadrato di vetro nel tavolino di fronte. Lo tirò a sé con i polsi e attutì la sua caduta con i piedi, per poi schiacciarlo sotto le scarpe senza fare troppo rumore. A quel punto tenne fermo il pezzo più grande con il piede e si piegò, iniziando a sfregare la stoffa della maglia che le legava i polsi contro il lato tagliente della scheggia. Fortuna volle che la qualità della maglia fosse piuttosto scadente: il tessuto si tagliò con facilità e finalmente le sue mani furono libere. Senza fiatare si slegò il bavaglio intorno alla bocca, prendendo fiato fino a fondo, e iniziò a ragionare in fretta. Neanche Leone si era accorto dei suoi movimenti.
Come poteva aiutare senza saltare alla gola del nemico e rischiare di essere sovraccaricata d'energia? Per non parlare del fatto che avrebbe potuto raccogliere l'energia dei colpi di entrambi per poi riversarla unicamente su Abbacchio, uccidendolo in un modo orribile.
Poi le venne in mente un'idea, come una lucina in mezzo al buio più totale.
Afferrò la maglietta che aveva attorno al collo come bavaglio e la stese a terra alle spalle di Marzotto, per poi adocchiare una bottiglia d'acqua lasciata lì vicino da qualche passeggero un po' troppo menefreghista o distratto. Prima di versarla sulla maglia asciutta, la tocco con l'intero palmo della mano.
"Ti prego... ti prego funziona..." sperò stringendo i denti.
Non sapeva ancora come controllare il suo Stand. Avrebbe fatto quel che voleva? Agito come chiedeva lei? O l'avrebbe ignorata?
Sbatté le palpebre, incredula, quando vide una mano scura separarsi dalla sua e toccare il tessuto.
"È... È lui!" avrebbe voluto urlare, ma così avrebbe rovinato il suo piano. Pensò all'ordine da impartirgli e sorrise quando notò la stoffa, sotto le dita del suo Stand, indurirsi e assumere un colore più grigio e lucido.
Intanto Raffaele prese a infastidire di nuovo Abbacchio con altri insulti.
Leone si rialzò, testardo e coraggioso, degno del nome che portava.
Bruno gli aveva impartito un ordine: proteggere e vegliare su Narancia e Irene. Chissà perché, sembrava avere a cuore quella ragazza, anche se la conosceva da un tempo relativamente breve. Aveva visto in lei lo stesso sguardo che aveva avuto lui un tempo: quello dell'abbandono, della solitudine e della disperazione. Uno sguardo privo di futuro.
Aveva sempre voluto proteggerla. E lui avrebbe rispettato il suo desiderio.
Anche perché, nel profondo del suo cuore, in realtà Abbacchio provava un'emozione strana nei confronti della nuova arrivata in squadra. Avrebbe voluto detestarla: a causa sua erano di nuovo finiti in un guaio più grande di loro, ma che comunque li vedeva di nuovo uniti contro un nemico comune, come una vera famiglia. Era stato il primo a conoscerla, quando l'aveva arrestata... forse in una vita diversa, dato che gli sembrava così lontana. E lei gli aveva ispirato fiducia, forse anche un po' di pietà. Gli era sembrata una ragazza così sola, così triste. Doveva ammetterlo: stava iniziando ad affezionarsi a lei, il che non gli piaceva affatto, ma non poteva non cercare di proteggerla, anche se tendeva a comportarsi in maniera così brusca.
Doveva attaccare. Doveva mettere in gioco la sua vita per poterle permettere di scappare.
«Credi che mi importi di finire ridotto a brandelli?» sbraitò audacemente in faccia al nemico, «Quel che mi interessa è spaccarti la faccia. Ti pesterò così tanto che nemmeno il tuo Daysleeper riuscirà a incanalare così tanta energia e a rimetterti a posto.» giurò.
Prima che Marzotto potesse ridere, spostarsi o spaventarsi, prese una rincorsa e gli finì addosso, spintonandolo con forza e colpendolo con una gomitata alle costole.
Raffaele non si preoccupò: pensava di poter assorbire il colpo, ma poi...
Mentre indietreggiava scivolò su qualcosa.
Abbassò rapidamente gli occhi per vedere di cosa si trattasse e li strabuzzò, sconvolto:
Una lastra di acciaio galvanizzato a forma di maglietta e ricoperta d'acqua. Irene si era liberata da ogni bavaglio e aveva creato un vero e proprio scivolo, degno di un acquapark.
La ragazza era al suo fianco e sorrideva vittoriosa. Qualcosa baluginò alle sue spalle, un viso scuro, con dei grandi occhi intimidatori, ma scomparve subito.
Irene si affrettò ad arrestare la corsa di Leone con un braccio mentre Raffaele cadeva all'indietro, sfondando la porta di vetro e finendo sul balconcino della nave. Sarebbe presto caduto oltre la ringhiera, molto vicina.
Eppure, all'ultimo secondo, afferrò il braccio di Irene e la trascinò con sé.
Marzotto inciampò contro il corrimano e cadde nel vuoto, Irene subito dietro di lui. Fortunatamente la ragazza ebbe i riflessi pronti e afferrò la sbarra più bassa della ringhiera bianca, che tuttavia era molto scivolosa a causa della salsedine.
Raffaele stava per precipitare, ma si aggrappò saldamente alla caviglia di Irene, facendole così un male tremendo.
Il peso dell'uomo adulto era fin troppo da sopportare per lei, che non aveva molta forza nelle braccia ed era una ragazza abbastanza magra. Sarebbe caduta a sua volta, se Abbacchio non si fosse gettato sul balconcino acciuffando per un soffio il suo polso con entrambe le mani.
Era salva, per il momento, ma si sentiva strappare in due per il dolore: Leone la tirava dall'alto, e il peso di Raffaele dal basso. La gravità era sua nemica in quel momento.
Certo, neanche per Abbacchio, fisicamente forse il più forte e muscoloso di tutta la squadra, fu facile sopportare il peso di due persone adulte con la sola forza delle mani. Quando stava per scivolare, si sedette a terra e piantò due piedi contro le sbarre di metallo fissate sul pavimento.
Raffaele, più un basso, si dimenava per la preoccupazione. Avevano lasciato il porto da più di un'ora ed erano già in alto mare da un po'. Se fosse caduto nessuno l'avrebbe visto a causa del buio o sentito a causa del rumore delle onde e della nave eccetto loro due, che di sicuro non avrebbero perso tempo a gettare un salvagente in acqua per aiutarlo. Raggiungere la costa sarebbe potuta essere un'impresa troppo ardua e, con il mare tanto mosso come quella notte, forse sarebbe persino annegato prima di riuscirci.
Abbacchio lo maledisse senza parlargli, rivolgendosi invece a Irene che cercava di resistere ma era chiaramente terrorizzata. Aveva paura del mare, che non conosceva, e non aveva alcuna intenzione di morire in quel modo.
«Reggiti!» urlò Leone per farsi sentire, «Riusciró a tirarti su, non mollare la presa e prova a sollevarti verso di me!»
Irene strinse le palpebre. Aveva una paura tremenda. Si ripromise di non guardare in basso o le sarebbe venuto un infarto come minimo.
«Tiratemi su! Tiratemi su, maledizione!» urlava intanto Marzotto più in basso.
La ragazza pensò di provare a trasformarlo in piombo per farlo cadere, ma dimenticò presto l'idea: se lo avesse fatto davvero, il nemico avrebbe trascinato lei, e forse anche Leone, nelle profondità del Mar Tirreno.
Abbacchio richiamò Moody Blues. La sua mano lucente e violacea afferrò una delle spalle del portatore, l'altra si strinse al muro della porta che dava sul balcone fino ad ammaccarlo e affondare le dita nella roccia. Solo a quel punto ebbe la forza sufficiente a tirare verso di sé entrambi. In breve afferrò Irene per le spalle, poi per la vita, e la trascinò con quanta più forza possibile.
La ragazza fece del suo meglio per rimanere immobile e non rendere il tutto ancora più difficile, ma Marzotto continuava a muoversi e a rischiare di farli precipitare.
Quando Irene fu abbastanza in alto, poggiò a sua volta il piede contro il palo della ringhiera e si gettò a terra, fra le braccia del compagno per paura di scivolare di nuovo nel vuoto.
Lui la sollevò con il proprio Stand e la portò al sicuro sulla balconata.
Raffaele mollò finalmente la sua caviglia per reggersi alla ringhiera, ma ancora non riusciva a sollevarsi.
Quando sollevò la testa, notò solo gli occhi gialli e furenti di Abbacchio che lo squadravano con odio e superiorità.
Provò a evocare il suo Stand alle sue spalle, ma quando si materializzò Moody Blues lo sorprese, bloccandogli le mani dietro la schiena.
Raffaele divenne incredibilmente più simpatico a quel punto.
«Eh... eheh... Abbacchio, amico!» sudò freddo, «Che... che ne diresti di dimenticare i rancori e di aiutarmi? L'ho fatto solo perché mi è stato ordinato!»
«Ah davvero? Vuoi che ti aiuti? Allora comincia a dirmi chi, di preciso, ti ha ordinato di rapire Irene.»
«I- io non ho mai incontrato il capo, no! E neanche i superiori! Faccio parte di un'organizzazione di nome Apocalisse e il boss, quello che noi chiamiamo Padre, si fa chiamare Arcangelo!» soffiò subito la verità.
Irene, che stava riprendendo fiato, sentì una strana sensazione investirla.
"Arcangelo..." si ripetè, come se dovesse conoscere quel nome.
«Ma... ma io non so di preciso né cosa voglia né dove si trovi! L'unica cosa che so per certo è che due miei compagni sono a Salina, in attesa! Io mi sono arruolato solo per il denaro che Arcangelo mi ha offerto!» giurò ancora.
Abbacchio sollevò un sopracciglio e piegò le labbra tinte di viola scuro.
«Tutto qui?» domandò con tono carico di disappunto.
«Non so altro, lo giuro!»
«Be', non è molto.» sbuffò lui, «Non abbastanza da farti perdonare, questo è certo. Stavo pensando a un modo per farti ancora più male prima di gettarti in acqua.»
Raffaele rabbrividì.
«Mi prendi in giro, idiota?!» tornò a offenderlo, «Non potresti comunque colpirmi, te l'ho detto e ripetuto!»
«Daysleeper può assimilare colpi fisici, giusto? Ad esempio calci, pugni, gomitate... cose del genere, no?»
«Per l'ultima volta, sì!»
«Ma non assorbe l'energia di altri tipi di colpi...»
«No, e quindi?! Non hai comunque modo di ferirmi!»
«Tu dici?» Abbacchio indicò la sua mano, legata intorno alla sbarra di ferro. «Io scommetto di sì...»
Con un movimento rapido, tirò il suo anulare e lo piegò in maniera innaturale fino a fargli toccare il dorso della mano. Fu un gesto così brusco da fratturare subito l'osso.
Raffaele gridò e imprecò ancora.
«Ma tu guarda... a quanto pare funziona. Non è un colpo, se mi limito a tirare qualche dito. Quale sarà il prossimo che romperò?»
«No!!! Ti prego, fermati o cadrò!!!»
«Dovrebbe interessarmi?»
Con incredibile naturalezza, tirò indietro anche il mignolo e lo ruppe. Un altro grido, e Marzotto iniziò a perdere la presa attorno all'appiglio.
«Basta! Basta!»
«Avresti dovuto pensarci due volte, prima di ridurre Narancia in quello stato. Questo era da parte sua.»
Irene si avvicinò ai due, toccando la mano di Marzotto con calma, quasi in maniera delicata.
«Ah! Irene!!!» la chiamò Marzotto, quasi tra le lacrime di gioia, «Vuoi aiutarmi, vero? Aiutami a risalire, prometto che non vi recherò altri fastidi in futuro!»
La ragazza lo osservò rabbiosa.
«Aiutarti?» pronunciò disgustata, «Aiutare un vigliacco della peggior specie come te? Preferirei camminare scalza sui carboni ardenti.» commentò.
«Ma... ma allora... cosa stai...?» le chiese lui, di nuovo disperato.
«Volevo farti un regalo, per ringraziarti di avermi rapita e di aver ferito i miei amici, cosa credi?» rispose lei sarcastica, «Il tuo bracciale è molto bello. Ma quanto peserebbe se fosse fatto di piombo?»
Non appena gli pose la domanda, il bracciale di Raffaele Marzotto iniziò a diventare di metallo.
«No... no, no, no!» iniziò a gridare il malcapitato.
«Spiacente, "amico". Ti è andata male questa volta!»
Sia Abbacchio che la ragazza gli sorrisero, vittoriosi.
«Arrivederci.» esclamarono all'unisono.
Un attimo dopo Leone colpì con una pedata la mano dell'avversario. Le sue dita si aprirono inevitabilmente e lui cadde rapido verso l'acqua, urlando terrorizzato, e sparendo poi tra le onde mentre il traghetto avanzava veloce, lasciandolo indietro.
Il bracciale di piombo avrebbe fatto il suo dovere: difficile da togliere, lo avrebbe fatto sprofondare pian piano per un po'. Gli sarebbe servita molta fortuna per sopravvivere.

[ 6 maggio 2002. Raffaele Marzotto, Stand: Daysleeper ... Ritirato. ]

I due Stand scomparvero.
Irene e Leone si lasciarono cadere per un po' sul pavimento della balconata, sfiniti per la battaglia. Nessuno di loro due fiatò, ma il rumore del respiro affannato riusciva a coprire anche quello del mare e del motore della nave.
«Ma voi malavitosi non avete mai un momento di pace?» chiese Irene coprendosi la faccia.
«A quanto pare no.» si lamentò Abbacchio.
La ragazza si mise a sedere, sicura che non avrebbe più preso una nave per un bel po'. Preferiva decisamente di più restare sulla terraferma.
Aveva davvero rischiato molto, ma più di tutto l'aveva sorpresa l'altruismo di Leone, che l'aveva salvata un attimo primo che precipitasse fra le onde. Credeva che lui la odiasse, o comunque di starle decisamente antipatica, ma dovette ricredersi. Non solo era stata aiutata, Abbacchio era anche stato molto gentile e l'aveva incoraggiata, promettendole che non l'avrebbe lasciata cadere.
Un po' come era accaduto durante il loro primo incontro, quando si era preoccupato per lei.
«Ehy, Abbacchio...»
«Cosa c'è?»
«Grazie. Sul serio.»
«Tsk.» sbuffò l'uomo, tentando di rimettersi in piedi. «Bucciarati mi ha chiesto di badare a voi e così ho fatto. Adesso non montarti la testa, novellina...»
Era tornato a nascondersi dietro quella maschera da uomo burbero e maligno, pur avendo in realtà un cuore d'oro.
Irene lo aveva capito, e per questo sorrise, alzandosi a sua volta.
«Anche se credo che ci strangolerà quando ci vedrà ridotti così.» sospirò ancora Leone, continuando il discorso precedente. «Avanti, recuperiamo Narancia e torniamo dagli altri. Abbiamo molto da riferire.»
Aveva proprio ragione. Adesso sapevano con chi avevano a che fare, almeno in parte.
Arcangelo era il nome di colui che stava tirando i fili di Apocalisse, la nuova organizzazione criminale che aveva mosso guerra a Passione.
Arcangelo era il nome dell'uomo che Irene, prima o poi, avrebbe dovuto affrontare.

[ * * * ]

- spazio autrice -
Salve a tutti! Chiedo scusa se ho impiegato un po' più del solito a scrivere questo capitolo, ma ho voluto postare una one-shot il 16 aprile e mi ha portato via un po' di tempo.
In questo capitolo abbiamo lo scontro con Raffaele Marzotto e il suo Daysleeper, nonché una rivelazione molto importante. Salina è molto vicina e lì i nostri eroi dovranno affrontare nuovi pericoli. Inoltre pare che nella squadra vi sia un traditore, sarà vero?
Questo lo scopriremo nel prossimo capitolo, che spero di pubblicare il prima possibile. Per adesso vi lascio, augurandovi una splendida settimana e tanta serenità in questo periodo difficile. Arrivederci!
   
 
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