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Autore: McGonaogall_Sister    22/04/2020    1 recensioni
What IF:
Se negli anni di Harry Potter a Hogwarts ci fosse stata un'insegnante in più, una legilimens, come sarebbero andate le cose? Cosa sarebbe cambiato?
Una cattedra nuova a Hogwarts, una ragazza parecchio strana (perfino per i criteri del mondo magico).
Dumbledore avrà fatto questa scelta davvero solo per ampliare la didattica?
N.B. La storia è il primo capitolo di una serie, le coppie si riferiscono alle coppie presenti nella seria, non nella singola storia
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Severus Piton | Coppie: Draco/Harry, Remus/Sirius
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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L'angolo dell'autrice:

Eccoci qui di nuovo con una pubblicazione bella corposa :D 
Ringrazio moltissimo la mia lettrice beta che ha fatto un lavorone di revisione! Domani sistemerò qualche errorino nei capitoli precedenti e dopo domani dovrei arrivare con un'altra pubblicazione lunghetta. Vi piace la nuova misura?
Buona lettura e fatemi sapere cosa ne pensate ;)

 
 

Quella non era una serata di carte come tutte le altre. Quella sera si festeggiava Pomona Sprout che compiva una non meglio definita quantità di anni. Le ragazze, come Pamela aveva iniziato a chiamare con se stessa il piccolo circolo di streghe, avevano organizzato una piccola festicciola a sorpresa, portando in camera della professoressa McGonagall una torta e i regali un po’ prima delle nove. Avevano addobbato la camera con festoni a tema floreale e arboreo e quando la professoressa Sprout era entrata si era quasi commossa. Per Pamela era stata una gioia vederla a quel modo e ora che mangiavano chiacchierando e commentando la torta di amarene, le venne spontaneo chiedere: “come mai non abbiamo mai festeggiato altri compleanni prima?”

“Tu quando compi gli anni, cara?”
Chiese di rimando la professoressa Sprout prendendo un lungo sorso dalla sua tazza di tè.

“Il tre giugno”

“Una gemelli! Ci avrei scommesso. E sento che il tuo ascendente è… è… un segno di fuoco, sì, non dirmelo…” la professoressa Trelawney teneva una mano tesa verso Pamela quasi volesse fermarne un movimento inconsulto, mentre l'altra chiudeva gli occhi del volto girato a sentire la voce degli astri.

“Non ho idea di quale sia il mio ascendente.”
Rispose divertita la ragazza.

“Beh, a giugno faremo una festa, allora.”
Promise la McGonagall.
“Io sono troppo vecchia per festeggiare…”

“Oh, avanti, Minerva, sei solo troppo brontolona! L’anno prossimo esigo di festeggiare anche il tuo compleanno, il quattro di ottobre” la interruppe la professoressa Sprout indicando le altre per legarle in un tacito patto.

“A me piacerebbe una festa, in effetti…” commentò timidamente la professoressa di divinazioni riparandosi dietro la tazza di tè.

“Oh, cara… e perché non l’hai mai detto?”
Minerva si voltò a guardare quello che gli spessi occhiali lasciavano intuire degli occhietti mortificati di Sybill, nascondendo dietro al tono di rimprovero la gratitudine che l’attenzione si fosse spostata su qualcun altro.

“Organizzeremo qualcosa di sicuro! Quando compi gli anni?”
La professoressa Burbage si sporse rincuorante a posare una mano sulla spalla Sybill.

“Il quattro marzo, magari l’anno prossimo…”
Rispose con un sorriso esitante.

“Sapete, da studentessa non riuscivo a immaginare come fosse la vita dei professori, cioè che i professori avessero una vita, in effetti. Forse perché eravate gli unici di cui non sentivo i pensieri nella testa tutto il tempo, o forse perché è una cosa normale quando si è studenti” commentò Pamela sentendo un moto di gratitudine per quelle figure antiche, statue mitologiche nella sua storia personale.
“Forse da studenti si percepiscono i professori come una specie di blocco unico: con diverse sfumature, con diverse manifestazioni, ma in fondo pezzi di un’unica grande entità, come le pietre nel muro. È… è strano vedere quanta poca coesione ci sia in realtà: si passano mesi sotto lo stesso tetto, eppure ci si conosce molto poco.”

“Beh, sai, dipende anche dall’indole.”
Osservò la professoressa Sprout posando la tazza sul piattino di ceramica bianco.

“A me piacciono queste nostre serate.”
Confermò Charity con un sorriso contento.

“Tesoro, tu sei l’esempio di quello che si potrebbe chiamare un carattere socievole. Che io sappia sei l’unica persona che riesca a scambiare quattro chiacchiere perfino con Snape.”
La professoressa di Babbanologia arrossì appena sotto lo sguardo della Sprout e Pamela non potè fare a meno di notare che la sua carnagione chiara e i lineamenti irregolari davano agli occhi chiari un certo interesse, salvandoli da una sbavatura di eccessiva inglesità.

“Beh, non tutti possono essere ciarlieri come te, Pomona.”
Nel tono della McGonagall c’era un filo di risentimento, come se si sentisse chiamata in causa per qualche ragione.

“Anche a me fanno piacere queste serate, fanno sentire molto meno la lontananza da casa e la pressione.”
Confermò Pamela sorridendo alla Burbage e tessendo, in cuor suo, una tacita alleanza e una tacita competizione. 

 

+++


Dalla finestra della sua stanza Severus vedeva le luci traballanti delle lanterne scendere verso la capanna del mezzo gigante.
Quello sciocco di Potter si rivelava simile al padre sia per stoltaggine che per impudenza, ma lo aveva stupito Malfoy. D’altronde chissà con quante sciocchezze di gloria era stato cresciuto. Lucius era sempre stato un abile narratore di se stesso, era così che aveva conquistato Narcissa. Sospirò cercando di cacciare fuori dai polmoni il peso che sentiva sul petto.
Sopra al sentiero le montagne illuminate dai raggi del plenilunio rendevano il paesaggio di una quieta spettrale, mentre sul lago la luce diventava un bagno argentato sospeso.
Posò con cura il barattolo sul davanzale perché assorbisse il potere di quella notte prima di richiudere lentamente i vetri. Tornò alla scrivania aprendo la lettera della Radcliffe, un plico di annotazioni puntuali erano arrivate con quelle poche righe formali. Aveva letto davvero il libro che le aveva suggerito e lo aveva commentato pagina per pagina, riassumendo le osservazioni in quelle poche frasi, semplici ma precise. Era sempre stata una ragazza strana, non riusciva a comprendere i più semplici compiti, i primi giorni del primo anno sembrava non riuscire nemmeno a sentire. Ricordava che ne avevano parlato col preside e si pensava di suggerire alla famiglia di farla vedere da un esperto, ma poi le cose erano migliorate da sole abbastanza in fretta. Di certo, però, non era mai diventata una studentessa brillante, ma dal secondo anno i suoi voti erano molto migliorati. Il terzo anno gli aveva chiesto, a lui, di potersi esercitare la sera nelle pozioni, con l’aula vuota. Lui aveva detto di no, ovviamente, perché se avesse detto di sì a lei avrebbe dovuto dire di sì a chiunque. Due giorni dopo Dumbledore lo aveva convocato nel suo ufficio, c’era anche lei.
Aveva dovuto direi di sì.
Severus non sopportava chi si sentiva speciale, unico e pretendeva scorciatoie e aiuti; per questo non lo sopportava, perché lui non aveva mai avuto aiuto da nessuno.
Eppure doveva ammettere che la Radcliffe non si era mai data arie, sembrava piuttosto che cercasse di farsi vedere il meno possibile e da quando aveva preso a passare le sere al calderone i suoi voti in Pozioni erano migliorati. Si applicava, questo doveva riconoscerlo. Però mai avrebbe pensato che si sarebbe ritrovato a intrattenere con lei uno scambio epistolare di analisi e commento di Filosofia della Magia e di trovarlo interessante. Si ricordò del taccuino che gli aveva mandato per Natale e per la prima volta gli venne la curiosità di leggerlo. Lo recuperò dall’angolo della libreria dove lo aveva abbandonato, poggiato sugli altri libri con poca speranza di essere aperto. Lo aprì alla prima pagina dov’era segnata una data e poi, nella calligrafia ordinata e tondeggiante della ragazza, iniziava una sorta di diario. Dalle frasi sconnesse non si sarebbe mai potuto ricostruire mezzo avvenimento, spesso interi paragrafi descrivevano dettagli insignificanti: una finestra, un rumore, la sensazione di un tessuto addosso. A volte descriveva delle persone, ma non erano descrizioni fisiche, piuttosto il tentativo impossibile di trasporre in parole un flusso di pensieri estraneo. Dopo un po’ doveva essersi resa conto da sola della follia dell’impresa e le nelle pagine iniziavano a comparire brevi poesie, a volte solo elenchi di parole, oppure disegni che si trasformavano in macchie di colore. Una pagina portava un angolo piegato, andò a leggerla incuriosito e ritrovò la forma di un pensiero composto, per una volta.
Parlava di lui.

Per la prima volta trovo qualcuno che in nessun modo mi è visibile, nemmeno un’ombra, nemmeno sfocato, nemmeno in parte. Se degli altri insegnanti posso cogliere poco, di lui niente. Per la prima volta ho di fronte un estraneo. Dovrei essere curiosa? Non lo sono. Sono grata di questa lontananza che finalmente sento. Quanto è bello parlare con qualcuno di cui non conosci i pensieri! Quant’è bella la sorpresa. Ascolto le lezioni e non so niente di chi sta parlando, non so niente se non quello che dice. Devo usare le orecchie, devo usare gli occhi e mi sento umana, e capisco tutte le tribolazioni e gli arrovellamenti delle persone intorno a me.
Se mi innamorerò un giorno, sarà di una persona che non posso capire.


Severus chiuse lentamente il quaderno poggiandolo sulla scrivania e restando a fissarlo. Non sentiva niente. In quel niente era racchiuso tutto l’eccesso di emotività che trasudava da quel quaderno, il trionfo dell’espressione irrazionale. L’orologio segnava la mezzanotte passata. Era rimasto seduto alla scrivania per quasi due ore.
Si alzò, andò a lavarsi e si preparò per dormire.

   
 
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