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Autore: Ella Rogers    25/04/2020    1 recensioni
"Chi non muore si rivede, eh Rogers?"
Brock Rumlow era lì, con le braccia incrociate dietro la schiena e il portamento fiero. Il volto era sfregiato e deturpato, ma non abbastanza da renderlo irriconoscibile, perché lo sguardo affilato e il ghigno strafottente erano gli stessi, così come non erano affatto cambiati i lineamenti duri e spigolosi.
"Ti credevo sepolto sotto le macerie del Triskelion."
La risata tagliente di Rumlow riempì l'aria per alcuni interminabili secondi, poi si arrestò di colpo. L'uomo assunse un'espressione truce, che le cicatrici trasformarono in una maschera di folle sadismo.
E Steve si rese conto che, per la prima volta da quando l'aveva conosciuto, Brock Rumlow si mostrava a lui per quello che realmente era, privo di qualsiasi velo di finzione.
"Credevi male, Rogers. Credevi male."
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'The Road of the Hero'
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Frontline
 
 
 
Fu in prossimità delle prime luci dell’alba che il tempo a loro disposizione si esaurì come la fiammella di una candela ormai definitivamente consumata.
Se l’agitazione li assalì, nessuno di loro diede a vederlo. Alla chiamata di Stark, si mossero verso il laboratorio e lì si riunirono. Nei loro sguardi c’era una determinazione matura e una concentrazione glaciale.
 
“Kristen Myers si è messa in contatto con me. Ha utilizzato la ricetrasmittente che le ho lasciato durante il nostro ultimo incontro che, se funzionerà come deve e certamente lo farà perché sono stato io a costruirla, potrà essere utilizzata una seconda volta prima di ridursi in polvere, in modo da garantirle maggiore sicurezza.”
Tony incrociò le braccia al petto e sospirò, come se per un attimo l’avesse colto alla sprovvista una genuina esitazione.
“Quindi è arrivato il momento?” incalzò Rogers, ma c’era una nota di gentilezza nella sua voce, perché non gli era sfuggito il momento di difficoltà in cui Tony era inavvertitamente inciampato.
L’inventore si riscosse e riprese la parola, non mancando di incrociare lo sguardo del super soldato.
“Già. Bruce è tornato al Pentagono. Assieme a lui, Adam Lewis e Teschio Rosso. La Myers ha affermato che hanno terminato il lavoro sul corpo sintetico e che sono pronti per l’attivazione. Sarà questione di un’ora al massimo. Quando la Myers userà la ricetrasmittente per la seconda volta, allora significherà che l’attivazione è stata completata. Inoltre ha confermato che il Tesseract non è stato spostato dal bunker, dunque abbiamo ancora la nostra finestra d’accesso.”
 
“Bene, allora…”
 
Cazzo, c’era anche un corpo sintetico!?” sbottò Sam, tutto d’un fiato, interrompendo qualsiasi cosa Steve stesse dicendo.
Sam Wilson era un tipo che proprio non sapeva tenersi dentro pensieri troppo rumorosi, così finiva per tirarli fuori senza rifletterci troppo su.
Rimasero però un po’ tutti spiazzati, perché effettivamente il dettaglio non così dettaglio sul corpo sintetico era sfuggito leggermente dalle loro teste già sature di pensieri poco felici.
 
“A quello penserò io. Sarà sotto la mia responsabilità.”
Anthea non lasciò spazio ad eventuali contestazioni e, senza dover guardare, seppe che gli occhi di Steve erano su di lei adesso.
 
Natasha allora fece un paio di passi avanti e si pose al centro del gruppo, attirando su di sé l’attenzione generale.
“Ognuno di voi sa cosa fare. Abbiamo una ventina di fiale del composto che annullerà la rigenerazione degli Ultra Soldati, rendendoli almeno vulnerabili. Bisognerà arrivare a Teschio Rosso il prima possibile. Non è detto che il composto avrà l’effetto desiderato e i mostri creati da Lewis potrebbero avere difese non previste. Tenetevi pronti a tutto.”
La Vedova li guardò uno ad uno, quei compagni con cui avrebbe intrapreso l’ennesima battaglia. Una volta iniziato lo scontro, sarebbe stato impossibile determinare anche solo vagamente il corso degli eventi. Avrebbero vissuto un attimo alla volta, un respiro alla volta, un battito del cuore alla volta.
Il pensiero che in lei sarebbero potuti coesistere presto due battiti le accarezzò la mente per un attimo, prima che riprendesse la freddezza che adesso le era necessaria. Se lei e quelli che considerava ormai come la sua famiglia non fossero usciti vivi dall’inferno in cui si stavano per gettare, tutto il resto non avrebbe avuto alcuna importanza.
 
“Siete pronti, compagni?”
Thor sorrise e il suo fu un sorriso sorprendentemente rassicurante. Era deciso a proteggere tutti i presenti in quella stanza, qualsiasi fosse stato il costo.
 
Erano pronti? Dovevano esserlo.
 
“Non disperdiamoci. Cerchiamo di coprirci le spalle per quanto possibile” fu l’unica cosa che Rogers si sentì di dire in quel momento e Sam gli dedicò un’espressione semplicemente decifrabile dalla maggior parte dei presenti.
Steve Rogers non aveva mai fatto mancare ai compagni un discorso di incoraggiamento prima di una battaglia importante, quasi fosse un rituale in grado di far entrare in risonanza i loro spiriti e quindi in grado di renderli più forti. Adesso però mancava l’energia necessaria per far sì che quella risonanza avvenisse, perché lo spirito del giovane super soldato era stato incrinato ed era già un miracolo che non fosse finito in pezzi. Tuttavia, Sam - così come tutti gli altri - non ebbe il minimo dubbio sul fatto che Steve avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per vincere quella battaglia.
Non ci furono altre parole, ma solo sguardi che palesavano la crescente tensione.
 
Anthea non si sentiva così da tempo. Aveva una strana sensazione nella pancia, il cuore batteva ad un ritmo incalzante e respirare sembrava più difficile del solito. Nonostante avesse affrontato innumerevoli battaglie in quegli ultimi anni, poche erano state le volte in cui aveva accusato tanto la pressione delle responsabilità che sentiva adesso gravare sulle spalle.
Nell’attesa, la giovane oneiriana fermò l’attenzione sulla sua immagine, riflessa nella porta a vetri che costituiva l’ingresso dei laboratori. Non aveva indossato l’uniforme da combattimento che gli oneiriani le avevano donato, ma aveva chiesto direttamente a Fury qualcosa di semplice e che fosse caldo. Nonostante cercasse di ignorarla, la sensazione di freddo le era entrata fin dentro le ossa e l’aveva fatto poco dopo che aveva smesso di sentirsi bruciare. Si era accontentata di una maglia nera a maniche lunghe non troppo attillata, fatta di un tessuto che emanava un piacevole calore a contatto con la pelle fredda; inoltre, indossava un paio di pantaloni neri dalla forma non troppo dissimile da quelli dell’uniforme di Steve e l’estremità inferiore l’aveva infilata in scarponcini del medesimo colore. Le linee rossastre che le solcavano la pelle erano risalite fin sopra il collo, segnandole la parte sinistra del viso. Non le erano sfuggiti gli sguardi non così rassicuranti in merito, ma il suo modo di fingere che stesse bene e che non avesse bisogno di aiuto, doveva essere stato sufficiente a chiudere la questione.
Il fatto poi che avesse evitato di confrontarsi con Steve, durante tutte le ore d’attesa, era stato solo un ulteriore escamotage per non farsi distrarre dalle certezze che cercava di tenersi stretta: avrebbe aiutato i suoi amici a debellare la minaccia che incombeva sulla Terra e non avrebbe permesso che qualcuno ci rimettesse la vita.
Era forte abbastanza per riuscirci. Aveva smesso da tempo di essere quella da salvare e non voleva più esserlo. Nella sua testa c’era silenzio e la cosa era tanto strana quanto piacevole. Avrebbe mantenuto il controllo, non era più una debole bambina.
 
“Ci siamo” asserì Tony, sottraendo Anthea dalla invisibile bolla in cui si era rinchiusa, per restare qualche istante sola con sé stessa.
 
Il portale generato dal frammento del Tesseract si aprì in un’esplosione di luce azzurra e tutti vi entrarono come un’unica entità, pronti a tutto.
 
 
 
֎
 
 
 
Il comitato d’accoglienza lasciò alquanto a desiderare. C’era così tanta merda ammassata assieme, che Stark ebbe timore di morire affogato in tutto quello schifo.
Gli Ultra Soldati sembravano morti viventi che, lentamente, uscivano dalle loro vitree tombe ultratecnologiche. I soldati dell’Hydra formavano un cordolo di protezione dinanzi i potenti corrotti e Tony individuò facilmente quel grassone bastardo di Henry Benson. Dinanzi i traditori, che non avevano evidentemente idea di quale grosso cataclisma stessero sostenendo, c’erano Adam Lewis, Kristen Myers, Brock Rumlow e Teschio Rosso ovviamente.
A completare il suddetto comitato d’accoglienza c’era Banner, fermo dinanzi una grossa scatola - che tanto scatola non era - cilindrica e costituita da un materiale opaco, il quale lasciava intravedere solo l’ombra di un possente corpo che di umano aveva ben poco. Ovviamente Bruce era l’unica cosa buona da salvare in quella stanza.
Forse erano arrivati prima che il corpo sintetico fosse attivato. Solitamente non erano tanto fortunati.
Tony elaborò tutti quei pensieri in pochissimi attimi, perché la reazione dei nemici non si fece di certo attendere. Stava per avere inizio una di quelle baraonde in cui risulta difficile distinguere dove inizia e dove finisce un singolo individuo.
Le porte del bunker iniziarono ad aprirsi e i potenti solo di nomina vi si accalcarono per poter assicurarsi una rapida ed indolore fuga, mentre i soldati dell’Hydra proteggevano loro il culo e a Tony quei soldati fecero quasi pena. Morire per persone come quelle non lo meritavano neppure loro.
 
Adam Lewis e Teschio Rosso non si mossero. Vennero circondati dagli Ultra Soldati finalmente svegli e vigili. Rumlow aveva spinto Kristen dietro di lui ed era pronto a scattare come una bestia furiosa.
“Uccideteli tutti. Nessuno escluso.”
Gli ordini di Teschio Rosso divennero legge e gli Ultra Soldati si mossero all’unisono.
 
Eccolo. Lo scontro.
 
I mostri violacei e dagli occhi simili a tizzoni ardenti avevano di umano solo la divisa nera con lo stemma rosso dell’Hydra all’altezza del cuore. Cinquanta esseri privi di razionalità, ma guidati dal solo desiderio di soddisfare le volontà di colui che li controllava tramite fili invisibili.
Allora i Vendicatori si mossero secondo uno schema ben preciso, non esitando nemmeno per un istante. Avevano un margine di errore alquanto striminzito e avrebbero fatto tutto il possibile per rispettarlo.
Clint, Natasha e Sam rimasero indietro rispetto gli altri. Loro tre non avrebbero partecipato allo scontro diretto con quei mostri, ma avrebbero puntato alla testa che vi era a capo, mentre gli altri avrebbero cercato di contenere gli Ultra Soldati per quanto più tempo possibile.
Thor fece da punta di sfondamento e, ruotando il martello, iniziò a caricarsi di energia statica. Ne accumulò talmente tanta da sentirsi quasi bruciare internamente, ma non era una brutta sensazione, tutt’altro. Quando pochi passi lo separavano dai nemici, bloccò la sua corsa e fece impattare il martello contro la superficie marmorea del pavimento. L’impatto causò un rilascio esorbitante di energia, che si trasformò in un’esplosione di scariche elettriche e fu accompagnata da un’onda d’urto che spazzò via chiunque si trovasse all’interno del bunker, compresi quei potenti corrotti che non erano ancora riusciti a scappare fuori.
Per essere più precisi, non tutti furono colpiti dall’ondata di potere scatenata dal dio del tuono. Infatti, come calcolato, Anthea aveva fatto in modo di scudare gli altri Vendicatori e se stessa, in modo che loro non venissero travolti da quel primo fulminante attacco.
Adesso cha avevano rotto le righe di quei fottuti mostri, mandandoli a schiantarsi contro le pareti del bunker, cominciò la seconda fase dell’attacco.
Teschio Rosso, che era stato spazzato via anche lui come fosse un granello di polvere, non aveva riportato ferite gravi solo grazie all’intervento repentino di alcuni Ultra Soldati, che avevano subito l’attacco al suo posto. Tuttavia, la testa dell’Hydra si ritrovò comunque completamente scoperta.
Sam non perse tempo e condusse in volo Natasha nel punto in cui Schmidt cercava faticosamente di rimettersi in piedi. Il pararescue si vide attaccare da entrambi i lati da due Ultra Soldati, ma non se ne preoccupò e continuò ad avanzare, certo che non lo avrebbero raggiunto. Difatti, i mostri non riuscirono nemmeno a sfiorarlo, perché intercettati da Capitan America e Iron Man, che fecero in modo di tenerli occupati. Il resto della squadra fece lo stesso, lasciando a Falcon via libera.
 
Tutto stava accadendo in pochissimi attimi. Gli Ultra Soldati stavano rigenerando le ferite per poter tornare attivi, dopo lo scossone che Thor aveva regalato loro. Quelli che avevano subito meno danni erano accorsi per proteggere Teschio Rosso, ma avevano trovato sulla loro strada gli Avengers.
Intanto, Clint aveva iniziato a rilasciare frecce intrise del composto creato da Tony, in modo da inibire la rigenerazione dei mostri che avevano riportato maggiori danni, così da renderli inutili corpi mutilati.
Natasha attivò i morsi della Vedova e Sam la lanciò verso Teschio Rosso, prima di venir abbattuto da un Ultra Soldato riuscito a superare le difese tirate su dagli altri Vendicatori.
Fortunatamente, Falcon si ritrovò presto lontano dalle grinfie del mostro, che Anthea si premurò di colpire con un pungo dritto in faccia e tanto violento da scaraventarlo un paio di metri indietro.
La Vedova Nera giunse al cospetto di Teschio Rosso, ancora stordito dall’attacco del dio del tuono, e si mosse per affondare nel suo collo i letali morsi che le equipaggiavano i polsi e sarebbe anche riuscita nel suo intento, se il suo corpo non fosse stato spinto via da una forza invisibile, lontano dall’obiettivo.
La donna finì a rotolare sul pavimento del bunker, finché non ritrovò l’orientamento necessario a saltare in piedi con agilità. Lo sguardo smeraldino si posò sul grosso buco che si trovava esattamente nel punto in cui era posizionata lei, prima di venire spazzata via.
 
Un ruggito bestiale risuonò nello stanzone e l’errore dilagò all’infuori dei margini.
 
La Vedova rimase immobile dinanzi un Hulk che la caricò con cieca rabbia. Si sentì come quella volta sull’Helicarrier, un’infinità di tempo addietro, quando aveva visto per la prima il gigante verde. Perse la sua usuale freddezza e non sentì il grido disperato di Barton che le diceva di correre via.
Poi la sua visione fu oscurata dall’esile figura della stessa ragazza che prima le aveva evitato di finire schiacciata dalla furia di Hulk. Fu allora che riacquistò abbastanza freddezza, da spostarsi quel tanto che le permise di non venire travolta dallo scontro frontale fra l’oneiriana e il gigante verde.
Steve, impegnato ad affrontare un Ultra Soldato, non riuscì ad evitare di distrarsi quando vide Hulk investire Anthea con una tale forza da rendere vano il tentativo della ragazza di resistergli. Quella distrazione gli costò un pugno dello stomaco e si sarebbe ritrovato con il collo spezzato, se Stark non fosse intervenuto a salvargli l’invidiabile sedere, gridandogli tramite la ricetrasmittente di evitare di abbassare la guardia come un principiante o l’avrebbe preso a schiaffi.
Nel soffitto del bunker si aprì una grossa falla, quando l’oneiriana vi impattò con la schiena, trascinata dalla potenza di un Hulk plagiato dal potere dello scettro di Loki e che le rimase addosso fino a che non furono oltre il tetto del Pentagono, all’aria aperta.
 
“Thor!” gridò Steve, mentre scansava agilmente un Ultra Soldato.
Qualcosa non andava. Li ricordava più forti e veloci quei fottuti mostri. Anche la rigenerazione a cui aveva assistito, quando ne aveva affrontato uno la prima volta, era stata molto più rapida.
Forse Lewis aveva sbagliato qualcosa e sperò vivamente che fosse così.
Puntò sull’agilità e la velocità per farsi largo fra i nemici, fino a trovarsi a pochi passi di distanza da Schmidt, che fu quasi sorpreso di vederlo così pericolosamente vicino.
“Portatemi fuori di qui” ordinò Teschio e, prima che Rogers potesse arrivare a lui, un Ultra Soldato lo afferrò di peso e utilizzò il buco aperto nel soffitto per condurre all’esterno la Testa dell’Hydra.
Tutti gli altri Ultra Soldati seguirono il loro capo e fuoriuscirono dal bunker, lasciandovi all’interno i Vendicatori e una decina di altri mostri violacei, la cui rigenerazione era stata annullata e i danni subiti li avevano resi incapaci di muoversi.
 
“Dannazione” fu il grido di uno Steve Rogers ancora incapace - come tutti i suoi compagni, del resto - di metabolizzare ciò che era appena accaduto.
Ci erano andato così vicini.
 
“Questo è solo l’inizio, Capitano. Appena svegli, i miei soldati potevano utilizzare a malapena la metà della loro forza offensiva e rigenerativa. I vostri trucchetti non funzioneranno più da ora in avanti. Ne avrete messo qualcuno fuori uso, ma non riuscirete a gestire tutti gli altri. Avete perso.”
Adam Lewis, seduto a terra e con la schiena appoggiata contro una parete, aveva la faccia ricoperta di sangue. Il primo attacco di Thor doveva averlo raggiunto senza lasciargli molto scampo, a quanto pareva.
Steve gli dedicò uno singolo sguardo, uno sguardo glaciale e intriso di un risentimento tale da fargli addirittura ribrezzo.
 
“Avrei dovuto uccidere Lewis.”
 
Le parole taglienti di Anthea fecero eco nella sua testa e per un attimo ebbe la fottuta voglia di concretizzarle, ma si bloccò prima che quel desiderio omicida lo travolgesse del tutto.
“Raggiungiamo quei mostri e fermiamoli” disse, conscio di avere gli sguardi dei suoi compagni addosso.
Lewis scoppiò a ridere, finendo per tossire sangue, ma ciò non lo fermò dallo sfidare Rogers ancora una volta, perché godeva nel vederlo vacillare.
“Verrò ad ammirare il tuo cadavere e quello dei tuoi preziosi compagni più tardi. Spero non vi riducano in un ammasso scomposto di carne ed ossa, perché saprei già come utilizzare alcuni dei vostri corpi.”
Rogers strinse i pugni con tanta violenza da far sbiancare le nocche e per un istante vide rosso. Non seppe quale forza gli impedì di macchiarsi le mani del sangue del fottuto bastardo, in quell’esatto momento. Forse fu il fatto che il dottore fosse comunque spacciato ormai.
 
“Stark. Wilson” chiamò il super soldato, distogliendo lo sguardo da quel vecchio pazzo.
 
“Tranquillo, Cap, ci pensiamo noi a darvi un passaggio.”
Tony non finì nemmeno la frase che aveva già afferrato Rogers per un braccio, in modo da trascinarlo fuori di lì, prima che il ragazzo perdesse la freddezza necessaria a portare avanti una battaglia che stava sfuggendo loro di mano.
Avevano messo in conto un’eventuale evoluzione dello scontro all’esterno, nonostante avrebbero voluto evitarlo. Effettivamente la facilità iniziale con cui erano riusciti a contenere gli Ultra Soldati aveva stupito tutti loro, ma adesso, grazie alle parole di Lewis, sapevano di aver perduto l’unica possibilità di poter competere quasi alla pari con loro, senza rischiare di venir fatti a pezzi al primo passo falso. Nemmeno il composto che aveva creato avrebbe avuto più effetto, da quanto detto dal dottore. Quello era un bel problema.
Era necessario arrivare a Teschio Rosso prima che fosse troppo tardi.
Iron Man prese con sé anche Natasha e volò oltre la crepa aperta nel soffitto, seguito da Falcon, che intanto aveva raccolto Barnes e Barton.
 
In un angolo del bunker, Kristen si stava riprendendo dalla botta presa. L’onda d’urto le aveva procurato un bel volo, ma per il resto era rimasta illesa.
“Qualcosa ci ha protetti dai fulmini” decretò Rumlow, che non aveva avuto occasione di gettarsi nella mischia, data la rapida successione degli eventi che lo aveva visto semplice spettatore.
L’uomo aiutò la Myers a rimettersi in piedi e le dedicò un lungo sguardo.
“Come fai a dirlo?” chiese lei, che qualche idea se l’era già fatta, data la segreta collaborazione che aveva stretto con gli Avengers.
“Li ho visti deviare, come se avessero incontrato una specie di muro invisibile.”
Rumlow scosse il capo, come se volesse scacciar via ogni tipo di pensiero. Si guardò intorno e poi tornò a posare gli occhi sulla donna.
“Ti conviene trovare un posto sicuro” le disse, serio.
“Tu cosa farai, Brock?”
“Quello che ci si aspetta da me. Inoltre ho alcuni conti in sospeso che ho intenzione di chiudere una volta per tutte.”
 
Kristen osservò Rumlow correre via, verso la porta d’uscita del bunker. Avrebbe voluto fermarlo, ma non ne aveva avuto il coraggio e si odiò per questo. Decise che, in qualche modo, avrebbe cercato di essere utile ai Vendicatori in quello scontro in cui stavano inesorabilmente perdendo terreno.
 
 
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Anthea si era resa conto dell’errore che aveva commesso, solo quando l’aria fredda le era entrata con forza nei polmoni, fornendole quell’ossigeno che le era venuto a mancare per un tempo che era sembrato infinito. Era stata praticamente spazzata via e non era riuscita nemmeno ad opporre un minimo di resistenza nello scontro con Hulk, che l’aveva travolta con una forza spaventosa.
Si rialzò faticosamente da terra, ignorando le acute proteste da parte del corpo, e individuò la struttura del Pentagono parecchio lontana da lei. Era finita in una zona verde, circondata da qualche fila di alberi. Il terreno era stato sfigurato dal solco che lei e il gigante verde avevano scavato durante quell’assurda colluttazione. Si morse l’interno della guancia, mentre la preoccupazione iniziava a stringerle lo stomaco.
Aveva evitato che Natasha finisse schiacciata da Hulk, ma aveva vanificato il piano di raggiungere e rendere inoffensivo Teschio Rosso il prima possibile. La rossa era giunta ad un soffio dalla testa dell’Hydra e lei l’aveva fermata, incapace di rischiare che potesse essere ferita - o peggio, uccisa - da una variabile verde a cui avevano dato troppo poco conto.
Hulk era proprio davanti ai suoi occhi adesso ed era pronto a gettarsi contro di lei di nuovo. La manica destra della sua maglia era stata strappata via durante la colluttazione e lungo il braccio si erano aperti tagli più o meno profondi che non stavano guarendo.
Avrebbe dovuto aspettarselo. Non era di certo al massimo della forma e le attuali condizioni non avrebbero fatto che peggiorare, quindi doveva combattere facendo maggiore attenzione e tenendo a mente che ogni ferita subita l’avrebbe resa più debole e meno efficiente. La battaglia era appena iniziata e non poteva permettersi di perdere di incisività troppo presto.
 
Hulk provò a travolgerla una seconda volta, ma facendo uso di un tempismo pressocché perfetto, Anthea riuscì a evitarlo, scavalcandolo con un agile salto. Si portò alle sue spalle e ciò le permise di affondare un calcio nella possente schiena del gigante. Fu in grado di spingerlo via e di farlo barcollare leggermente, segno che il colpo l’aveva sentito. Approfittò del momento favorevole per saltare di nuovo in alto, per poi ricadere in picchiata con l’intento di piazzare un pesante pungo sulla testa del gigante.
Una ricalibratura cognitiva rapida e non troppo dolorosa.
Doveva riportare Bruce Banner dalla loro parte, perché avevano bisogno di lui e lui aveva bisogno di riavere indietro la libertà che gli era stata sottratta.
Hulk reagì più velocemente di quanto si aspettasse - oppure lei era più lenta del solito - e la colpì in pieno con una mano, scacciandola via allo stesso modo di un moscerino fastidioso.
Anthea non riuscì ad evitare l’impatto con il terreno e ruzzolò fra l’erba coperta di rugiada, fino a che si fu ripresa abbastanza da costringersi a tornare in piedi. Non ne ebbe il tempo, però, perché il gigante era già lì e l’afferrò per una gamba, per poi lanciarla contro una fila di alberi. L’oneiriana spezzò diversi tronchi con il proprio corpo, prima che i ripetuti urti fermassero il volo che le era stato regalato. Si tirò su a fatica e riprese fiato.
Quella non era di certo la prima battaglia in cui veniva messe alle strette, eppure non riusciva a reagire. Aveva forse sottovalutato l’effetto dell’energia che le segnava l’intero corpo?
Strinse i denti. Non c’era tempo per pensare, perché Hulk stava già tornando all’attacco.
 
‘Dannazione.’
 
Le enormi dita di Hulk si bloccarono a pochi centimetri dal suo viso. Il mostro verde ruggì di rabbia, impossibilitato a muoversi, i muscoli tesi allo spasimo eppure immobilizzati.
Anthea percepì distintamente il calore del sangue sulle guance pallide, quando rivoli scarlatti scivolarono dagli occhi illuminati dal tenue colore dell’ambra.
 
‘Dannazione.’
 
Passarono solo pochi secondi, prima che Hulk riuscisse a muoversi e la ragazza si preparò ad essere stritolata, sperando che le ossa non cedessero troppo facilmente. Trattenne il respiro, ma un oggetto non identificato si piantò nello stomaco del gigante e lo trascinò abbastanza lontano da lei. Quello stesso oggetto tornò indietro e la superò, finendo nelle mani della presenza comparsa alle sue spalle.
Anthea si voltò e si trovò dinanzi la figura rassicurante di Thor. Tirò un lungo sospiro di sollievo.
 
“Dove è andata a finire la tua forza, giovane regina? So per certo che puoi fare di meglio.”
 
C’era una chiara implicazione nelle parole del dio del tuono. L’oneiriana sorrise mestamente.
“Mi stavo solo riscaldando” si giustificò, gettando in un angolino della mente le insicurezze e preparandosi a tirar fuori tutto ciò che aveva, costasse quel che costasse.
 
Hulk ruggì e puntò l’attenzione su Thor, che sarebbe morto se lo sguardo avesse potuto uccidere.
Anthea approfittò della distrazione del gigante per attaccarlo. Rapida, arrivò a un soffio da lui, e con un montante destro poderoso lo mandò quasi a sedere per terra. Quindi concluse l’assalto con un calcio volante sulla mandibola che lo fece barcollare pericolosamente.
Non era abbastanza per farlo tornare in sé.
 
“Adesso ti riconosco” le gridò Thor, mentre lanciava il martello dritto sulla fronte del mostro verde, ma nemmeno questo ebbe l’effetto sperato.
 
Anthea decise di tentare il tutto per tutto, sfruttando la breccia che erano riusciti ad aprire nelle difese di Hulk.
“Ti concedo pochi secondi! Non sbagliare, Thor!”
Le iridi della ragazza tornarono ad illuminarsi. Strinse i denti, cercando di ignorare la sensazione della testa sul punto di esplodere.
Thor non se lo fece ripetere due volte e caricò il martello di energia, poi lo abbatté con forza sulla testa di un Hulk momentaneamente immobilizzato dalla forza telecinetica dell’oneiriana.
La botta riecheggiò tutt’intorno e Hulk stramazzò a terra con un tonfo sordo.
 
Rimasero entrambi in attesa e si permisero di tirare un sospiro di sollievo solo quando la figura del gigante verde si ridusse gradualmente, fino a quella di un Banner stordito ma finalmente libero dalle catene mentali costruite dallo scettro.
Thor si liberò del mantello e lo tese al compagno, rimasto coperto solo dai rimasugli di pantaloni, che ora erano troppo slabbrati per stargli addosso, senza che fosse costretto a tenerli con le mani.
 
“Grazie” disse il dottore e, solo quando gli effetti della botta in testa cominciarono a scemare, il suo sguardo si fissò sulla ragazza che affiancava l’asgardiano.
“Tu? Cosa… come…” balbettò, incredulo, quasi avesse visto un fantasma.
 
Anthea piegò le labbra in un sorriso sincero e gli porse una mano, per aiutarlo a rimettersi in piedi. Bruce l’afferrò senza pensarci troppo su e si ritrovò a fissarla con una certa insistenza, come se stesse cercando nei tratti della giovane donna dinanzi a lui, la ragazzina che anni prima li aveva salutati con la promessa di tornare.
“Sono venuta a sapere che vi serviva una mano ed eccomi qui. Felice di rivederti.”
Banner sospirò e portò una mano fra i capelli scuri, stirandoli indietro. Era palesemente spaesato e stava cercando di ritrovare un certo equilibrio interiore.
“Mi dispiace per averti…”
“Non dirlo. E a proposito, stiamo cercando di neutralizzare chi ha causato tutto questo e ci servirebbe una grossa mano.”
Bruce spostò lo sguardo da Anthea a Thor e l’asgardiano annuì col capo, consapevole che non era il momento di dilungarsi in spiegazioni.
“Chi devo prendere a botte?” chiese allora Banner, che di tirarsi indietro non ne aveva proprio intenzione, anche perché non poteva di certo lasciarla passare liscia agli stronzi che l’avevano usato per i loro sporchi fini, pilotandolo alla stregua una marionetta.
 
“Ho visto scintille e disboscamenti nella zona verde. Ditemi che siete tutti sani e salvi e che avete recuperato con successo il nostro Banner, perché senza voi tre sarebbe come andare in guerra con mazzi di fiorellini al posto delle armi.”
 
La voce di Tony Stark era squillata con fin troppa enfasi nelle orecchie di Anthea e Thor. I due alieni in trasferta si scambiarono uno sguardo di intesa, con tanto di sorrisetto e sopracciglia arcuate verso l’alto. Uno dei loro compiti erano riusciti a portarlo a termine con successo, ora non restava che occuparsi dell’esercito di Ultra Soldati.
 
“Dicci cosa fare” fu la risposta che diede Anthea a Stark, attivando la ricetrasmittente nell’orecchio.
 
“Tornate verso il Pentagono e dirigetevi verso il grosso fiume più avanti. Velocemente” fu l’immediata replica di Iron Man, il cui tono tradì un certo sollievo.
 
“Pronto ad andare?” chiese la ragazza a un Bruce in attesa di indicazioni.
 
“Quando volete” rispose allora Banner, mentre il suo corpo già aveva iniziato a crescere.
 
 
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Una volta fuori dal bunker, Tony non aveva potuto non notare la scia di distruzione che si erano lasciati dietro la ragazzina e un Hulk del tutto fuori controllo. Era rimasto sospeso nel cielo rischiarato dalle prime luci dell’alba, con Natasha sulle spalle e una mano impegnata a tenere Steve per un braccio.
Pochi attimi dopo erano stati raggiunti da Wilson, Barnes e Barton e tutti assieme avevano assistito al dilagare degli Ultra Soldati al di fuori del Pentagono, mentre di Teschio Rosso era sparita ogni traccia.
Quei mostri violacei si erano lanciati in una corsa sfrenata in direzione del Potomac. Sembrava stessero raggiungendo una meta precisa e che, quindi, la testa dell’Hydra avesse cambiato i suoi piani.
 
“Si dirigono verso la città.”
“Devo darti ragione a malincuore, Rogers. Quel bastardo vuole portare lo scontro a Washington.”
Era allora che avevano assistito ad un improvviso abbattimento di alberi, poi c’erano state scintille ed infine un boato. Tony aveva aperto la comunicazione via ricetrasmittente, passando oltre il momento di sorpresa generale.
 
“Ho visto scintille e disboscamenti nella zona verde. Ditemi che siete tutti sani e salvi e che avete recuperato con successo il nostro Banner, perché senza voi tre sarebbe come andare in guerra con mazzi di fiorellini al posto delle armi.”
 
“Dicci cosa fare.”
La voce di Anthea risuonò nelle orecchie di tutti coloro legati dalla medesima linea di comunicazione, soffiando via almeno una piccola parte della tensione accumulata.
 
“Tornate verso il Pentagono e dirigetevi verso il grosso fiume più avanti. Velocemente.”
 
Stark chiuse la comunicazione e, con uno strattone tanto deciso quanto improvviso, lanciò Rogers in alto, per poi riafferrarlo per i fianchi con un unico braccio metallico, in modo che i loro volti fossero alla medesima altezza. Quel gesto fece venire a Sam un mezzo infarto e Barnes, che aveva sentito la presa su di lui farsi meno solida, gli lanciò un’occhiataccia.
 
“Potevi almeno avvisare, Stark.”
“Poco lamentare e tanto pianificare, Rogers. Da ciò che vedo, quelli vogliono entrare in città tutti insieme appassionatamente. Inoltre, abbiamo uomini dell’Hydra diretti nella stessa direzione a bordo di bei blindati e rilevo velivoli non autorizzati in movimento. Di Teschio Rosso nessuna traccia. E in tutto questo, le nostre armi pesanti hanno quasi rischiato di profanare il Cimitero nazionale di Arlington.”
Tramite il visore della sua armatura, Stark era stato in grado di determinare i movimenti del nemico, ormai lontano dal Pentagono e in prossimità del Potomac. Da lì avrebbero attraversato il fiume utilizzando i ponti e sarebbero entrati a Washington senza troppi problemi.
“Sono sicuro che Teschio Rosso non rimarrà nascosto. Lui questa guerra vuole vincerla, assistendo personalmente alla disfatta dei suoi nemici. Potrebbe essere su uno di quei blindati.”
“Che bastardo narcisista” si lasciò scappare Wilson.
 
Steve riaprì le comunicazioni radio e parlò senza esitazione.
“Thor, Banner, Anthea, ingaggiate battaglia con gli Ultra Soldati, fate in modo di tenerli occupati e di evitare che si disperdano troppo. Evitate di distruggere i ponti, se possibile.”
“Va bene” fu la risposta dell’oneiriana dall’altro capo e Rogers ebbe la sensazione di sentirla esitare.
“Bucky ed io ci uniremo a loro, mentre voi altri vi occuperete dei blindati e dei soldati dell’Hydra. Trovate Teschio Rosso e fermatelo. E Stark, contatta Fury, perché avremo bisogno di rinforzi e di protezione per i civili in città, in caso le cose degenerino maggiormente.”
 
“Bene. Mettiamoci a lavoro allora. Wilson facciamo a cambio, ti cedo la Romanoff in cambio del Soldato d’Inverno. Darò io un passaggio agli attempati qui. Tu inizia il lavoro, sarò da voi in un attimo.”
 
“Okay, Stark” acconsentì Wilson.
 
 
֎
 
 
“Non fatevi ammazzare e Rogers…”
Steve, che era già in procinto di correre verso il grosso dei loro problemi, esitò e concesse a Tony qualche attimo di attenzione.
“Resta concentrato e contattami se le cose si mettono male. Sarò la vostra via di fuga.”
Il biondo annuì, poi impugnò lo scudo e corse via, seguito da Barnes, mentre Stark riprese il volo, sperando che il messaggio fosse stato recepito dal compagno.
 
“Steve” chiamò Bucky, mentre si dirigevano verso il ponte che gli Ultra Soldati stavano percorrendo a grande velocità.
Il Capitano rallentò appena, lasciando che l’amico lo affiancasse, così da poterlo guardare in viso.
“Non azzardare mosse pericolose.”
 
“Cos’è, la giornata delle raccomandazioni a Steve Rogers questa?”
 
“Sì, se serve a porre dei paletti che ti separino dal dirupo in cui altrimenti ti getteresti.”
 
Roger fece per ribattere, ma qualcosa gli impedì di approfondire il discorso con James.
Thor, Anthea e un Hulk sorprendentemente quieto, erano poco più avanti, in attesa dell’imminente arrivo degli Ultra Soldati. La ragazza gli stava facendo segno con una mano e Steve notò che il braccio che stava sventolando con nonchalance era ridotto abbastanza male. La manica della maglia era stata strappata via e, avvicinandosi, notò i tagli nella pelle sporca di sangue rappreso.
Perché non guariva?
I mostri violacei erano ormai ad un tiro di schioppo.
 
“State in guardia. Sono molto più forti di prima e il composto non avrà più effetto per quanto ne sappiamo. Teniamoli occupati finché gli altri non avranno trovato Teschio Rosso.”
 
Fu così che iniziò la seconda fase della battaglia, la cui fine era ancora difficilmente visibile.
Fury organizzò i suoi in modo da poter fermare quanti più soldati dell’Hydra possibile. Inoltre, fece in modo di occuparsi anche dello spazio aereo, che aveva necessariamente bisogno di una ripulita.
Iron Man e Falcon fermavano i blindati in fuga e vi lanciavano contro i due assassini provetti, sperando che tra quegli uomini vestiti da nere uniformi e dal viso coperto da maschere simili a quelle antigas, si nascondesse Teschio Rosso, sempre che questo fosse effettivamente fra loro. Non poteva di certo essere andato lontano e comunque Rogers aveva la certezza che lui avrebbe voluto partecipare alla battaglia, guidando le truppe a spada tratta.
Gli Ultra Soldati sembravano ancora tarati sul comando di far fuori i Vendicatori anche se, una volta superato il ponte, li avevano spinti sempre più verso il cuore della città. L’alba stava giungendo al suo apice e la confusione aveva messo in allerta le persone. Le forze dell’ordine erano già visibili non troppo lontano da dove gli Avengers stavano affrontando i mostri violacei.
 
Rogers si stava difendendo dagli attacchi degli Ultra Soldati utilizzando lo scudo e riusciva anche ad assestare qualche colpo. Lo stile di combattimento basato sul cerchio in vibranio riusciva davvero ad essere micidiale, anche se in tal caso si riduceva ad un buon modo per non morire nell’immediato. Era difficile tenere d’occhio i compagni, perché una minima distrazione gli sarebbe costata cara. Ogni tanto, all’interno del campo visivo, vedeva scivolare qualche Ultra Soldato spinto via o intento ad attaccare. Erano troppi rispetto a loro e, se non avessero avuto quelle che Tony definiva armi pesanti, non ci sarebbe stata alcuna possibilità di riuscire a contenerli. Durante il primo attacco, erano riusciti a farne fuori una decina utilizzando il composto anti-rigenerativo, ma erano ancora troppi da gestire e il pericolo che arrivassero ai civili era molto alto.
Steve saltò sulle spalle di uno dei mostri e posizionò il bordo dello scudo sulla sua giugulare. Tirò con forza il cerchio in vibranio verso di lui e strattonò fino a far bruciare i muscoli delle braccia. La testa venne via dal collo, tranciata dal fine e indistruttibile vibranio, mentre il Capitano tornava con i piedi per terra, dopo aver eseguito a mezz’aria un’agile capriola all’indietro.
Rimase immobile, lo sguardo fisso sul corpo privato della testa. Non si muoveva e non sembrava avrebbe più avuto la capacità di muoversi.
Allora un modo c’era.
“Steve!” lo chiamò con forza Bucky, perché il biondo si era distratto abbastanza da permettere ad un Ultra Soldato di sorprenderlo alle spalle.
Rogers si ritrovò a rotolare sull’asfalto, con un acceso dolore sulla schiena, poi perse la cognizione dello spazio e dell’equilibrio, perché non riuscì ad evitare di essere sbattuto e sballottolato proprio come una pallina del flipper, con l’unica differenza che a lui tutto quello faceva un male cane. Una mano violacea si chiuse intorno alla sua caviglia, mentre un’altra la vide stringersi attorno ad un braccio. La spina dorsale venne messa a dura prova per lunghissimi attimi e l’immagine del corpo che si divideva in due gli occupò la mente con spaventosa nitidezza. Poi tutto finì e la colonna vertebrale rimase intatta. Si sentì tirare su e, in qualche modo a lui sconosciuto, dato lo stato confusionale, si ritrovò a stringere di nuovo le cinghie dello scudo in una mano. Riuscì infine a riprendersi abbastanza da mettere finalmente a fuoco la situazione.
Davanti a lui c’era Anthea, mentre al proprio fianco c’era Thor.
 
“La testa… staccategli la testa” sputò fuori, tutto d’un fiato, e il dio del tuono tornò all’attacco, ributtandosi nella mischia.
Steve non si rese subito conto che Thor l’aveva lasciato in buone mani. Se ne accorse solo quando la visione gli tornò improvvisamente chiara e il corpo recuperò autosufficienza e reattività, nonostante qualche spillo di dolore ancora presente.
 
“Sei con me, Steve?”
Anthea, dietro di lui, aveva una mano poggiata sulla schiena del super soldato.
Lei l’aveva appena guarito?
Se ne fosse uscito vivo, avrebbe fatto in modo di ficcarle in testa che toccarlo per quel fine era assolutamente off-limits.
“Sì, ci sono” si limitò a risponderle, ma un’occhiata tagliente riuscì comunque a lanciargliela, ricevendo indietro un sorriso tirato.
“Stacchiamo la testa a questi cosi” fu l’invito dell’oneiriana, che si pentiva di non aver portato con sé la spada dall’elsa bianca, spaventata dall’idea di intaccare maggiormente lo stato di salute in corso di degenerazione.
 
La ragazza si mise al lavoro. Era terribilmente difficile combattere in quella situazione. Più passava il tempo, più le sembrava di sentire le energie calare drasticamente. Le ferite che si stava procurando non guarivano e non riusciva a concentrarsi abbastanza per utilizzare quei poteri che l’avevano resa sempre più sicura e intraprendente sul campo di battaglia. Inoltre, mai come allora, odiava l’idea di non riuscire a tenere sott’occhio i suoi compagni. Se prima non avesse visto Thor farsi largo fra un ammasso di Ultra Soldati, non si sarebbe minimamente accorta della situazione di Steve. Lo stava momentaneamente odiando, perché era evidente faticasse a rimanere perfettamente concentrato sullo scontro. Voleva farsi ammazzare?
Anthea era certa che anche Thor se ne fosse accorto. Se non ci fossero stati il dio e Hulk, che stavano tenendo a bada un numero considerevole di Ultra Soldati, sarebbero stati abbastanza spacciati.
L’oneiriana saltò alla gola di uno di quei mostri e lo fece letteralmente, perché gli strinse le mani attorno al collo taurino e le rese incandescenti, utilizzando l’affinità al fuoco che era riuscita a trasformare in un’arma letale e multifunzionale negli ultimi anni. La pelle e i muscoli si sciolsero quasi fossero cera e le ossa cedettero, ma l’Ultra Soldato riuscì a colpirla prima di perdere la testa.
Anthea strinse i denti e si scostò dal corpo mutilato. Si portò una mano sul fianco sinistro, dove le unghie del mostro avevano aperto un buco nel tessuto della maglia prima e nella carne dopo.
Dannazione.
Schivò l’attacco di un Ultra Soldato, ma non sfuggì al pugno di un altro arrivatole alle spalle. La colpì dritta in faccia e la vista si oscurò. Sentì lo schianto della propria nuca sull’asfalto e perse i sensi per pochi istanti.
Blackout.
Ebbe la sensazione che qualcosa di bruciante all’interno del corpo la abbandonasse di colpo e infine sopraggiunse il silenzio.
 
 
 
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Cosa diavolo stava succedendo?
 
Stark si bloccò a mezz’aria, incredulo. Al posto dell’ammasso di Ultra Soldati che i suoi compagni stavano cercando di tenere a bada, c’era adesso un’isola di distruzione che si estendeva per un raggio di almeno mezzo chilometro. L’asfalto della strada era percorso da grosse crepe e gli edifici in quell’area avevano subito danni non indifferenti. Tutti coloro che si erano trovati nel raggio d’azione di quell’evento surreale erano stati spazzati via, senza alcuna discriminazione.
Iron Man attivò le comunicazioni a distanza, nella speranza di sentire almeno una voce.
 
“Ragazzi, battete un colpo se siete vivi. Vi prego.”
 
Ci furono attimi infiniti di silenzio, durante i quali Tony sentì il panico attanagliargli le viscere.
 
“Non sono ancora morto, uomo di metallo. Vedo Banner. È vivo anche lui.”
 
Due.
 
“Vivo. E credo di vedere Anthea.”
 
Quattro.
 
“Ci sono, Stark.”
 
Cinque. Anche Rogers era ancora fra i vivi.
 
La linea tornò muta.
 
 
Dannazione. Che gran casino.
 
 
 
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Rogers si tirò su con un po’ di fatica e si guardò intorno, leggermente spaesato. Non riusciva a spiegarsi cosa fosse successo. Pochi attimi prima stava combattendo e poi qualcosa l’aveva trascinato via, facendolo sentire come una fogliolina in balia di un uragano.
Aveva perso anche lo scudo. Ottimo.
Era finito più vicino al cuore della città ed era circondato da edifici che riportavano segni dell’avvenimento assurdo e a causa del quale ora si ritrovava da solo. C’erano persone lungo la strada, spaventate e disorientate, sicuramente corse fuori dagli edifici che erano stati scossi dall’onda d’urto. Tante indossavano ancora i pigiami e lo stavano guardando con un misto di terrore e speranza negli sguardi.
Non ebbe modo di dare forma ad altri pensieri, perché qualcosa di ferreo lo artigliò per un braccio e lo strattonò, costringendolo a fare un giro su sé stesso. Anche l’altro braccio finì fra grinfie ferree e decise a non permettergli di scappare.
Steve si ritrovò faccia a faccia con Brock Rumlow e il suo sadico sorriso storto.
 
“Ci rivediamo, Rogers. E stavolta salderemo i conti, che tu lo voglia o meno.”
 
“Non è proprio il momento, Rumlow.”
 
“Se vuoi liberarti di me, dovrai uccidermi. Altrimenti sarò io a uccidere te.”
 
Il Capitano non aveva molta scelta. Affrontare Rumlow era l’unica soluzione per impedirgli di ostacolarlo ancora. Doveva metterlo fuori combattimento nel minor tempo possibile.
“E va bene” acconsentì allora il biondo, affilando lo sguardo.
Brock ghignò, ma prima di lasciar andare il giovane, diede voce ad un’ultima imposizione.
“Niente intromissioni, Rogers. Voglio la tua parola. Inoltre, non useremo armi se non il nostro corpo.”
“Hai la mia parola” assicurò Rogers, che ancora una volta si sorprese di quanto il suo ex supervisore lo conoscesse. Brock sapeva che avrebbe mantenuto la parola data.
 
“Diamo inizio ai giochi allora.”
 
Rogers si ritrovò libero dalla presa esercitata dagli arti meccanici di Rumlow sulle braccia e, subito dopo, lo osservò liberarsi di quegli stessi arti. Proprio come aveva detto, niente armi se non i loro corpi.
Il ragazzo però non ebbe il tempo di sentirsi sollevato, perché fu subito costretto a difendersi dagli attacchi di un altro soldato potenziato e plagiato dall’Hydra.
Rumlow combatteva con una violenza e un’aggressività che Steve non ricordava. Era sempre stato freddo e calcolatore, avaro delle energie messe a disposizione dal corpo e maniacale perfezionista nei movimenti. Invece adesso era un concentrato di rabbia e forza bruta e mirava a fargli male, più che a metterlo fuori combattimento al fine di poterlo uccidere. Rogers, dal canto suo, non riusciva ad essere decisivo come avrebbe voluto, perché qualcosa continuava a frenarlo. Si scambiarono attacchi in rapida sequenza, ma nessuno dei due andò a segno.
In un frangente, lo sguardo di Steve fu calamitato dalla figura di un Ultra Soldato che si avvicinava pericolosamente ai civili in strada. Le pupille si spostarono abbastanza da lasciare un punto cieco nelle difese innalzate contro Rumlow, il cui pugno si abbatté con violenza sul fianco sinistro, minandogli l’equilibrio. Quello stesso equilibrio fu rotto da un calcio dritto su un ginocchio, la cui rotula emise uno stridio alquanto preoccupante. Steve cadde sulla schiena, ma fu abbastanza reattivo da eseguire una capriola all’indietro e tornare in piedi. Portò la mano destra all’orecchio per accendere la ricetrasmittente e ciò gli costò un pugno nello stomaco.
“Stark” chiamò fra i denti, mentre cercava di riacquistare equilibrio ed evitava un secondo pugno diretto in faccia.
Brock ringhiò di rabbia, tirò fuori una pistola dalla fondina stretta attorno la coscia e, prima che il biondo realizzasse ciò che stava accadendo, gli trapassò la spalla destra con un proiettile. Rogers serrò istintivamente gli occhi a causa del dolore e Rumlow ne approfittò per strappargli la ricetrasmittente dall’orecchio.
“Hai infranto le regole” lo accusò Rogers, mentre premeva la mano sulla ferita sanguinante.
Brock gli mostrò il piccolo comunicatore e sorrise in modo agghiacciante.
“Tu le hai infrante. Niente intromissioni, ricordi? O hai bisogno di aiuto perché sei troppo debole per affrontarmi da solo?”
La ricetrasmittente finì schiacciata tra le dita dell’ex agente dello SHIELD. Steve lanciò uno sguardo preoccupato in direzione dei civili e si morse l’interno della guancia.
“Era per loro l’aiuto” disse fra i denti e Rumlow scoppiò a ridere.
“Povero ingenuo. Vuoi aiutare loro? Bene. Aiuta prima te stesso.”
Crossbones rinfoderò la pistola e tornò all’attacco, ma Steve scartò di lato e scattò in direzione dell’Ultra Soldato in avvicinamento, senza voltarsi a guardare indietro.
 
Tese i muscoli fino allo spasimo, richiamando a sé tutta la concentrazione che aveva a disposizione.
Doveva allontanare quel mostro dai civili. Al resto avrebbe pensato dopo.
“Ehi!” gridò a gran voce, nella speranza di attirare l’attenzione dell’Ultra Soldato. La cosa sembrò funzionare, o forse fu solo l’ordine imposto da Teschio Rosso a spingerlo verso di lui.
Okay. La fase uno era andata a buon fine. Peccato che poi venne investito e trascinato dal mostro come una bambola di pezza, finendo per infrangere quella che era probabilmente una porta a vetri o una vetrina, perché sentì chiaramente schegge di vetro tagliuzzargli la pelle. Fu sbattuto contro un muro, ma fu anche abbastanza bravo da evitare il successivo attacco del mostro, che abbatté quello stesso muro con il corpo. Caddero macerie e calcinacci e una scossa investì l’intero edificio già traballante.
La figura del mostro riemerse dalle polveri ed era letteralmente incandescente. Si mosse rapidissimo e arrivò ad un soffio dal ragazzo, le dita incandescenti prossime al suo collo scoperto, che fortunatamente rimase illeso, perché l’Ultra Soldato venne spinto lontano dalla preda.
 
“Hai ancora un conto aperto con me, ragazzino.”
 
Brock Rumlow aveva rimesso su gli arti meccanici e li aveva utilizzati per spingere via il mostro, il quale però non fu molto turbato dall’intrusione, dato che tornò a puntare l’obiettivo immediatamente.
O almeno così credeva Steve, prima che l’abominio afferrasse Rumlow per un arto meccanico e lo scaraventasse fra gli abiti esposti di quello che il biondo riuscì a identificare come un negozio d’abbigliamento.
Steve si guardò intorno e, fra i detriti, trovò uno spuntone di ferro incastrato in un pezzo del muro andato distrutto. Se ne impadronì e, senza riflettere troppo, corse in direzione di Rumlow e del mostro. L’Ultra Soldato, sentendolo arrivare, si voltò verso di lui, mentre con una mano teneva Brock per un arto meccanico e a un palmo da terra.
Il super soldato non evitò la mano incandescente, che gli si chiuse con una forza inaudita attorno al collo, e fu allora che piantò lo spuntone di ferro nella gola del mostro. L’Ultra Soldato mollò la presa su entrambe le prede, per potersi liberare dell’oggetto estraneo, ma il biondo glielo rese impossibile, perché piazzò un calcio proprio sullo spuntone e lo fece conficcare più in profondità.
Rogers lo aveva notato quando aveva mozzato la testa all’altro Ultra Soldato. Quei mostri avevano un punto debole ed era proprio la gola, dove la pelle non era impenetrabile come nel resto del corpo.

Il giovane sentiva il proprio collo bruciare e non osava toccarsi, così da evitare di scoprire l’entità del danno. L’unica cosa che alleviava il dolore della nuova ferita - sarebbe rimasto il segno, ne era certo - era guardare il mostro agonizzare. In realtà nemmeno riusciva a vedere con assoluta chiarezza, a causa della visione un po’ sfocata.
Il click di un grilletto e la sensazione del freddo metallo su una tempia aiutarono Rogers a riprendersi.
 “Hai infranto di nuovo le regole, ragazzino. Credo che mi accontenterò di farti un buco in testa, così la finiamo una volta per tutte.”

“Bel ringraziamento per averti salvato il culo.”

“L’ho salvato prima io a te, se non ricordo male.”

“Potevi lasciarmi morire, dato che ci tieni tanto a vedermi morto.”

“Non ha senso se non sono io a farti fuori.”

Steve si lasciò scappare una risata amara.
“Sai Rumlow, non ho intenzione di morire qui e per mano tua.”

Rogers fu di una rapidità eccelsa, considerando le sue non perfette condizioni. Il proiettile gli aprì un taglio sulla tempia destra e lo sparo gli fece fischiare un orecchio. Afferrò l’arma ancora calda e la strappò dalle mani metalliche di Brock, gettandola lontano. Poi si aggrappò ad entrambi gli arti meccanici del suo ex supervisore e glieli strappò via.
Schivò gli attacchi successivi e ne piazzò una decina di fila, deciso a chiudere quella storia, prima che divenisse un intralcio in una battaglia già complicata. E Steve ci sarebbe riuscito, se un pezzo di cemento non gli fosse caduto dritto in testa, facendolo stramazzare al suolo.

Brock rimase immobile, gli oggi fissi sul corpo del ragazzo, ora del tutto inerme. Scoppiò a ridere, rise in maniera incontrollata per lunghi attimi. Poi si piegò sulle ginocchia e allungò un braccio, posando le dita sulla nuca del super soldato. Quando le ritrasse, si prese un momento per osservare il sangue che ora gli imbrattava la mano.
La sua attenzione fu presto richiamata da altri pezzi di soffitto che stavano venendo giù e dalle crepe poco rassicuranti che stavano prendendo forma sul pavimento.
“Questo deve essere il karma, ragazzino. Stavolta sarò io a lasciare che un edificio crolli sulla tua testa, che può anche essere dura, ma non lo sarà abbastanza stavolta, credimi.”
Brock tornò in piedi e, dopo un ultimo sguardo ad un Rogers privo di sensi, si mosse per allontanarsi da lì.
“Addio, moccioso petulante.”
 
 
 
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“Stark.”
 
Era l’unica e ultima parola che Steve aveva pronunciato, prima che la linea diventasse muta. Cercò di rintracciare l’ultima posizione del super soldato e riuscì a circoscrivere una zona non troppo ampia.
 
“Wilson, devo abbandonarvi per un po’! Lascio a te il controllo!”
 
“Ricevuto, signor Stark” fu la risposta sicura di Sam, alle prese con l’assalto dell’ennesimo blindato e relativo plotone di soldati dell’Hydra. Metterli fuori combattimento e togliere le maschere ad ognuno di loro era un lavoraccio e, contemporaneamente, una corsa contro il tempo.
 
Iron Man attivò i propulsori e volò verso l’area individuata da JARVIS, evitando di guardare troppo lo scenario che si dipanava sotto di lui, o non avrebbe mai potuto raggiungere la sua meta. Doveva avere fiducia nei compagni che stavano già lavorando in quella zona, dove i segni di distruzione aumentavano a vista d’occhio.
“Dove diavolo sei, Rogers” parlò fra sé e sé.
Gli aveva detto di contattarlo, se ne avesse avuto bisogno, e che sarebbe stato la sua via di fuga. Il ragazzo non l’avrebbe chiamato, se non ne avesse realmente sentito il bisogno.
Iron Man individuò un gruppo di persone in prossimità di un edificio pericolante e, poco lontano, intercettò la figura di Brock Rumlow.
Nella mente cominciarono a risuonare improperi di ogni genere. Osservò quelle persone sventolare le braccia nella sua direzione ed ebbe la certezza di ciò che aveva a grandi linee immaginato.
Si infilò nell’edificio e individuò, prima di tutto, il corpo di un Ultra Soldato nella cui gola era conficcato uno spuntone di ferro. Non molto lontano c’era Steve e lo scanner nel casco dell’armatura rilevò segni vitali provenienti da lui, cosa che lo sollevò in un primo momento.
Subito dopo l’attenzione fu richiamata da un paio di Ultra Soldati all’ingresso dell’edificio.
Scaricò loro addosso un paio di piccoli missili ad alta energia, che fuoriuscirono da dispositivi innestati nelle spalle dell’armatura. Riuscì ad allontanarli per lo meno, nonostante sapesse bene che non sarebbe stato sufficiente per ammazzarli. Ma da ciò che aveva visto, Rogers il modo di ammazzarli l’aveva trovato.
Ci fu un unico e decisivo effetto collaterale causato dall’esplosione dei missili, ovvero l’edificio collassò prima del previsto, non concedendogli il tempo di prendere il compagno e di uscire da lì.
“Cazzo.”
Tony si stese letteralmente sopra il corpo del super soldato e gli coprì la testa con le braccia, sperando che fosse sufficiente a proteggerlo.
 
 
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Dopo l’onda d’urto, Barnes ci aveva messo un po’ a riprendersi ed era riuscito a tornare lucido quando aveva sentito la voce di Stark nell’orecchio.
 
“Ragazzi, battete un colpo se siete vivi. Vi prego.”
 
“Vivo. E credo di vedere Anthea.”
Il credo divenne certezza, quando si avvicinò abbastanza da non avere dubbi fosse lei. Era stesa a terra e non sembrava reagire, così la raggiunse e si accovacciò al suo fianco. Notò una brutta ferita aperta sul fianco, ma ciò che lo fece rimanere con il fiato sospeso furono le linee, diventate nere, che le segnavano la pelle di un bianco poco sano. La fece mettere seduta, sostenendola con la mano sinistra poggiata sulla sua schiena, mentre la osservava ritornare dallo stato di incoscienza.
Non era messa bene. Affatto.
“Ehi, ragazzina. Riesci a muoverti?”
Anthea portò una mano alla testa e poi distanziò quella stessa mano dal viso, abbastanza da poter mettere a fuoco le linee nere disegnate sul palmo. Spostò lo sguardo sul viso sporco di polvere e sangue di James e si sforzò di non mostrare il panico che le attanagliava le viscere.
“Posso muovermi e non solo.”
 
Barnes la aiutò a rimettersi in piedi e non gli sembrò che potesse essere in grado di fare più di qualche passo senza essere sostenuta.
“Cosa ti sta succidendo?” le chiese, seriamente in pensiero.
Non la conosceva da molto e di lei sapeva poco, ma era quanto gli bastava per fidarsi. L’aveva vista rischiare molto per aiutarli e, soprattutto, l’aveva vista mettere tutto in discussione per Steve.
Si era sempre preoccupato per l’incolumità di quello che considerava un fratello, a causa del suo inesistente spirito di autoconservazione.
Sapere che c’era una come Anthea a tenerlo d’occhio, faceva sentire Barnes più tranquillo. Ma adesso sembrava lei ad avere dannatamente bisogno d’aiuto.
Il filo dei pensieri del Soldato d’Inverno fu interrotto dall’avvicinarsi di Ultra Soldati, che avevano tutta l’intenzione di portare a termine il lavoro che era stato loro assegnato.
 
“Mi hanno stancato questi cosi. Basta esitazioni. Ti affido le mie spalle, James.”
 
Lei sorrise e Bucky poté percepire i muscoli del corpo della ragazza tendersi in maniera inverosimile, tanto che credette che potesse spezzarsi fra le sue dita.
Lo credeva impossibile, ma l’oneiriana tornò a combattere come se nulla fosse.
 
James capì che l’autoconservazione non era affatto una prerogativa di Anthea.
 
 
 
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Non riusciva a muoversi. Il peso delle macerie era spaventosamente insormontabile. Erano intrappolati e non c’era via d’uscita, se non quella di sperare nell’aiuto dei compagni.
Udì distintamente un gemito provenire dal corpo sotto di sé e percepì Steve tendersi e contrarre i muscoli, come risposta all’immobilità forzata cui era costretto.
“Mantieni la calma.”
“Tony?”
“Siamo intrappolati sotto le macerie di un edificio. Sto riattivando le comunicazioni con gli altri. Ci tireranno fuori, tranquillo.”
“Non sento più le gambe.”
“Sono dove le hai lasciate. Attaccate al tuo bacino.”
“Davvero rassicurante” rispose Steve, il cui respiro si stava facendo sempre più frenetico.
“Così riempirai i polmoni di polveri” lo riprese Stark, con un tono che non gli venne fuori troppo perentorio.
“Non riesco a respirare” confessò il ragazzo e la nota tremante che gli impreziosì la voce mise Tony in allerta.
“Sì che ci riesci. È stato Rumlow a metterti k.o.?”
Il super soldato chiuse gli occhi e si sforzò di rilassare i muscoli, anche se avere l’impressione delle interiora che si spappolano e quella delle ossa che si polverizzano gli faceva venire voglia di dibattersi e gridare. La sensazione calda del sangue sulla nuca era in netto contrasto con il gelo che gli si era infilato sottopelle.
E ancora non riusciva a riacquistare sensibilità alle gambe. Avrebbe potuto giurare di averle perse.
“Non lo so. C’era delle persone in pericolo e… dannazione... bisogna fermare gli Ultra Soldati prima che ci vada di mezzo qualche civile.”
Ecco, Steve stava di nuovo iperventilando.
“Non sempre possiamo salvare tutti.”
“Lo so, ne sono consapevole. Ma fa male lo stesso.”
Si protrasse il silenzio per un tempo che a Tony parve infinito. JARVIS stava ancora cercando di ristabilire le comunicazioni e l’ossigeno là sotto cominciava a scarseggiare. L’armatura non aveva una riserva d’aria infinita e Steve aveva già parecchie difficoltà a respirare per il fatto di essere schiacciato sotto una montagna di cemento.
Erano stati fortunati, bisognava ammetterlo, perché i detriti non avevano riempito ogni singolo spazio a loro disposizione. Anche se non passava nemmeno un flebilissimo raggio di luce, Tony era certo ci fosse uno spazio vuoto davanti a loro, piccolo ma sufficiente a non far soffocare il compagno.
“Ehi, sei ancora con me?”
“Più o meno. Svegliami quando saremo fuori” fu la flebile risposta che ottenne dal super soldato.
“Non puoi lasciarmi da solo. Ho paura del buio e divento pazzo se mi molli ora.”
Da Steve provenne un suono soffocato che Tony interpretò come una risata.
“Guarda che non scherzavo, soldato senza paura.”
“Io ho paura.”
Stark prese la palla al balzo. Nonostante l’argomento avrebbe toccato punti delicati, era indispensabile tenere sveglio il ragazzo.
“E di cosa avresti paura? Sentiamo.”
“Di rimanere solo. Di fallire. Di perdervi per una decisione sbagliata. Di non essere...”
Abbastanza.”
“Mi leggi nel pensiero, Stark?”
Steve inspirò con un po’ troppa forza per riprendere fiato, ma finì per essere scosso da colpi di tosse, che gli fecero vibrare la gabbia toracica pressata tra la terra e Iron Man.
Stark, istintivamente, cercò di inarcare la schiena verso l’alto, per alleggerire la pressione sul corpo del ragazzo, ma i suoi sforzi furono vani. Attese che la tosse gli si calmasse e controllò di nuovo le comunicazioni.
Offline.
“Non dispongo di poteri paranormali. È che ti capisco. Steve? Ci sei?”
Il Capitano emise un appena udibile lamento.
“Adesso devi ascoltarmi, perché non ripeterò una seconda volta queste parole. Mi sbagliavo su di te. Niente di ciò che hai di speciale deriva da un’ampolla. Ti ha reso più forte, ma non ha cambiato quello che sei e che sei sempre stato. Forse ora capisco perché mio padre tenesse a te. Sei uno dei pochi che non mi dispiace avere intorno. Ispiri fiducia. Quindi scusa per averti dato dell’esperimento di laboratorio.”
Per Tony non era facile confessare cose del genere, ma la situazione disperata gli aveva dato una spinta e ora sentiva il cuore più leggero. La litigata sull’Helicarrier gli era rimasta impressa a fuoco nella memoria, perché erano volate parole davvero taglienti. Erano stati meschini, come lo stesso Thor aveva detto. Forse era tardi, ma voleva che Steve sapesse che si era pentito per ciò che gli aveva sputato in faccia quel lontano giorno. Era meglio tralasciare il fatto che ci fosse voluta una situazione tanto tragica per fargli vuotare il sacco.
“Non credi che uscirò da qui, vero?”
“Mi pare ovvio. Non posso rischiare che tu vada in giro a raccontare che sono capace di certe sdolcinatezze.”
La sincera ironia di quell’ultimo scambio, li aiutò a sentire meno la pressione delle macerie. Non erano mai stati così vicini, sia fisicamente sia mentalmente.
“Anche io mi sbagliavo. Sei un egocentrico altruista. Forse è vero che il filo spinato lo tagli, ma spesso lo fai per permettere agli altri di attraversarlo senza che rimangano feriti.”
E Tony sorrise. Sorrise e basta. Nemmeno Steve aveva dimenticato quella maledetta discussione.
Un pensiero densamente scuro fece improvvisamente capolino nella mente dell’inventore.
“Essere Iron Man mi toglie spesso il sonno. Ho voluto riunire gli Avengers, ma non l’ho fatto solo per il mondo, l’ho fatto anche per me, perché con voi mi sento...”
L’esitazione si mescolava all’incertezza, mentre Tony cercava di esprimere un concetto radicato nel suo animo, eppure apparentemente così estraneo. Perché Tony Stark era un genio sì, ma la realtà dei sentimenti era un mondo oscuro e inesplorato ai suoi occhi e gli incuteva timore, anche se il suo richiamo suadente lo ipnotizzava tanto da attirarlo nel suo caldo grembo. E non era forse la sinfonia regolare di un cuore quella che risuonava, non appena varcata la soglia di tale mondo? Ecco cosa lo spaventava. Il non riuscire a sentire più la voce della ragione, sovrastata dalla voce irrazionale dei sentimenti.
“Al sicuro?”
La voce impastata di Steve, tremante di sforzo, riacciuffò Tony e lo guidò di nuovo verso la realtà, una realtà ora fredda e buia.
“Al sicuro. Sì. La solitudine fa paura anche a me ed è strano, perché sono sempre stato solo. Mi piaceva stare solo.”
Il biondo si lasciò scappare uno sbuffo divertito.
“Io cerco di fare un discorso profondo e tu ridi? Ringrazia che non posso muovermi.”
Avrebbe voluto infilarci più finta serietà in quella specie di minaccia, ma l’eco di una risata trattenuta mandò a monte il suo piano.
“Non sono abituato a un Tony Stark così profondo. ”
La morsa del dolore affondò i denti nel costato del super soldato e un rantolo soffocato gli vibrò in gola.
“Dannazione! Ma perché queste cazzo di comunicazioni non ripartono.”
“Niente panico” fu il balbettio flebile di Rogers.
“Ma tu-”
“Posso farcela. E poi devo ancora prendere a calci parecchie persone.”
“Non sei stanco di combattere? Di subire torti e violenze? Quei bastardi sono ancora in vantaggio e arriveremo al game over andando avanti di questo passo. Comincio a perdere le speranze. Tutto continua ad andare a rotoli. Sembra che il destino si sia accanito contro di noi. Ci lascia vedere un bagliore di luce e poi ci getta in un buio peggiore.”
Il silenzio calò di nuovo su di loro, pensate e gelido.
“Steve, io-”
“Siamo noi a costruire la nostra storia. Non esistono destini o disegni divini in grado di fermarci, se non vogliamo essere fermati. A morire sarà colui che perderà ogni speranza. Continua a credere e non sarai mai sconfitto davvero. Cadrai, ma ti rialzerai ancora e ancora. Devi credere, Tony. In qualsiasi cosa tu ritenga degna essere il tuo appiglio, il tuo punto fermo.”
Implacabilmente determinato. Anche schiacciato sotto una montagna di cemento, con il respiro spezzato e le ossa in procinto di imprecare con sonori crack, Steve riusciva ad essere quell’appiglio, quel punto fermo, di cui aveva bisogno per credere che tutto sarebbe andato bene.
“E tu in cosa credi, Steve?”
Un nuovo sbuffo. Uno sbuffo stanco, ma segno di una vita che testardamente continuava ad ardere in quel corpo temprato.
“Nei miei compagni che, nonostante gli errori che ho commesso, non hanno smesso di credere in me.”
 
“Sì, credo in lui tanto da mettere in gioco la mia corona, che non vale nemmeno la metà di quanto valga lui.”
Tony ricordò le parole dell’oneiriana. Davvero tutto si fondava semplicemente sul credere l’uno nell’altro? Bastava quello a tener saldi mente e cuore?
 
“Anthea.”
“Cosa, Stark?”
“Lei forse può sentirti, così come quando è venuta a tirarti fuori dalla base dove eri stato rinchiuso. Ho bisogno che tu ti concentri su di lei, adesso.”
“Va bene, posso provare.”
Non che ci fossero alternative.
 
“Resistete. Arrivo” furono le parole che, dopo svariati tentativi, Rogers sentì risuonare nella testa.
 
“Viene a prenderci.”
 
“Devo almeno un favore a quella piccoletta. E tu continua a parlare. Giuro che te la faccio pagare cara se mi molli prima che lei arrivi, chiaro?”
 
Tony non ottenne risposta.
 
“Dannazione. Sbrigati, ragazzina, per favore.”
 
 
֎
 
 
Riprendere i sensi fu come essere artigliato per le spalle ed essere scosso con una violenza tale da far vibrare tutto dentro di lui, dagli organi, alle ossa, ai muscoli. Fu come se l’effetto dell’anestesia giungesse al termine prima del tempo, facendo sì che potesse tornare a sentire il dolore di un corpo che aveva da un po’ superato il limite di sopportazione.
Aprì gli occhi a fatica e trovò ad attenderlo iridi blu come gli abissi. Quello fu un maledetto Déjà Vu. Non proprio maledetto, in realtà. Aveva un non so che di nostalgico.
 
“Ehi” fu il sussurro della ragazza a cui quegli occhi appartenevano.
“Hai un aspetto orribile” le disse con un filo di voce, ma in realtà dovette evitare di mostrare lo sbigottimento dovuto alla vista del viso di Anthea, segnato da linee serpeggianti e nere come la pece. Qualsiasi cosa le stesse succedendo, non si trattava di niente di buono, ne era certo.
“Potrei dire lo stesso di te.”
La ragazza si scostò per permettergli di mettersi seduto. Steve si guardò intorno e individuò le figure di Stark e Barnes, a pochi passi da loro. Entrambi sembravano stare bene e questo non poteva che fargli piacere. Tony, che aveva rinunciato al casco dell’armatura per scrollarsi dalla pelle la sensazione di claustrofobia provata finché la ragazzina non aveva tirato lui e Steve fuori da un ammasso di macerie, sorrise in direzione del super soldato.
“Visto che ti sei ripreso, posso quasi perdonarti per avermi mollato là sotto.”
“Mi dispiace” si scusò Steve e Stark scosse il capo, facendogli un rapido occhiolino.
 
“Dove siamo?” chiese poi il biondo e fu Stark a rispondergli con un semplice “Nel primo vicolo decente e abbastanza nascosto che abbiamo trovato.”
 
Rogers si tirò su e si appoggiò ad una parete del suddetto vicolo. Gli formicolavano le gambe e respirare era faticoso, ma poteva ancora farcela, era stato in situazioni peggiori.
Basta con stupidi errori.
 
Prima che qualcuno dicesse qualsiasi altra cosa, dal cielo piombarono quasi contemporaneamente gli altri membri della squadra.
“Ah, giusto. Ho chiamato a raccolta tutti per una rapida e temporanea ritirata. Ci serve una riorganizzazione o verremo sopraffatti presto” spiegò Iron Man, usando una leggerezza che entrava in netto contrasto con l’espressione divenuta più cupa.
 
“Lungo la strada ho trovato questo, Capitano.”
Thor, che stava porgendo lo scudo in vibranio a Steve, non era messo troppo male, a parte diverse bruciature sulle braccia e un sopracciglio tagliato. Il super soldato lo ringraziò, scambiando con lui uno sguardo che non aveva bisogno di parole.
Hulk, una volta arrivato nel vicolo, era tornato Banner. Il dottore aveva riportato diverse ferite sparse su tutto il corpo ed era costretto a tenere i pantaloni slabbrati con le mani.
Sam aveva portato con sé Natasha e Clint. I tre meno provvisti di protezioni soprannaturali o ultratecnologiche, se l’erano cavata alla grande nella gestione dei soldati dell’Hydra, ma nonostante tutte non avevano trovato alcuna traccia di Teschio Rosso.
Con loro tre era arrivata una quarta persona, estranea alla squadra ma ormai nota.
Kristen Myers era parecchio sconvolta. La coda di cavallo che raccoglieva i capelli nerissimi era un disastro e le profonde occhiaie scure risaltavano anche sulla sua carnagione olivastra. La donna scandagliò le persone intorno a lei con uno sguardo che tradiva una certa speranza, speranza che quelle stesse persone riuscissero a risolvere l’immane casino in atto.
 
“L’abbiamo recuperata per strada. Sembrava che volesse tanto unirsi a noi, dato che c’è mancato poco che si facesse uccidere” spiegò Sam, senza nascondere la diffidenza che provava nei confronti della donna.
Kristen, con gli occhi di tutti puntati addosso, prese coraggio e vuotò il sacco.
“Io ho provato a fermarlo, ma Adam Lewis è riuscito ad attivare il corpo sintetico e sta venendo a cercarvi. Mi dispiace.”
La mora faticava a trattenere le lacrime e dovette appoggiarsi ad una parete, per evitare di cadere a causa della debolezza che l’aveva assalita.
 
“Ma quel vecchio bastardo non era mezzo morto?” sbottò Barton, che non ne poteva più di questi infiniti colpi di scena.
Già erano nella merda fino al collo, quindi non avevano bisogno di fottuti guai aggiuntivi.
 
“Ha utilizzato un siero creato da lui stesso per far divenire silente il dolore e rendere il corpo attivo per un periodo di tempo che gli è stato sufficiente a portare a termine il lavoro. Non è servito a nulla portargli via le altre fiale.”
La Myers portò una mano alla fronte e cercò di non scoppiare a piangere. Non era più in grado di sostenere tutta quella situazione. Avrebbe voluto sparire da lì in quello stesso istante.
“Mi dispiace” ripeté e stavolta i suoi occhi verdi si posarono sulla figura del super soldato, come in cerca di un appiglio.
“Quanto è forte questo corpo sintetico?” chiese allora Rogers, con una calma fuori luogo ma che aiutò Kristen a riprendersi un po’.
“Non lo so. Nessuno lo sa, se non Lewis.”
 
“In realtà io un’idea me la sono fatta” intervenne Banner, attirando su di sé tutta l’attenzione.
“Mentre lavoravo per lui sotto l’influsso dello scettro, Lewis mi ha fornito tutte le informazioni necessarie per portare a termine l’esperimento. Quel corpo è praticamente una macchina. Non c’è nulla di vivo in lui e nella sua testa abbiamo impiantato un sistema neuronale particolare, una A.I. influenzabile al pari di un cervello umano. Non è come i suoi compari derivati da umani a cui è stata annullata la coscienza. E poi contiene materia organica appartenente a Daskalos e anche quella che anni fa Lewis ha sottratto a te, Anthea. Il risultato è una grosso incognita per lo stesso Lewis.”
 
L’attenzione generale si spostò sull’oneiriana. Lei non si scompose, anzi, l’espressione che ora dipingeva il volto era glaciale e risoluta.
“Abbiamo davvero bisogno di sapere cosa sia quella cosa? Farla a pezzi sarà sufficiente.”
C’erano delle volte in cui sapeva essere agghiacciante.

“Sono d’accordo con lei” acconsentì James e Thor seguì con un “Mi unisco anche io a questa linea, compagni.”

Kristen si ritrovò ad osservare Anthea e si chiese chi fosse e che tipo di legame avesse con i Vendicatori. L’oneiriana dovette sentirsi osservata, perché la Myers incrociò il suo sguardo e rabbrividì.

“Cosa facciamo allora?” chiese Banner.
 
Calò il silenzio, mentre lo sguardo di ognuno era fisso su vuoti, che cercavano di riempire con speranze vanescenti e certezze solide quanto morbida frolla.
In quel momento tanto delicato, Sam si sentiva impotente, come quando era rimasto a guardare Riley schiantarsi al suolo. Con Riley era morta una parte di Sam Wilson e quella parte sembrava essere inverosimilmente resuscitata quando Steve Rogers aveva bussato alla sua porta, chiedendo il suo aiuto. La certezza che non avrebbe più messo piede su un campo di battaglia era crollata con Steve Rogers e il suo innegabile talento a cacciarsi in guai più grandi di lui. Ora non si trattava più dell’Afghanistan, ma dell’intero pianeta, e decise che l’impotenza poteva anche andare a farsi fottere, perché non sarebbe più rimasto a guardare. Sam prese fiato e aprì bocca, lasciando che le emozioni di quell’attimo si trasformassero in parole.
“Non credo che arriveremo a capo di qualcosa standocene fermi, in attesa di una qualche divina illuminazione. È un casino, ve lo concedo, ma cazzo! Non possono vincere i cattivi, chiunque essi siano. Non lasciate che vi facciano a pezzi. Hanno osato sfrattarvi da casa vostra. Hanno osato etichettarvi come criminali. Hanno osato usare alcuni di voi per i loro scopi. Adesso, se accollarvi la salvezza dell’umanità e tutta quella roba da eroi vi pesa troppo, lasciate stare. Ma almeno vendicate voi stessi, perdio.”
 
Ci furono attimi di smarrimento generale, poi fu Barton a sbloccare la situazione, riportando alla mente dei compagni ciò che avevano stabilito prima di tornare a lavorare come una squadra.
Sembravano passati anni da allora.
“Facciamo casino, o meglio, facciamo ricorso alla nostra Caratteristica Avengeriana Sviluppata Incessantemente Nonostante Obiezioni. Che ne dite?”
“Oh no, Barton, io direi Cronica Affezione Seriamente Imprescindibile Neurologicamente Ostruttiva.”
Bruce sorrise, sfidando l’arciere con un’occhiata divertita.
La successiva reazione provenne ovviamente da Stark, che non poteva non dire la sua.
“È Concordanza Al Suicidio Infame Nondimeno Oneroso, ragazzi. E non accetto obiezioni.”
“E invece è Cretinaggine Abnorme Sorprendentemente Insuperabile Non Ovviabile” concluse Natasha, che faticava a rimanere seria, nonostante l’assurda situazione.
 
“Rogers! È vero che la mia è migliore?”
Clint cercò di trovare un consenso che decretasse la sua indiscussa vittoria e, sorprendentemente, quel consenso lo trovò davvero.

“Questa volta devo dargli ragione. E non guardatemi così. Piuttosto, siate più ottimisti voi altri.”
Steve stava sorridendo e nelle iridi cerulee si era accesa una scintilla che Anthea non poté non notare.
“Torniamo sul campo e troviamo Teschio Rosso o costringiamolo a venire fuori, privandolo del suo esercito. Gli Ultra Soldati hanno un punto debole. Puntate alla gola o staccate loro la testa. Per quanto riguarda il corpo sintetico, facciamolo a pezzi.”
 
Bene, il morale non era più sotto i piedi. Adesso bisognava agire, prima che la nuova fiamma di determinazione si affievolisse. Avevano battuto in ritirata una volta, ma non ce ne sarebbe stata una seconda. Appena usciti da quel vicolo, sarebbe stato un “o la va o la spacca”, i cui risvolti però avrebbero determinato niente meno che il destino dell’umanità.
I Vendicatori cominciarono a muoversi e Stark si premurò di dare a Rogers una ricetrasmittente nuova, perché rimanere in contatto sarebbe stato essenziale.

“Precedetemi. Vi raggiungo in un attimo” disse infine il super soldato e i compagni annuirono senza fare domande.
 
Rogers si avvicinò a Kristen e lei lo guardò con una certa tristezza, scandagliando le vistose ferite che lui aveva riportato.
“Hai con te quelle fiale che inibiscono il dolore?” le chiese lui, diretto.
La donna rimase immobile di fronte lo sguardo intenso del super soldato e le ci vollero alcuni secondi prima di riuscire a rispondere.
“Sì...”
“Funzionerebbero su di me?”
“Credo di sì, ma hanno durata limitata e alla fine ti presentano il conto. Non dovresti... potresti stare molto male... e le tue emozioni verranno come congelate…” cercò di dissuaderlo la mora, ma si rese conto di non essere riuscita ad essere molto ferma e convincente.
“Mi basta che funzionino. Non preoccuparti, me la caverò.”
Il giovane sorrise e Kristen, a malincuore, prese dalla sua borsa le cinque fialette in questione, ma esitò prima di consegnargliele. Steve le prese, le infilò in una delle tasche dei pantaloni della divisa e quando risollevò lo sguardo quasi sussultò, perché solo allora si accorse della presenza di Anthea, che nel frattempo si era avvicinata.
“Quanto forte è quella roba? Funzionerebbe ad esempio su un corpo come quello degli Ultra Soldati?”
Adesso Steve stava guardando l’oneiriana con occhi spalancati e l’espressione di chi crede di aver capito male ciò che invece ha sentito più che bene.
Kristen, dal canto suo, rimase per un attimo incantata di fronte alla strana ragazza, piena di linee nere ritratte ovunque sulla pelle scoperta.
“Su di loro funzionerebbe se si utilizzassero dosi più elevate. Due o tre fiale forse concederebbero un paio di ore di immunità. Ma già assumendo una sola fiala, si rischierebbe parecchio.”
Anthea annuì e la ringraziò, per poi farsi da parte, in attesa che anche Steve si muovesse.
Il biondo ringraziò a sua volta Kristen e fece per andare via, ma lei lo afferrò per un polso, fermandolo.
“Mi dispiace per tutto quanto” disse, sinceramente affranta.
Steve scosse il capo.
“Sei stata coraggiosa. Mettiti al sicuro e lascia fare a noi adesso. Troveremo un modo per sistemare le cose.”
La donna lo lasciò andare e rimase ad osservarlo andare via assieme alla particolare ragazza, finché non furono entrambi fuori dal vicolo.
 
Poco fuori dal vicolo, Anthea fermò Steve, afferrandolo con poca delicatezza per un braccio.
“Steve.”
Il super soldato sospirò.
“Vuoi farlo davvero?”
“Certo. Non puoi rifiutare, perché sono disposta ad arrivare a costringerti a farmi dare quelle fiale, credimi.”
 
“Sai essere convincente, questo te lo concedo. Ma se…”
 
“Niente sé e niente ma, Rogers. Non stavolta. Devo aiutarvi e quello è l’unico modo. Non posso farcela in questo stato e non guarderò morire uno di voi perché sono troppo debole per fare qualcosa. Inoltre vi ho detto che sarei stata io ad occuparmi del corpo sintetico e lo farò, costi quel che costi.”
 
E Steve non riuscì a replicare, perché lo sguardo di Anthea gli aveva bloccato ogni protesta in gola e perché, nonostante gli costasse ammetterlo, non sarebbe stato in grado di farle cambiare idea.
 
Era questo che lei provava quando lui metteva a rischio la propria vita, senza se e senza ma?
Beh, faceva dannatamente male.
 
“La tua capacità di dare una seconda possibilità alle persone mi stupisce sempre” buttò fuori, di punto in bianco, la ragazza.
Quando avevano parlato sul tetto della casa sicura di Clint, Anthea era entrata nella mente di Steve e aveva visto cosa gli era accaduta durante il tempo in cui Teschio Rosso l’aveva tenuto prigioniero. E anche quella donna gli aveva fatto del male, eppure la cosa non gli aveva impedito di essere gentile con lei.
 
Steve le sorrise e rispose con un semplice ma profondo “Credo nelle persone.”
 
   
 
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