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Autore: NyxTNeko    26/04/2020    1 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Tolone, 13 giugno

Il viaggio a bordo della Prosélyte fu relativamente tranquillo, il tempo e il clima erano favorevoli, nonostante l'atmosfera malinconica e cupa che alleggiava sopra di essa. I Buonaparte avevano trascorso quei giorni cercando di immaginare i paesaggi che avrebbero trovato. Napoleone, che aveva percorso quei luoghi molte volte, glieli avevi descritti in maniera dettagliata e precisa. Era un modo, dunque, per cercare di familiarizzare con il nuovo Paese in cui avrebbero vissuto da ora in avanti.

Man mano che si avvicinavano al porto della città di Tolone, di cui si scorgeva in lontananza, quasi sfumata, una fortezza, ciascun membro dei Buonaparte sentiva l'agitazione crescere, talmente intensa da mozzare il fiato. Il cuore di ognuno prese a battere velocemente, accelerato principalmente dalla paura per l'ignoto, per quel mondo così diverso e dall'ansia per un avvenire incerto.

Giuseppe e Napoleone erano i più preoccupati, entrambi erano coscienti delle grosse responsabilità che avevano nei confronti di ogni componente della famiglia, dalla madre al più piccolo dei fratelli, Girolamo. Il maggiore spostò leggermente le iridi chiare verso il fratello minore, che stava puntando gli occhi al porto, e trattenne il senso di smarrimento che provava, non voleva essere un peso per lui, pur sapendo che non avrebbe più avuto il ruolo che gli spettava.

La piccola e solida imbarcazione si fermò, era riuscita a trovare spazio tra le grandi fregate militari francesi che erano all'ancora, pronte a far imbarcare i marinai e proteggere le acque dalle incursioni nemiche. Le giovani sorelle, fino a quel momento strette alla madre, si erano sporte per guardare l'immensità di quel porto - È enorme! - gridò la più civettuola Paolina, curiosa e impressionabile.

- Tutto in Francia è più grande - precisò Elisa,   abituata più delle altre al mondo francese e rivoluzionario.

- Anche la confusione, a giudicare dal vociare insopportabile che proviene dalla terraferma - precisò Carolina, già infastidita da tutto quel via vai e dal chiasso che le rimbombava nella testa.

- Dovremmo farci l'abitudine - le zittì immediatamente la madre. Gli uomini che avevano gestito il peschereccio scesero agilmente dall'imbarcazione, subito dopo averla legata, e aiutarono i passeggeri a fare altrettanto, stando attenti a non rovinare i vestiti e le scarpe. E soprattutto a non farle disperdere tra la folla che animava quell'importante città di mare e di commerci.

- Vi ringraziamo - dissero le quattro donne, porgendo loro un profondo inchino. Napoleone, Giuseppe e Girolamo, in braccio al maggiore, scesero anch'essi, affiancandosi a loro. Presero le valigie e le sacche nelle quali vi era quel poco che erano riusciti a recuperare in Corsica e cominciarono ad incamminarsi, facendosi strada tra pescatori, militari e civili di ogni tipo.

- Dove andiamo? - chiese Letizia a Napoleone, che stava lottando contro se stesso per non imprecare ogni due secondi, a causa degli spintoni che riceveva involontariamente, per via della sua figura sottile, dalla gente accalcata sulla riva.

- Un momento madre - fece il ragazzo cercando, tra le tasche, l'indirizzo che si era fatto dare a Calvi. Sapeva che ai rifugiati politici, scappati da luoghi ostili alla Rivoluzione, venivano offerte delle modeste abitazioni in cui alloggiare momentaneamente, a spese dello stato. Nel caso ce ne fosse stato il bisogno avevano i risparmi della madre da parte, oltre al magro stipendio di Napoleone, in modo da pagare le eventuali spese - Dobbiamo andare da questa parte - imperò infine dopo aver chiesto l'ubicazione.

Si avviarono mestamente lungo la via indicata, riuscendo a trovare l'abitazione, era abbastanza capiente da contenerli tutti. Finalmente l'asfissiante peregrinare terminò e non appena piombarono nel salotto si fiondarono sulle poltrone, stanchissimi - Ce l'abbiamo fatta - esordì Giuseppe, accasciato su una di esse, scomposto. 

Napoleone si era appoggiato al davanzale, anch'egli esausto e sudato, respirava affannato. Avrebbe voluto ribadire che quello fosse solamente l'inizio, ma non ci riuscì, era così spossato da non avere nemmeno la forza di parlare e di lamentarsi.

Letizia fu la prima a riprendersi, balzò in piedi e incoraggiò i figli a darle una mano nel mettere in ordine il vestiario e gli oggetti dalle valigie. Giuseppe strabuzzò gli occhi all'idea di doversi rialzare, sentiva i muscoli doloranti e intorpiditi, le ossa a pezzi, la testa girare. Non avrebbe mai immaginato che un viaggio in mare sarebbe stato tanto sfiancante e terribile. Era incredibile il fatto che si fosse subito ripresa, stranamente prima di Napoleone, di solito era lui a rimproverare la loro pigrizia, al pari degli altri, invece, se ne stava in silenzio a riprendere le energie per ripartire.

- Eccomi madre - fece il secondogenito raggiungendola, celava la sua stanchezza e la sua necessità di riposo e si mise a sua disposizione. Aprì le valigie e iniziò a sistemare gli oggetti sugli scaffali e a cambiare i piatti, impolverati e sporchi, con i propri, lavati e puliti. Eseguiva meccanicamente quei piccoli lavori, il suo desiderio, al momento, era di tenere impegnata la mente su ciò che stava facendo, voleva concentrarsi su altro. Non voleva stancarsi ulteriormente, adirandosi.

Letizia, intanto, sgridava gli altri, in particolare Giuseppe - Capisco la stanchezza ma le cose non si mettono a posto da sole! - sbottò la donna, lo prese per orecchio e lo trascinò fino al fratello che, nel frattempo, stava ricevendo l'aiuto delle sorelle, incoraggiate dal suo esempio.

- Va bene, ora lasciatemi madre - la pregò Giuseppe dolorante, riuscì a togliere la mano dall'orecchio, ormai rosso e ad obbedire come un soldatino. Napoleone e le sorelle ridacchiarono, facendo arrossire il maggiore, imbarazzatissimo.

Poco dopo Letizia richiamò le figlie per accompagnarla al mercato a fare compere.  La donna non conosceva quasi per nulla il francese, si era sempre rifiutata di impararlo, perciò aveva bisogno delle figlie per comunicare. Le tre ragazze, curiose di esplorare la città, lo fecero più che volentieri. Si unì al gruppo il piccolo Girolamo saltellante e giochellerone, desideroso di correre all'aria aperta. 

- Mi sa che per un po' sarà lei a comandare - provocò pungente il secondogenito - Prepariamoci a lavorare sodo - aggiunse furbetto. Essendo soli erano liberi di poter parlare liberamente.

- Per te è facile, Nabulio - borbottò l'altro, innervosito da quella situazione imbarazzante, in quanto capofamiglia avrebbe solamente dovuto dare ordini, persino alla madre - Sei abituato a fare queste cose, avendo vissuto praticamente da solo e lontano da casa per molti anni, più di tutti noi...

- Hai ragione Giuseppe - ammise Napoleone guardandolo intensamente, la sua espressione tornò ad essere quella di sempre. Posizionò delicatamente il servizio da tè nella credenza aperta e la richiuse con altrettanta attenzione - Avrei dovuto capirlo subito che la Corsica non era più il mio mondo, che ormai sono un francese a tutti gli effetti - lanciò un violento pugno al tavolino rotondo poco distante dalla credenza, Giuseppe sobbalzò - Sono stato uno stupido a credere di poter essere sia corso sia francese, il mio destino era segnato fin da quando avevo quasi 10 anni, invece mi sono illuso e ho sperato invano, coinvolgendovi tutti - si morse il labbro inferiore, rabbioso.

Per fortuna c'erano solo loro due in salotto, altrimenti sarebbe stato davvero difficile, per Giuseppe, controllare le traboccanti emozioni del fratello minore. Si sentì in colpa per aver portato a galla quell'argomento, vedeva Napoleone dannarsi, tormentato da pensieri opprimenti e pessimisti.

L'orgoglio patriottico di Napoleone era stato fatto a pezzi e nessuno al mondo avrebbe potuto ricostruirlo. Non aveva più una patria, un Paese che poteva davvero amare con tutto sé stesso, al pari della sua isola natale. La Francia non sarebbe riuscita a sostituirla, neppure attraverso la Rivoluzione avrebbe potuto rivalutarla completamente. Quel Paese lo aveva fatto soffrire in passato e adesso lo aveva svuotato, privandolo di un'identità definitiva.

Tetro, si sedette d'un tratto, sbatté la fronte prominente sul tavolo, il naso premeva dolorante sulla dura superficie, i capelli scomposti e lunghi scivolarono, al pari di un groviglio informe, in parte sulle spalle e in parte sul legno, batteva ripetutamente i pugni, trattenendo la rabbia e la frustrazione per tale situazione. Un'altra preoccupazione alimentò il suo smarrimento: come avrebbe fatto a mantenere la famiglia con praticamente nulla? Lo aveva fatto per molto tempo, ma prima non vivevano in condizioni così catastrofiche. Erano più poveri degli elemosinanti. Tremava scosso dall'ira e dal terrore.

Il maggiore lo fissò turbato, prima d'allora non lo aveva visto perso, sconfortato in quella maniera. Si fece comunque forza e si accomodò accanto a lui, posò delicatamente una mano sulla schiena, dandogli dei colpetti. Era giunto il tempo di comportarsi da primogenito - Non tutto è perduto fratello - sussurrò ottimista, positivo - Si può sempre ricominciare da capo, basta volerlo, non lo dici sempre che la volontà può tutto?

Napoleone balzò bruscamente, come se fosse stato ridestato da quelle parole. Nonostante i capelli spettinati che coprivano gli occhi, Giuseppe poté scorgere quell'inquietudine che faceva parte di lui - Per te è facile, Giuseppe - ripeté flebile, roco.

Il fratello allungò la mano al petto di Napoleone e tastò delicatamente la divisa che indossava - Tu hai un grado militare fratello - emise sorridendo, convinto di ciò che stava per dirgli - Hai studiato tanto, con impegno e passione, per ottenerlo e sono sicuro che arriverai ancora più in alto, ti conosco, Nabulio, questo sconforto passerà presto, com'è accaduto alla stanchezza poco fa e allora mostrerai ai tuoi superiori di che pasta sei fatto, la tua ambizione, la tua caparbietà, le tue capacità ti porteranno a dei risultati inimaginabili!

Napoleone rimase ad ascoltarlo in silenzio, incredulo, sbatté più volte le lunghe ciglia. Aveva così tanta fiducia in lui? Lo aveva più volte messo nei guai in Corsica, troppo spesso aveva sottostimato le sue qualità, perché mansueto e pigro. Era sempre stato piuttosto severo nei suoi riguardi, persino da piccoli, eppure non aveva mai smesso di provare stima e affetto. Poteva contare su Giuseppe.

- Ovviamente non farai tutto da solo, Nabulio, ci aiuteremo vicendevolmente, io pure ti darò una mano, anche se qui non conosco alcuno, cercherò di trovare qualche impiego possa permettere a me di adoperare le mie competenze professionali - precisò alla fine, dandogli una sonora pacca sulla spalla - E poi non dimenticare che non molto lontano da Tolone c'è Luciano...

- È vero - fece Napoleone tornando in sé - Luciano può aiutarci! Anzi, soprattutto lui deve farlo, in quanto gran parte di quanto è accaduto a noi è colpa sua - proseguì poi, si aggiustò i capelli e scrutò Giuseppe, nuovamente fiducioso del futuro. Suo fratello aveva ragione, aveva studiato per arrivare a quei livelli e la Rivoluzione poteva offrirgli le occasioni che attendeva impaziente, specialmente mettendo in pratica le sue abilità. Adesso poteva dedicarsi alla sua carriera, non era necessario inventarsi scuse, né farsi compilare dei falsi certificati di malattia.

Inoltre non c'era per forza bisogno di amare il Paese che lo ospitava per poter compiere il proprio lavoro al meglio, anzi, il non avere vincoli che lo legavano alla Francia avrebbe reso tutto più facile. L'amore, in ogni sua forma, procurava dolore, il disinteresse, al contrario, permetteva obiettività e oggettività. Non aveva senso disperarsi per il passato e temere il futuro. Avrebbe agito come sempre, ossia districandosi tra le varie fazioni, agendo di testa propria, senza dover tenere conto di eventuali ideali.

Napoleone strinse la mano di Giuseppe e disse, davvero sollevato dalle sue parole - Ti ringrazio, fratello - nei suoi occhi tornò a brillare quella luce intensa. Le labbra sottili s'incurvarono lievemente.

- Questo è il Napoleone che conosco! - ridacchiò l'altro complice. Forse non sarebbe stato un male voltare completamente pagina e rifarsi la vita in un posto a loro sconosciuto, mostrandosi per quello che erano e non per il nome che portavano. La Francia offriva delle opportunità incredibili per chi era in grado di usare il cervello - Come dissi a Saliceti, Paoli si pentirà del trattamento riservatoci...

- Saliceti... - soffiò pensieroso Napoleone - Chissà come se la sta cavando? Anche se penso che ci raggiungerà tra non molto pure lui - il suo sguardo si focalizzò sulla porta d'ingresso, dalla quale entrò la madre e le sorelle con del cibo - Sono arrivate - corse da loro, seguito dal fratello.

- Gesù, non potete immaginare con quanta gente ho dovuto litigare per recuperare del pesce fresco - ansimò la madre ancora sconvolta, mentre Paolina e Carolina ridevano sotto voce, sapendo ciò che la madre aveva combinato - Per poco non prendevo a schiaffi una contadinella che voleva superare la fila imposta dai militari, diceva di avere la precedenza su di me, perché sono straniera, che cafona!

Napoleone ricostruì nella sua testa la scena, soffocando a stento le risa che volevano uscire dalla bocca, che coprì con la mano - Neanche siamo arrivati e già ci facciamo riconoscere, madre - scoppiò alla fine, non riuscendo a trattenersi. Seguirono gli altri, contagiati dalla fresca risata.

- Se continuate a ridere, andrete a letto senza cena! - sbuffò sarcastica la donna, non scomponendosi minimamente. In cuore suo era divertita lei stessa della situazione in cui si era trovata, si era resa conto di quanto fosse evidente la fierezza, la caparbietà corsa fuori dell'isola. Ai suoi occhi le francesi apparivano come rammollite e sottomesse, o forse era lei ad essere così dominante e poco incline alla sopraffazione. "Ora capisco perché Carlo si sentiva a suo agio in Francia" rifletté.

Il secondogenito si occupò di Girolamo, divenuto improvvisamente loquace, lo fece sedere sulle gambe. Il piccolo, di otto anni, gli stava raccontando allegramente ciò che aveva veduto e udito in quella giornata particolare - È stata una bella avventura! - esclamò il ragazzo. Il fratellino annuì convinto e riprese la narrazione, avendo catturato l'attenzione del fratellone.  

Intanto Letizia, aiutata dalle altre donne di casa, preparò da mangiare, non era abbondante come da loro, a causa dell'inflazione crescente e dell'inutilità della cartamoneta. Dovevano accontentarsi, tuttavia non si lamentarono né della quantità, né della qualità, affamati com'erano, andava bene qualsiasi cosa, purché fosse commestibile.

Napoleone riscoprì quel calore familiare che credeva di non provare una volta sbarcati in Francia, nonostante la lontananza dai luoghi di origine. Si sentiva a casa ovunque, con la sua famiglia, non sarebbe mai stato solo, da quel giorno in poi, perché poteva contare sul sostegno dei parenti.

La madre intravide nel figlio questi sentimenti e il constatare quel suo viscerale bisogno di serenità e pace dopo tanta erranza e dolore la rincuorò. "Spero con tutto il cuore di vedervi appagati, figli miei, lo meritate" pregò osservando i due maggiori brindare alla nuova vita francese, credeva che un simile gesto fosse di buon auspicio. Il pensiero della donna si focalizzò su Luciano e Luigi, non li vedeva da mesi, in particolare il secondo "Chissà come stanno! E cosa staranno facendo tutti e due! Mi auguro solo che non si siano uniti a persone poco raccomandabili".

 

   
 
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