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Autore: Crudelia 2_0    26/04/2020    7 recensioni
«Ginny» iniziò tormentandosi le mani e senza avere il coraggio di guardare l’amica «non metterò quell’abito, è troppo piccolo».
«Ma che dici, Hermione? Abbiamo la stessa taglia» Ginny la guardava con le sopracciglia corrugate, uno strano presentimento aveva iniziato a farsi strada nella sua mente.
«C’è un motivo se ho scelto di non frequentare Hogwarts il prossimo anno e dare soltanto gli esami».
«Lo so. Non mi hai ancora voluto dire di cosa si tratta, ma so che c’è un motivo» sussurrò Ginny. All’improvviso sostenere quella conversazione ad alta voce era diventato troppo difficile.
«A villa Malfoy, dopo che Bellatrix aveva finito con me, mi ha dato in mano a Greyback » disse Hermione con tono incolore.
«Sì» rispose Ginny con la bocca asciutta. Incrociò lo sguardo dell’amica e sentì gli occhi riempirsi di lacrime: non aveva finito, ma già aveva capito.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Hermione Granger, Nuovo personaggio, Severus Piton | Coppie: Hermione/Severus
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da Epilogo alternativo
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Note: allora, amici, altro capitolo breve, ma è la continuazione di quello precedente. Ecco arrivare la luce di speranza che tutti stavamo aspettando, per il seguito aspetterò: oggi ho preferito lasciarvi con questa nota non troppo amara; penso ne abbiamo tutti bisogno. Nonostante la lunghezza spero lo apprezzerete: non è stato facile scriverlo, ma ne sono abbastanza soddisfatta. Inoltre, ci stiamo avviando verso l'epilogo, due o tre capitoli, penso, ma non di più.
Come sempre, grazie a tutti voi (non so se avete notato, ma abbiamo raggiunto le 100 recensioni!).
 
Un forte abbraccio,
Crudelia
 
 
 
 
 
L'intervento di Kathleen - Seconda parte
 
 
 
«Kathleen, ascoltami»
In ginocchio sul morbido tappeto bianco sporco, le mani appoggiate morbidamente sul lenzuolo stropicciato, Severus cercò gli occhi della bambina. Erano stanchi e arrossati, ma così grandi e tondi da sembrare senza fine.
Per la prima volta, Severus si accorse della sua bellezza. Non era come le bambine che spesso si era ritrovato a guardare con disapprovazione: tutte guance piene e rosee e occhioni e tenerezza. Kathleen aveva lineamenti fini, quasi schivi, e anche con i capelli più disordinati che mai Severus vide la donna che avrebbe potuto essere. Orgogliosa ed elegante. Come un lupo.
«Ascoltami» ripeté, ma con fatica, perché il cuore aveva deciso proprio in quel momento di strizzarsi e ricordargli che anche lui era umano e anche lui si inteneriva davanti ad una bambina.
«Sei arrabbiato con me?» chiese Kathleen, la voce strascicata e acuta. Severus notò la forza con cui strinse il fazzolettino di carta tra le mani.
Aprì la bocca, ma non ne uscì niente. Alzò lo sguardo verso Hermione, e trovò i suoi occhi già su di sé come uno Schiantesimo in pieno petto. Nonostante la tristezza, lo guardava con accusa e sfida.
È colpa tua, accusavano.
Ora risolvi la situazione, sfidavano.
Cercando di non fare danni, aggiunse tra sé. Ma su questo punto era alquanto dubbioso: quando mai nella sua vita era riuscito a non peggiorare una situazione? Persino sotto la guida di Silente non era riuscito a fare ciò che doveva.
«No» rispose riportando l'attenzione sulla bambina. «No» ripeté con più convinzione. Ancora una volta, come sempre, mentiva: era arrabbiato, accecato da un'ira furente, ma contro se stesso.
«E allora perché non stai con noi?» chiese ancora la bambina, con la sua ingenuità disarmante capace di ferire ancor più di un coltello affondato nelle carni.
Perché è un cretino, avrebbe risposto Lucius al suo posto. E nello stesso modo, forse in termini meno scurrili, anche Albus.
Deglutì, cercando le parole. O forse il coraggio necessario per ammettere la verità.
Ma qual era, quella verità? Non era più sicuro di saperlo, di vedere i suoi chiari confini. Come poteva spiegare ad una bambina che le voleva bene, si era innamorato di sua madre, che non avrebbe fatto altro che stringerle per tutta la vita, ma non poteva stare con loro?
Non aveva senso.
La vita non era in bianco e nero, ma di un grigio osceno. Lui l'aveva imparato nel peggiore dei modi, ma non avrebbe infranto l'infanzia, già di per sé breve, di quella bambina. Avrebbe lasciato che il tempo, nel suo incessante proseguo, facesse sbiadire il suo ricordo fino a renderlo un marginale personaggio dei suoi primi anni a cui ripensare occasionalmente con un breve sorriso.
Ancora una volta, quindi, mentì.
«Devo fare un viaggio, Kathleen. Molto lungo» rispose con la voce che riuscì a trovare, stupendosi di quanto ferma e poco dura suonasse.
«Dove vai?» Tirò su con il naso, ma sembrava leggermente rincuorata da quella spiegazione logica.
«Ancora non lo so, ma - lontano. È il mio lavoro» spiegò.
«E quando torni vieni da noi?» Chiuse gli occhi brevemente, concedendosi un lieve momento di debolezza.
Ancora domande, ancora coltellate a ciò che gli rimaneva del cuore, ancora dolore.
Anni e anni a cercare raffinate tecniche di tortura per carpire i segreti più oscuri quando è sufficiente lo sguardo e la fiducia di un bambino per far crollare anche il più stoico fra gli uomini. Il Signore Oscuro avrebbe dovuto saperlo.
Ma non ci avrebbe creduto, gli ricordò la sua coscienza nella crudele imitazione di Silente. Perché non è la bambina, ma ciò che provi per lei. È l'amore.
Tornò a guardarla e per la terza volta, e pensò l'ultima della sua vita, allungò una mano ad asciugarle una lacrima. «Sei stanca?» Le chiese, il pollice che si trascinava sulla pelle morbida come una carezza che aveva tutta la voglia di trasformarsi in un gesto consolatorio.
Kathleen strinse le labbra. «Un po'» ammise con quasi colpevole.
«Allora riposati- » gli sembrava inadatto concludere la frase in quel modo, ma non trovò altro da aggiungere.
Hermione parve accorgersene e spinse con gesti dolci e delicati la bambina a coricarsi. Severus, sempre consapevole della sua presenza al suo fianco, rimase incantato a guardarla. Guardare le sue mani, il suo lieve sorriso rassicurante, i suoi occhi traboccanti tenerezza.
Non aspettò che lei si voltasse nella sua direzione: scattò in piedi, ignorando il dolore alle articolazioni per la prolungata immobilità, e si diresse verso la porta.
Si accorse della presenza della Weasley. Lei, ammise, se l'era dimenticata, e con un tuffo al cuore si accorse che i suoi gesti non erano passati inosservati.
Sul viso della donna, comunque, non vide segni di scherno, ma una comprensione che lo lasciò confuso. Fece un passo avanti, e per un momento Severus pensò che avesse l'inconclusionata idea di fermarlo, ma lei voltò lo sguardo su Hermione.
«Ci penso io, stai tranquilla» sussurrò dolcemente.
Hermione si alzò, Severus iniziò a camminare.
 
 
Hermione si chiuse la porta alle spalle nel modo più silenzioso possibile, godendosi un'ultima occhiata di Kathleen abbracciata a Ginny.
Severus aveva quasi raggiunto la porta, ma lei coprì la distanza che li separava con pochi lunghi passi.
«Severus, fermati!» Gli intimò. Si sentiva lo stomaco aggravato da un peso che aveva tutto il sapore del senso di colpa, ma non l'avrebbe lasciato andare. Non c'era nessun Lucius Malfoy o impiegato impiccione in vista a impedirle di dire ciò che voleva.
«So che non sei stata tu, il mio comportamento è stato deplorevole, non c'è bisogno che mi ringrazi per stasera» rispose lui, tirando avanti e senza voltare lo sguardo.
«Fermati, ti ho detto!» Agguantò il suo polso con entrambe le mani e lo strattonò. Riuscì a farlo voltare per metà, e incontrò i suoi occhi ansimando leggermente.
«Spiegati» disse secca, prima che il riflesso della sua commozione intaccasse la sua decisione. Perché era stato toccato, dal gesto di Kathleen, lo aveva visto nel modo in cui l'aveva guardata, accarezzata. Se lei si sentiva in colpa come poteva sentirsi lui?
Ma no, no! Non era il momento di empatizzare. Doveva approfittarsi di quel dolore, quell'apertura, e affondarci il coltello fino al manico. Era crudele, ma non l'avrebbe fatto andare via senza le risposte che aspettava da tanto, troppo tempo.
Severus distolse lo sguardo e deglutì, ma non cercò di liberarsi dalla sua stretta. Le sue dita, anzi, ebbero un fremito, come se volessero stringerla ma fossero costrette a non farlo.
«So che non sei stata tu a fare quelle dichiarazioni, ho fatto le mie... indagini» disse lentamente, poco più di un sussurro.
«Questo non spiega proprio niente» infierì Hermione, nascondendosi dietro il tono petulante per non far trapelare quanto quella frase fosse bastata ad accendere una fiammella della speranza che credeva ormai spenta: lo sapeva. Non le aveva detto niente, ma lo sapeva, che non era stata lei.
L'uomo sospirò, ma continuò a fissare corrucciato un punto davanti a sé. «Sapevo che non eri stata tu e ho fatto in modo di scoprire il colpevole. Mi sono anche accertato che non... trapelino altre informazioni... importanti» concluse, piano.
Era un modo per dirle che aveva convinto Rita a non rivelare chi fosse la figlia di Greyback?
Lo guardò a bocca aperta, perché sembrava che la sua intuizione fosse giusta, sebbene non un muscolo nell'espressione dell'uomo si fosse mosso.
«Come?» sussurrò, ma subito si accorse che in verità non voleva saperlo, non voleva sprecare il tempo che aveva a disposizione con stupide domande su Rita Skeeter. «No, no - non importa» si corresse in fretta. «Non è importante, non stasera» si passò una mano sugli occhi.
All'improvviso si sentiva stanca. Stanca di nascondere segreti, stanca di combattere contro un uomo deciso a renderle la vita impossibile, stanca di doversi portare appresso gli strascichi di una guerra che la vedevano come vittima, ma che la macchiavano in tutti gli ambiti in cui fosse entrata.
«Perché non me l'hai detto, perché non sei tornato da me?» trovò la forza di chiedere. La gola le si chiuse in un groppo doloroso, ma si costrinse a continuare. «Perché sei fuggito quel giorno al Ministero, perché continui a scappare da me?» Stava urlando, ma non le importava. Sentiva la rabbia nei suoi confronti tornare ad infiammarle il petto, facendole venir voglia di colpirlo fino a farsi male e baciarlo fino a farsi mancare il fiato.
«Qual è il tuo problema, Severus?» Gli chiese, alzando le mani e spingendolo sul petto. Lui arretrò e non fece niente per fermarla, limitandosi a guardarla con quegli occhi che urlavano sofferenza e una supplica di pace. «È perché ho una figlia? Perché sono una Grifondoro?» Continuò implacabile, spuntando le parole con sarcasmo. «Perché farti vedere con me macchierebbe la tua reputazione da pozionista?» Ad ogni parola un colpo sul petto, e faceva male come se a riceverli fosse il suo stesso cuore. «Dio, Severus, cos'ho sbagliato, non sono abbastanza
Con entrambi i pugni chiusi sulla sua camicia lo spinse forte, facendolo arretrare fino a spingerlo con la schiena contro la porta. Avrebbe voluto continuare, ma si sentì schiacciare dal peso di quelle parole. Chinò la testa, ansimando e chiudendo gli occhi che sentiva pizzicare di lacrime.
Non voleva dire quello che le era scappato di bocca, i dubbi che le bruciavano dentro e che cercava di ricacciare. Ma loro, testardi, risalivano in superficie. Voleva delle spiegazioni, un dialogo razionale, ma aveva perso il controllo.
Subito dopo si sentì le guance inondare di uno scomodo calore. Si era comportata come una ragazzina e pretendeva che lui, uomo fatto e finito, la trattasse come sua pari.
Che stupida.
«No, non pensarlo nemmeno»
Fu un sussurro così basso che non fu sicura di averlo udito finché non sentì le sue mani posarsi sui suoi pugni chiusi, calde e rassicuranti. Con il pollice le accarezzò le nocche, leggero come una piuma, e forse fu per quello, quella sua delicatezza innata e nascosta come una debolezza, a far percepire ad Hermione con chiarezza il tremito delle sue dita.
«Non sei tu, Hermione» continuò con dolcezza. Le mani si spostarono lungo le braccia fino ad arrivare alle spalle e, lì, esitarono. Hermione pensò (sperò) che lui l'avrebbe stretta, invece la scostò da sé. «Non pensarlo, tu sei... troppo» le prese il mento tra le dita e la costrinse a fissarlo negli occhi.
Hermione cercò di evitarlo, ma la leggera pressione la costrinse a desistere. Appena cedette sentì il cuore sprofondare: le sue dita tremavano, ma i suoi occhi. Merlino, i suoi occhi! Erano gravidi di tenerezza, appesantiti da un senso di colpa e una rabbia così palesi da far male.
Hermione sentì lacrime calde sgorgare e bagnarle le guance, e non fece nulla per fermarle.
«Ma non lo capisci che tutti che entrano a far parte della mia vita finiscono con l'avere la loro rovinata?» Il tono era dolce, ma non abbastanza per rendere meno amare quelle parole e il loro significato.
Hermione scosse la testa, ma lui la tenne ferma, incatenata ai suoi occhi a subirne tutta la sofferenza ed impotenza.
«Non è vero» disse, testarda, assomigliando in quel momento più che mai a sua figlia.
«Sì, lo è» ribatté impietoso. «Lucius, Albus...» Prima ancora del nome Hermione ne sentì il colpo allo stomaco. «Lily»
«È la mia vita, so decidere per me!» Lo sfidò. Non avrebbe fatto in modo che il suo nome finisse ad allungare una lista e un peso che aggravava quell'uomo.
«No, non lo sei» bisbigliò lui, un angolo della bocca alzato in un tentativo di sorriso, ma che era solo tristezza.
Non poteva più guardarlo. Fece un passo indietro, chinando la testa. Lui la lasciò andare, abbandonando le mani lungo i fianchi. Chiuse gli occhi, Hermione, costringendosi a pensare. Non voleva, non poteva, lasciarlo scivolare via.
«E così parti» sussurrò, riempiendo il silenzio con l'unico argomento che le fosse venuto in mente.
«Sì» rispose solamente Severus, sospirando.
Hermione tornò a guardarlo. Si sentiva distrutta, emotivamente e fisicamente, ma alzò la testa con orgoglio. Sua figlia si era sacrificata perché tornasse e lei l'avrebbe trattenuto, continuando quella battaglia finché non avesse vinto: Severus era la prima cosa che la figlia le avesse chiesto esplicitamente, e l'avrebbe ottenuto.
Perché questo era ciò che voleva Kathleen, ma soprattutto era ciò che voleva lei.
«Puoi illudere Kathleen che è una bambina, ma non me. Hai intenzione di tornare?» Lo sfidò.
Severus sembrava impassibile, ma entrambi sapevano che quella non era solo una domanda, ma la risposta definitiva. Tutto o niente. Era con le spalle al muro, letteralmente, posto davanti ad un bivio: scegliere tra andarsene e restare, combattere e arrendersi, tra rimorsi e rimpianti.
Il silenzio si dilatò tra loro, ma Hermione non cedette. Non parlò, continuando a fissare l'uomo, decisa più che mai a non dargli appigli per evitare la domanda. Alla fine, lui cedette.
Con un sospiro chinò la testa e le spalle, come schiacciato dal peso che per troppo aveva retto e che era stanco di sopportare.
«Non posso rovinare anche voi» sussurrò, ancora una volta così piano che sarebbe stato facile fingere che quelle parole non erano mai state pronunciate.
Hermione lo guardò e nella mente le ripassarono le immagini di tutto ciò che avevano condiviso. Comprendeva le motivazioni dell'uomo, ma sapeva che entrambi si sarebbero pentiti se si fossero arresi. Così, quasi senza saperlo, pronunciò le uniche parole in grado di far cambiare idea all'uomo.
«Io ti ho già perdonato, Severus, perché non riesci a farlo anche tu?»
Lui alzò la testa di scatto, gli occhi sgranati e quasi spaventati, ma lei si avvicinò fino a prendergli una mano. Aveva dita sempre calde, ed Hermione ne approfittò, stringendole tra le sue, per rubargli un po' del suo calore e farlo proprio.
Non lo immaginava, e sussultò quando accadde, ma lui ricambiò la stretta. All'inizio con esitazione, poi con forza, quasi disperazione.
Hermione appoggiò la testa alla sua spalla e sospirò. Si pensa che i muri, a crollare, facciano rumore, ma la sua era stata una resa muta e dignitosa. Non c'era bisogno di parole, quella stretta, dal sapore dolceamaro, conteneva in sé tutto ciò che entrambi avevano bisogno di sapere. Era un'affermazione: sì, sarebbe tornato, e per rimanere.
E fu ciò che disse, con voce esitante e vibrante. «Quando tornerò... ti offrirò una cena»
Hermione si scostò, alzando la testa e mostrando un sorriso che di stare nascosto proprio non ne voleva sapere. «È un appuntamento?» Chiese, l'espressione leggermente maliziosa.
«Sono un uomo all'antica» ammise lui, un angolo della bocca alzato con ironia.
Hermione si alzò sulla punta dei piedi per arrivare alla sua bocca, ma lui, fluido, scivolò via dalle sue braccia. Con un passo all'indietro aprì la porta e uscì sul pianerottolo, senza mai lasciarle la mano.
Guardandola negli occhi, una scintilla di sfida e ironia nello sguardo, poso le sue labbra sul dorso della sua mano, ora caldo.
Hermione ricambiò l'occhiata riflettendo il suo stesso stato d'animo. Avrebbe aspettato, perché sapeva che lui sarebbe tornato.
   
 
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