Libri > Hunger Games
Segui la storia  |       
Autore: Ser Balzo    26/04/2020    1 recensioni
Ti hanno detto che la guerra è arte, e che Clove e Dan non potrebbero essere più diversi.
Ti hanno fatto vedere che occorre esercizio, pazienza e una certa dose di estro poetico, e che quella sadica assassina e quello stupido mandriano non sono altro che due patetiche pedine, due profili su una parete scalcinata, miserabili vittime di un gioco ben più grande di loro.
Ti hanno insegnato tutto questo e tu hai imparato. E hai fatto bene.
Fino ad oggi.
Perché i Settantaquattresimi Hunger Games hanno spazzato via tutto, e ora niente ha più importanza. E chiunque tu sia, se un umile pedone, un coraggioso cavallo, un disciplinato alfiere o un'implacabile regina… sai già cosa accadrà, quando ti ritroverai tra il fango e le bombe, a pregare qualunque cosa perché ti rimetta gli intestini nella pancia e ti conceda finalmente l'oblio.
Ora guarda quei due ragazzi, quelle due anime inseguite da eserciti di ombre, braccate da legioni di demoni, e chiediti: qual è la prima regola dell’arte della guerra, la più importante?
Vincere?
Quasi.
Vincere è fondamentale, ma non essenziale.
Dovresti saperlo: prima della regola uno viene la regola zero.
Resta vivo.
Genere: Avventura, Azione, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clove, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

18.
Strane serate di un altro domani

 

 

 

So if you're crazy, I don't care, you amaze me

But you're a stupid girl, oh me, oh my, you talk

I die, you smile, you laugh, I cry

And only a girl like you could be lonely

And it's a crying shame, if you would think the same

A boy like me's just irresistible

 

– The Fratellis, Whistle For The Choir

 

 

 

 

Fu un frullo d'ali a risvegliarlo. 

Dan sollevò la testa dal cuscino e guardò fuori dalla finestra della sua camera. Fuori, il crepuscolo persisteva negli ultimi momenti di luce prima di cedere finalmente il passo alla sera.

Si stiracchiò con pigra lentezza, lasciando che le vertebre scrocchiassero una per una. Si alzò, raggiunse la finestra e si affacciò. Il profumo della siepe di gelsomino che separava il suo giardino da quello degli Harper lo salutò con la cortesia di una vecchia amica. 

Seduto su una poltrona di vimini, un libro abbandonato in grembo e un bicchiere di tè freddo in mano, John Harper lo salutò dalla veranda di casa sua.

Mentre ricambiava il saluto, Dan provò una strana fitta di malinconia. Confuso da quella reazione apparentemente immotivata della propria anima, si allontanò dalla finestra e uscì da camera sua. Nel corridoio risuonava l'eco di una canzone proveniente dal piano di sotto.

 

 

I had a dream last night

I dreamt that I was swimming

And the stars up above

Directionless and drifting

And somewhere in the dark

Were the sirens and the thunder

And around me as I swam

The drifters who'd gone under

 

Dan scese le scale e si diresse verso il salotto. Si sorprese ad avanzare con circospezione, come se temesse di spaventare qualcuno. Arrivato allo stipite dell'apertura che dal corridoio conduceva in salotto, si fermò. Aveva la forte impressione che qualcosa di oscuro stesse cercando di tirarlo indietro. Si rese conto che non ricordava nulla di quanto successo prima di addormentarsi, e sentì l'eco di un lontano spavento accarezzargli lo sterno. Ma prima che potesse chiedersi perché, tutto sparì come se non fosse mai successo.

 

Time, love

Time, love

It's only a change of time 

 

Dan si affacciò nel salotto. 

Seduta sul divano, intenta a muovere due ferri d'acciaio per creare una sciarpa, Rose Martin sollevò lo sguardo su di lui e sospirò.

«No, mi spiace, non ho cambiato idea.»

Questa volta la fitta fu quasi dolorosa. Stupito e in parte anche un po' spaventato, Dan si portò una mano al petto. 

«Ehi» disse Rose, abbassando i ferri e aggrottando le sopracciglia. «Tutto bene?»

«Sì, io – credo di sì.» Dan si sentiva la bocca impastata, come se non parlasse da giorni – da anni, addirittura. «Mi sono appisolato.»

«Lo vedo» replicò Rose, adocchiando i suoi capelli arruffati. «Non hai proprio l'aria di uno che deve andare a una festa.»

Dan la guardò stranito. «Festa?»

Rose inclinò la testa, scrutandolo con aria clinica. «Sei sicuro di star bene?»

«Sì, scusami. Mi sento un po' strano. Mi sa che ho avuto un incubo.»

«Ah. Mi dispiace.» Rose poggiò i ferri con l'embrione di sciarpa attaccato a uno di essi e si alzò dal divano. «Senti, se proprio ci tieni vengo. Ma non giudicarmi se dopo dieci minuti voglio scappare via.»

«Sì» disse Dan, con un'intensità che lo stupì. «Ci terrei.»

«Ok, va bene. Allora io... vado a cambiarmi, sì.» Rose fece qualche passo verso le scale, poi si fermò. «Lee ha detto che dovrebbe essere qui tra una decina di minuti. Dovrebbero bastarmi, spero.»

Rose sparì al piano di sopra. Dan rimase impalato nel soggiorno, poi decise che sarebbe andato in giardino. Non sapeva perché, ma avvertiva il bisogno di sentire di nuovo l'odore della siepe di gelsomino.

Ritornò verso le scale, passò alla loro destra ed entrò in cucina. Si rese conto che stava morendo di sete. Andò al rubinetto, sollevò la maniglia e rimase a guardare l'acqua scorrere, come se fosse la prima volta che compiva un gesto del genere. Mentre continuava a guardare il getto d'acqua colpire la superficie d'acciaio dell'acquaio, aprì la credenza sopra il lavandino, prese un bicchiere e lo riempì. Bevve in maniera scomposta, stupendosi della propria foga. Era come se fosse appena tornato da settimane di camminata nel deserto. Qualunque incubo la sua mente aveva prodotto, doveva essere stato piuttosto intenso.

Aprì la porta della veranda, e un leggero venticello di inizio estate penetrò sotto la sua maglietta. Sopra gli alberi che sorgevano poco oltre lo steccato in fondo al giardino, il cielo era un tripudio di viola, rosa, azzurro e arancione.

«Danny-dan... che accidenti hai fatto ai capelli?»

Sua madre si alzò dal divanetto e si avvicinò con fare risoluto, lasciando suo marito seduto a leggere un libro.

«Dove credi di andare conciato così? Capisco che il look trasandato abbia il suo fascino, ma fino ad un certo punto...»

Dan provò l'impulso di lamentarsi mentre sua madre cercava disperatamente di fargli un'acconciatura che potesse considerarsi socialmente accettabile, ma non lo fece. Rimase in silenzio, osservando le falene danzare intorno alla lanterna che illuminava con luce morbida e calda la veranda. 

Suo padre lo scrutò da sopra la copertina del libro. «Tutto bene, Dan?»

Lui ci mise un po' per rispondere. «Credo di sì. Non so... mi sento un po' strano.»

«Non stento a crederlo, visto che stai sopportando le torture di tua madre senza battere ciglio.»

«Oh, piantala, Adam» ribatté la signora Martin. «Tuo figlio mi ringrazierà, fidati. Ci sarà anche quella ragazza alla festa, vero?»

«Che ragazza?»

«Va bene, ho capito, non vuoi parlare con i tuoi vecchi» sospirò sua madre. «Mi sembra anche giusto, d'altronde.» Finì di sistemargli i capelli e arretrò di un passo. «Mmh... direi che ci siamo. Puoi andare.»

«Grazie, mamma» rispose lui. Sentiva che avrebbe voluto aggiungere altro, ma articolare le parole gli risultava difficile come cercare di stringere il pulviscolo tra le dita. 

«Figurati, tesoro» rispose lei, dandogli un buffetto sulla guancia. «Uh, questo dev'essere Lee» aggiunse, sentendo il suono del campanello. «Beh, cosa aspetti? Vai!»

Dan si rese conto che quelle parole erano dirette a lui. «Oh, certo, vado.»

«Sicuro di star bene, Dan?» disse sua madre, scrutandolo con cipiglio da infermiera. «Potrebbe essere quell'influenza estiva che gira...»

«No, sto bene. Davvero.»

Suo padre gli lanciò uno strano sguardo. Sembrò sul punto di dire qualcosa; ma la signora Martin lo interruppe.

«E allora vai, su! E non fare troppo tardi, mi raccomando. Ma neanche troppo presto. Rientra al giusto orario, insomma.»

«Certo, mamma.»

Dan guardò suo padre, in attesa di quelle parole che era stato sul punto di pronunciare. ma lui era già sparito dentro il libro, trasportato in qualche luogo lontano dove non poteva più sentirlo.

 

Dan andò alla porta aspettandosi di trovare Lee; ma al posto del suo amico, ad attendere sul marciapiede c'era una ragazzina con una treccia bionda e un bianco vestito a fiori.

«Tu devi essere Dan.»

Dan annuì. Scrutò il suo volto, mentre la sensazione di doversi ricordare qualcosa gli pizzicava la nuca. «Ci siamo già visti da qualche parte?»

«Più o meno tutti hanno visto tutti, da queste parti» rispose lei. «Mi chiamo Dana, comunque. Sono un'amica di Rose. O meglio, credo. Voglio dire, spero che lei mi consideri come tale, perché per me lo è—»

«Sì, Dana, per l'ennesima volta – sei mia amica.»

Rose era comparsa alle spalle di Dan. Si era messa le sue vecchie scarpe di tela, ma il vestito nero che portava tradiva un certo desiderio di essere adatta all'occasione. Guardò verso sinistra, e fece un cenno di saluto. Qualche metro più in là, Lee chiuse il cancelletto di casa sua e si avviò di gran carriera verso di loro.

«Signori – e signore, buonasera.» Lo sguardo di Lee saettò divertito su Rose. «Non mi dire che ti ha convinto.»

«Ebbene sì. Ma ho negoziato di potermene andare quando voglio.»

«Oh, vedrai» ridacchiò lui. «La festa di stasera non è roba di tutti i giorni. Vieni anche tu?» aggiunse, rivolto a Dana.

«Sì» rispose Rose per lei. «L'ho invitata io. Così avrò qualcuno con cui parlare quando voi maschi alfa andrete in giro a rimorchiare.»

«Tu ci sopravvaluti, cara Rose» disse Lee. «Io e tuo fratello danziamo continuamente sul tagliente filo che separa i penultimi dai reietti sociali.»  

«Penelope O'Brian non sembra pensarla a questo modo.»

«Cos – intendi Penelope O'Brian del Club di Scienze?»

«Proprio lei. Sono settimane che aspetta che tu le chieda di uscire.»

«Ma come – tu come fai...?»

«Osservo, mio caro.»

Lee si schiarì rumorosamente la gola. «Ok, ehm – buono a sapersi. E... per caso, ehm – credi che lei ci sarà... non per – insomma, chiedo solo—»

«Non voglio certo rovinarti certo la sorpresa, vecchio mio.»

«Dan, vuoi dire qualcosa a tua sorella per favore?»

Dan guardò i due con aria confusa. Sembrava come se qualcosa gli pesasse sulla testa, impedendogli di pensare lucidamente.

«Scusate, non vi seguo.»

Lee gli lanciò un'occhiata preoccupata. «Tutto ok? Ti vedo un po' strano.»

«Oggi pomeriggio si è addormentato» disse Rose. «È da quando si è svegliato che è così.»

«Ah, capisco. Brutta storia, i pisolini. Se passi la mezz'ora di sonno sei fregato.»

«Sognare di giorno non è mai una buona idea» disse Dana. «Sono quasi sempre incubi.»

Dan la guardò. Non sapeva perché, ma le sue parole sembravano più chiare rispetto a quelle degli altri due, come se venissero trasmesse su un canale sintonizzato meglio rispetto a quello degli altri.

«Credo di aver sognato» disse. «Ma non ricordo cosa.»

«Beh, meglio così» disse Lee. «A giudicare da come stai messo, non doveva essere un bel sogno.»

Dan osservava la treccia con cui Rose aveva legato i suoi capelli. Non si era mai reso conto quanto i suoi capelli castani tendessero al rosso.

«No, infatti.»

 

I quattro uscirono dalla Decima Strada e svoltarono a sinistra, diretti verso la Quarta.

«Qualcuno conosce il tipo della festa?» chiese Rose. 

«Odair, intendi?» replicò Lee. «Di vista. Per essere uno delle prime strade, è abbastanza a posto. E poi casa sua è una gran figata. C'è anche un sentiero che porta dritto al Pontile delle Luminarie...»

«Ovviamente» commentò Dana.

«Ho sentito che ci sarà Katniss Everdeen» disse Lee. 

«Lo spero» replicò Rose. «Ma lo vedo difficile. Non mi pare un animale da festa. E poi, con questa storia della borsa di studio ha già parecchi riflettori puntati addosso...»

«Borsa di studio?» chiese Dan.

Rose gli scoccò un'occhiata perplessa. «Mi pare che ci fossi, al Raccolto.» 

Lee sospirò. «Smettila di chiamarlo Raccolto

«Beh, ma è quello che è. Una baracconata che con la scusa di premiare il merito fa avanzare sempre i soliti. Che cosa se ne dovrebbero fare i ricconi delle prime strade della borsa di studio per il Capitol College? Eppure, casualmente, quasi sempre è uno di loro a ottenerla.»

«Oh, piantala... stasera è vietato borbottare.»

«Non è questione di borbottare, ma—»

«Sh-sh» la interruppe Lee. «Ne riparleremo quando sarai Presidente. Per ora, rilassati e goditi il momento.» Inspirò profondamente, poi buttò fuori l'aria con grande soddisfazione. «L'inizio dell'estate. Quando ancora il sole non scioglie l'asfalto e tutti sono ancora convinti che queste saranno le migliori vacanze di sempre. Esiste un periodo migliore?»

«Sei sempre così allegro?» gli chiese Dana.

«Mi tocca, devo compensare i fratelli Musolungo...»

«Ehi!» protestò Rose.

Ancora una volta, Dan ebbe la netta sensazione che avrebbe dovuto dire qualcosa. Come se, da qualche parte, esistesse un altro Dan che, al suo posto, avrebbe fatto esattamente quello. 

Guardò la strada sgombra, le case che iniziavano a punteggiarsi di luci e le prime stelle che cominciavano a fare capolino nel cielo della sera.

E seppe che, almeno per lui, non c'era altro da aggiungere.

 

La casa – anche se chiamarla casa era alquanto riduttivo, viste le sue dimensioni – di Finnick Odair era in fondo alla Quarta Strada, proprio sul ciglio della scogliera che dava sul mare. Per questo motivo, e per il fatto che i suoi genitori erano spesso assenti nei finesettimana, era il luogo preferito dai ragazzi del quartiere quando si trattava di organizzare una festa.

Finnick era sull'ingresso, appoggiato allo stipite della porta con un bicchiere di plastica in mano, impegnato a parlare con una ragazza minuta dai capelli biondi talmente chiari da sembrare quasi argentati. Vedendoli arrivare fece un sorriso di smagliante complicità, sollevando il bicchiere in cenno di saluto.

«Benvenuti, benvenuti» disse quando furono abbastanza vicini. «Gli Odair vi offrono la loro umile dimora. Dentro c'è da bere... e da mangiare, credo. Nessuno mi chiede mai se c'è da mangiare. Oh, e se riescono a non farmi saltare la luce anche questa volta, Penny e la sua nuova band dovrebbero suonare in giardino.»

Lee dischiuse la bocca in maniera particolarmente idiota. «Penny non è Penelope O'Brian, vero?»

«Nuova?» chiese Rose. «Ne ha messa su un'altra?»

Finnick fece spallucce. «A quanto ho capito. Ha tirato dentro una della Nona Strada e addirittura uno  della Seconda. Ora si chiamano... non ne ho la più pallida idea.»

«Penelope O'Brian ha una band?» disse esterrefatto Lee.

«Beh, signori, direi che questo è tutto» li esortò Finnick. «Andate, divertitevi e state attenti nel moltiplicarvi, se potete.» Prese qualcosa dalla tasca della camicia e la porse a Dana. «Zuccherino?»

 

Il vasto salone subito dopo l'ingresso traboccava di persone provenienti da tutte le Strade, stravaccate sui preziosi divani, ammucchiate intorno a fragili suppellettili e, in certi casi, anche sdraiati sul lungo tavolo posizionato di fronte alla vetrata panoramica che dava sul mare.

«Ok, bella festa» disse Rose, con una strana vocetta acuta. «Posso andare a casa adesso?»

«Io passerei dal giardino prima» propose Dana.

«Giusto» approvò Lee. «Giardino. Sì. Il giardino è molto importante. Le aiuole, le fontane – cose belle.»

Rose gli lanciò un'occhiata esasperata, poi sospirò. «Va bene. Andiamo a vedere se Penny riesce a non far saltare la corrente.»

Mentre gli altri si preparavano ad affrontare il viaggio per arrivare in giardino – che, viste le dimensioni della villa, si prospettava non poco impegnativo –, Dan riconobbe il fratello di Lee appoggiato a una parete, vicino ad un tavolo da biliardo dove due ragazzi e una ragazza sembravano così impegnati in una partita da dare l'impressione che in palio ci fossero le loro stesse vite.

«Ora vedrai, Hawthorne» disse la ragazza.

«Tu che spacchi il tavolo da biliardo?» rispose il ragazzo interpellato.

«Io che faccio nere le tue chiappette da Ultima Strada.»

«Non era un'amichevole questa?» fece il terzo ragazzo.

«Niente è amichevole quando si tratta di bilardo» sentenziò la ragazza.

«E questa, mio caro Peeta, è una povera vittima di ipercompetizione compulsiva...»

«Zitto e gioca, Hawthorne.»


«John?» disse Dan quando fu vicino al fratello di Lee. Pronunciò il suo nome con voce incerta,  come se non fosse sicuro che quello fosse veramente il suo nome.

«Ehilà. Bella serata, eh?»

«Suppongo di sì.»

John lo soppesò con lo sguardo. «È strano, Dan. Se non ti conoscessi, direi che non ti piace essere qui.»

«In che senso qui?» disse lui d'impulso.

John lo guardò stranito. «Qui alla festa. Nel senso che hai l'aria un po' frastornata, come il sottoscritto quando è di fronte a più di tre persone. Se ti ho offeso non—»

«No, figurati. Ho solo... ho dormito troppo, oggi.»

«Oh. Capisco. Mi dispiace, non è piacevole quando succede.»

Dan rimase in silenzio. Sentiva che c'erano un milione di cose che avrebbe voluto chiedergli; ma erano domande che avvertiva lontane, come se provenissero da un luogo remoto di cui lui aveva scarsa se non nulla comprensione. 

«Ehi» disse alla fine John, «ho sentito che hai mollato il Club di Scherma. Mi dispiace, ma immagino che avessi i tuoi motivi.»

«Già» si sentì rispondere Dan.

«Beh, se sentissi il bisogno di qualcosa un po' più riflessivo, puoi sempre passare al Club degli Scacchi. Certo, non è un'esperienza che puoi rivenderti alle feste, ma è una di quelle cose che ti aprono la testa. E poi il professor Rorke ha una mente davvero geniale... anche se ogni tanto è un po' strano. Ma suppongo che sia inevitabile, per quelli come lui.»

«Oh, ti ringrazio... ma gli scacchi mi sono sempre sembrati troppo complicati.»

«Beh, è per questo che si impara.»

«Anche questo è vero.»

John si staccò dal muro. «Beh, tu pensaci. Io intanto vado a rifornirmi di... qualunque cosa stia bevendo. Credo sia aranciata, ma conoscendo Finnick ci sarà sicuramente dentro della Vodka.

Dan salutò John e lo vide sparire zoppicando in mezzo alla folla. Ritrovatosi solo, ebbe l'impressione che tutti i rumori si fondessero in un unico, basso mormorio ovattato, e che le persone intorno a lui non fossero veramente lì, presenti con la loro carne e le loro ossa, ma fossero semplicemente delle proiezioni impalpabili, impossibili da toccare. 

Per scacciare l'angosciante sensazione di vuoto che si stava espandendo dentro di lui, Dan decise di raggiungere gli altri in giardino. Abbandonò il salone, percorse un lungo corridoio e si ritrovò in un altra sala, un po' più piccola della precedente ma abbastanza grande da contenere una zona cucina, un tavolo da poker, un megaschermo di parecchi metri di diametro e una vasca idromassaggio là dove un'altra vetrata panoramica, ovviamente rivolta verso il mare, faceva angolo. 

«Marvel? Marvel!» gridava una ragazza bionda in bikini, saltellando dall'impazienza dentro la vasca. «Serve altro champagne!»

Un ragazzo seduto al tavolo da poker alzò lo sguardo dalle proprie carte e le scoccò un'occhiataccia. «E allora vattelo a prendere!» le gridò di rimando.

«Ma non ho voglia!»

«E io sì invece?»

Dan si lasciò il loro battibecco alle spalle e uscì fuori in giardino. Mentre setacciava la variopinta moltitudine sparsa fra l'erba e i cespugli aromatici, il fischio acuto di un amplificatore proveniente da un gazebo sulla destra assordò per un momento tutti i presenti.

«Scusate, scusate» disse una ragazza bionda, girando una manopola sulla propria chitarra elettrica. Scambiò uno sguardo con i suoi due compari, una al basso e l'altro alla batteria. «Ok, direi che ci siamo.» Appoggiò il palmo della mano destra alle corde e cominciò a muovere rapidamente il plettro. «Signori e signore, grazie di essere qui per caso. Siamo gli Odds in your favor e forse riusciremo a non spaccare tutto alla fine di questa serata... forse.»

Un grido di esultanza accolse quelle parole. Mentre il basso e la batteria si univano agli accordi della chitarra, Dan riuscì finalmente a scorgere il vestito a fiori di Dana – e subito accanto, quello nero di sua sorella. Si immerse nella folla e avanzò verso di loro, mentre la voce della bassista, una ragazza mora che per l'occasione aveva deciso di mettersi un cerchietto con una freccia che pareva attraversarle la testa, riempiva il giardino.

 

I always flirt with death

I could kill but i don't care about it

I can face your threats

Stand up tall and scream and shout about it

 

Dana e Rose erano in fondo, vicino allo steccato che separava il giardino dalla scogliera; insieme a loro c'era un'altra ragazza. Aveva un vestito arancione e una strana coda ottenuta con diversi elastici che le stringevano e le allargavano i capelli scuri in un movimento ondulato. 

 

I think I'm on another world with you,

With you

I'm on another planet with you,

With you

 

«Ehi, Dan. Posso presentarti Clove?»

Quando lo sguardo della ragazza e quello di Dan si incontrarono, successe una cosa molto strana. La prima fu che Dan venne travolto da un vertiginoso e impossibile miscuglio di terrore e sollievo; la seconda fu che lui ebbe l'assoluta certezza che la stessa, identica cosa fosse accaduta anche a lei.

«Siamo compagne del Club di Dibattito» proseguì Rose. «Finora non sono mai riuscita a batterla. Ma un giorno chissà...»

Clove continuava a fissarlo. Sembrava che gli altri neanche esistessero.

«Tua sorella si batte bene» disse. «Se avesse un po' più di esperienza potrebbe anche tenermi testa.»

«Clove?»

Dan si girò. Un ragazzo biondo alto e muscoloso si era avvicinato senza fare il minimo rumore, un bicchiere di plastica rossa per mano. Lo guardava con aria quasi sorpresa.

«Grazie» disse Clove, prendendo uno dei due bicchieri. «Cato, lui è Dan. Il fratello di Rose.»

«Dan» disse Cato. «Danyl Martin, giusto? Eri nel Club di Scherma, se non ricordo male.»

«A quanto pare.»

Cato rimase in silenzio. Il suo sguardo si fece inquietantemente identico a quello di suo padre, sulla veranda. Quando era sul punto di dirgli qualcosa di veramente importante.

«Non ci credo!»

Siccome gli Odds in your favor si stavano preparando ad una nuova canzone, le tre parole si levarono nel giardino momentaneamente in quiete come altrettanti spari. A pronunciarli era stata una ragazza con il viso affilato come quello di Clove, ma con gli occhi grandi, verdi e pieni di un feroce divertimento.

«Cato, vecchio bastardo! Non pensavo ti saresti mischiato a noi poveri mortali. Mi avevi detto che rimanevi a casa a studiare. O era ad allenarti? Magari entrambe le cose insieme.»

La ragazza era accompagnata da un energumeno se possibile ancora più grosso di Cato, un ragazzo biondo dall’aria furba, una ragazza rossa dallo sguardo schivo e due tipi mingherlini che avevano gli stessi identici occhi freddi.

«Ma da dove sbucano questi?» mormorò Lee a denti stretti.

«Artemisia» disse Cato, il tono ad un passo dall’essere gelido.

Lo sguardo della ragazza si spostò su Clove. «Ah. Immagino che ti abbia trascinato lei qui.»

«Nessuno mi trascina da nessuna parte. Se sono qui, è perché l’ho deciso.»

«Certo, certo.» Artemisia scoccò un’occhiata avvelenata a Clove, poi passò in rassegna Rose, Dana, Lee e, infine, Dan.

«Che fate, legate con gli sfigati?»

Dan avvertì Lee irrigidirsi alla sua destra. Senza rendersene conto, strinse le dita a pugno.

«Cosa faccio non è affar tuo» ribatté Cato. «In ogni caso e Clove ce ne stavamo giusto andando.» Si avviò verso la villa, poi si rese conto che Clove non lo stava seguendo e si fermò.

Sulle labbra di Artemisia si disegnò un sorriso crudele.

«Che fai, non vai con il tuo fidanzatino?»

«Senti, perché non ti levi dai piedi?»

Dan si rese conto che era stato lui a parlare. E soprattutto, che aveva fatto due passi in avanti e ora si frapponeva tra l’inquietante combriccola e i suoi bersagli.

Tra i quali, evidentemente, c’era anche Clove.

«Scusa, non ho capito» ringhiò Artemisia. «Ce l’hai con me?»

«Non vedo altre stronze psicopatiche in giro.»

Per essere un tipo così grosso, il bestione accanto ad Artemisia si mosse in un tempo orribilmente breve. Prima che Dan potesse fare anche un solo sospiro si ritrovò a rotolare per terra, la testa che rintronava in un vortice di luci biancastre e lampi violetti.  

Un po’ di metri più in là, la bassista degli Odds in your favor vide la scena e si girò verso gli altri due.

«Rissa!»

«Ricevuto» disse Penny. «Sai quello che devi fare» aggiunse, rivolta al batterista.

Lui annuì con un convinto cenno della testa, poi sbatté le bacchette tra loro quattro volte e diede inizio alla festa nella festa.

 

They're selling postcards of the hanging

They're painting the passports brown

And the beauty parlor is filled with sailors

The circus is in town

 

«Ehi, brutto stronzo!» gridò Lee. «Nessuno picchia il mio migliore amico senza che picchi anche me!»

Dan si rialzò in piedi, il mondo che girava. Fece in tempo a vedere Lee che si lanciava contro il gigante, poi qualcuno lo buttò di nuovo a terra.  

 

And the riot squad they're restless

They need somewhere to go

As Lady and I look out tonight

From Desolation Row

 

«Strano» fece Dana. «Me la ricordavo diversa, questa canzone.» 

Poi la ragazza inquietante la prese da dietro, stringendole l’avambraccio sulla gola.

 

And now here comes Romeo, moaning

"You Belong to Me I Believe"

And if someone says, "You're in the wrong place, my friend

You better leave”

 

«Fidati» disse il ragazzo biondo a Dan. «È meglio se resti giù.»

Per tutta risposta, lui gli tirò una testata.

 

And then the only sound that's left

After the ambulances go

Is Cinderella sweeping up

On Desolation Row

 

«Lasciala!» gridò Rose, aggrappandosi al braccio della ragazza che si stringeva sul collo di Dana.

Liberato dalla stretta del ragazzo biondo, Dan udì il grido di sua sorella e corse verso di lei.

 

They're going to bring them to the factory

Where the heart-attack machine

Is strapped across their shoulders

And then the kerosene

 

Il compare mingherlino provò a bloccarlo. Dan gli tirò un pugno dritto sul naso, scavalcò il suo corpo che si contorceva in preda al dolore e raggiunse Rose. 

«Lasciala» ringhiò alla ragazza dallo sguardo vuoto.

«Dan!» gridò sua sorella.

Poi il mondo vorticò di nuovo e lui si ritrovò ancora una volta per terra.  

 

 

Is brought down from the castles

By insurance men who go

Check to see that no one is escaping

To Desolation Row

 

La suola di una scarpa gli premeva sul collo. Le dita di Artemisia stringevano il polso del suo braccio destro, tirato fin quasi a essere disarticolarlo. Gli occhi verdi erano due pozzi di lucida follia.

«Vuoi sapere che rumore fa un uccellino quando gli passi sopra con la macchina?»

 

Because right now I can't read too good

Don't send me no letters, no

Not unless you're going to mail them

From Desolation Row

 

 «Ehi! Ehi! Finitela, brutte teste di cazzo, o vi spacco la faccia a tutti quanti!»

La pressione sulla gola si allentò di colpo. Dan emise un rantolo strozzato, si girò su un fianco e vide chi era stato a mettere fine a quell’assurda e improvvisa rissa.

«Chiedo scusa» disse Artemisia. «Sono stata attaccata e mi sono difesa. È un mondo pericoloso, una ragazza deve imparare a badare a se stessa.»

«Puoi dirlo forte» ringhiò la ragazza che Dan aveva visto al tavolo da biliardo. «Ora sparisci.»

Artemisia fece per replicare a muso duro, ma qualcosa sembrò trattenerla. 

«Certamente. Ragazzi, andiamo.»

In silenzio, l’allegra combriccola si ritirò dal giardino come ombre in fuga dalla luce del mattino.   Gli Odds in your favor attaccarono una canzone lenta, e la festa in giardino tornò alla normalità.

«Vieni, ti aiuto io» gli disse una voce calma come uno specchio d’acqua in un bosco, mentre una mano si tendeva verso di lui. Dan la afferrò e una forza notevole lo rimise in piedi come se fosse fatto d’aria.

«Grazie» disse. Sentiva metà della sua faccia pulsargli come se l’avesse appoggiata su un nido di vespe. «Scusatemi, io non—»

«Tranquillo» gli rispose il ragazzo chiamato Hawthorne. «Al tuo posto, probabilmente avrei fatto lo stesso.»

«In ogni caso, grazie.»

Lui fece un cenno d’assenso, poi si diresse verso Lee, che cercava a fatica di rialzarsi da terra.

«State bene, ragazze?»

Dan si girò. La ragazza avevo messo una mano sulla spalla di Rose e una su quella di Dana. Le due annuirono, anche lo spavento era visibile sui loro volti pallidi.

«Tranquille, ora è tutto a posto. Ci pensiamo noi.» Diede una piccola pacca a entrambe, poi si avvicinò a Hawthorne. «Senti, io vado a fare un giro per vedere se se ne sono andati davvero.»

«Ok» rispose lui. «Vengo con te.»

«Se li trovate e volete picchiarli… ahia, io di certo non mi oppongo» disse Lee, dolorante. 

Dan si avvicinò a sua sorella. Quando vide che si allontanava da lui di un passo, qualcosa dentro di lui si torse violentemente.

«Perché l'hai fatto?» gli disse Rose, gelida. Avrebbe preferito mille volte che gli urlasse contro.

«Rose…»

 «Te l'avevo detto che non dovevo venire.»

La bocca serrata e gli occhi lucidi, Rose gli voltò rigidamente le spalle e scappò via.

«Mi dispiace» disse Dana. «Evidentemente, è così che deve andare.» Gli fece uno strano sorriso e si allontanò, camminando a passo svelto per raggiungere Rose.

Dan sentiva su di sé gli sguardi di tutti. Mentre gli Odds in your favor proseguivano imperturbabili la loro scaletta, lui si affrettò verso il fondo del giardino, aprì il cancelletto che dava sul sentiero che percorreva la scogliera e scappò via dalla festa.

 

So if you're lonely, why'd you say you're not lonely

Oh you're a silly girl, I know I hurt it so

It's just like you to come and go

And you know me, no you don't even know me

You're so sweet to try, oh my, you caught my eye

A girl like you's just irresistible

 

Immobile e ormai sola, Clove lo osservò imboccare il sentiero. Poi le ombre della sera lo avvolsero, e lui non ci fu più.

 

 

Il Pontile delle Luminarie non era più lungo di una decina di metri – e in realtà, non era neanche poi così luminoso. Un tempo dei fili di piccole luci passavano da un lampione all’altro, ma ormai erano quasi tutte spente. Era un posto molto tranquillo, ma era pervaso anche da una certa malinconia.

Appoggiato alla ringhiera, la vernice verde crepata che gli grattava delicatamente gli avambracci, Dan osservava la distesa buia del mare.

«Ehi.»

Dan si girò di scatto. Clove era lì, le dita intrecciate davanti alla pancia, come se non avesse idea di cosa farsene. Sembrava così assurdamente impacciata che Dan provò l’assurdo impulso di mettersi a ridere.

«Sei stato piuttosto un'idiota, poco fa. Solo contro sei...»

«Senti» sospirò lui, esausto. «Se sei venuta qui solo per farmi—»

«No.» Clove si morse il labbro inferiore, a disagio. «In realtà, non so neanche esattamente perché sono qui.»

A Dan scappò da ridere. «Beh, siamo in due allora.»

Riportò lo sguardo sul lago. Ascoltò il quieto infrangersi dell'acqua sui piloni del pontile. Nel silenzio, gli giunse un profumo morbido e delicato.

Guardò alla sua sinsitra. Clove era appoggiata alla ringhiera, a meno di un metro da lui.

«Il tuo ragazzo sa che sei qui?»

Non aveva idea del perché l'avesse detto. Ancora una volta, ebbe l'impressione di avere solo preso in prestito la vita di un altro. 

«Non è il mio ragazzo.» Una pausa. «Non proprio, almeno. È...»

«...complicato.»

«Esatto.»

Dalla cima della scogliera, propagatesi nella quiete immobile di quella sera, giungeva la musica degli Odds in your favor.

 

I remember the days when we’d stay up late

And we’d show and tell all our darkest demons

Arrogant as hell

But I’ll live to tell

At least we had ourselves to believe in

 

«È strano, questo posto» disse Clove. «Una parte di me si sente a casa, ma un'altra si sente estranea. Come se non fossi mai stata veramente qui.»

Dan non riuscì a capire se con qui intendesse il pontile, la città o qualcosa di ancora più grande.

«Tu almeno puoi andartene» si sentì dire. «Sei una delle Prime Strade. Una Favorita.»

Clove fece un sorriso amaro. «Mentre tu credi di non avere scelta.»

«Non credo di essermela mai posta. Ma non ha importanza: me la sono sempre cavata, e continuerò a farlo. Non è per me che mi preoccupo...»

«...ma per tua sorella.»

Dan sospirò. «A volte ho l'impressione che non importa quale scelta faccia, finirò sempre per fare quella sbagliata.»

«Io credo... non sono una grande esperta, ma sono piuttosto sicura che lei ti adori.»

«Il che non migliora le cose.»

«No, non lo fa.»

I play it safe

But I know there’s something I should say

I just want you

Would you want me too

 

«Sai, quello che ha detto l'amica stramba di tua sorella...»

«Dana.»

«Dana. Sempre stramba rimane, comunque. In ogni caso, prima che arrivassi tu mi ha fatto tutto un discorso sugli universi paralleli e sulle implicazioni infinite delle scelte.»

Dan rimase in silenzio. E questa volta, fu certo che fosse lui a volerlo.

«Se ci sono infiniti noi, infinite combinazioni di attimi irripetibili... c'è almeno un universo in cui tu hai fatto la scelta giusta.» Clove esitò, poi si girò e lo guardò negli occhi. «E soprattutto, in cui l'ho fatta io.»

I’ve been waiting for a sign

To let you know that

We are running out of time

 

Dan sentì i battiti del suo cuore accelerare. Clove era lì, davanti a lui, le pieghe del vestito arancione che si muovevano appena, spinte dal tocco gentile della brezza di un mare di inizio estate. Vicina, silenziosa e terribilmente vulnerabile.

 

Now I’m waiting here tonight

I need to tell you somehow

I’m nervous and your guard’s down

I know that you’re the one

 

«Avevo sentito delle storie» mormorò. «Dicevano che eri pericolosa. Che uccidevi animali per divertimento. Che un giorno sarebbe morto qualcuno, e tutti avrebbero saputo a chi dare la caccia, se solo avessero potuto.»

 

All I want is to get this off my chest

Say the words and our lips can do the rest

Say the word and my lips will do the rest

 

«Sì» disse lei in un sussurro. Ora Dan vedeva le ciglia incollate dal mascara, l'irregolarità delle sue lentiggini, le screpolature sul labbro inferiore. «Le ho sentite anche io.»

Clove si avvicinò per l'ultima volta. Dan sentì il suo respiro.

 

It’s safe to say I know that you’re the one

 

E infine, il mondo saltò per aria.

 

All'inizio pensò fosse un grido. Il lamento sferragliante di una creatura abissale, che tentava di sfuggire alle viscere della terra strisciando verso di lui. Quando la sua mente finì di riemergere dalla palude limacciosa del subconscio, Dan si rese conto che era il rumore della porta della sua cella che si riapriva.

«Il tempo è scaduto» gli disse un soldato della Montagna.

Dan si alzò dal suo giaciglio e oltrepassò la soglia della cella. Con sua sorpresa, vide che anche Clove era stata fatta uscire.

Lei lo soppesò con una strana occhiata. Come se volesse sincerarsi che fosse veramente lui.

«Hai una faccia orrenda. Ti hanno preso a pugni mentre dormivi?»

Lui la guardò, chiedendosi se fosse un caso che avesse scelto proprio quelle parole.

«Più o meno.»

«È un peccato che non fossi lì ad assistere.»

«In un certo senso c'eri.»

Un lampo passò negli occhi di Clove. Qualcosa che poteva essere facilmente scambiato per sorpresa, ma che forse non lo era.

«Forza, muovetevi» disse bruscamente il soldato che aveva fatto uscire Clove. Per sottolineare il concetto, lui e il suo compare sollevarono i loro fucili. «Non abbiamo tutto il giorno.»

Clove li incenerì con lo sguardo. «Chiediamo umilmente venia» disse, il tono grondante di sarcasmo. Poi spostò gli occhi su Dan, e parve quasi triste; ma tempo una frazione di secondo, e guardava già dritta davanti a sé.

«Altra ragazza, altro pianeta» mormorò.

Dan sentì qualcosa bloccarsi all'altezza dello sterno. «Cosa?»

Clove non rispose. Era già diretta in avanti, le braccia rigide sui fianchi, diretta verso il destino che forse, per una volta, avrebbe potuto scegliere.

 

«Lasciateci soli» ordinò Cato. 

I due soldati si scambiarono uno sguardo nervoso.

«Nessun estraneo deve essere presente. I candidati devono poter scegliere in totale libertà.»

Per un momento, Dan fu certo che i soldati si sarebbero rifiutati di obbedire; ma alla fine lo sguardo d'acciaio di Cato ebbe la meglio. 

Mentre i due uscivano, Dan si rese d'un tratto conto che gli sarebbe toccato fare una scelta. Restare nella Montagna o tornare tra i ribelli? Ora come ora, non aveva la minima idea di cosa avrebbe deciso. Dovunque lui guardasse, non vedeva soluzioni. Nascondersi dentro la Montagna, combattere per i Ribelli: per lui aveva tutto lo stesso sapore.

Cato mantenne lo sguardo sui due soldati fin quando la porta non si richiuse dietro di loro. Una volta fatto, si voltò rapidamente verso Clove e Dan. 

«Ora ascoltatemi attentamente, perché non mi ripeterò» disse, il tono duro che tradiva una certa urgenza. «Voi due comunicherete ufficialmente di voler rinunciare a restare nella Montagna, io vi somministrerò questo siero e tra qualche ora vi risveglierete fuori di qui.»

«Non vedo cosa—» iniziò a dire Clove.

«Non ho finito» la interruppe Cato. «Il siero che vi darò è praticamente identico a quello usato di solito, ma senza l'effetto di alterazione della memoria. Vi risveglierete ricordando tutto, compreso quanto vi dirò adesso. Ed è bene che ascoltiate attentamente, perché da quello che farete dipenderà il destino di tutta Panem.»

Clove finalmente capì cosa ci faceva Cato dentro la Montagna. Il Colonnello doveva averlo spedito lì come infiltrato, in attesa di attuare uno dei suoi oscuri piani per riportare la Montagna sotto il controllo della Capitale. Eppure, la presenza del ragazzo biondo in quella stanza rappresentava un'incognita. Che anche lui lavori per Rorke?

«Una volta fuori di qui, andrete a Capitol City. Lì ci sono due siti segreti del colonnello Rorke, uno dei quali è nascosto sotto la Piazza dei Martiri dei Giochi. Voi vi dirigerete lì, entrerete grazie alle qualifiche IEROS di Clove e lo farete saltare in aria.»

Clove sbarrò gli occhi, scioccata. «Cosa? Ti ha dato di volta il cervello? Perché mai dovremmo—»

«Perché Rorke è pazzo, Clove» sentenziò Cato con tono d'acciaio. «Il Progetto Protheus è entrato nella sua parte finale. Io, te, gli IEROS... non eravamo altro che test. Mentre Ribelli e Capitolini si massacravano l'uno con l'altro, Rorke ha creato un esercito di supersoldati e ne ha regalati un po' a entrambi i Presidenti – a Coin per consolidare il proprio potere una volta finita la guerra, e a Snow come ultima arma per capovolgerne le sorti. Al momento non sono ancora pronti, ma quando finiranno di elaborare i dati biometrici che la squadra IEROS ha continuamente inviato loro dal giorno della sua formazione, entrambe le fazioni li attiveranno. Ma quando questo succederà, non saranno i loro ordini quelli che seguiranno. Quelli nella città uccideranno Snow e travolgeranno l'esercito ribelle, mentre quelli nel Distretto Tredici elimineranno la Presidente e il suo stato maggiore, attiveranno gli armamenti nucleari e, insieme alle riserve di Capitol, li punteranno contro i Distretti. Dopo aver fatto questo, il gruppo del Tredici sovraccaricherà i reattori di alimentazione, facendosi saltare in aria insieme a tutto il Distretto. E in un colpo solo, Panem cesserà di esistere.»

Nella stanza cadde il più completo silenzio. Dan fissava le provette del siero con sguardo vuoto. Clove sentì un vago bruciore pizzicarle i palmi delle mani. Si rese conto di essersi conficcata le unghie nella carne.

«Questa cosa non ha senso» riuscì a dire alla fine. «Che cosa se ne farà Rorke della sola Capitol? Lui e i suoi supersoldati rimarranno senza cibo, acqua o riscaldamento. Il suo nuovo ordine mondiale durerebbe meno di un mese...»

«Non ne ho idea. La sezione finale del Progetto si chiama Ultima Thule, ma non sono riuscito ad accedervi. Non so cosa abbia intenzione di fare, ma non aspetterò di scoprirlo. Voi distruggerete il sito sotto la piazza, io mi occuperò dell'altro. E forse, così riusciremo a salvare Panem.»

«E ti aspetti che io ti creda, così su due piedi?»

«No. È per questo che c'è qui anche lui.»

Clove si girò di scatto verso Dan. Lui però, guardava Cato. I suoi occhi tradivano la più completa sorpresa.

«Cosa?»

«Tu farai in modo che lei arrivi al sito» gli disse Cato. «E ti assicurerai che ci arrivi viva.»

«E perché dovrei?»

«Perché nella Piazza dei Martiri dei Giochi, sigillati in bare a tenuta stagna, sono conservati i resti dei partecipanti di tutti gli Hunger Games. Compresi quelli di tua sorella.» Lo sguardo di Cato era così fisso che non batteva neanche le palpebre. «Se Clove è ancora viva dopo che avrete distrutto il sito, io porterò Rose nel laboratorio segreto di Rorke e la farò tornare in vita.»

Dan divenne una statua di sale. Clove ebbe l'impressione che pure il mormorio dell'impianto di riciclo dell'aria fosse diventato più silenzioso.

«Bene» disse infine Dan. «Farò quello che devo.»

«Molto bene. Adesso muoviamoci, non c'è—»

Una sorda vibrazione, attutita dalle pareti della stanza. 

Dan fissò Cato perplesso, in attesa che riprendesse a parlare. Spostò lo sguardo su Clove, e vide che anche lei era in allerta.

«Che—»

Un'altra vibrazione. Questa volta, si udì anche il lontano rombo di un'esplosione.

Le luci della stanza si spensero. Dopo qualche secondo, vennero sostituite dalle illuminazioni d'emergenza. Il loro colore era viola.

«Ci attaccano?» chiese Dan, spaesato.

«No» disse Clove. «In caso di attacco esterno il codice di allarme è rosso. A meno che Pavlov non abbia fatto qualche cambiamento, il viola è...»

Cato estrasse la sua pistola.

«...rivolta interna.»

Un grido, due raffiche brevi di spari. Poi silenzio.

Fuori dalla stanza risuonarono dei passi pesanti. Stivali corazzati.

In un sussurro, la porta si aprì.







L'ANGOLO DELLA CHIACCHIERA: Chi va piano va sano e va lontano, si suol dire. Ci ho messo un po' (ma per i miei standar mezzo che ho fatto presto) ma finalmente questa storia che proprio non vuole saperne di morire si arricchisce (si fa per dire) di un nuovo capitolo, in cui un quasi trentenne che non riteneva già abbastanza problematico scrivere fanfy di hunger games alla sua età ha deciso di peggiorare ancora le cose auto-producendo una sequenza onirica High school AU talmente teen drama che se avvicinate l'orecchio allo schermo potete sentire Ryan Atwood ringhiare sai cosa mi piace dei figli di papà?

(Perdonatemi, miei cari genitori: so che non era questo che speravate per il vostro figliolo. Almeno non considero la festa della Liberazione divisiva. È già qualcosa.)

In ogni caso, dopo questo strano sogno-che-forse-è-un-po'-più-di-un-sogno-ma-ndo-vai-mica-è-Lost-ma-per-favore, i nostri due compari di botte&pugnali ricevono un notizione non indifferente. Il buon Rorke, a quanto pare, saltella da uno schieramento all'altro, intenzionato a portare avanti un folle piano di rigenerazione postapocalittica; e per fermarlo, Cato ha buttato sul tavolo il briscolone da novanta: Rose Martin. E mo'? E mo' tocca vedere chi c'è dietro la porta, visto che ho deciso di chiudere con un cliffhanger da romanzo d'appendice di serie z. Ogni tanto queste cose scappano, agli scribacchiatori. Sono creature strane. Molto strane.

Il cerchio attorno a Capitol City si fa sempre più stretto. Le ombre, i demoni e l'arte della guerra sembrano essersi dati appuntamento lì. Possiamo forse mancare?

E niente, miei cari. Se siete ancora qui, dirvi grazie sarebbe semplicemente riduttivo. Per quanto mi riguarda, sappiate che farò tutto quanto in mio potere per arrivare in fondo. Non dico che comincia a vedersi la fine del tunnel, ma siamo ormai alle fasi finali. Quindi testa bassa, tante care cose e alla prossima!

 
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: Ser Balzo