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Autore: Exentia_dream2    22/04/2020    2 recensioni
È nato tutto da una scommessa, persa forse volontariamente.
Hermione e Draco, Harry e Ginny, Theo e Daphne... Cosa succederà?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Più contesti
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Sempre peggio… 



Hermione aveva la sensazione di essere fuori dal suo corpo, perché, nonostante glielo avesse negato, sapeva benissimo che Draco Malfoy l'aveva spaccata a metà ed ora una consisteva nel suo corpo che si muoveva e l'altra in quella che si osservava vivere come se lei non fosse più lei, come se fosse un'estranea. 

Le due metà si univano, in parte, soltanto la sera, quando lei si concedeva di piangere e di attraversare quel dolore che provava in ogni singolo muscolo. 

Da quando era tornata a Hogwarts la notte di Capodanno, credeva di aver perso un pezzo di sé durante la smaterializzazione ed era vero, perché metà del suo cuore era rimasto nelle sue mani, come la collana che gli aveva restituito prima di andare via. 

Quando arrivò in aula, si sedette al solito posto, sistemò pergamena e piuma sul banco e i capelli davanti al viso: gli sembrava che quel gesto potesse proteggerla dal suo sguardo, dai ricordi di quella sera, dalla voglia che aveva di guardarlo e tornare da lui. 

Hermione, agli occhi degli altri, sembrava essere tornata quella degli anni precedenti, sempre pronta a rispondere alle domande dei professori, a primeggiare nei voti, la schiena dritta, il respiro regolare. Glielo avevano detto Seamus e Lavanda una volta che l'avevano vista entrare in Sala Comune. -Sei tornata quella di un tempo, eh?- aveva annuito e i due compagni non lo sapevano che quella era la bugia più grande che Hermione avesse mai raccontato soprattutto a se stessa. 

Poco alla volta, si unirono a lei gli altri studenti e la lezione cominciò. 

Il professor Binns aveva una voce noiosa, monotona, l'abilità di far appesantire le palpebre di chiunque lo ascoltasse e il maledetto difetto di non ricordare il nome dei propri alunni. -Oggi parleremo della prigione di Azkaban e della storia della sua fondazione. C'è qualcuno, tra voi, che saprebbe dirm…- ma non riuscì a completare la frase, perché la sua attenzione fu catturata dal movimento di una mano che si allungava verso l'alto. -Bene, lei è la signorina? 

-Granger. 

-Cosa sa dirmi a riguardo?

-Azkaban esiste sin dal quindicesimo secolo e fu originariamente casa di Ekrizdis, un potente mago, professionista delle arti oscure e che si dice abbia avuto seri problemi mentali, infatti usò l'edificio per uccidere e torturare centinaia di marinai babbani. La fortezza fu costruita su un’isola del Mare del Nord e non apparve mai né sulle mappe né agli occhi di altri maghi, finché il suo costruttore non morì e gli incantesimi di occultamento si dissolsero. 

Quando il Ministero della Magia scoprì la sua esistenza, cominciò un'indagine dopo la quale, chi vi aveva partecipato, si rifiutò di raccontare ciò che aveva visto, dicendo soltanto che i Dissennatori erano la parte meno terrificante di quello che avevano scoperto. La proposta di distruggere Azkaban spaccò a metà la comunità magica… - le sembrò che l'altra metà di sé si fosse seduta sulle spalle e la ascoltasse parlare, la sua voce così stanca, e parlava, parlava… 

Si rese conto di aver smesso solo quando qualcuno le poggiò la mano sul braccio. -Sei così brava, Hermione… Se fossi tu ad insegnare, credo che Storia della Magia diventerebbe la mia materia preferita.- le disse Dean, con lo stesso sorriso che aveva visto sul suo viso il giorno in cui aveva provato a baciarla. Si ritrasse immediatamente: aveva voglia di scappare, chiudersi nella Stanza delle Necessità ed urlare fino a che non le sarebbe rimasto più un solo filo di voce, ma non si mosse. Si limitò a guardare dritto, verso la cattedra del professore che aveva iniziato a scrivere qualcosa sul suo registro magico. 

Quando l'ora finí, si alzò velocemente e corse verso la biblioteca dove aveva appuntamento con Ginny. 

Le sembrò che i corridoi si fossero estesi, si guardò continuamente dietro per assicurarsi che Dean non la stesse seguendo. 

Solo quando si trovò di fronte alla porta della biblioteca, si permise di rilassarsi e di fare un respiro profondo che, però, le si mozzò immediatamente quando i ricordi di quello che era successo lì dentro si presentarono alla sua mente. 

La parte di sé che sentiva essersi staccata dal suo corpo, la osservò mentre gli occhi le si riempivano di lacrime: aveva lo sguardo fisso sul pavimento, mentre riviveva quella sera, mentre gli sembrava di averlo di fronte, la sua voce ad un soffio da lei. -Che altro avrei potuto fare?, mentre la stringeva forte, poggiato ad uno scaffale e le toccava la bocca, poi le alzava il vestito e non si staccava da lei. -Vattene via., e avrebbe voluto farlo davvero: prendere i cocci che lasciava ad ogni suo passo e andare via, lontano da tutti, lontano da quelle mura, lontano da lui. 

Invece spostò l'enorme porta di legno, si guardò intorno, non c'era nessuno e trovò Ginny seduta ad un tavolo in fondo alla sala, si sedette accanto a lei. -Sei pronta? 

-E tu? 

-Certo che lo sono, anche se Babbanologia non è la materia che preferisco. 

-Non ho nessun tema da fare. 

-Cosa? 

-Dove sei finita? 

-Sono quella di sempre. 

-No, sei quella di prima. Prima di diventare amica di Harry e Ron, prima di Malf… 

-E va bene così. 

-Cos'è successo? 

-Niente che ti riguardi, Ginny. 

-Mi riguarda eccome, visto che… 

-Visto cosa? Perché ti interessi tanto? Che t'importa di quello che è successo? Sto bene, sono presente… 

-No, non è vero: non stai bene, non ci sei, non sei presente.- rispose interrompendola. -Credi davvero che io non ti senta quando ti alzi dal letto ed esci dal dormitorio? Credi davvero che io non sappia cosa fai? 

-Non potresti. 

-Ieri ho chiesto a Harry di prestarmi il suo Mantello dell'Invisibilità, ti ho seguita fino alla Stanza delle Necessità, sono riuscita ad entrare per un pelo… 

La voce dell'amica le giungeva ovattata mentre ripensava a quello che faceva ogni sera: si chiudeva in quel posto, si lasciava invadere dalla tristezza e dal dolore. Le era capitato di piegarsi su se stessa, urlare con tutto il fiato che aveva in corpo fino a graffiarsi la gola, piangere quelle lacrime che sembravano essere infinite e lo malediva e si malediva, si odiava e lo odiava e lo voleva, più di tutto, più di tutti, con ogni cellula del suo corpo, con ogni goccia di sangue che le scorreva nelle vene. Si riscosse quando Ginny le accarezzò i capelli. Non riusciva a parlare, le sembrava impossibile riuscire a calmare il respiro. -È stato uno sbaglio, i-io non… Non dovevo farlo e lui, lui, bastardo, pezzo di mer… 

-Cos'è successo? 

Aveva la sensazione di aver cominciato a parlare, mentre si torturava le mani e stringeva la gonna, di come Draco l'avesse guardata in quella camera da letto, come l'avesse baciata e toccata, le parole che le aveva detto e quelle che invece erano rimaste mute e in sospeso. E la sua espressione quando gli aveva restituito la collana, quando l'aveva vista vestirsi di nuovo, e quelle mani sul viso, le volte in cui provava ad avvicinarsi e lei si allontanava. 

La cravatta sembrava soffocarla e allentò il nodo, vedeva gli occhi di Ginny farsi grandi e lucidi. Non sapeva cosa le stesse raccontando o se effettivamente stesse parlando, se avesse cominciato a piangere o fosse solo la sua immaginazione a bagnarle le guance. 

Sentì soltanto la sua testa poggiata sulla spalla e Ginny che l'abbracciava forte. 




-Ho sempre voluto chiederti una cosa, Lisa. 

-Cioè? 

-Quando ci siamo guardati per la prima volta, ti ricordi? 

-Sì. 

-Ti ho trovato nella Sala Comune di Grifondoro… Cosa ci facevi lì? 

-Aspettavo Luna. 

-Luna? 

-Sì, Ron, anche Luna e Neville, per quanto possa sembrare assurdo, fanno sesso. 

-Avevi dei segni rossi sul collo. 

-È stato un incidente durante una lezione di Erbologia.

-Oh, va bene. 

-Cosa credevi che fosse? 

-Non lo so.- poi si sedette su un gradino accanto a lei. 

-Sto davvero bene con te.

-Anche io e poi, chissà, magari ci innamoriamo davvero. 

Quando Lisa sorrise, Ron sentì il suo cuore fare una capriola. Non si era pentito di nessuna decisione presa e di nessuna azione compiuta fino a quel momento, perché tutto quello lo aveva portato a lei. 

Certo, magari l'avrebbe conosciuta prima se non avesse perso tempo a bere la Polisucco e a fingersi qualcun altro, ma cosa importava adesso, mentre la stringeva a sé? 

Con Lisa lui poteva essere davvero se stesso, senza doversi sentire inferiore se non conosceva una data o un evento storico particolare, poteva non riuscire in un incantesimo al primo colpo senza sentire addosso uno sguardo di disapprovazione, senza la paura di deludere qualcuno. 

Le baciò la fronte, promettendole la sua presenza anche quella sera e si allontanò. 

Nessuno faceva più caso a lui, nessuno più lo guardava con disprezzo o delusione e, nonostante le sue amicizie fossero state compromesse dal suo atteggiamento, Ron camminava a testa alta, senza vergognarsi. 

Si chiese se con il tempo avesse recuperato il rapporto con Harry, se le prossime feste o l'estate fossero state imbarazzanti come lo era stato il Natale, ma accantonò quei pensieri in un angolo remoto della mente, decidendo di vivere alla giornata e senza preoccuparsi troppo del futuro immediato o prossimo. 

L'unica cosa che era importante per lui, in quel momento, era la vicinanza di Lisa, la certezza di poterla stringere ogni notte, di dormire nelle sue lenzuola e risvegliarsi con lei nel letto. 





Continuava a pensare a quello che era successo durante l'ora di Storia della Magia che lui non aveva seguito, perché era troppo impegnato a studiare ogni minimo movimento di Hermione: la mano alzata, la risposta precisa, la voce tranquilla, un Eccezionale in più tra i voti, il suo giocare con la piuma mentre raccontava la storia di Azkaban. E poi Dean si era avvicinato a lei, le aveva detto qualcosa, l'aveva toccata, mentre lui non poteva più farlo.-Sei troppo vicino. Non toccarmi.

Aveva trascorso quei minuti a stare fermo, nonostante la voglia di mettersi di fronte a quello che toccava ciò che gli apparteneva e spaccargli la faccia e poi andare da lei. Ma quando il professor Binns aveva dato loro l'ordine di poter lasciarlo solo, l'aveva vista correre fuori dall'aula e si chiese dove fosse diretta, ma non la seguì: sentiva le gambe pesanti, come la sua assenza, come quella gelosia che gli stava logorando lo stomaco. 

Come in Sala Grande, quando l'aveva vista ridere insieme a Neville e Harry. 

Si chiese se lui l'avesse mai fatta ridere in quel modo e sì, lo aveva fatto e non faceva altro che ricordare il suo sorriso e quella risata che sembrava essergli entrata sotto i vestiti, sotto la pelle, nelle ossa e risuonava all'infinito, sostituendosi all'immagine del suo viso triste e sporco di lacrime. 

Si rese conto di essere arrivato al suo dormitorio ed essersi steso sul letto soltanto quando qualcuno si sedette ai suoi piedi. 

Alzò leggermente la testa e vide Pansy con la camicia sbottonata, la bacchetta stretta in mano. -Colloportus. 

-Cosa vuoi?- le chiese, tornando a stendersi. 

La risposta arrivò quasi subito, senza parole, con una carezza che partiva dalla caviglia e saliva lenta tra le gambe. 

-Dai… 

-Smettila, Parkinson.- le spostò bruscamente  le mani. -Smettila. 

-Ti piaceva una volta, no? 

-No. 

Ma lei continuava e sorrideva, mettendosi a cavalcioni su di lui, mentre gli sbottonava la camicia e gli baciava il collo: sentiva le sue dita sottili salire e scendere sul ventre, i morsi, la lingua e il fiato accarezzargli il corpo. 

Draco chiuse gli occhi, la lasciò fare. Invertì le posizioni, si stese addosso a lei, togliendole il maglione e il reggiseno, senza guardarla. Si liberò della cintura e del pantalone, pronto ad accontentarla, chiudendo gli occhi e, mentre le mani di Pansy cominciavano a giocare, lui si sistemò in mezzo alle sue cosce che si strinsero immediatamente attorno ai fianchi. 

Entrò lentamente e non evitò di dare voce al sospiro che aveva in gola. 

-Bravo, così.- e rise e Draco aprì gli occhi. 

Cosa stava facendo? Quella non era la risata che voleva sentire, non erano i capelli che voleva toccare, non era il corpo che voleva stringere, non era quello il profumo che voleva nei polmoni e, quella sotto di lui, non era la donna che voleva nel suo letto. 

-Esci di qui.- la prese per un braccio, strattonandola più forte quando lei aveva provato a resistere, le sistemò i vestiti sul gomito. -Alohomora.- poi la spinse fuori dalla porta, richiudendola subito dopo. 

-Malfoy ti si è ammosciato il cazzo perché non sai più cosa significa avere una vera donna nel tuo letto, vero? Se ti si attizza con una che ha il sangue sporco vuol dire che sei un perdente.

Rimase in silenzio e alla voce di Pansy sentì aggiungersene altre, poi il rumore di uno schiaffo e un pianto sommesso. 

Si lasciò scivolare sul pavimento, spalle al legno, prendendosi la testa tra le mani. 

Sentiva qualcuno chiamarlo, bussare alla porta, chiedergli di aprire. Riconobbe la voce di Blaise e lo lasciò entrare, sedendosi sul letto. -Chi è stato?

-Io.- alzò gli occhi quando riconobbe una voce femminile e si trovò di fronte Daphne e Theo, dietro di loro Blaise. -E non me ne pento. 

-Avresti dovuto lasciar perdere. 

-No. Non dovresti farlo nemmeno tu. 

-Ma che volete? Lasciatemi solo, vi prego. 

-Malfoy che prega qualcuno, non mi sembra vero. 

Li guardò, uno ad uno: parlava solo Daphne, mentre gli altri due si erano piazzati in piedi dietro di lei, a dimostrare l'intenzione che non l'avrebbero lasciato uscire da quella stanza e non lo avrebbero fatto nemmeno loro. -Andate via. 

-Ti dà fastidio la nostra presenza? 

-Sì, molto. 

-Bene, mi piace infastidire le persone.- e si affiancò a lui. 

Restarono in silenzio per un po': Draco guardava il pavimento, gli altri guardavano lui. 

Mosse le labbra, ma non uscì alcun suono e, prima di riprovarci, deglutì. -Pansy… Lei è… 

-Lascia perdere, non dovresti sprecare nemmeno un minuto a pensare a quello che è o non è successo.

-Non è successo, però… 

-Ti stai focalizzando sull'inessenziale. 

-PERCHÈ MI MANCA L'ESSENZIALE ACCANTO. Mi manca da fare schifo.- disse in un alito di voce, come a non voler rendere reale quell'assenza. 

-Vai a riprendertelo, il tuo essenziale. 

-Non mi guarda più e non si lascia guardare, mi fa vedere solo le sue spalle o si nasconde dietro ai capelli. Non mi parla, nemmeno durante le ore di Pozioni e il suo silenzio fa così rumore, fa così male… e più sta zitta e più mi sembra di non riuscire a staccarmi da lei e lei sta bene, anche senza di me. 

Daphne sospirò. -Non ho mai parlato così a nessuno, perciò, per piacere, ascoltami bene. Quando ho capito di essere innamorata di Theo, mi sono sentita così in colpa, perché sapevo che avrei potuto rovinare la nostra amicizia, ma più gli stavo vicino e più capivo che non riuscivo a fare altro, che volevo rovinare tutto, anni e anni in cui ci siamo stati vicini da amici, ma perché volevo altro da lui. Stavo male, piangevo, ma lo volevo e non sono mai stata coraggiosa, ma avevo bisogno di capire e di reagire. Siamo stati giorni interi senza parlarci e l'ho odiato talmente tanto, un odio che ora non riesco a spiegarti. Lo guardavo di continuo e lui sembrava sempre tranquillo, felice… a volte, mi sembrava che stesse meglio lontano da me.- scosse leggermente la testa e sorrise. -Non mi ha parlato per giorni interi e quando l'ha fatto, mi sembravano fossero passati anni dall'ultima volta che avevo sentito la sua voce. Ho pianto, gli ho urlato contro, ma lo volevo e ho fatto di tutto per stare con lui. Quando mi ha parlato, quando è riuscito a farmi stare zitta, ho capito che tutto quello che vedevo non era vero: rideva con gli altri, sì, ma non era felice. Sembrava stare bene lontano da me e invece moriva dentro. Sembrava sempre sul punto di mandarmi a fare in culo per non venire mai più a riprendermi, ma più mi mandava via e più aumentava la sua voglia di stare con me. 

Poi si intromise Theo. -Se avessi avuto più coraggio, entrambi avremmo sofferto di meno. Il dolore che stai provando non fa di te una persona debole. 

-Mi sta distruggendo. Non sono più io e me ne rendo conto adesso, perché prima non sarei mai arrivato al punto di parlare di tutto questo. 

-Dai, Draco, non ci sarebbe stato comunque bisogno che tu parlassi per capire che stai di merda: si vede lontano un miglio. 

-Davvero? 

-Sì. Sei sempre curvo con la testa bassa o guardi verso il tavolo di Grifondoro. -aggiunse Blaise. -Non servono le parole per capirlo. 

-Questa l'ho già sentita.- un mezzo sorriso sulle labbra, la voglia di riuscire ad andare avanti.

Uscirono insieme dal dormitorio e si diressero verso la Sala Grande. Camminarono in silenzio e Draco avvertì la sensazione di sentirsi leggero, una piccola speranza di poter riprendere tutto da dove l'avevano lasciato o rifare tutto daccapo ed anche meglio. 

Fino a che non sentì degli sguardi posarsi su di lui, il suo nome uscire da bocche che non conosceva. Si fermò al centro del corridoio. 

-Quindi,non ti si alza più, eh, Malfoy?- gli chiese qualcuno e decise di non rispondere, di starsene in silenzio. -Se non ti si drizza con la Parkinson… 

Alzò leggermente gli occhi, notò una sciarpa gialla e grigia e, senza che lo volesse, i suoi piedi cominciarono a camminare in direzione di quell'indumento. 

Si trovò di fronte ad un ragazzo alto, con i capelli neri. -Cosa hai detto?- lo guardò deglutire, fare qualche passo indietro. -Ripetilo. 

L'altro balbettò, poi sembrò gonfiarsi e sul viso gli comparve un sorriso derisorio. -La Parkinson ha detto che hai fatto cilecca. Prima della terza volta. 

-Cosa? 

-Sì… Potrei anche capire, dopo due scopate con lei… 

-Quando te l'ha detto? 

-Oh, non l'ha detto a me. L'ha detto a tutta la Sala Grande. 

In quel momento, Draco sentì freddo su tutto il corpo: sperò che non fosse vero, sperò che Hermione si fosse trattenuta in biblioteca e non avesse sentito. O nel suo dormitorio o che fosse alla torre di Astronomia, ma non lì, non lì. 

Non guardò in direzione dei suoi amici che, nel frattempo, si erano messi in circolo intorno a lui e all'altro ragazzo. 

Camminò svelto verso la Sala Grande, mentre continuava a pregare di non trovarla a cena, e, nel momento esatto in cui varcò la soglia, si trovò addosso lo sguardo di tutti i presenti, il sorriso cattivo sul volto di Pansy. La guardò per un solo secondo con il disprezzo più forte che avesse mai provato, poi vide un mantello muoversi alla sua sinistra e lo seguí senza muoversi. 

-Non te ne andare, 'Miò… 

Aveva le gambe bloccate, nella mente l'ultima notte che avevano passato insieme, le volte in cui era andata via, le volte in cui era tornata da lui e quelle in cui restava ferma per non sbagliare i passi, i tempi. 

Non riusciva a crederci, non stava succedendo davvero. No, no e no: era soltanto un incubo, gli sarebbe bastato aprire gli occhi e si sarebbe trovato di nuovo nel suo letto.

Lui non aveva spogliato Pansy Parkinson e non l'aveva mandata via perché lei non era mai entrata nella sua camera singola da Prefetto, non aveva parlato con Blaise e Theo e Daphne, non aveva incontrato quel ragazzo di Tassorosso lungo la strada, non era in Sala Grande, non aveva visto Hermione andare via per l'ennesima volta. 

Sentì un unico battito di mani, l'eco che gli provocava male alle orecchie, un'unica risata che gli esplodeva intorno nel silenzio totale. 

-Sei pronto per il terzo round?- urlò Pansy. 

Draco strinse i pugni e andò via. 



Angolo Autrice:

Eccoci qui e sì, come avrete capito dal titolo e dopo aver letto il capitolo, qua tra questi due le cose vanno sempre peggio. 

Cosa succederà la prossima volta? Riusciranno a riavvicinarsi? 

Si accettano scommesse. 

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate. 

A presto, Exentia_dream2




   
 
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