22.
A lie to survive
A lie to survive
«Cosa farai?»
L’alba illuminò la montagna e il villaggio ai suoi piedi, il vento mosse i lunghi capelli castani, permettendogli di assaporarne l’odore.
«Vivrò, finché non sarà giunto il momento di raggiungerti.»
«Cerchiamo di fare le cose per bene la prossima volta, niente coda d’accordo?»
La sua risata si espanse nell’aria.
Madara sorrise, avrebbe ricordato quel sogno per tutta la vita.
«Niente coda, la prossima volta» concesse.
La prossima volta, nella prossima vita.
Inspirò a pieni polmoni, Hashirama profumava di bosco.
Madara rigira fra le mani la sua bussola malconcia, il vetro ha una crepa sul lato sinistro, taglia l’ovest in due metà perfette, e l’ago è storto, arrugginito, non gira e non ha più alcuna direzione da indicare.
Non c’è nessuno, là fuori, dall’altra parte del filo.
Sasuke, seduto al suo fianco, ascolta paziente il suo silenzio e ha lo sguardo fisso sulla sua bussola inutilizzabile, perché Obito-boccalarga non sa farsi gli affari suoi. In realtà la colpa è anche sua, che non ha ancora smesso di portarsi dietro quel prezioso rottame, ma come potrebbe? È l’unico vero ricordo che gli è rimasto.
Anch’io avevo un legame.
«Si chiamava Hashirama» dice a voce bassa.
Era uno stupido con la risata da idiota.
Aveva la faccia da idiota.
E si deprimeva senza un motivo.
Era bellissimo.
«Non so quasi nulla di lui, l’ho incontrato soltanto una volta in un sogno, il giorno in cui è morto.»
Sasuke non si muove, ma può vedere le sue labbra schiudersi per lo stupore, ed è per quello che smette di guardarlo, non vuole essere visto in quel modo, lui non è una povera anima in pena, non lo è mai stato, perché il destino non gli ha concesso nemmeno quello.
Non l’ha mai conosciuto, per cui non l’ha mai amato abbastanza da poter sentire la sua mancanza.
«Mi ha parlato un po’ di sé, del suo villaggio, di sua moglie e dei suoi figli, della nipote che non avrebbe visto crescere. Io non avevo molto da dirgli, lui invece non smetteva di parlare.»
«Avrei voluto conoscerti, ho vissuto sperando di vederti entrare dalla porta di casa, o anche dalla finestra, mi sarebbe andato bene tutto.»
«Sei stato al mio fianco ogni giorno della mia vita.»
«Anche se questa è la prima volta che ci vediamo, ti conosco meglio di chiunque altro.»
«Ti amo, Madara.»
Sasuke strinse la sua bussola dall’ago instancabile tra le dita, e Madara lo invidiò, lui stava per avere quella possibilità per cui aveva pregato per anni, prima di arrendersi al fatto che non sarebbe mai riuscito ad andare sulla Terra. Le navicelle erano ancora in fase sperimentale e «È troppo lontano, ci vorranno anni prima di riuscire a progettare qualcosa che possa arrivare fin lì», ma quegli anni si erano trasformati in troppo tardi.
«Obito ha detto che potevi percepirlo in maniera diversa dagli altri, come me con Naruto. Hai mai capito come fosse possibile?»
Madara rimette la bussola in tasca, il suo peso è confortante, gli ricorda tutte le cose che non ha potuto avere, ma che potrebbe ottenere una volta finita quella vita.
La prossima volta.
«Più si è lontani e si desidera incontrarsi, più il legame si fortifica. Una coppia normale sente solo le sensazioni di dolore, ma se la voglia di raggiungersi è forte, si condividerà tutto, persino le cicatrici.»
Sasuke si tocca il braccio sinistro senza neanche accorgersene.
«Come puoi dire di non averlo conosciuto, se hai i segni del vostro legame addosso?»
Madara si alza in piedi e si pulisce i pantaloni dall’erba, il sole sta per tramontare e presto si accenderanno le luci della città. Sente lo sguardo di Sasuke su di sé, e ha quasi l’impressione che la cicatrice sul mento bruci.
«Devi pur raccontarti qualcosa per non impazzire.»
***
Il vetro si crepò all’improvviso, l’ago si torse e si arrugginì di colpo. Madara prese la bussola fra le mani tremanti.
«Hashirama?»
Si guardò intorno, il luogo illuminato dall’alba non c’era più, si trovava nella sua stanza, nel suo letto, a Kathréptis, ed era ancora notte. Di Hashirama nessuna traccia.
La consapevolezza arrivò fulminea e devastante, lo strappo al cuore fu più doloroso che mai, per minuti interi credette di stare per morire.
«Hashirama!»
E quando non accadde, pensò a come riuscirci da solo, ma…
«Devi vivere, io ti aspetterò, non importa quanto ci vorrà. Rinasceremo insieme e c’incontreremo!»
Il suo sorriso era luminoso come il sole.
Madara pianse fino a non avere più lacrime.
«Hashirama, ti amo anche io.»