Film > Alien vs. Predator
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Autore: Milich996    02/05/2020    1 recensioni
Il leader di un clan Yautja porta uno dei suoi nipoti (non particolarmente abile nell’arte della caccia) sulla Terra. Lo scopo è di allenarlo, insegnandogli a catturare prede poco impegnative. Il clan non caccia gli esseri umani, salvo venire attaccati deliberatamente da questi ultimi. Sulla terra incontreranno una giovane umana; A differenza del nipote, il Predator più anziano non si fida, e tende a mantenere le distanze. Tuttavia, col tempo, cambia idea: i tre impareranno così a rispettare la loro diversità...e il leader del clan imparerà anche qualcos’altro
Genere: Science-fiction, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1. VERSO LA TERRA (PARTE 1) Ormai era tutto pronto. Tra poche ore entrambi i soli sarebbero saliti oltre Ka’hj-van, la Montagna Sacra. Se non ricordava male, erano stati gli dei a farne dono alla sua gente. Questo diceva la tradizione. E forse era vero: altissima e imponente, dominava la valle sottostante dove lui e il suo clan vivevano. Jar’lath era un leader temuto e rispettato; proveniva da una famiglia importante, i cui membri, ormai da molti secoli, si alternavano alla guida del clan. Tra gli innumerevoli trofei, poteva vantare le teste di ben 3 regine degli Xenomorfi. Quelle disgustose creature erano la preda per eccellenza. Gli Yautja le cacciavano da sempre. La seconda regina gli era valsa la leadership del clan. La terza gli aveva garantito gloria imperitura. E oltre a lui, nella sua famiglia c’erano molti abili combattenti. Ad esempio una delle sue sorelle, Dy’m-fna, nonchè la sua seconda in carica. Destinata un giorno a sostituirlo, era uno dei migliori guerrieri che avesse mai visto: si fidavano ciecamente l’uno dell’altra. Jar’lath non temeva la morte; nella cultura Yautja contavano solamente l’onore, la caccia, i trofei. Non c’era spazio per la paura o qualunque altra forma di debolezza. E comunque ormai stava invecchiando: i suoi dreads, un tempo di un nero piuttosto intenso, stavano diventando sempre più grigi. La sua forza fisica non era cambiata gran che, ma stranamente gli sembrava di essere diventato un po’ più tollerante con gli altri. Specialmente con uno dei suoi nipoti più giovani: Yn’gve, il figlio di un’altra delle sue sorelle. Jar’lath non era mai stato un tipo particolarmente religioso, eppure ogni giorno doveva pregare Paya, affinchè lo aiutasse a non perdere la pazienza. Non tutti dovevano per forza diventare guerrieri, questo lo sapeva. Esistevano moltissime altre occupazioni che potevano essere intraprese per rendersi utili alla comunità. Ma ciò non valeva per i maschi della sua famiglia. “Kainde-lou-dte’kalei K’cha’ku”, ovvero l’uccisore, colui che massacra le regine. Questo era il soprannome che si era guadagnato il suo bisnonno, tanto per fare un esempio. E poi era arrivato Yn’gve. Una volta raggiunta l’età necessaria, lo aveva affidato ai mentori del clan, affinchè lo addestrassero. Ma i risultati erano stati al di sotto delle aspettative: a tuttora risultava piuttosto indietro rispetto agli altri giovani maschi del clan. Come se ciò non bastasse, agli allenamenti preferiva di gran lunga passeggiare nelle ampie zone verdi situate ai piedi della Montagna Sacra; qualche volta si spingeva fin dentro la foresta che ricopriva una parte del pendio: era capace di sprecare un’intera giornata in quel modo. Altre volte invece, usciva dalla Valle e si dirigeva verso Nord, a bordo di una piccola navicella adatta agli spostamenti brevi. Qualche volta lo aveva perfino accompagnato: a circa mezz’ora di viaggio, c’erano i resti di antiche città, che si estendevano per diversi chilometri. Costruzioni senza nome, senza più uno scopo: testimonianze di un’epoca ancora primitiva, dove la tecnologia era ben lungi dal raggiungere il suo sviluppo attuale. Chissà perchè a Yn’gve quella roba piaceva così tanto. Jar’lath trasalì: ormai i due soli erano sorti, e la luce del giorno inondava la sua camera da letto. Non voleva partire: non gli piaceva il Pianeta Blu, e detestava i suoi abitanti. Ma aveva promesso a sua sorella Maj’me-h di prendere il figlio sotto la sua ala, e di addestrarlo personalmente. Jar’lath non sarebbe mai stato un buon maestro, e lo sapeva bene; non riusciva a comunicare, nè a trasmettere le sue conoscenze. Ma alla sorella non importava: lo aveva talmente supplicato, che alla fine lui aveva ceduto. Ormai, dopo tante incursioni, conosceva bene il Pianeta Blu: in alcune zone gli umani non volevano abitare (o comunque ce ne vivevano pochi); inoltre gli animali, pur essendo feroci, restavano comunque alla portata degli Yautja meno preparati. Sì, poteva funzionare. Si sarebbe assentato solo per qualche settimana; in sua assenza, sua sorella Dy’m-fna e suo fratello minore Seag’h-dhe (terzo per importanza nel clan) lo avrebbero sostituito. Erano molto uniti loro tre, quasi in simbiosi: si sostenevano sempre a vicenda. Ma adesso doveva proprio alzarsi. C’erano ancora un mucchio di faccende da sbrigare prima della partenza. Edit. •Le espressioni del linguaggio Yautja sono state prese da Internet (Yautja Language ->DeviantArt.com)
   
 
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