UNA COPERTA CALDA
“È
una bocca in più da sfamare” disse Wording, il
fabbro.
“Lasciamolo
qui” azzardò Harrison, il manovale.
“È
un cattivo presagio” concordò Mrs. Smith, la
moglie del
pastore.
Harriet
sbuffò nervosamente, ma non poteva fare molto.
Era da sola, non
poteva chiedere aiuto a nessuno. Era l’unica
sopravvissuta della sua famiglia all’ennesima rapina avvenuta
due mesi prima e
ora si trovava da sola, sola a sedici anni. Aveva perso tutto con
l’incendio
che era stato appiccato dai banditi per impossessarsi delle terre di
suo padre
e lei era scappata di nascosto, facendo credere di essere perita nelle
fiamme.
Si era unita
alla carovana che attraversava la valle diretta
a ovest dopo due giorni e ora si trovava in mezzo a quelle persone che
la guerra
e le privazioni avevano reso ciniche e fredde, capaci anche di
abbandonare un
bambino a un atroce destino.
Avevano detto
che a ovest si stava bene e anche loro
sarebbero stati meglio. Harriet non ne era convintissima, ma stare con
loro era
meglio che morire nella cittadina dove era nata e che era stata predata
dai
banditi. Poteva sopravvivere. Forse. In quei pochi mesi a stretto
contatto con
quelle persone, aveva dovuto fare i conti con tantissime cose
sconosciute. Come
la fame. O la mancanza di speranza.
Ora doveva
riuscire a non condannare quel bambino a morire di
fame.
“È
un bambino!” esclamò, incredula.
“È un bambino! Non
possiamo lasciarlo qui! Morirebbe di sicuro!” La sua rabbia
si sentiva nel tono
della voce e lei la percepiva vibrare nel torace. Non avrebbero fatto
morire un
bambino. Lei non lo avrebbe permesso.
Si
voltò verso Smith, il pastore, e lo incendiò con
gli
occhi. “Sono sicura che nostro Signore non insegna a lasciar
morire di fame un
bambino così piccolo! E abbandonarlo sarà
sicuramente un cattivo presagio!”
L’uomo abbassò gli occhi. Tutti li abbassarono.
Tutti tranne Wording.
“Allora
prendilo tu, Harriet, dividerai la tua parte con lui,
se ti fa piacere. Altrimenti rimarrà qui”
sentenziò alla fine l’uomo, a capo
della carovana. Harriet annuì, convinta, alzandosi dal suo
posto intorno al
fuoco e avvicinandosi al bambino che, seduto in disparte, aveva
assistito a
tutta la scena.
“Vieni,
piccolo” lo incitò, porgendogli la mano. Il
bambino
non sorrise, la guardò con quegli occhi scuri e si
alzò da terra, porgendole la
mano. “Come ti chiami?” gli chiese Harriet,
stringendogli la mano con affetto
mentre lo accompagnava lungo l’accampamento.
Era abbastanza
sicura che parlasse la sua lingua. Non aveva i
lineamenti degli indiani ed era stato trovato vicino ai cadaveri di due
persone
dalla carnagione chiara. Non sembrava neanche messicano. Il piccolo,
però, non
le rispose. Harriet sospirò ancora.
Guardò
il bambino e lui ricambiò il suo sguardo. Sembrava
che, anche lui, non avesse nient’altro che il vuoto che
Harriet gli vedeva negli
occhi.
Harriet aveva
fatto credere agli altri della carovana di
essere una maestra, anche se conosceva solo le basi
dell’istruzione: leggere,
scrivere e fare di conto. Aveva letto i libri della biblioteca e
possedeva
qualche testo, ma il resto, non lo conosceva per niente. Ma a quella
gente
bastava poco. Niente storia, geografia o arti del disegno e del ballo:
volevano
soltanto che i loro figli crescessero con un minimo di conoscenza e lei
poteva
insegnarlo.
Quando
arrivò al suo giaciglio, fra il carro di Finn
O’brien,
l’irlandese, e quello del pastore Smith, fece sedere il
bambino. Il poverino
aveva dei vestiti logori addosso: avrebbe dovuto trovargli degli
indumenti al
più presto.
“Non
mi vuoi dire come ti chiami?” gli chiese ancora,
accarezzandogli la guancia mentre lo faceva sdraiare e lo copriva con
il
proprio mantello.
“W’iam” rispose il
bambino, con una vocina sottile sottile, ma senza essere spaventato.
“William?”
chiese lei, perché il bambino aveva parlato male,
come se non fosse abituato. Lui annuì e si
coricò, portando le mani sul viso e
girandosi sul fianco.
Harriet stette a
guardarlo alla poca luce del falò che ancora
bruciava e quando William si addormentò gli
accarezzò la testa. Era piccolo:
forse sei o sette anni. Ed era un orfano, come lei. Non lo avrebbe
abbandonato.
E chissà, forse sarebbe riuscita a riempire quegli occhi di
qualcosa di buono.
***
Il giorno dopo,
quando si svegliò, Harriet si alzò
velocemente e corse al carro di Finn.
“Buongiorno”
disse al ragazzo che stava legando le corde
dietro al carro. Finn O’brien era di sicuro più
vicino ai venti che ai
trent’anni, con una folta barba rossa e gli occhi chiari, ma
ciò che piaceva di
più a Harriet era il comportamento gentile nei suoi
confronti. E rispettoso.
Non aveva mai provato a infilarle le mani sotto la gonna, come aveva
invece più
volte provato a fare Harrison, che aveva l’età del
povero padre di Harriet.
“Buongiorno,
miss Harriet” le rispose il giovane irlandese,
toccandosi la falda del cappello.
“Avete
bisogno di latte per il burro?” chiese la ragazza.
Tutte le mattine Harriet si offriva di mungere le mucche di Finn e lui
in
cambio le lasciava prendere una tazza di latte per fare colazione.
Avere una
mucca era l’equivalente di possedere una piantagione di
cotone, in mezzo al
niente della valle. Il ragazzo annuì senza voltarsi del
tutto verso di lei. La
ragazza corse a prendere il secchio e si mise all’opera.
Quando
finì, portò il secchio a Finn, lui le diede la
tazza
di latte come pagamento e Harriet corse verso il giaciglio, dove il
piccolo William
si stava svegliando. Si sedette vicino a lui e gli porse la tazza. Il
bambino
spalancò gli occhi e prese il contenitore con entrambe le
mani. La ragazza lo
guardò bere, felice che lui si gustasse quella bevanda.
“Di
giorno camminiamo e ci spostiamo verso ovest, io faccio
la… maestra… ai bambini della carovana. Oggi
verrai con noi anche tu e seguirai
le mie… lezioni” spiegò al bambino, un
po’ nervosamente. Non erano proprio
lezioni, quelle che teneva ai bambini, e spesso si dimenticava di dare
veramente degli insegnamenti. Il bambino finì il latte e lei
prese la tazza per
riportarla al suo padrone quando, alzandosi, se lo trovò
davanti: Finn aveva
osservato la scena e la guardava con uno sguardo strano.
Aveva sentito
che si era dichiarata maestra con quell’incertezza,
forse? Abbassò gli occhi e si avvicinò per
restituirgli il contenitore, quando
lui si allontanò verso la speciale zangola legata al carro:
era un contenitore
con il coperchio, dove Finn metteva il latte e il movimento del carro
l’agitava
abbastanza da creare il burro senza bisogno di farlo a mano. Lo
raggiunse e
quando glielo diede, lui lo riempì ancora per
metà e glielo restituì.
“Perché?”
chiese lei.
“Avete
dato il vostro latte al bambino” spiegò solamente
lui,
indicando con il capo il giaciglio. Harriet non se lo fece ripetere e
lo finì
prima che lui ci ripensasse.
“Grazie.
Stasera vi aiuto ancora” disse lei, sorridendo. Finn
fece solo un altro cenno con il capo e prese la tazza. Harriet
scappò via e
tornò da William.
Quando la
carovana riprese il cammino, Harriet tenne il
bambino per mano e si circondò di tutti gli altri,
raccontando una storia, come
faceva la mattina.
“Joseph,
non ti allontanare” ammonì uno dei bambini che
corse
dietro a un rotolo di rovi spinto dal vento.
“Poi
ti prendono gli indiani, ti fanno prigioniero, devi
combattere e fare la guerra!” esclamò Mary, la
figlia del pastore, di nove
anni. I suoi genitori non vedevano di buon occhio i nativi,
perché erano stati
rapinati più volte da loro e ne parlavano sempre male. Il
povero Joseph tornò
subito indietro e si mise buono buono in fila.
“Maestra,
c’è la guerra nel posto dove stiamo
andando?”
chiese Jamie, che aveva paura di tutto, ma sapeva contare velocemente.
“No,
Jamie. Non c’è la guerra” lo
rassicurò. Alcuni di loro
avevano vissuto le battaglie della secessione. La puzza degli spari, il
fragore
delle lame, le grida, il sangue. Ogni persona di quella carovana aveva
visto
qualcuno morire. Un parente, un amico, un vicino. Per quello erano
tutti così
cinici. Per colpa della guerra. Una guerra che si erano da poco
lasciati alle
spalle. Purtroppo i combattimenti avevano creato tanti banditi e molte
persone
che avevano perso tutto si erano organizzate per prendersi
ciò che volevano con
la forza. Come era successo a Harriet e alla sua famiglia. Purtroppo
chi aveva
vissuto la guerra l’aveva ancora davanti agli occhi, anche se
era finita. Anche
se non c’erano più spari.
“Se
non c’è la guerra, allora c’è
la pace” precisò Mary, da
brava scolaretta.
“Pa..ce.
Cos’è la pace?” chiese William, alzando
il viso
verso Harriet. La ragazza si bloccò. Il bambino non
conosceva il significato
della pace?
“Sai
cos’è la guerra? Quando i cattivi sparano sulle
persone
e loro muoiono? E ci sono tutti i rumori come il temporale e tu hai
paura e
tremi perché pensi che possano uccidere anche te?”
Harriet
tentò di fermare le domande di Mary ma il viso di
William che annuiva le impedì di farlo. Avevano trovato il
bambino sporco e
affamato, accanto ai cadaveri in avanzato stato di decomposizione di
quelli che
immaginava fossero i suoi genitori e senza nient’altro che
quello che avevano
addosso. Forse anche loro erano stati rifugiati di guerra. Persone che
avevano
perso tutto ed erano scappate. Oppure erano state rapinate mentre
fuggivano.
Strinse più forte la mano del bambino, mentre i suoi occhi
si riempivano di
lacrime.
“Ecco,
dove non c’è la guerra, c’è
la pace” rispiegò Mary.
“Ma
cosa è?” chiese ancora il bambino. Harriet non
riuscì a
parlare. Come spiegare la pace a un bambino? Cosa dire?
“La
pace è quando nessuno ti brucia la casa.” La voce
di Mary
ora era un po’ incerta.
“O
quando non ti svegli di notte con gli spari” si
accodò
Jeremiah.
“Quando
nessuno spara su qualcun altro” disse un altro.
Harriet aveva il
magone in gola. Anche lei aveva vissuto
quelle cose. Sapeva come si sentivano i bambini. Ma lei aveva anche
vissuto in
periodi tranquilli. Per lo meno, ne aveva il ricordo.
William
però sgranava i suoi occhioni senza capire. Possibile
che non avesse sperimentato altro che guerra e desolazione, quel
bambino? Forse
anche gli altri. Forse era compito di Harriet insegnare loro la pace.
Ma lei
non era veramente un’insegnante. Non sapeva come fare.
“Forse
la pace è quando tutto va bene” spiegò
Jamie. Harriet
gli sorrise.
“Sì,
sicuramente hai ragione, Jamie” lodò il bambino la
ragazza.
Non
poté dire nient’altro perché non ci
riuscì. Ma continuò a
guardare William che non cambiò espressione, continuando a
guardarla con quegli
occhioni tristi. Cosa aveva visto il bambino? Non sembrava
particolarmente
scosso, ma poteva essere che fosse diventato così
insensibile a causa di ciò
che aveva vissuto.
“Ditemi
una cosa bella che vi piacerebbe fare quando
arriveremo nell’ovest, una cosa che si fa quando cnon
c’è la guerra” propose Harriet,
appena riuscì a parlare.
“Fare
dolci con la mamma?” propose subito Mary, sorridendo.
Harriet annuì.Tutti i bambini fecero a gara per parlare e la
giornata volò.
Quando
arrivò la sera, Harriet prese da parte William e gli
chiese: “Tu non hai risposto. C’è una
cosa che ti piacerebbe fare quando
arriveremo nell’ovest?” Il bambino alzò
le spalle e non rispose. Non sapeva
cosa dire? Che vita aveva fatto quel bambino?
Doveva
assolutamente portare un po’ di pace in quegli occhi.
Però prima doveva scoprire cosa fosse. Fece sdraiare William
ma lei, non
riuscendo ad addormentarsi, si rialzò e fece due passi
all’interno del cerchio
dei carri.
Non lontano dal
fuoco morente vide Finn che osservava il
cielo. “Finn” lo chiamò.
Lui si
voltò e portò la mano alla fronte.
“Miss Harriet”.
“Finn…
Cos’è la pace?” chiese. Non aveva saputo
rispondere
alla domanda di un bambino. Cosa avrebbe fatto una volta arrivati
nell’ovest?
Non poteva di sicuro fare l’istitutrice.
“Quando
sei felice, c’è la pace” rispose lui.
Ecco, avrebbe
potuto rispondere così. Chiunque era più bravo di
lei. Sospirò annuendo, senza
sapere che lui al buio non poteva vederla.
“Grazie,
Finn. Siete sempre prezioso”. Si incamminò per
tornare verso il suo giaciglio.
“Miss
Harriet…” la chiamò. “Quando
voi siete vicino a me, io
sento la pace” disse.
Harriet si
voltò. “Siete un uomo buono, Finn.
Io…” Si
avvicinò a lui. “Vi meritate di più di
qualcuno che si spaccia per ciò che non
è. Sapete… Non sono veramente una
maestra” ammise.
“Se i
bambini imparano ciò che è giusto, non
c’è bisogno di
altro.”
“Non
so neanche cos’è la pace.”
“Nel
vostro cuore sapete benissimo cos’è. Le parole
devono
essere semplici, per poter spiegare bene le cose. Non
c’è bisogno di grandi
discorsi” disse lui, poi si toccò la fronte e si
allontanò.
Cos’era
per lei la pace? Harriet chiuse gli occhi e ci pensò.
Era serenità. Era mangiare a tavola con la sua famiglia.
Accarezzare un
cucciolo. Non avere paura del futuro. Avevano ragione un po’
tutti. Quando
andava tutto bene, era pace. Quando eri felice, era pace. Quando le
cose ti
facevano stare bene, era la pace.
Dopo aver
riflettuto un po’, corse verso il giaciglio e si
stese accanto a William. Il bambino si svegliò e lei gli
confidò: “Non so
spiegarti cos’è la pace. Per ognuno è
differente. Ma quando stai bene, sei
felice e dormi sapendo che domani sarà una bella giornata,
è la pace. È dentro
di te. Da nessun’altra parte. Non è quello che
succede. È come ti senti”. Il
bambino, probabilmente ancora mezzo addormentato, annuì e si
tirò la coperta
sul viso.
“Dove
hai preso questa coperta?” gli chiese lei, stranita.
“Finn.
Dice che la pace è una coperta calda che scalda il
cuore.”
Harriet
girò il viso verso il carro dell’Irlandese e lo
vide
in piedi vicino alla ruota anteriore. La luce del falò era
troppo lontano, ma
lei riuscì chiaramente a vedere il suo sorriso, mentre si
toccava la fronte in
segno di saluto.
Un brav’uomo. E una coperta calda. Accarezzò i capelli del bambino e si addormentò, sperando che la pace facesse il suo effetto.
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***Chissà se posso dire di aver quasi superato il blocco... vabbé spero vi piaccia comunque... Traccia contest, qui sotto. Max 2500 parole