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Autore: Strekon    11/05/2005    11 recensioni
Su buon esempio di Sunny ho deciso di fare un po' di ordine fra one shot vecchie e nuove su Senza Tregua. Per chiarire tutte le cose poco chiare all'interno della serie...e per porsi qualche nuova domanda.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“In carrozza

Questa Fan fic è dedicata alle ragazze speciali speciali che mi hanno tenuto compagnia durante l’ultimo raduno di Harry Potter a Soave, domenica scorsa. E’ stata una giornata fantastica e grazie a loro lo è stata al quadrato! Quindi questa One shot è anche merito vostro! ^ ^

E ora buona lettura….

 

 

 

Perché sorridi ancora?

 

1.

 

“In carrozza! Signori in carrozza!” l’ultimo richiamo del capostazione rincorse Ginny che per un pelo riuscì a salire sul vagone. La valigia che si trascinava dietro la appesantì facendola scivolare di poco all’indietro, ma l’uomo inforcò la paletta sotto il braccio e le diede una mano ad issarla all’interno con un sorriso e un incitamento.

“Grazie mille” gli sorrise Ginny. Si rimise in ordine il collo del cappotto che per la gran corsa stava tutto appiattito sulle sue spalle. Sbuffò soddisfatta e accaldata e si infilò lungo il corridoio del treno lucido come l’argento.

Ne aveva sentito parlare più volte di quel treno. Opera babbana, naturalmente. I maghi utilizzavano i treni da un paio di secoli, come i babbani. Anche Hogwarts era raggiungibile soltanto tramite l’omonimo l’Espresso.

Quel particolare treno però, dal colore accattivante e brillante, avrebbe attraversato il canale di mare fra la Francia e la terra natia di Ginny, ovvero la vecchia Gran Bretagna. Tunnel della Manica, lo chiamavano. O Eurotunnel.

Ginny era emozionata di viaggiare su qualcosa di così affascinante. Sarebbe passata attraverso una galleria scavata al di sotto del fondale marino. E ci avrebbe messo soltanto poche ore. Niente magia, solo tecnologia.

Sorrise pensando a come suo padre avesse reagito alla notizia della costruzione di quel canale. Arthur non poteva credere possibile una cosa del genere senza l’uso di qualche incantesimo. Ginny ricordava come fosse eccitato all’idea. Non riuscì mai ad andarlo a vedere, però. Troppo impegnato, troppo indaffarato. E poi non voleva mai stare via troppo tempo dalla sua casa. Dalla sua famiglia.

Famiglia. Ginny si fece d’un tratto tutta seria. Aveva perso una parte della sua famiglia con la morte di suo padre. Arthur se ne era andato e con lui i Weasley avevano perso…bè, si poteva dire che avevano perso il cardine. Si sentì un vuoto dentro quando scomparve. E poco dopo quel vuoto tornò, più forte di prima. Un altro cardine se ne era andato, e questo Ginny non riuscì a reggerlo.

La morte di Draco fu il colpo di grazia per il già più che provato sistema nervoso di Ginny. Ad un passo dalla pazzia.

 

“Gin, ti prego, mangia qualcosa…” Ron cercava di avvicinare il cucchiaio di zuppa calda alle labbra di sua sorella. Ma le labbra di Ginny, un tempo rosee ora screpolate da sembrare morte, restavano ben chiuse, incapaci di reagire allo stimolo di Ron.

Sospirò l’ex auror. Sospirò e poggiò il piatto fumante sul comodino.

“La lascio qui, se ti viene fame…” rimase a guardarla un attimo, immersa in un letto scomposto, così come scomposto era il suo animo. Le accarezzò i capelli sperando di vedere il suo sguardo cadere sui di se. Niente. Gli occhi sbarrati di Ginny fissavano un punto imprecisato attraverso la finestra per metà occultata da una tenda bianca e triste. La luce marcescente di un’altra giornata filtrava attraverso il vetro sporcando di una tonalità malata tutta la stanza.

Ron sospirò. Sollevò di nuovo la mano sulla testolina fragile di sua sorella.

“Gin…devi reagire. Ti prego, devi reagire…” le baciò la fronte dolcemente. Ginny si limitò a sbattere lentamente le palpebre. Gli occhi erano lucidi.

Ron si ritirò dal letto della sorella. Poi dalla stanza. La porta si serrò alle sue spalle. C’era Hermione ad attenderlo, appoggiata contro il muro, accanto alla porta. Non ebbe bisogno di chiedere nulla. La faccia di Ron era già una risposta per lei. Lo afferrò per una mano e stancamente lo trascinò di sotto.

“Credo sia venuto il momento di fare qualcosa”

 

 

2.

 

Ginny trovò finalmente uno scompartimento libero. O almeno così credette. Solo dopo che ebbe aperto la porta vide una scalcinata mandria di ragazzini intenti a fare quanta più confusione possibile, mentre una donna, forse la madre di uno dei bambini, cercava invano di farli calmare.

No, non era certo lo scompartimento tranquillo che cercava. Chiuse la porta in un lampo e sperò che non la avessero nemmeno notata.

Superò un altro paio di porte fino ad arrivare ad una zona apparentemente tranquilla. Sbirciò dentro lo scompartimento e notò con piacere che era completamente vuoto.

“Oh, bene…” sorrise soddisfatta e vi si trascinò dentro. Fece scorrere la valigia fin contro al finestrino e si sedette stancamente su uno dei sei posti disponibili. Chiuse gli occhi e si godette il silenzioso nulla che la circondava. Ora era sola, ma quanto aveva sofferto per solitudine…non poteva fare a meno di non pensarci.

 

Andiamo, svegliati! Non…” la voce di Ron scuoteva Ginny, così come le sue forti braccia.

“Lasciami lasciami lasciami…” Ginny si agitava ad occhi chiusi. Sbatteva le gambe contro il comodino. Ormai il lenzuolo era una palla assieme al resto delle coperte. Ron ricevette un paio di calci allo stomaco e le unghie di Ginny gli graffiarono i polsi. Poco male. Ignorò la cosa e la scosse con più forza.

“Non farti prendere. Non farti prendere Gin!” Ginny scosse il capo con tanta violenza da sbatterlo più volte sul pavimento.

“No! Gin, basta, ferma!” Ron cercava di farla smettere, ma non poteva staccare le mani dai suoi polsi. Doveva tenerla inchiodata a terra.

Poi Ginny gridò. Un grido a denti stretti che le fece vibrare il petto. Ron cercò di trattenerla mente i suoi muscoli cominciarono ad intorpidirsi.

Ginny crollò al suolo, sfinita. Cominciò a mugugnare con gli occhi chiusi inzuppati di sudore e lacrime.

“Gin?” una voce la chiamava? Non ne era sicura. Ron allentò la presa e riprese fiato. Almeno per il momento.

“Gin? Ehi Gin? Andiamo…apri gli occhi…” aprì gli occhi e davanti alla nebbia che gli appannava la vista le sembrò di riconoscere suo fratello…Ron?

“Ron?” chiese senza rendersi conto di aver spiccicato parola.

“Sì, sono io Gin” si sentì afferrare e mettere seduta con le spalle contro la parete. La nebbia scompariva pian piano, e cominciava a vedere il resto della stanza. Non erano soli.

“Gin …come stai? Ti prego…ehi Gin?” ma Ginny era troppo concentrata a scrutare quella nebbia alle spalle di suo fratello. Una nebbia luminosa e verde.

Improvvisamente gli occhi le si fecero pesanti e per un attimo li chiuse. Forse suo fratello la chiamava ancora, ma ormai non le importava più. Nemmeno lo sentiva bene. Forse non stava chiamando lei. Forse non stava chiamando nessuno.

E quella nebbia si fece sempre più antropomorfa, sempre più umana e familiare.

“Virginia…”

“Draco…”

 

“Oh, ho una compagna di viaggio sembra” Ginny aprì gli occhi di scatto e alzò la testa dal comodo guanciale della poltroncina dove quasi si era addormentata.

Un uomo entrò nello scompartimento e chiuse subito la porta dietro di se. Si sedette di fronte a lei con un sorriso entusiasta.

“Spero di non averla svegliata…o spaventata” sorrise ancora. Ginny scosse la testa negativamente.

“No, mi ero solo…rilassata un attimo” piegò le labbra all’insù cercando di essere più naturale possibile. Non che la disturbasse la presenza di un altro viaggiatore, ma sperava di poter viaggiare da sola per almeno un paio d’ore. Cercò di non pensarci.

“In effetti ha gli occhi parecchio stanchi…vacanza?”

“Qualcosa del genere” rispose vaga.

“Ah già, piacere, io sono Rupert Poe” allungò la mano. Ginny ricambiò presentandosi a sua volta.

“Virginia Weasley, ma tutti mi chiamano Ginny”

“Ginny…un nome delizioso” e ancora sorrise. Ginny pensò che avesse una specie di paresi. Oppure doveva essere davvero contento per sorridere a quel modo e con tanta insistenza.

“E così sta tornando a Londra” Ginny lo guardò con tanto d’occhi.

“Sì, in effetti sì, ma lei come…”

“Il tagliando alla valigia. Ha preso un aereo da Londra a Lione circa un mese fa”  lanciò un occhiata al manico e anche Ginny lo fece.

“Che osservatore…”

“Mi piace la gente. Amo osservarla e capire quante più cose possibili da loro” spiegò Rupert alzando le spalle. Ginny lo guardò incuriosita. Incredibile a dirlo ma le sorrise ancora.

Afferrò il laccio che aveva al polso e si annodo i capelli in una coda crespa.

“E di me cosa ha scoperto a parte questo?” gli sorrise in tono di sfida. Voleva vedere se quello strano tipo diceva il vero oppure no.

Rupert si appoggiò allo schienale e intrecciò le mani all’altezza del ventre. E rimase così per qualche secondo, gettando occhiate a Ginny e ad ogni suo più piccolo movimento.

Lei dovette voltare lo sguardo più volte verso l’alto. Quell’uomo non aveva pudore. Si sentiva terribilmente imbarazzata da quello sguardo indagatore. Si pentì di aver iniziato quello strano gioco.

“Vive nel nord, forse in Scozia. E’ madre, ma non è sposata. Oppure non lo è più. Non è figlia unica, ma è l’unica femmina” Rupert strinse gli occhi e si passò un dito sulle labbra.

“Non ha passato un bel periodo recentemente” lo disse con tono pacato, meno entusiasta “Ma credo che ora si sia ripresa”

Seguì un lungo momento di silenzio in cui Ginny non poté trattenere lo stupore. Spalancò gli occhi e cercò di dire qualche parola inutilmente.

“M-ma è…impressionante” e Ginny lo credeva davvero.

“Grazie, non so quanto sia andato vicino alla verità, ma di solito non sbaglio di molto” Rupert le sorrise di nuovo. A Ginny cominciò a piacere quel sorriso improvviso. Era come un fulmine caduto all’improvviso. Gli apriva il volto in modo affascinante.

“Come ha fatto? Voglio dire, come…cosa le ha fatto dire…tutto quello?”

“Ah, un mago non rivela mai i suoi trucchi” Ginny pensò a quanto fosse assurda quell’affermazione detta proprio a lei. Le scappò un sorriso mentre un fischio acuto e prolungato annunciava la partenza del treno che infatti iniziò immediatamente a muoversi lungo i binari.

“No, d’accordo, posso dirle qualcosa…” si corresse subito Rupert schermandosi con le mani “Ho capito che vive al nord dall’accento. Ha l’accento tipico di quella zona. Deve averlo acquisito vivendoci”

“In effetti vivo da pochi anni ad Hogsm…” Ginny si strozzò cercando di fermarsi. Parlare ai babbani di Hogsmeade non era comunque una buona idea. Si morse la lingua e si maledì mentalmente almeno un paio di volte.

“Hogs? Un paese che non ho mai sentito” Rupert si fece dubbioso.

“Davvero?”

“Già”

“Strano, è anche sulla strada per Edimburgo, di poco ad est, proprio a due passi” Ginny parlò a mitraglia cercando di essere più convincente possibile.

“Bè, comunque il resto da cosa l’ha capito?” Ginny cercò di cambiare argomento. Rupert sorrise.

“Ha il segno tipico della fede matrimoniale attorno all’anulare. Per lasciare quell’incavo devono essere passati almeno sei o sette anni”

Ginny si sfiorò l’anulare con le dita sottili e avverti il lieve segno calcato alla base. Rupert continuò.

“Il suo cappotto è da uomo. Quindi non ha sorelle, altrimenti gliene avrebbero prestato uno da donna. Può essere di suo padre, ma credo più probabile che sia stato suo fratello a darglielo”

“Sulla valigia è stato attaccato un adesivo con un nome: Eveline. Data la calligrafia parecchio infantile ho supposto che potesse essere sua figlia”

Ginny guardò il lato della valigia rivolto verso il suo compagno di viaggio. Si era scordata che Eve avesse usato quella valigia anni fa per andare al mare con gli altri.

“E poi i segni sugli avambracci” disse, infine, Rupert, facendosi d’un tratto serio “Non deve essere stato un bel periodo, vero? Ma sembrano in via di guarigione”

Ginny alzò il braccio destro e vide i tagli cicatrizzati e i lividi. Recenti, eppure così lontani.

 

Ginny sollevò la bottiglia di pozione tranquillante da sopra il suo comodino. La picchiò con forza sull’angolo del letto finché non si spaccò, rovesciando il suo contenuto sulle lenzuola sudate.

Raccolse un coccio di vetro, troppo affilato per non tagliarsi. Troppo, per non incidere la pelle fragile delle sue dita.

Il sangue imbrattava il guanciale e istintivamente Ginny ebbe paura. Tremo, ferendosi ancora lungo i polsi. Impaurita cacciò un grido rauco e gettò il vetro acuminato contro l’armadio di fronte al letto.

Si mescolò i capelli, impastandoli col suo stesso plasma. Sapeva di piangere, ma non avvertiva le lacrime. Solo la tristezza. E la paura. E la solitudine.

Rialzò la testa di scatto e afferrò i resti della bottiglia, impugnandola dal collo. La punta acuminata brillava ancora di un liquido denso e celeste. Ginny alzò quella punta sul suo petto.

Fu in quel momento che la porta si spalancò e Ron entrò come una furia. E fu in quel momento che Ginny vide il terrore nei suoi occhi. Terrore che subito mutò in fredda e spietata rabbia.

“Che cazzo fai!” Ron strappo la bottiglia scheggiata dalle mani sanguinolenti di Ginny.

“Ti prego, scusa, mi dispiace…” lo supplicò lei cercando di coprirsi i tagli profondi lungo le braccia. Ron gettò via la bottiglia che si infranse definitivamente sul comò.

“Hermione!” chiamò gridando verso la porta spalancata.

“Gin…merda!” afferrò la sorella e la stese sul pavimento. Ginny era troppo stordita per poter reagire in qualsiasi modo. Il sangue le imbrattava la camicia da notte sgualcita e il lenzuolo era lordo come una spugna. Passi veloci raggiunsero la soglia della stanza.

“Papà, mamma è…oh cazzo!” Chris si strozzò in gola la frase e quasi perse l’equilibrio quando li vide.

“Portami le bende, e la casetta…corri maledizione!” Chris scattò, al galoppo incespicando nei suoi passi.

Ron tornò a stringere le ferite di sua sorella.

“Gin…ti prego, no…” la strinse fra le braccia con troppa forza forse, perché Ginny si lamento, piangendo in mezzo a quel sangue.

“Mi dispiace…mi dispiace tanto…”

“Stai tranquilla” Ron la baciò affettuosamente sulla fronte e cercò di pulirle le guance, col risultato di spalmare di più il sangue sul suo volto.

“Stai tranquilla, tesoro…” Chris tornò di corsa, come era partito e si inginocchiò accanto a suo padre, con la cassetta fra le mani.

“Ok campione, dovrai darmi una mano con questo”

 

 

3.

 

“Forse ho toccato un brutto tasto…” si scusò Rupert. Ginny smise di sognare ad occhi aperti e negò subito.

“No, no, davvero. Non mi da fastidio parlarne. Ora va molto meglio, davvero” gli sorrise fiduciosa.

“Ah, bene. Odio diventare fastidioso” Rupert scosse la testa “A volte non me ne rendo davvero conto, ma gli altri si seccano ad ascoltarmi”

“Eppure lei parla bene”

“Grazie”

“Prego. Però…” Ginny strinse le labbra come se fosse in dubbio se parlare o meno “Posso chiederle un favore?”

“Certo, se posso la aiuterò” rispose affabile Rupert.

“Può darmi del tu? Il lei è così freddo…”

Rupert scoppiò in una risata nervosa “Infinitamente sì, non sa quanto stavo odiando questo modo di parlare” Anche Ginny rise scaricando la tensione che si stava creando.

Ginny era uno spirito semplice, non da ambienti formali e sofisticati. Il parlare ad una persona non doveva mai essere un sacrificio. La gente è bella, e viva. Trattarla come se ci facesse paura confrontarsi equivaleva ad ucciderla. Ginny la pensava così.

“Naturalmente anche tu mi darai del tu”

“Certo Rupert” gli sorrise Ginny smettendo di ridacchiare e tornando a concentrarsi sul suo compagno di viaggio. Ora che le presentazioni erano state fatte Ginny lo guardò con occhi diversi. Rupert era un uomo maturo, probabilmente vicino ai cinquanta, eppure sprigionava una giovinezza rara a vedersi, anche in persone più giovani di lui.

 “Allora, ti va di raccontarmi dove sei stata in vacanza?”

 

“Parti? Cosa vuol dire che parti?” Ron parve più sconcertato che contento di quella decisione. Hermione cercò di farlo tacere con un occhiata, che naturalmente il rosso ignorò, più o meno volutamente.

“Vuol dire che non me la sento di stare ancora qui…” Ginny scosse la testa sconsolata e si appoggiò stanca al bracciolo del divano beige. Il fuoco scoppietto frizzante per una radice troppo fitta.

“Voglio cambiare un po’ aria, Ron”

“Credo che non sia proprio il caso” replicò secco lui.

Hermione sospirò rassegnata e si sedette accanto a Ginny “Io invece credo che le farebbe bene”

“Farebbe bene? Scusa, tesoro, ma Gin non può andare in giro da sola conciata com’è!” Ron alzò troppo la voce.

“Ehi, io sono qui, eh? Si parla di me, quindi puoi parlarmi direttamente, non ho bisogno di interpreti” si seccò Ginny. Ron strinse le labbra nervoso. Insofferente pensò per un attimo a cosa dire.

“Gin, ragiona, proprio ora che ti stai riprendendo….stare da sola forse non è il meglio, no?”

“Non da sola” Ginny sospirò stanca “Io voglio solo staccarmi per un po’ dalla mia vita. Ho bisogno di pensare un po’ per conto mio…”

“Qui tutto la distrae. La casa, i ragazzi, noi” Hermione si mise seduta in punta “Io credo che sia una buona idea”

“Gin, hai tentato di ammazzati” disse Ron con calma, ma in tono raggelante “Cosa mi fa credere che non ci riproverai?”

 

 

4.

 

“Così poi sono scesa a sud, ho attraversato parte dell’Italia, poi con il traghetto ho raggiunto Barcellona e sono risalita fino a Lione, fermandomi di tanto in tanto”

“Però, un bel viaggio….da quanto tempo sei via?”

“Un po’ più di un mese” rispose subito Ginny “Mi manca un po’ casa…però mi è servito” sorrise soddisfatta.

“Caffè o succo d’arancia?”

“Prego?”

In quella la porta dello scompartimento si aprì e una cortese ragazza in divisa azzurra e blu si affacciò nello scompartimento.

“Il treno sta per attraversare il canale della manica. Prima dell’attraversamento gradite qualche cosa da bere?” disse la ragazza con un sorriso cordiale.

“Ginny, gradisci qualcosa?”

Ginny balbettò un momento indecisa “Sì…direi un succo di frutta”

“Purtroppo abbiamo soltanto succo d’arancia, i rifornimenti hanno tardato e siamo partiti prima del loro arrivo. Le va bene o preferisce del caffè?”

Ginny lanciò un’occhiata a Rupert che sorrise soddisfatto, celando subito le labbra col dorso della mano.

“D’accordo, va bene d’arancia”.

Rupert declinò l’offerta e dopo poco furono di nuovo soli. Ginny agitò la cannuccia nel suo bicchiere di succo di frutta.

“Come facevi a sapere che sarebbe entrata proprio ora e che aveva solo succo d’arancia?” Rupert le sorrise ancora.

“Un mago non rivela mai i suoi trucchi, mi pare di avertelo già detto, no?” le strizzò l’occhio divertito, mentre Ginny era ormai convinta di aver incontrato il babbano più strano e divertente di tutta la sua vita.

“Devi averla sentita parlare prima mentre passavi in corridoio” sentenziò Ginny bevendo un sorso dal bicchiere.

“Forse” Rupert stette sul vago, ma neppure negò.

Il treno rallentò e il paesaggio costiero fu bruscamente interrotto dall’inizio della galleria.

“Guarda Ginny, se non lo hai mai visto ti conviene non perderti lo spettacolo. Rupert spense le piccole luci da lettura del suo sedile e gettò lo sguardo al finestrino. Ginny fece altrettanto.

Sentì il treno piegarsi prima una volta, poi di nuovo. Ed infine inclinarsi leggermente, ma in maniera costante. Pareti di metallo passavano velocemente davanti ai loro occhi interrotte ogni tanto da bagliori di luce simili a comete nel cielo. Sentiva il costante correre del treno sui binari farsi più cupo e profondo.

Le orecchie le si tapparono per il rapido cambio di dislivello. Dovette deglutire un paio di volte.

“Di quanto siamo sotto ormai?”

“Non saprei dirlo con precisione. Una cinquantina di piedi?”

“Incredibile…” Ginny sospirò emozionata.

“Fra un po’ il treno dovrebbe invertire l’inclinazione. Ma ci vuole ancora del tempo”

“E’ davvero impressionante. Non trovi?”

Rupert sospirò “E’ straordinario. Solo pochi decenni fa un progetto del genere sarebbe risultato impossibile, forse anche ridicolo”

“Mio padre ammirava gli oggetti ingegnosi. Sai, cose semplici come un cavatappi o anche più complesse, come questo tunnel. Restava estasiato davanti a certe cose, come un ragazzino davanti ad una favola” piegò le labbra indecisa se sorridere o meno.

“E’ lui la persona che se ne è andata da poco?” chiese a bruciapelo Rupert. Aveva intuito che il dolore che provava lei fosse legato a qualcuno che ormai non c’era più.

Ginny sospirò e annuì, con lo sguardo perso.

“Ma non è l’unico…”

 

“Draco…Draco!” Ginny si butto fra le braccia di Draco. Ma il Draco che vedeva era solo una mera illusione del suo subconscio. La sua mente gli mostrava il nebbioso spirito della morte in quella perfida forma.

“Virginia…no, ti prego…” la implorava quel fantoccio dalle forme così simile a quelle del ragazzo biondo che Ginny tanto aveva amato, e amava ancora.

La ragazza attraversò il fumoso Draco per cadere sul pavimento freddo.

“Non lasciarmi…non lasciarmi sola” lo implorò Ginny con la faccia a terra. Lo spirito si chinò, ma non poté aiutarla ad alzarsi. Cercò il suo sguardo fra le lacrime che rigavano il viso della ragazza. Non era il suo compito. Non era sua abitudine farlo. Lui era un spirito della morte. Solo quello sapeva fare. Non provava sentimenti. Non sapeva neanche da dove iniziare.

“Virginia…ti prego, guardami…” Ginny non si mosse. Teneva la guancia appoggiata sul pavimento, mentre tutta la stanza cominciava a farsi scura e buia. Crepe di blu e viola brillarono confondendosi col resto.

“Ti prego…” lo spirito non sapeva cos’altro dire. Fortunatamente quello bastò. Ginny alzò la testa dal pavimento e guardò il volto indistinto dello spirito. Sorrise e chiuse gli occhi.

“Non lasciarmi…resta qui”

Lo spirito vortico in una nebbia sempre più fitta. Avvolse Ginny e riprese forma antropomorfa. La figura verdastra e brillante di Draco la avvolgeva in un abbraccio che in realtà non esisteva.

La accarezzò sulla nuca senza in realtà toccarla. Soffiava il suo fumo sulla sua pelle delicata. Era l’unica cosa che poteva fare. Era l’unica cosa.

Uno strano piacere fulminò lo spirito della morte, sempre più avvolto da quella stanza scura e crepata da saette brillanti dai colori sgargianti.

Cos’era? Cos’era quella voglia di parlare, ma senza avere nulla da dire? Cos’era quella voglia di poter fermare il tempo per sempre?

 

 

5.

 

“Devo raggiungere Liverpool. La mia famiglia abita poco fuori città ed ogni tanto vado a trovarli”

“Ogni tanto?” domandò Ginny “Viaggi per lavoro forse?”

“Qualcosa del genere. Dove c’è bisogno di me, vado” sorrise affabile “Ma ultimamente non ho molto impegni, così torno a casa”

“Sarà contenta tua moglie”

“A dire il vero… con famiglia, intendevo mia madre e mio padre” Rupert si gratto il pizzetto.

“Ah…certo, cioè…” Ginny rimase un momento un confusione “Davvero non sei sposato?”

“Desolato, non fa per me” sorrise lui. Ginny fece un lieve cenno con la testa, in un lungo silenzio interrotto soltanto dalla cantilena dei binari, sempre più chiara.

“Sei forse…uhm, bè, sei forse gay?”

Rupert sbarrò gli occhi e esplose in una sonora risata “Cosa? No, no…intendevo che non ho mai pensato a stare con qualcuno per la vita. Sai, due cuori e una capanna non è il mio detto preferito”

“Ma non c’è proprio nessuna?” chiese ancora Ginny. Non che le interessasse, in effetti, ma ormai il discorso sembrava aver preso una strana piega.

Rupert si grattò la fronte ed evitò di incrociar lo sguardo con Ginny “Direi proprio di no. Perché?”

Solo in quel momento Ginny si rese conto in che imbarazzante situazione si fosse cacciata.

“Ah, no no! Non è come sembra!” disse con troppo entusiasmo “Cioè, non è per te. Sei anche un bell’uomo…ma non per me…cioè” Ginny sbuffò e Rupert si mise a ridacchiare del suo imbarazzo.

“Sei rossa come un peperone. Bevi un po’ che ti rinfreschi” la prese in giro Rupert. Ginny ascoltò il consiglio e bevve un lungo sorso di succo di frutta.

Che razza di figuraccia! Sentiva l’imbarazzo scaldargli le gote e farle spuntare le lentiggini come papaveri in un campo. Finì l’intero bicchiere piegando la testa all’indietro.

“Perché non per te?” Ginny appoggiò il bicchiere, ma non comprese subito la domanda. Rupert dovette ripetere.

“Dicevo, perché non sarei adatto a te?” Ginny, se possibile sprofondò ancora di più nell’imbarazzo. Evitò il suo sguardo finché non le venne in mente una buona risposta da dargli.

“Ecco, non in senso assoluto. Ora come ora tu non saresti adatto a me…come chiunque altro” Ginny prese fiato mentre una sirena distante annunciava l’imminente sbocco verso l’aria aperta. Il treno fischiò.

“Sei ancora molto innamorata di lui, vero?” gli chiese Rupert. Ginny annuì guardando in basso. Si carezzava le dita l’una con l’altra.

“Sì…” disse in un soffio.

La luce del sole invase la cabina d’improvviso. Accecò Rupert che per un momento non vide più nulla, ma sentì soltanto la voce di Ginny.

“Non saperlo accanto mi distrugge. Ogni volta che ci penso, mi scoppia il petto. Mi prende voglia di piangere” Ginny tirò su col naso mentre la voce si spezzava in gola.

“E più mi trattengo, più mi sento triste” fece una pausa “Pensi che sia una vita questa?”

Rupert sbatté gli occhi un paio di volte per eliminare quelle chiazze di luce da davanti agli occhi.

“Non lo è. Non c’è ragione per continuare a viverla. Però…però mi guardo intorno e vedo Ron ed Hermione che hanno fatto di tutto per aiutarmi” Ginny sorrise e finalmente rialzò lo sguardo.

“E tutta la mia famiglia…e poi vedo Eve e Vin. E vedo che sono più tristi di me. Non posso permettermi di essere distrutta dal dolore. Non posso semplicemente rinunciare a vivere la mia vita e lasciare tutti gli altri infognati nella sofferenza”

Rupert riuscì, finalmente, a riacquistare la vista. La nebbia luminosa si diradò e gli comparve davanti una Ginny sorridente, nonostante gli occhi velati di lacrime.La luce di tre quarti le faceva brillare la coda di cavallo gettando sul suo volto un gioco di luce e ombre che la faceva sembrare una creatura di un libro di favole. Una fata, o magari uno spiritello dei boschi.

“Quando sono triste, ora, mi guardo intorno. Guardo chi mi sta accanto. E per loro trovo il coraggio di sorridere. Ogni volta”

 

Rupert scese dal treno con la sua valigia ben stretta nella mano destra. La appoggiò subito sulla banchina e trascinò quella di Ginny accanto alla sua. Allungò la mano e la aiutò a scendere dal vagone. Lei gli sorrise.

“Grazie”

“E di che?” con un ultimo saltello Ginny gli atterrò davanti. Non si era accorta di quanto fosse alto finché non gli fu di fronte. Dovette piegare all’indietro la testa per riuscire a scambiare uno sguardo con lui. Uno sguardo che si fece intenso, silenzioso ma soprattutto malinconico.

“Bè, è stato un bel viaggio” esordì Rupert. Si piegò per sfiorarle la guancia con un leggero bacio di commiato. Ginny non si ritrasse e ammirò la sua audacia. Ricambiò il gesto con un sorriso.

“Lo è stato” disse lei, ma senza dare cenno di volersi allontanare.

Continuarono a stare uno di fronte all’altro. In alcuni momenti sembrava quasi che uno dei due volesse dire qualcosa, ma che all’ultimo ci ripensasse e lasciasse perdere. Rupert piegò la testa di lato e diede un’occhiata all’orologio. Ginny fece oscillare il piede sul tacco, rimirandosi la punta consunta. Un treno fischiò la sua partenza. La voce meccanizzata dell’altoparlante diede ad entrambi una tregua da quell’imbarazzante silenzio.

“Bè…” cercò di parlare Ginny, ma senza nessuna conclusione.

“Già…” la apostrofò Rupert annuendo col capo. Il treno da cui erano appena scesi si mosse per far spazio ad altri mezzi in arrivo imminente. I binari piansero sotto il peso dei vagoni. Rupert si grattò il pizzetto con indice e pollice. Ginny si morse lievemente il labbro inferiore.

“Oh, ma andiamo, siamo abbastanza adulti per evitare tutto questo, no?” sbottò Rupert all’improvviso. Ginny ridacchiò e tornò a guardarlo negli occhi.

“In effetti è strano…non pensavo che mi sarei comportata così…ancora” rise ancora coprendosi le labbra con la mano.

“Pazzesco…meglio che vada. Potrei perdere la coincidenza per Liverpool” Rupert si piegò per salutarla di nuovo. E di nuovo con un leggero sfiorare di labbra sulla guancia. Questa volta a sinistra.

“Allora ciao…” lo salutò Ginny, ma senza baciarlo di nuovo. Rupert si allontanò dandole le spalle, con la valigia di pelle nere stretta nella mano destra. Fece pochi passi, non più di una decina, quando la voce di Ginny lo richiamò.

“Rupert, sei spesso a Londra?”

Rupert increspò la bocca in un sorriso, ma Ginny non lo vide e nemmeno lo immaginò.

“Almeno una volta al mese…sai, il lavoro”

“E ci possiamo vedere?” incalzò Ginny tradendo il suo finto disinteresse. Rupert si fermò. Piegò il capo verso destra, poi verso sinistra, ma non si voltò verso Ginny.

“Prima o poi ci rivedremo. Su questo non ci sono dubbi” riprese a camminare fino a raggiungere la porta d’ingresso per il salone principale della stazione di King Cross.

“Ma quando?” chiese ancora Ginny che non aveva ancora mosso un passo sulla banchina. Rupert non si fermò di nuovo. Girò l’angolo e soltanto la sua voce raggiunse l’orecchio di Ginny.

“Un giorno. Ora muoviti, il binario 9 ¾ è dall’altra parte della stazione”

Ginny spalancò la bocca sconcertata ed ebbe appena il tempo di sbarrare gli occhi.

“Ehi Gin!” la voce di Ron la fece voltare dal lato opposto.

“Ron? Ma che ci fai tu qui?”

“Vengo a recuperare la mia sorellina” le diede un affettuoso bacio sulla guancia. Gin lo abbracciò, ma con la coda dell’occhio continuava a guardare alle sue spalle. Ron se ne accorse.

“Tutto bene? Ti vedo un po’…scossa?”

“Tutto…bene. Sì, tutto ok…” si morse il labbro nervosa gettando occhiate verso l’angolo dove Rupert era scomparso.

“Quel farabutto…”

“Come?” chiese Ron sollevando la valigia di sua sorella.

“No niente” negò subito lei “Proprio niente”

“Dai andiamo. I ragazzi non vedono l’ora di rivederti”

 

 

6.

 

Rupert attese, appoggiato al muro, proprio dietro l’angolo che aveva appena voltato. Sentì la voce di Ginny e di suo fratello allontanarsi lungo la banchina per raggiungere i binari 9 e 10.

Si risollevò di scatto con il volta aperto in un sorriso.

“Virginia Weasley” disse fra se e se. Scosse la testa divertito “E chi lo avrebbe mai detto”

Voltò a destra e scomparve, avvolto dal tiepido sole invernale.

 

FINE

 

Ok, è finita ed è solo l’inizio di qualcosa di molto più grande. La storia, per la cronaca, è ambientata a metà primavera dell’anno successivo a quello della fine di ITCC. Della fine, non dell’epilogo, eh!

E ora un annuncio serio: ogni anno milioni di giovani autori si struggono in attesa di una recensione. Struggendosi provocano in innalzamento vertiginoso della loro temperatura basale che neppure la scienza medica babbana riesce a spiegarsi, originando nauseabonde nuvole di sudore che li circondano permanentemente. Con l’arrivo dell’estate questo fenomeno aumenta rendendo invivibili le loro camere da letto, con sommo disgusto delle loro fidanzate. Se non vuoi partecipare a questo inutile massacro, fai come me: lascia una recensione. Per te è un attimo, ma per le fidanzate è la vita (E’ vero! ^ ^ NdMisteriosa fidanzata)

 

Grazie per l’attenzione ^__-

 

 

 

 

See you again!!!!!!!!!!!!!!

 

 

   
 
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