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Autore: shilyss    20/04/2020    17 recensioni
Storia sulla discesa nell'oscurità del dio degli inganni. L’astuto e sfrontato principe Loki si è macchiato di una colpa terribile, per cui non prova alcun tipo di pentimento. L’esilio di Thor è ancora lontano, ma molte ombre stanno cominciando ad addensarsi sul trono di Odino. Perché ogni sacrilegio deve essere punito, solo che.
Lei era proibita e anche solo guardarla rappresentava un errore, un sacrilegio compiuto nei confronti dell’ordine costituito; avrebbe dovuto rinunciarci senza indugiare in pensieri pericolosi e malsani, ma la soddisfazione non era nella sua natura – questo, però, non lo sapeva ancora.
“Chi di voi due?” La voce di Sigyn era risuonata altera e decisa, non priva, però, di una nota oscura, figlia di un terrore che aveva nascosto per una notte intera.

[pre-Thor] [Thor] [hurt/comfort]
Genere: Angst, Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Odino, Sigyn, Thor
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 13

 

 

Il corno d’idromele era quasi vuoto, ma Loki scelse di non riempirlo. Alla sua scintilla si erano spenti gli occhi. Era seduto su una comoda poltrona, con le gambe allungate su un tavolo basso, davanti a un camino acceso. Non era lì per scaldarsi, anzi, l’aria troppo calda lo infastidiva, ma le fiamme guizzanti su cui aveva puntato gli occhi somigliavano alla sua anima furente. Sfiorò con i polpastrelli le ricche decorazioni del recipiente fissandone la meticolosa lavorazione, ma con la mente era altrove. Le sue dita avevano carezzato la pelle di lei, calda, profumata, indimenticata. Dove ora c’erano l’argento e l’osso prima c’era stata Sigyn – e toccarla non era mai stata un’azione priva di conseguenze. La maledisse perché aveva fallito e non era riuscito a salvarla, perché non aveva smesso di desiderarla[1]. Non erano bastati gli abiti umili, l’aria dimessa o la treccia mesta che imprigionava la massa d’oro dei suoi capelli. Era e sarebbe rimasta, per sempre, la ragazza sfacciata vestita di rosso che l’aveva fissato a un banchetto come se si trovasse al cospetto non di un principe o un guerriero o un mago, ma di un ragazzo insolente. Lo disapprovava, eppure non aveva perso l’occasione per osservare con curiosità ogni cosa di lui, dal modo in cui portava il corno alle labbra al fluido movimento delle sue mani quando voleva sottolineare un concetto, per arrivare ai dettagli della sua armatura decorata con draghi e serpenti. E lui se n’era accorto, che le sue sorelle tenevano gli occhi bassi e lei no, era l’ultima a chinarli, la sola a incrociare il suo sguardo. Allora Sigyn si smarriva: di fronte alla piega ironica del suo sorriso che voleva dire tutto e niente, che prometteva e irretiva.

Ma ora quello sguardo non esisteva più. Ed era qualcosa che gli arroventava l’anima pensare che lei fosse altrove, che si spogliasse dei suoi stracci davanti a Kalfr e lui non potesse far nulla per impedirlo. Appoggiò la nuca allo schienale della poltrona e chiuse gli occhi raccogliendo le idee, ordinandole grazie alla sua mente febbrile, rapida. Se non fosse stato il fiero figlio di Odino si sarebbe lasciato sfuggire un sospiro o una maledizione, ma era nato per essere re: una simile debolezza non era nemmeno contemplata – s’inumidì le labbra raccogliendo l’ultima traccia d’idromele.

 

Era tornato ad Asgard la notte prima, senza neanche togliersi gli stivali, precipitandosi nella parte più oscura della biblioteca per capire, per vedere l’inchiostro rossastro seccato sulla pergamena formare le parole che aveva dimenticato, anzi, ignorato, perché era più facile raccontarsi una consolante menzogna che togliere il velo dalla realtà. E lui, questo, lo sapeva meglio di chiunque altro; in troppe occasioni aveva sfruttato il bisogno di illudersi proprio delle sue vittime per ingannarle fino alla fine, con poco sforzo.

L’archivio, di notte, era spaventoso, ma Loki non temeva l’oscurità. Lasciava che lo avvolgesse, consapevole che nel buio si nascondevano ombre e fantasmi e colpe. Era sensibile a certe percezioni per colpa del seiðr che, ogni tanto, gli rendeva possibile scorgere i punti di contatto tra questo mondo e quello della spaventosa Hela dalle due facce, minaccioso e oscuro[2]. Aveva rovistato tra le pergamene arrotolate e accatastate le une sulle altre impaziente, nervoso, veloce, come se il tempo potesse scivolargli via dalle dita, a lui, che era un figlio degli Æsir. Si era ritrovato tra le mani il documento che cercava quasi per caso ed era rimasto a fissarlo un momento lungo un’eternità, prima di srotolarlo e far scorrere lo sguardo sulle rune vergate con cura. E il sangue aveva iniziato a scorrergli più velocemente nelle vene, confermando il dubbio emerso nel Tempio. Ogni cosa gli si era rivelata con una chiarezza estrema, ma troppo tardi. Se solo lei gli avesse detto che stava diventando cieca.

 

Il fuoco crepitava e s’arrotolava nell’immenso camino centrale che scaldava la stanza e l’idromele, ormai, era finito. Strinse la mascella virile e affilata e serrò tra le dita il recipiente lavorato, vuoto, inutile, incapace di soffocare la bestia nera che gli rodeva lo spirito sussurrandogli, con la sua stessa voce perfida, che l’aveva persa perché non era degno, così come non lo era stato di Mjollnir. Lui che li tesseva per gli altri, si era crogiolato nell’inganno di aver sconfitto la più ignobile delle creature di tutti i Nove Regni.

Invece, aveva fallito, e Sigyn se n’era andata perché stava perdendo la vista e aveva compreso come quello fosse il primo, inequivocabile segno, che quella cosa fosse ancora viva. E la reclamava. Gettò il corno a terra con una smorfia. Cos’avrebbe fatto se fosse venuto a conoscenza, col giusto anticipo, di quanto le stava accadendo? Consapevole di aver festeggiato una sconfitta scambiandola per una vittoria, avrebbe cercato di rendere vera l’illusione, abbracciando il destino da cui era sfuggito per un soffio non una, ma due volte. E, con tutta probabilità, sarebbe morto.

Non era abbastanza potente per fermarlo, non ancora, nemmeno con l’intervento delle reliquie in possesso di Padre Tutto – e lui, quanta parte di responsabilità aveva nell’allontanamento di Sigyn? Le aveva confermato i suoi sospetti? Si era deciso a mantenere il silenzio nei suoi confronti perché riteneva che avrebbe commesso qualche altro atto sconsiderato? Non si era fidato del suo secondo figlio? Una risata secca e amara gli uscì dalla gola. Non poteva biasimarlo, non dopo l’ultima volta, non dopo che si era rivelato incapace di resistere all’impulso di andare a letto con lei, colpevole di non riuscire a interrompere la loro relazione. Aveva scoperto che commettere sacrilegio non portava solo caos: era dolce – irresistibile, necessario come il balsamo su una ferita o l’idromele a un banchetto.

Il fuoco saltava nel camino e la notte era scesa su Asgard; nell’aria pungente c’era già il sentore dell’inverno e Loki si chiese come avrebbe agito ora che, ironicamente, sapeva, era a conoscenza dell’unico dettaglio capace di dare un senso agli avvenimenti degli ultimi anni. Cosa voleva? Giustizia? Il suo spirito impaziente e feroce di guerriero, di principe orgoglioso, di figlio di re, gli imponeva di prendersi, una volta per tutte, ciò che credeva di aver posseduto: doveva liberare Asgard dal marciume che ne avvelenava le fondamenta, impedendo che Sigyn venisse immolata. Riaprì gli occhi e fissò le fiamme ardenti.

Chiamala col suo nome, Loki: vendetta.

Sorrise al pensiero, ma soprattutto s’accorse che la sua era un’idea egoista, in grado di tenere conto unicamente dei suoi bisogni e che si scontrava amaramente con la realtà dei fatti. Affrontarlo di nuovo significava morire, raggiungere il Valhalla da eroe sconfitto e non trionfante. Aveva perso, ma la soddisfazione non era nella sua natura e nel fuoco davanti a lui rivide la gonna cremisi di lei che girava graziosamente per il banchetto, attirando irrimediabilmente il suo sguardo.

Sigyn non gli aveva detto niente per proteggerlo dalla verità e impedirgli d’intervenire. Per non essere guardata con pietà e commiserazione, per non subire l’umiliazione di venire considerata un peso. Ricordò le lacrime mute che le avevano rigato le guance quando si era deciso a rivelarle la verità sul suo essere l’ultima scintilla, la sola rimasta[3]. Il dolore di lei era stato misurato e composto, nobile, fatto di un pianto silenzioso difficile da sostenere, tradito soltanto dal fremito delle labbra, dalle dita che stringevano convulsamente la coperta. Fin da quella notte era rintracciabile la sua fierezza di principessa, sì, ma l’orgoglio esigeva sempre il pagamento di un prezzo. E Loki, questo, lo sapeva bene, anche se si trattava di una lezione che avrebbe appreso ancora meglio solo in futuro: Sigyn aveva preferito allontanarsi per non costringerlo a vedere la ragazza col vestito rosso divorata dall’oscurità, immolata a forze oscure e indecifrabili. Chissà da quanto se n’era accorta.

Bugiarda. Hai scelto il tuo destino e hai osato decidere anche per me, che credevo di aver vinto e, invece, ho perso.

Non c’era altra spiegazione e, sebbene Sigyn gli avesse risposto praticamente a monosillabi, il suo sguardo vuoto e perso, irrimediabilmente cieco, diceva ogni cosa. La profezia si riferiva a lei.

 

Toccò a Balder interrompere questa ridda di pensieri oscuri. Loki non si mosse, sentendolo arrivare. Aprì gli occhi ed emise un sospiro scocciato, vedendo che l’altro si avvicinava al camino tanto da sfiorargli quasi la punta degli stivali. Il ragazzo si scaldò i palmi intirizziti dal freddo, consapevole che, se desiderava avere un dialogo con il fratello, avrebbe dovuto iniziare a parlare per primo. L’ingannatore gli faceva scontare gli anni che li separavano e il più giovane dei figli di Odino aveva dimenticato il tempo in cui il maggiore intagliava per lui giocattoli di legno e provava a erudirlo nell’utile arte dello spionaggio.

“Mentre eravate a divertirvi a caccia è arrivato questo,” disse porgendogli una pergamena.

A Loki non sfuggì la punta di gelosia nella voce di Balder. Li accusava di tagliarlo fuori da ogni impresa in cui si lanciavano, ed era vero; nelle rare volte in cui lui e Thor avevano fatto lo sforzo di portarlo con loro, l’altro si era sentito un intruso, uno spettatore straniero non abbastanza svelto da cogliere il senso delle battute che facevano. Li osservava riferirsi a fatti, battaglie e persone facenti strettamente parte di un passato condiviso che lui ignorava, così come assisteva a un’intesa profondissima per cui bastava un sopracciglio alzato o uno sguardo per approntare sul momento strategie e decisioni. E quelle giornate passate nella foresta a seguire le orme di prede e predatori, lontano da Asgard, per i suoi fratelli erano momenti preziosi, perché Loki e Thor, prima di essere figli di Odino, erano alleati, compagni d’arme, amici. Trovavano necessario e divertente abbandonare la competizione e i ruoli che si confacevano al loro rango per trattenere il respiro di fronte a un cervo o a un orso. Un giorno quel loro legame si sarebbe spezzato, infranto, e Balder avrebbe scoperto che persino nella perfetta intesa che aveva sempre invidiato si erano insinuato il risentimento, ma non era ancora il tempo.

Loki gli scoccò un’occhiata severa e prese il foglio: era una missiva che parlava di una serie di disordini nati lungo il confine col regno di Laufey a causa di un terreno conteso. Se ne sarebbe dovuto occupare al più presto, decise, ma un ragionamento crudele gli s’infilò nella testa – bugia, c’era sempre stato: appianare le divergenze tra i popoli confinanti era un compito delicato che spettava generalmente a un sovrano o al suo erede. Eppure, sebbene Odino affibbiasse a lui questi incarichi da anni, pareva prediligere comunque Thor come suo successore, a prescindere dai brillanti risultati che Loki otteneva. Era come se ogni suo sforzo fosse vano o apparisse come tale e si scontrasse con una decisione già presa che niente, in questo mondo o nell’altro, avrebbe potuto cambiare. Thor era l’eroe di Asgard e la sua stella brillava più delle altre, mentre la sua, per quanto si sforzasse di farla scintillare, nascondeva sempre una traccia d’oscurità, di buio. Una tenebra che lo corrodeva da dentro, mordendo e graffiando, avvelenandogli i pensieri – perché Odino non riusciva, col suo unico e terribile occhio, a guardare lui con l’orgoglio malcelato con cui ammirava Thor? Come mai quando si ritrovava a essere l’oggetto della sua attenzione le sopracciglia argentee si arcuavano guardinghe, all’erta, quasi suo padre volesse valutarlo ogni volta e capire se e quanto fosse meritevole? Cos’altro doveva fare Loki, figlio di Odino, per convincere il genitore di essere degno di lui, di Asgard? E se non avesse fallito con Sigyn le cose sarebbe andate diversamente? Piegò la pergamena sotto le belle dita di mago e Balder, incauto, osò parlargli ancora.

“Siete andati da lei,” disse con una punta di delusione, di accusa. “Me l’ha detto Thor,” aggiunse, affinché il fratello non potesse mentire o negare. Il dio degli inganni non rispose.

“Non l’ho detto a nostro padre,” proseguì il ragazzo con un sospiro. “Ma… forse avrei voluto che tu facessi qualcosa, stavolta.”

Un sorriso laterale si disegnò sulle labbra sottili di Lingua d’Argento. Piegò appena la testa di lato, scrutandolo divertito. “Sei deluso? È curioso. Per anni mi hai accusato di tenerla prigioniera e di averne fatto la mia concubina e ora mi rimproveri perché non l’ho tolta dal Tempio. Ha giurato. Non commetterò di nuovo un sacrilegio. La casa di Odino non subirà altre offese.”

“Ma Thor ha detto che le sue condizioni…” insistette l’altro.

“Thor ti ha detto che ho pagato. E pagherò ancora, finché vivrà. Nostro padre sa già tutto, te l’assicuro,” concluse seccamente, fingendo di concentrarsi sulla lettera che gli era stata recapitata. Loki amava Odino. Lo ammirava con il feroce orgoglio che l’altro non gli aveva mai restituito. Ne apprezzava la sagacia, l’astuzia, la forza, la saggezza, ma quando, come quella sera, si scontrava con la sua crudeltà, ne rimaneva inevitabilmente ustionato. Il re degli Æsir sapeva e l’aveva convinta ad andarsene o, nel migliore dei casi, si era detto d’accordo con lei nell’abbandonare ogni speranza. Lingua d’Argento poteva imitare il tono della sua voce, indovinare che strade avrebbero intrapreso i suoi ragionamenti finemente arguti, arrivare alle medesime conclusioni. Era stato ascoltandolo che aveva imparato a essere se stesso e, ora, si trovava a contemplare rabbiosamente la costanza con cui gli aveva mentito, nascondendogli il vero motivo per cui lei se n’era andata. Deliberatamente, scientemente, inesorabilmente, Padre Tutto aveva scelto di celargli la verità, tenendo per sé la notizia della sconfitta e della conseguente cecità di Sigyn.

A lei, che si accorgeva che la vista le diminuiva giorno dopo giorno, maledetta da un destino ineluttabile, non volle pensare; ai momenti in cui lui, l’astuto Loki, avrebbe potuto accorgersene, nemmeno. Era troppo fiero, orgoglioso e crudele per scavare nella propria coscienza.

“Io non volevo che soffrisse, fratello,” si giustificò Balder. “Nessuno di noi lo voleva, ma Sigurdr diceva che la sua terra era ancora maledetta e che i raccolti avevano smesso di crescere, gli animali di mangiare. Raccontava che la sua gente moriva di fame perché tu ti eri preso qualcosa di più di un’ancella destinata agli antenati, e quando ha scoperto che era la scintilla, la scintilla che sarebbe sempre rimasta sua, o loro, o qualsiasi cosa significhi, ha continuato a scrivere. Io non lo so, non c’ero, ma le hai permesso di andare via, di essere ciò che voleva, e quella terra è tornata fertile e rigogliosa,” concluse, perché era troppo giovane per non comprendere che il bene e il male spesso s’intrecciavano insieme.

“Era libera di andare dove volesse,” soffiò l’ingannatore, pensando con una smorfia che quelli erano discorsi vecchi, già fatti – solo che, al tempo, il peso della conoscenza non lo schiacciava. Si alzò, prese l’attizzatoio e smosse alcune braci per ravvivare il fuoco.

“Non da sempre. Non all’inizio,” lo accusò Balder. Vide che lo sguardo verde del fratello si era fatto tagliente, furioso.

“Perché sei ancora qui? Per chiedermi di rapirla?” s’interessò Loki. “Perché, ora che Thor ti ha raccontato come vive, improvvisamente l’idea che debba trascorrere il resto della sua vita espiando le sue presunte colpe ti rattrista e macchia il tuo animo, candido come il mantello che porti?”

“Ecco dov’eri.” Thor s’intromise raggiungendo l’ingannatore e posandogli una mano sulla spalla, in un gesto che voleva essere d’ammonimento e di consolazione insieme. Strinse, quasi volesse infondergli un po’ della sua poderosa forza. L’altro non lo guardò nemmeno, troppo intento a scrutare Balder e il suo sincero, tardivo, inutile pentimento. Credeva che le altre ancelle avrebbero accolto Sigyn senza farle scontare di aver avuto un amante, di aver vissuto. Ingenuo idiota.

“Volevo dire a nostro fratello che mi dispiace,” rispose il figlio più giovane di Odino con un sospiro. Sentì di essere stato debole e superstizioso, ripensò alla confusione provata quando si era accorto di come Loki e Sigyn, che credeva si detestassero profondamente, in verità si cercassero e si appartassero negli angoli di Asgard.

A Thor non piacque quella battuta. La considerò inutile. “Non è il momento per tormentarci, Balder,” tagliò corto con fare spiccio.

Loki aggrottò la fronte e ridusse gli occhi a due fessure. Era in piedi, impassibile, misurato, sarcastico. “Per cosa ti dispiace?” s’interessò. “Era il suo destino,” concluse freddamente.

Il più giovane non fece in tempo a replicare; Thor riconobbe le intenzioni dell’ingannatore, ben nascoste dietro l’apparente calma che sfoggiava, e si frappose tra i due, bloccando il mago.

“Balder, adesso vai fuori e vedi di stare al tuo posto,” ordinò con voce urgente. Il ragazzo colse il disappunto sul viso affilato di Loki e comprese che il tonante lo stava proteggendo. Serrò le labbra, perché nonostante fosse considerato da tutti un valente guerriero, non se n’era accorto che l’altro stava per attaccarlo. Si allontanò senza voltarsi, sospirando esasperato.

“Gli hai salvato il naso,” commentò il dio dell’inganno.

“Lo so,” bofonchiò Thor. “

Non avevano parlato di quanto era successo nel Tempio. Loki si era chiuso in un fastidioso silenzio stordendolo con tutt’altro tipo di discorsi, ma il tonante lo conosceva abbastanza da sapere che stava rimuginando – che era successo – qualcosa. Lo capiva dai molti segni invisibili a chiunque altro, che lui individuava così bene; l’inquietudine lievissima con cui si riempiva un corno d’idromele, l’impazienza celata nell’atto di spronare il proprio cavallo e, poi, il segno più allarmante e scontato di tutti: la solitudine dietro cui si era trincerato da quando, la sera prima, erano rientrati ad Asgard. Thor non si era preparato alcun discorso – non era nella sua natura: suo fratello era volubile e scostante e di pessimo umore e lui deciso a fare chiarezza sul loro ultimo viaggio.

“Cos’hai scoperto, fratello?”

Loki lo guardò per un istante, poi spostò la sua attenzione sulle fiamme danzanti. “Sigyn ha perso la vista. È cieca.”

“Questo… questo che significa?” Un’idea gli attraversò la mente. Di nuovo gli afferrò la spalla e strinse. “Noi avevamo fermato tutto questo! Tu sei quasi morto e ora lei dovrebbe stare bene, isolata in quel posto, ma sana e salva.”

Gli occhi di Loki avevano una trasparenza particolare. “Significa che la maledizione non si è fermata, fratello.” Lo disse scandendo ogni sillaba e fissando il tonante diritto negli occhi. “Non si è fermata,” ripeté con un brivido, pensando a quegli incubi striscianti che ora – troppo tardi – avevano un maledetto senso.

Thor lasciò andare la presa – nella penombra, i lineamenti scolpiti dell’ingannatore parevano ancora più taglienti. Il mago si voltò tornando a guardare il fuoco guizzante, nervoso, inghiottendo nel petto le parole che avrebbe dovuto dire ad alta voce.

Che non è morto. Che Sigurdr ha usato sua figlia fin dal momento in cui è nata e l’ha venduta ad altri, prima che a me e agli Antenati. E loro non hanno smesso di volerla.

 

 

 

La prima volta che l’aveva baciata, che, nel buio, aveva sfidato ogni legge sfiorandole le labbra, lei era impallidita e aveva cercato di scostarlo senza riuscire, però, a camuffare il tremito di sorpresa e terrore che l’aveva scossa. Era rimasta a fissarlo sgranando gli occhi, eppure nel suo sguardo grigio Loki non aveva letto l’ombra del dispetto. Brillava una luce strana, curiosa, indecifrabile.

“Non sarò mai la tua schiava,” gli aveva promesso.

Loki si era esibito in un sorriso scaltro e affascinante. “Allora sii mia come una donna libera.”

Sigyn non era riuscita a rispondergli. Stupita, gli aveva dato l’occasione per baciarla ancora nella penombra, per stringere contro il suo quel corpo sottile e desiderato – con un braccio le cingeva la vita, con una mano le stringeva la nuca affondando le dita nei suoi capelli color dell’oro. Le aveva ghermito la bocca assaggiandole le labbra – lambendole, scoprendole, gustandole – soffocando i non posso che erano diventati non possiamo, non dobbiamo, non è giusto. Chi lo dice? Gli Antenati. Sono morti, Sigyn. Sono polvere nel vento e noi siamo vivi. Quando aveva osato risalire dalla vita per raggiungere il seno di lei, si era irrigidita e lo aveva scansato con forza. Loki ricordò di aver sogghignato – si era aspettato una reazione simile – e l’ancella, ormai perduta, lo aveva inchiodato con una frase tremenda, ma vera.

“Questo è un sacrilegio.”

Per quella notte si erano fermati.

La sera in cui si erano illusi di aver vinto, con le labbra che sapevano di vino[4], si erano rintanati nelle sue stanze spogliandosi senza fretta. Lei aveva curato ognuna delle sue ammaccature consolandolo con le sue labbra, mostrandosi a lui con i capelli sciolti e splendenti sulle spalle esili. L’aveva cercata con la stessa urgenza di sempre, maledicendosi per ogni fitta di desiderio che l’incatenava a lei, scoprendo il piacere nascosto in un’unione lenta, intensa, appassionata, non meno disperata di tutte le altre che l’avevano preceduta e di quelle che sarebbero venute dopo. Ogni spinta, sospiro, bacio e ansito doveva sancire il loro trionfo – anticipava la sconfitta, ma questo loro non potevano saperlo. Si ritrovarono esausti uno accanto all’altra e Sigyn gli si accostò con la naturalezza che aveva appreso nel tempo. Era preoccupata.

“Sono la dea della fedeltà e l’ultima scintilla. Come posso rimanere qui, dove ci sei anche tu?”

Pensava al suo ruolo, al destino che avevano sfidato. Loki, steso accanto a lei, le aveva accarezzato la pelle morbida e levigata. Ora sapeva che, in quel momento, l’aveva già persa.

“Non abbiamo già pagato abbastanza? Dovresti sacrificarti per chi ti ha venduta? Scegli di essere libera, Sigyn,” le aveva detto, ma la libertà è un’illusione, un inganno.  

 

“Nostro padre lo sa?” domandò Thor, riscuotendolo dai ricordi.

L’ingannatore annuì, trattenendo dentro di sé la risposta velenosa che avrebbe voluto dargli, troppo intento a rispondere alla propria coscienza oscura.

“Hai un piano?”

Loki alzò le spalle. “Dovrei?”

Doveva dimenticarsi di lei, pretesa, cercata, odiata, avuta, persa. Mancava solo una parola impronunciabile all’elenco, una che gli sarebbe rimasta incastrata in gola e non avrebbe ammesso nemmeno quando, anni dopo, le Norne avrebbero fatto oscillare il suo filo.

Ti ha mentito. Gliene farai una colpa, Loki?

Sì, maledetta bugiarda. Morirai come dovevi – è il tuo destino.

 

 

L’angolo di Shilyss

Care Lettrici e Lettori,

 

Vi avevo promesso che la storia doveva da piotta’, che è un modo asgardian-romano per dire che la trama doveva andare avanti, ed eccoci qui. Ci sono parecchi, tanti indizi in questo capitolo. Come forse (spero) si sia capito, Sigyn ha due problemi fondamentali: l’essere la scintilla e l’essere stata promessa a qualcosa di oscuro più degli Antenati che avrebbe dovuto servire.

Ovviamente questo qualcosa probabilmente vi verrà mostrato, eh eh eh.

Loki in questa parte della trama ancora crede di avere qualche chance col trono e se nella fine emerge un suo coinvolgimento… beh, è sempre il giovane uomo che sta parlando di una ragazza per cui ha commesso un sacrilegio, una che è stata la sua amante per del tempo.

Balder: in recensione molti mi hanno scritto che è un OC. Non lo è, appartiene al canone scaldico e ai comics, dove ha un ruolo molto rilevante.

Ah, la storia citata è Sapevano di vino le tue labbra.

Ah, abbiate pietà: ho gli occhi fritti e spero di non aver scritto ca**te, domani rileggo **.

 

Come sempre, v’assicuro che tutto torna e tornerà (ho riletto tutte le loro battute affinché tornasse, ho gli occhi incrociate). Spero che le mie storie possano tenervi compagnia in questi giorni difficili ♥, quanta ne fate a me quando leggo della vostra presenza perché vi palesate recensendo o listando.

Per voi un clic può non essere nulla, ma per un’Autrice significa tantissimo – e io lo so perché (sono) stata lettrice, prima che scrittrice. Voi non sapete quanto mi faccia piacere.

 

Per ulteriori info, tante foto di Loki, di Sigyn e di Tom e un po’ di divertimento… c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/.  Ah, mi trovate pure su Twitter e Instagram ;)

 

Ricordo che Vanheim e il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura e vi prego di essere originali anche per quanto concerne miti, rituali e per alcune caratteristiche di Loki che non vengono espletate e/o chiaramente mostrate nei film. Il blót esiste, ma gli darò delle accezioni in più che considererò headcanon. Anche l’espressione “Per le Norne” che compare sempre nei miei scritti dal 2017 lo è.

Vi informo anche che ho nuove cose in cantiere ♥, spero di farvele leggere presto (sa di minaccia, ma po’ esse che, non disperate)!

E la settimana prossima? Ah, boh, non ho ancora deciso XD

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose,

Shilyss



[1] Ripetizione voluta, così come più avanti nel testo.

[2] Questa cosa delle percezioni “altre” di Loki non trova riferimento nell’MCU e lo considero un headcanon.

[3] Come ricorderete era la scena di chiusura dello scorso capitolo. Mancano le lacrime, perché la reazione di Sigyn non c’era, lì.

[4] Ehhh sì, una mia storia si intitolava così.

   
 
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