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Autore: EleWar    25/04/2020    7 recensioni
Il passato torna sempre e, a volte, certe verità non avremmo mai voluto conoscerle.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Kaori Makimura, Ryo Saeba
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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Ebbene siamo quasi alla fine di questa storiella, e precisaemente al penultimo capitolo. Il tempo di mettere in ordine tutte le tessere mancanti e il puzzle andrà finalmente a posto.
A questo punto vorrei ringraziare le mie fedelissime, che non mi hanno abbandonato mai e cioè: Kaory06081987, briz65, Valenicolefede, Stellafanel87, Fanny Jumping Sparrow e Kalandra, che mi hanno sempre gratificato con bellissime rec. Grazie a tutti i lettori silenziosi e non. Ma ciancio alle bande, ops, bando alle ciance e…buona lettura
Eleonora

 
 
 
 
Cap . 12 FIGLI E PADRI
 
 
Appena Ryoichi era scappato di casa, inseguito da Kaori, anche Ryo era uscito.
Aveva bisogno di una boccata d’aria e soprattutto di una sigaretta, la prima dopo ore.
Proprio non sopportava di restare ancora in quella casa, davanti a quella donna.
 
Frustrato, si appoggiò alla parete esterna, con lo sguardo perso nel giardino ordinato, dove un triciclo abbandonato e una palla colorata, testimoniavano che lì vi abitava un bambino.
 
Nonostante tutto, sorrise.
 
I bambini!
Non portavano sempre scompiglio nella vita degli adulti?
Si chiese perché tutti, arrivati ad un certo punto, li desiderassero.
Insomma, a volte giungevano quando non erano attesi, creando un sacco di problemi, peggio se erano il frutto di una relazione clandestina o di una notte di bagordi; a volte li si desiderava così tanto, che se non arrivavano si andava in crisi, minando addirittura la solidità della coppia.
E poi le donne, per nove mesi, avevano ogni sorta di problemi: sbalzi d’umore, dolori, nausee, mal di schiena, per non parlare del fatto che si sformassero diventando enormi!
Perdevano quei fisichini da favola che lui amava tanto.
E i dolori del parto?
Aveva sentito dire che fossero dilanianti… in fondo si trattava di far passare da un neonato che, per quanto piccolo, era fin troppo grande!
Ryo, istintivamente, strinse le gambe con una smorfia.
E comunque, malgrado tutto, fatto un figlio, alcune donne ne desideravano un altro; si chiese quale forza o quale incoscienza le spingesse a ripetere un tormento del genere, volontariamente.
E quando finalmente venivano alla luce, quelle bestioline frignanti che sapevano solo succhiare latte – aveva visto certe mammelle che… Si redarguì mentalmente; possibile che si eccitasse pensando anche al seno prosperoso di una mamma in procinto di allattare? – … succhiare latte, dormire e fare la cacca.
Quei giorni in cui si erano occupati della piccola Shiori, era stato costretto a cambiarle pure il pannolino, perché la bimba scoppiava in un pianto disperato ogni qual volta le si avvicinava Kaori… Che storia, quella!
La piccola si calmava solo in braccio a lui, perché il suo odore le era familiare: sapeva di polvere da sparo, come sua madre, figlia di armaioli e armaiola lei stessa, mentre Kaori… be’, Kaori aveva il suo solito magnifico profumo, che però non piaceva alla piccola.
A proposito di profumo, quei pannolini erano delle vere e proprie bombe al napalm, armi di distruzione di massa, se ci pensava gli veniva il voltastomaco.
I bambini!
Gli avevano raccontato che, quando hai un bambino in casa, la tua vita si stravolge: non si dorme e non si mangia più come una volta, alcuni non trovano più né il tempo né la voglia di fare l’amore!
Impossibile per lui, per il grande stallone di Shinjuku, rinunciare al supremo piacere della vita!
Eppure, eppure… prima o poi tutti ci cascavano.
Volevano fortemente dei figli.
 
E lui?
Giusto qualche sera prima, il giorno stesso in cui Ryoichi era piombato nella loro vita con la potenza di un uragano, aveva confessato a Kaori che se pensava di avere un figlio, era da lei che lo voleva; ma sarebbe stato un buon padre?
Per tanti anni aveva rifiutato il sentimento che provava per lei, il suo amore, che non si era mai spinto troppo oltre ad immaginare un futuro insieme, con tanto di bambini.
Nel loro mondo, farli nascere, non sarebbe stato da incoscienti?
Ma soprattutto, lui, sarebbe stato in grado di crescere ed educare un figlio?
Che riferimenti aveva avuto, chi avrebbe mai potuto imitare come figura paterna?
Quell’essere ambiguo di Kaibara, che si faceva chiamare padre, e che poi aveva sperimentato su di lui una delle droghe più potenti in circolazione?
E che, anni dopo, era tornato per ucciderlo, anzi per ucciderli, perché voleva far del male anche a Kaori?
No, lui non era tagliato per fare il padre.
Però sapeva quanto Kaori amasse i bambini, con quanta tenerezza si occupasse degli orfani di quell’istituto…
Lei non glielo aveva mai confessato, ma nel suo futuro si vedeva madre.
Aveva sacrificato tanto, per stare accanto ad uno come lui.
Gli si strinse il cuore.
Anche se la prospettiva di diventare padre lo spaventava non poco, voleva farla felice.
Se mai avessero deciso di avere dei piccoli Saeba in giro per casa, lui ce l’avrebbe messa tutta per essere il padre che non aveva mai avuto; si sarebbe lasciato guidare dalla sua dolce Kaori, perché gli avrebbe insegnato come fare, così come gli aveva insegnato come amare.
Soprattutto, sarebbe stato sempre sincero con i suoi figli: gli avrebbe raccontato tutto; certo non subito, e sicuramente per gradi, ma non avrebbe avuto segreti con loro.
I suoi figli non avrebbero mai imparato la verità da altri, in maniera traumatica, come era successo a Ryoichi.
 
La sigaretta gli si era spenta fra le dita, troppo preso nei suoi pensieri per fare altri tiri; si riscosse.
Tutta quella situazione li aveva messi di fronte a scenari inimmaginabili solo fino ad un mese prima.
 
Guardò in direzione del cancelletto, dove aveva visto per l’ultima volta la sua amata scappare di corsa, e si chiese dove fosse finita; il tramonto placido e infuocato presto avrebbe lasciato il posto ad una calda sera d’estate, e si sentì percorso da un brivido.
Pur non temendo il peggio per lei e Ryoichi, non vedeva l’ora di riaverla accanto; gli mancava, aveva bisogno di lei.
Di sicuro non sarebbe rientrato in casa ad aspettarla lì, al cospetto di quella donna che, inspiegabilmente, lo metteva a disagio. Inoltre, ancora ce l’aveva con lei; e comunque, ora che avevano chiarito una volta per tutte che non era il padre di Ryoichi, era impaziente di lasciarsi quella storia alle spalle, e di andarsene il prima possibile.
Ma Kaori ancora non tornava.
 
Fu riscosso dai suoi cupi pensieri da una vocetta, che gli chiese:
 
“Ehi, signore?”
 
“Sì?”
 
“Come ti chiami?”
 
“Ryo, e tu?”
 
“Shinobu.”
 
Poi, la piccola, guardandolo con la sfacciataggine tipica dei bambini, riprese, dopo un attento esame:
 
“Lo sai? Sei bello come il mio papà!” sentenziò.
 
“Direi che hai buon gusto” rispose lo sweeper, con un sorriso a metà fra l’ironico e il divertito.
 
“Ryo?”
 
“Dimmi piccolina.”
 
“Perché Ryoichi è fuggito di nuovo? E perché piangeva?”
 
“Forse voleva sgranchirsi le gambe con una corsetta” ma glissò sul perché stesse piangendo; non si sentiva pronto a risponderle adeguatamente; lei riprese:
 
“E perché gli è corsa dietro quella ragazza?”
 
Tutte quelle domande lo mettevano in imbarazzo, e non voleva prenderla in giro con le sue risposte leggermente strampalate, ma ovviamente la situazione era molto più ingarbugliata di quello che sembrava, e come spiegarlo ad una bimbetta di poco più di cinque anni?
Si costrinse a rispondere:
 
“Forse voleva farsi una corsetta anche lei.”
 
“Mi piace la tua fidanzata!” esordì lei convinta.
 
“E tu cosa ne sai, che è la mia fidanzata?”
 
“Lo so… e basta” rispose Shinobu allargando le braccine, come a cercare di spiegare una cosa ovvia; poi aggiunse:
 
“Si vede da come vi guardate: nello stesso modo di mamma e papà.”
 
A quella semplice constatazione, a Ryo venne da sorridere di nuovo.
Una volta pensava che lui non avrebbe dovuto far trasparire i suoi sentimenti per Kaori, i suoi reali pensieri, perché sarebbe stato pericoloso; per lui, che si esponeva, e per lei che sarebbe potuta diventare il bersaglio preferito dei malvagi, più di quello che non fosse già.
Ma ora non aveva più importanza: questo loro amore, ormai vissuto alla luce del sole, lo aveva reso più forte e anzi, era così felice che avrebbe voluto gridarlo al mondo intero.
 
Per un attimo s’impensierì, immaginandola ancora a rincorrere quel mocciosetto: chissà dove erano finiti?
Subito dopo, dovette ammettere che solo lei sarebbe stata in grado di far ragionare e consolare il ragazzino; le veniva sempre dannatamente bene, era tagliata per questo e poi… il moccioso aveva una tale cotta per lei!
Si mosse a disagio: odiava anche essere geloso di un poppante.
Però, quando li vide varcare finalmente il cancelletto, notò subito l’escoriazione al ginocchio della socia e, con più foga di quella che ci si sarebbe aspettati dalla gravità del momento, le corse incontro preoccupato e le chiese:
 
“Kaori, sei ferita? Che è successo?” e subito rivolse uno sguardo inceneritore al ragazzo, che tremando iniziò a discolparsi:
 
“No-non è colpa mia, scusami.”
 
Allora la ragazza prese amorevolmente il socio per un braccio e lo rassicurò:
 
“Tranquillo Ryo, non è niente, è solo un graffio. È colpa mia, che sono la solita maldestra che è ruzzolata a terra, e da sola, per giunta!” precisò ridacchiando.
 
Lo sweeper tirò un rumoroso sospiro di sollievo: lei, a quel punto, intenerita e divertita insieme dalla reazione del suo Ryo, si avvicinò a lui e non poté impedirsi di schioccargli un bel bacio sulla guancia.
Lui gongolò beato e lei sorrise soddisfatta.
Amava questo nuovo aspetto del suo partner, così premuroso e apprensivo, come non lo era stato mai… o meglio, come non lo aveva dimostrato mai.
Questa cosa le faceva indicibilmente piacere, e ne era deliziata; sperò solo che lui non diventasse, al contrario, una chioccia iperprotettiva.
 
Si riscosse quando sentì una vocina dire:
 
“Ecco, visto? Siete come il babbo e la mamma!” puntualizzò la piccola Shinobu.
 
Ryoichi fece capolino da dietro la bella Kaori, se possibile ancora più titubante della prima volta che era tornato a casa; Akiko, riconoscendo la voce della sweeper, era uscita speranzosa e, senza dire una parola, avanzò verso suo figlio; si abbracciarono in silenzio, e stavolta fu il turno della donna di chiedergli perdono.
 
Di fronte a quella scena commovente, Kaori si strinse di più a Ryo, ed entrambi pensarono che le cose, finalmente, si stavano sistemando.
 
“Ehi, che succede qui?”
 
Una voce maschile, bassa e modulata, fece voltare tutti verso il cancelletto.
 
“Papà, sei tornatooo!” gridò di gioia la piccola Shinobu, che volò fra le braccia del padre: un uomo alto e ben piazzato, con una maglietta a maniche corte bianca che metteva in risalto i pettorali e le braccia abbronzate e muscolose.
Per prendere in braccio la figlia, aveva lasciato cadere un borsone di tela e, nell’impeto dell’assalto, gli era volato via il berretto con visiera rivelando una massa scura di capelli, ormai spettinata, con qualche spruzzatina di grigio sulle tempie.
 
Kaori trattenne il respiro al cospetto di quell’uomo affascinante; a parte il suo Ryo, non si interessava molto agli uomini, però doveva ammettere che quello, appena entrato nel suo campo visivo, era davvero notevole.
I suoi occhi neri poi, scintillavano di felicità, nella gioia di essere tornato a casa e di aver ricevuto un così caloroso bentornato.
 
Quando mise giù la bambina le chiese:
 
“La mamma? Sta bene? E Ryoichi?” solo allora parve ricordarsi degli ospiti, che per tutto il tempo erano rimasti in disparte, per non disturbare quel quadretto familiare.
Ma la sua attenzione fu catturata da Ryoichi che lentamente, scioltosi dall’abbraccio di sua madre, avanzò verso di lui e lo chiamò:
 
“Ken?” disse titubante.
 
“Che c’è, ragazzo?” e già il bel viso abbronzato dell’uomo aveva assunto un’aria preoccupata.
 
Il ragazzino si fermò ad un passo da lui, e prostrandosi in un profondo inchino gli disse:
 
“Ti chiedo di perdonarmi.”
 
Ken trasalì dalla sorpresa, e per un attimo tacque allibito; poi gli si fece incontro e aiutandolo a risollevarsi gli chiese:
 
“Ragazzo… ma che significa?”
 
Ma Ryoichi gli si gettò addosso abbracciandolo.
 
Ken non fece domande perché aveva capito, e rimasero in silenzio per un po’; l’uomo chiuse gli occhi commosso.
 
Quando lì riaprì, da sopra la spalla del ragazzo, guardò quella coppia discreta e scambiò un cenno d’intesa con lo sweeper; stava per aggiungere qualcosa, quando lui lo precedette dicendo:
 
“Bene, per il momento vi lasciamo. Credo che stasera avrete molte cose di cui parlare.”
 
“Ma… non vi fermate da noi?” chiese a quel punto Akiko, titubante.
 
“Ti ringrazio, ma preferiamo fare un giro per la città e andare a letto presto; ho visto un alberghetto carino venendo qui che…” forse rifiutare la sua ospitalità era sconveniente, però a quel punto Ryo e Kaori sarebbero stati di troppo, e il duo aveva bisogno di starsene da solo, dopo quella giornata interminabile.
 
Intuendo il vero motivo che si celava dietro quella scusa, la padrona di casa non insistette, e propose:
 
“Però domattina vi aspetto per colazione. Non potete mancare! Staremo in giardino e vi delizierò con la mia cucina.”
 
“Sei molto gentile Akiko” rispose Kaori “Stai tranquilla che ci ritroverai qui.”
Poi il suo sguardo cadde su Ryoichi che, fatti pochi passi, raggiunse la coppia di sweeper:
 
“Verrete?” chiese in tono implorante.
 
“Ma certo” rispose la ragazza, sorridendogli con quei suoi occhi caldi e luminosi, e lui si sentì arrossire.
 
“Certamente, ragazzo” fece Ryo, scompigliandoli la zazzera nera “non ce ne andremo senza salutare, stai tranquillo” poi, abbassando la voce: “E poi ci devi ancora il compenso: noi il caso lo abbiamo risolto.”
 
Ryoichi sobbalzò, e Kaori, rifilando un buffetto al socio, lo sgridò:
 
“Ma che dici??? Ryo, ma… ti pare?”
 
Lui ridacchiò divertito, la socia allora si rivolse al ragazzino:
 
“Non starlo a sentire, lui scherza sempre” e gli fece l’occhietto.
 
In ogni caso Kaori aveva capito che, come al suo solito, il suo compagno aveva voluto sdrammatizzare. Ma il ragazzo, ripresosi dalla sorpresa, disse all’uomo:
 
“Ah, a proposito, quello” e indicò il suo collo “Quello non era un calabrone, e so chi te l’ha fatto.”
 
Ecco ci risiamo!” pensò la ragazza, portandosi una mano alla fronte, esasperata, mentre i due scoppiavano a ridere sguaiatamente dandosi reciprocamente grandi pacche sulle spalle, come vecchi macachi, e non c’era verso di farli smettere.
Quel siparietto demenziale stava durando un po’ troppo per i gusti di Kaori, che era al limite della sopportazione.
Il suo viso si fece via via una maschera di rabbia  e vergogna, gonfiò i polmoni e poi, con quanto fiato aveva in gola, proruppe in un urlo che aveva la potenza di un boato:
 
“Volete smetterlaaaaaaaaaaa???” e poi: “Siete due idioti!”
 
I due rovinarono a terra, investiti dalla potenza di quel grido quasi sovrumano, quindi la ragazza, prendendo per il colletto il socio, lo trascinò via, ancora infuriata.
 
Un secondo prima di uscire dal giardino, in vista della macchina, si fermò e, guardando indietro – in direzione dei padroni di casa, che erano rimasti allibiti di fronte a quella scena surreale – si ricompose e, fatto un breve inchino, disse:
 
“Vogliate scusarci. Buona sera e a domani.”
 
E i due scomparvero richiudendosi il cancello alle spalle.
 
 
 
 
 
Rimasti soli a bordo della macchina, i due sweeper si guardarono e si lasciarono sfuggire un sospiro sconsolato.
 
“Non sarei riuscito a resistere un minuto di più in quella casa” disse lui.
 
“A chi lo dici” fece eco lei.
 
“Bene, ora non ci resta che trovare un albergo per la notte; per domani vedremo. Il più credo che lo abbiamo fatto.”
 
“Hai ragione, socio. Sono affamata e sfinita. Andiamo.”
 
   
 
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