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Autore: lion_blackandwhite    02/05/2020    1 recensioni
Tanto tempo fa, la savana non era un posto sicuro.
Le Terre del Branco rappresentavano l'unico luogo dove la pace regnava in quella regione della savana. Gli animali, sotto la guida e protezione di un giovane leone buono e magnanimo che verrà ricordato dai suoi discendenti come 'La stella più luminosa', vivevano in armonia grazie al suo saggio operato.
Egli aveva però anche un fratello egoista e indisponente, il quale discuteva la sua volontà ad ogni occasione, cercando di sminuire la sua grandezza; malgrado il Re cercasse di comprendere le motivazioni nascoste dietro quell'astio, ogni tentativo di ragionare con lui non sortiva mai alcun effetto.
Un brutto giorno, alcuni membri del branco finirono uccisi durante un conflitto con altri leoni provenienti da terre confinanti: uno dei sopravvissuti giunse fino al suo cospetto, nella tana in cui viveva, avvertendoli che il capobranco aveva dichiarato loro guerra e che nulla poteva fermarlo fino al compimento del suo obiettivo.
Temendo quindi per la sorte dei sudditi e della sua famiglia, il Re fu costretto a mobilitare immediatamente il branco per fronteggiare quella minaccia incombente.
Non voleva combattere ma doveva farlo per sopravvivere. Chissà se il suo avversario la pensava come lui.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ahadi, Nuovo personaggio, Rafiki, Uru
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Nota: la porzione di testo in corsivo indica la presenza di un flashback

Il viaggio di ritorno verso la rupe non fu breve. Ferito e sanguinante, Mohatu percorse il sentiero che li avrebbe ricondotti alla Rupe, ripensando agli eventi appena trascorsi e all’importante decisione che aveva preso.

Cercò di non fare movimenti bruschi mentre camminava, abbassando di tanto in tanto lo sguardo per controllare che la minuscola palla di pelo tra le sue fauci stesse dormendo tranquilla; la cucciola infatti smise di piangere soltanto nel momento in cui lui stesso la prese per la collottola: Nya provò a scherzarci su, dicendo che il leone doveva aver ispirato maggiore fiducia alla neonata dal momento che era stato il primo a trovarla.

Rimase silenzioso per tutto il viaggio, immerso nei suoi pensieri. Non aveva alcun dubbio che quella di soccorrerla fosse stata la decisione più giusta, ma dentro di sé non riusciva a liberarsi del cocente senso di colpa per non essere riuscito a salvare anche i suoi genitori. Al contrario, pensò che il suo intervento avesse solo peggiorato le cose: si chiese cosa sarebbe accaduto se non avesse temporeggiato così tanto, inducendo Kito a spingerlo verso il precipizio...

Prima di giungere a destinazione, comunque, i superstiti sostarono brevemente presso una limitrofa pozza d’acqua per riprendersi dalla fatica della lotta che era costata loro la vita di amici e parenti. Non era certo la prima volta che Mohatu e il suo branco venivano coinvolti in un combattimento da quando suo padre era stato ucciso.

Il precedente Re delle Terre del Branco aveva provato in ogni modo a mediare con gli altri branchi esterni, nel vano tentativo di porre fine ai conflitti. Per ogni alleato favorevole al suo ideale di pace, tuttavia, dieci leoni lo definivano un folle: a detta loro era facile parlare di pace con la pancia piena. Spinti dalla bramosia per quella vasta pianura che offriva approvvigionamento inesauribile, i piccoli branchi nomadi cominciarono a sfidare il Re per appropriarsi delle sue ricchezze, usurpandone il trono; così da allora i combattimenti divennero presto una macabra abitudine e la savana si macchiò di rosso come il sangue che ogni giorno veniva versato irragionevolmente.

Di nuovo, Mohatu si chiese come si sarebbe comportato il suo predecessore nella sua situazione: suo padre era solito dargli molti consigli quando era in vita. Quando risalì in cima alla Rupe dopo aver scalato l’ultima piattaforma rocciosa, alzò lo sguardo verso il cielo con aria malinconica, come in attesa di un suo segno che potesse placare la sua inquietudine.

«Siano ringraziati i Re del Passato, siete tornati!» La voce della Regina attirò la sua attenzione e quella del branco che lo seguiva: voltandosi, il leone riconobbe la compagna dal manto chiarissimo che corse cautamente loro incontro. «Mohatu, com’è andata? State tutti bene?» chiese, tenendo fissi su di lui i delicati occhi verdi come due preziosi smeraldi colmi di apprensione. Senza dargli il tempo di rispondere, la giovane leonessa girò attorno al compagno, concitata, ispezionando da cima a fondo le brutte ferite che aveva riportato.

«Quanti erano?» chiese poi, rivolta alle leonesse. «Una decina, incluso il capobranco» rispose in tono piatto Nya, facendosi avanti dopo aver poggiato per terra la cucciola singhiozzante che aveva trasportato per il resto del viaggio. La Regina notò il cucciolo e le sue pupille si allargarono per la sorpresa.

«Un momento… Dove sono Tulia, Jioni, Akili e Taraji?» domandò in tono grave notando alcune assenze: il silenzio che seguì fu fin troppo eloquente e cominciò a lacrimare.

«Non ce l’hanno fatta, maestà. Hanno sacrificato la loro vita per il bene delle Terre del Branco» confermò la leonessa scura, abbassando dolorosamente il capo, e il branco fu attraversato da alcuni singhiozzi.

La regina parve vacillare ma respirò a fondo per calmarsi, dopodiché si voltò nuovamente verso il compagno; Mohatu le indicò l’ingresso della grotta con un cenno del capo e le leonesse furono libere di rompere i ranghi.

Nya raggiunse in fretta il fondo della cavità dentro la Rupe, alla ricerca della levatrice che si stava prendendo cura del suo cucciolo, l’unica altra leonessa anziana rimasta insieme alla Regina. Dopo averla trovata si distese in un angolo buio e cominciò ad allattare entrambi i leoncini affamati, che finalmente si calmarono.

«Che cosa è accaduto laggiù, Mohatu? Perché Nya sta allattando una cucciola non sua?» domandò allora la Regina, sbigottita da quella scena. Il leone non rispose subito, intento com’era a leccarsi le ferite per evitare un’infezione.

«Vivrà con noi, d’ora in poi. Nya ha deciso di adottarla e… ho fatto una promessa al padre di quella leoncina» mormorò piano quando ebbe terminato. La compagna si voltò a guardarlo, sempre più sorpresa.

«Un padre con sua figlia neonata nel campo di battaglia?» chiese incredula, vedendolo annuire.

«Era il capobranco dei leoni del Nord che ci hanno dichiarato guerra nei giorni scorsi» spiegò il Re, costernato.

«Penserai che sono impazzito, Uzuri[5]. Non ti biasimo» aggiunse dopo aver visto l’espressione scioccata della compagna, «ma lasciami spiegare, prima» e le raccontò l’accaduto per filo e per segno, così come l’aveva vissuto. Quando terminò, la Regina non sapeva cosa dire.

«Tutto questo è incredibile. Posso a stento immaginare ciò che hai provato» commentò infine la leonessa.

Mohatu annuì. «Perciò ho deciso di farla vivere insieme a noi. È il minimo, se non fosse stato per lui ora non sarei qui a raccontartelo».

Entrambi furono attirati dal rinnovato fracasso della cucciola che piangeva incessantemente nelle zampe di Nya, la quale cercava di cullarla sussurrando una ninna nanna.

«Che ne è stato della madre?» chiese Uzuri tristemente, prevedendo già la risposta.

«Morta. Me lo ha detto Kito prima di finire nel dirupo». Dal tono del compagno, la leonessa capì che non voleva proseguire ulteriormente quella conversazione: probabilmente, pensò, ci sarebbe stato un altro momento adatto per chiedere ulteriori dettagli.

«Vieni, ti aiuto io» disse poi a un tratto, notando la difficoltà del suo compagno a raggiungere le ferite più profonde, quelle dietro la schiena. «Non dovresti sforzarti così nella tua condizione, mi passerà» protestò debolmente il Re, prima di abbandonarsi a un gemito di dolore.

«Oh sicuro, così tu sarai il prossimo Re che dovremo seppellire nell’arco di una stagione» lo ammonì Uzuri, costringendolo a distendersi di fianco.

«C’è sempre Choyo[6]» esclamò Mohatu in risposta senza entusiasmo, avvertendo un leggero sollievo grazie alle cure. La leonessa sbuffò e gli scoccò un’occhiata obliqua, spazientita.

«Stai delirando, evidentemente l’infezione è già in circolo». L’affermazione strappò a entrambi una timida risata.

«Dove si è cacciato, a proposito? Gli avevo raccomandato di controllare le zone più vicine alla Rupe per assicurarvi la minima protezione in nostra assenza» chiese il Re, guardandosi intorno.

Uzuri leccò energicamente i quattro graffi più profondi che solcavano la schiena del leone.

«Lo ha fatto, in effetti… All’inizio» rispose in tono piatto. «Poi ha iniziato a piovere e si è rintanato nel suo giaciglio. ‘Il mio caro fratellone tornerà sano e salvo, non vi occorre la mia protezione’ ha detto, per poi blaterare su quanto sarebbero diverse le cose con lui al comando, come al solito» raccontò, imitando la voce aspra del cognato.

Mohatu inarcò le sopracciglia, lasciandosi sfuggire un ringhio. «Non avrebbe dovuto fare così». La compagna alzò le spalle.

«Hmph. Non che io abbia bisogno della sua protezione, figuriamoci. So badare a me stessa» replicò Uzuri con aria determinata. «Soprattutto adesso che devo fare il doppio dell’attenzione».

Vedendo l’espressione preoccupata dipinta sul muso del leone che rivolgeva al suo ventre gonfio, la leonessa sfregò il proprio capo con il suo, in segno di affetto. «Andrà tutto bene, Mohatu. Supereremo anche questa» lo incoraggiò.

Il leone non rispose. La vita che cresceva dentro la sua compagna lo riportò a poche ore prima, quando stava ancora fronteggiando Kito pochi istanti prima che morisse.

«Le hai salvato la vita» insistette Uzuri, quasi come se gli avesse letto nel pensiero.

«Avrei dovuto discuterne con te prima di prendere questa decisione» disse Mohatu senza voltarsi, evitando lo sguardo penetrante della leonessa, ma quella scosse il capo.

«Di cosa stai parlando? Sarei stata d’accordo con te in qualsiasi caso. Sarebbe morta di fame se non l’avessi presa con te, no? Non siamo assassini». Il leone gemette a quella frase e decise di confessarle le sue paure.

«Aveva cambiato idea, Uzuri. Avremmo potuto fermare questa follia, insieme… ma non ho fatto in tempo. Lui ora per colpa mia è…» esitò a pronunciare quel tremendo pensiero, ricordando il leone dalla pelliccia rossa cadere nel vuoto inesorabilmente.

La leonessa però lo interruppe, accarezzandogli il volto con una zampa. «Ora ascoltami bene, Mohatu» gli sussurrò. La giovane lo guardò dritto nei suoi occhi bruni, in quel momento smarriti e pieni di incertezze.

«Sei un Re saggio e un meraviglioso leone. Sei buono, giusto, fin troppo gentile e preferisci evitare di ricorrere alla violenza quando ti è possibile. So per certo che hai fatto tutto ciò che era in tuo potere per salvarli».

La leonessa gli rivolse uno sguardo comprensivo, poi continuò: «il Cerchio della Vita sa essere crudele con chi non lo merita ed è magnanimo con chi compie delle atrocità, a volte. Questi scontri che ormai ci coinvolgono così spesso stanno diventando più grandi di tutti noi… Non addossarti anche questa responsabilità» disse, indicando la leoncina che adesso dormiva adagiata a terra.

«È nostro compito andare avanti e guidare coloro che verranno dopo, offrendogli un mondo migliore» e indicò il proprio ventre. «Non hai alcuna colpa se il terreno è crollato, Mohatu» insistette.

Il leone abbozzò un sorriso, sollevato da quelle parole di conforto e le accarezzò il capo con la propria criniera.

«Come ti senti? State bene, tu e il cucciolo?» chiese poi, di nuovo un po’ in apprensione. Uzuri sorrise, battendosi una zampa sul petto.  «Te l’ho detto, stiamo benone! Del resto, non dovrebbe mancare molto alla nascita».

Il leone si irrigidì, preso alla sprovvista. «D-davvero? Sei sicura?» le chiese, ed ella annuì.

«Certo che sono sicura, sciocco» mormorò, scoppiando poi a ridere. «Piccolo, lo senti tuo padre?» chiese, sfiorandosi il ventre con la zampa. «Crede che io non sappia quando nascerai, è proprio un simpaticone! Ma in fondo è proprio per questo che l’ho scelto, no?» aggiunse, strappando una risata al compagno.

«In realtà le cose non sono andate proprio così…» replicò affettuosamente il leone dalla criniera rossastra, mentre il sole cominciava la sua discesa oltre l’orizzonte.

«Sarai un ottimo padre, mio Re».

«E tu una madre meravigliosa, mia Regina». 
 
*
 
Il sole tramontò altre dieci volte dopo quella tragica battaglia, concedendo al branco di Mohatu una lieve tranquillità. Quella notte però la rupe dei Re si trovò nuovamente in uno stato di agitazione: la Regina infatti si era sentita male quello stesso pomeriggio, segno inequivocabile che il momento del parto era finalmente arrivato.

Mohatu apprese la notizia solo in un secondo momento, poiché si trovava nel bel mezzo delle Terre del Branco mentre Uzuri entrava in travaglio, impegnato a risolvere una disputa tra una mandria di gnu e un gruppo di gazzelle, accusate dai primi di aver sconfinato nel loro territorio.

A informarlo dell’evento improvviso era giunto un giovane pennuto, un bucero caratterizzato da delle appariscenti piume blu e un grosso becco, la cui forma affusolata e la sgargiante tonalità canarina ricordava curiosamente una banana.
 
«SIRE!» stridette ansimante, comparendo all’improvviso davanti al leone. Il verso chiassoso costrinse tutti i presenti a voltarsi verso di lui: nessuno, a parte Mohatu, parve contento di vederlo.

«Cosa c’è, Zozu? È successo qualcosa?» gli chiese gentilmente il giovane leone. Zozu provò a parlare, ma la fatica per aver volato troppo velocemente lo costrinse a riprendere fiato.

«Fa pure con comodo, pennuto, tanto noi abbiamo tutto il tempo del mondo!» esclamò uno degli gnu con tono sarcastico.

«Via, via, fallo respirare, guarda com’è stremato…» ridacchiò una gazzella. Sentendosi provocato, lo gnu sbuffò rumorosamente, rivolgendogli uno sguardo di profonda avversione.

«Oh taci, sporco ladro! Non ti ingrazierai così facilmente il Re!». Il gruppo di gazzelle rumoreggiò rabbiosamente, mentre il leader assumeva un’espressione profondamente offesa. «Come…Osi darmi del ladro, patetico ruminante?!».

I due arrivarono muso contro muso e sarebbe scoppiata una rissa se un sonoro ruggito non li avesse interrotti appena in tempo.

«Molto bene, datevi una calmata adesso» tagliò corto Mohatu, scoccando un’occhiata severa a entrambi gli erbivori, che si guardavano ancora in cagnesco ma in rigoroso silenzio.

«Vediamo se ho capito bene: questa mattina all’alba la mandria di gnu ha sostato come al solito nel territorio che spetta loro di diritto per cibarsi…» cominciò il leone aggrottandosi la fronte, pensieroso, «quando vi siete accorti che era già stato occupato, giusto?» chiese, rivolgendosi al bovide.

«E depredato mio Re, precisamente!» convenne indignato quest’ultimo.

«In effetti questo è il territorio di alimentazione degli gnu, cosa è successo al vostro?» domandò il leone rivolgendosi alla gazzella, che arrossì per l’imbarazzo.

«Nulla, Sire, ma vede… Qui c’è molta più scelta e sa, la nostra specie ha uno stomaco molto delicato» si giustificò.

«Ladri cafoni, altro che stomaco delicato!» tuonò lo gnu, incoraggiato dalle lamentele che si levavano dalla sua mandria. «Re Mohatu, io ho una mandria enorme da gestire, il territorio che ci spetta è appena sufficiente a sfamare noi! Comprenderà che non posso permettere alle altre specie di…» ma a quel punto Zozu, ripreso fiato, lo interruppe schiarendosi rumorosamente la voce.

«Sire» esordì in tono sorprendentemente regale e composto, «chiedo il suo consenso a intervenire per risolvere la discussione», e si inchinò. Mohatu fece un cenno di assenso, così il bucero si voltò verso i due capibranco, che lo fissarono quasi increduli.

«La legge è chiara in merito. Secondo il decreto di Re Mohatu indetto nella scorsa stagione delle piogge, a ogni mandria spetta di diritto una porzione di territorio delle Terre del Branco, la cui dimensione è soggetta a modifiche in base alla stagione, al numero di componenti e alla quantità di cibo disponibile. Ciò significa» sbottò all’improvviso, agitando minacciosamente un’ala nei confronti della gazzella, «che VOI non avreste dovuto sconfinare in altri territori per futili motivi, e ci tengo a ricordare che “maggiore scelta” rientra proprio in questa categoria; d’altra parte, VOI…» continuò in direzione degli gnu, appollaiandosi sulla spalla di Mohatu, «avete la faccia tosta di convocare il Re in persona per una questione tanto banale? Avete la porzione di territorio più vasta di tutte le altre mandrie e avete davvero il coraggio di lamentarvi?».

Un mormorio imbarazzato si diffuse in tutta la mandria; lo gnu deglutì, intimorito dalla sorprendente autorità del bucero. Infine, alzò gli occhi al cielo e voltò le spalle al Re, mugugnando un «Ce ne andiamo, allora», concludendo con un epiteto assai poco lusinghiero in direzione del volatile.

Zozu osservò gli gnu allontanarsi strepitando, dopodiché si rivolse alle gazzelle, che di fronte allo sguardo accusatorio del bucero fecero altrettanto senza dire una parola.

«Sono piacevolmente impressionato» commentò il giovane leone dalla criniera rossa, quando si furono allontanati.

«Avrei perso molto più tempo se non fossi arrivato tu, grazie infinite» ammise convinto, e Zozu sorrise orgogliosamente.

«Mi lusingate troppo, Sire. Sono mere questioni burocratiche queste, un maggiordomo che si rispetti deve essere in grado di gestirle con fermezza e autorità, al fine di alleggerire i gravosi doveri cui il Re deve adempiere!» disse agitando l’ala compiaciuto. Mohatu scoppiò a ridere. «Su questo non c’è dubbio. Potresti persino governare il Regno con la tua caparbietà se fossi appena un po’ più grande, sai?».

Il bucero avvampò, imbarazzato. «R-ritengo che i-il ruolo di maggiordomo sia più consono alle mie capacità, S-sire, eheh…».

«Piuttosto, per quale motivo mi stavi cercando? Sei venuto così di fretta dalla Rupe dei Re che mi hai fatto preoccupare» disse Mohatu, voltandosi tranquillamente verso il bucero.

Questi ricambiò sorridendo cordialmente. «Oh, quello, sì…Mi ha mandato Nya…» cominciò con noncuranza, ma una volta pronunciato il nome della leonessa parve imbambolarsi: rapidamente il sorriso si trasformò in una smorfia terrorizzata, ricordandosi dell’urgenza.

«DEVE TORNARE SUBITO ALLA RUPE! LA REGINA…» sbraitò in preda al panico, spiccando immediatamente il volo. Il cuore di Mohatu mancò un battito, allarmato dalla reazione del maggiordomo.
«Cosa è successo a Uzuri?» chiese, con una nota di panico nella voce.

«LA REGINA STA PER PARTORIRE, MOHATU!» Urlò di gioia Zozu, dimenticando per un istante le formalità, ma subito dopo essersi reso conto del tono scomposto cercò di darsi un minimo di contegno, riprendendo un tono solenne. «Ehm, Re Mohatu volevo dire. Deve recarsi subito alla Rupe!» disse poi, ma il leone era già lontano.

«E ME LO DICI SOLTANTO ORA?!» gli ruggì dietro quest’ultimo, correndo a tutta velocità verso il grande monolite roccioso.

«Accidenti a me. Devo rivedere le mie priorità» sussurrò nervosamente il bucero a sé stesso, inseguendolo.
 
Ora era lì, disteso accanto alla punta estrema della Rupe in attesa, con il sole da poco sparito dall’orizzonte. Uzuri non aveva ancora partorito: le leonesse più anziane si erano rintanate assieme a lei dentro la grotta, in una zona interna più riparata e destinata alle madri che accudivano i neonati.  

Pertanto Mohatu, costretto ad attendere fuori dalla grotta, si offrì di tenere d’occhio uno dei cuccioli già nati mentre le madri erano intente ad assistere Uzuri.

Mentre le ombre avvolgevano la savana, il leone udì un miagolio ben distinto provenire dalle sue zampe, e abbassando lo sguardo sorrise radioso.

«Piccola Uru[7], tra poco non sarai più sola! Presto arriveranno dei nuovi cuccioli a farti compagnia. Sei contenta, vero?» Strofinò il naso affettuosamente contro quello della leoncina, che miagolò entusiasta, afferrandoglielo con le zampine.

«Ehi, mi hai acchiappato!» rise divertito il Re. «Sarai proprio una brava cacciatrice, ne sono sicuro!» dichiarò, sollevandola da terra giocosamente.

«Che scena patetica, fratello» proruppe però una voce all’improvviso. Mohatu avvertì l’odore del nuovo arrivato, il quale ringhiò sommessamente per segnalargli la propria presenza.

Il Re riconobbe immediatamente il proprietario di quella voce e la tensione parve allentarsi leggermente. «Choyo, quale piacevolissima sorpresa trovarti qui» lo salutò cordialmente, voltandosi a guardarlo.

L’altro leone maschio del branco avanzò cautamente, circospetto. Somigliava vagamente a Mohatu ma allo stesso tempo non potevano essere più diversi, a cominciare dall’aspetto fisico: visivamente più gracile, con la coda che gli penzolava malinconicamente a terra, Choyo aveva una criniera rossiccia, identica a quella del fratello per colore, ma poco folta e arruffata, il pelo di una tonalità appena più sbiadita, mentre il corpo mingherlino e poco allenato rispetto a quello del Re lasciava trasparire una certa trascuratezza, sebbene non fosse segnato dalle cicatrici.

Abbassando lo sguardo, Mohatu notò che teneva gli artigli sfoderati, pertanto si alzò con calma per non spaventare la cucciola e lo fronteggiò, guardandolo dritto negli occhi.

«A cosa devo la visita?» gli chiese cautamente. Choyo non rispose subito: lo squadrò intensamente con una strana espressione, poi gettò un’occhiata disgustata alla cucciola, che prima il fratello teneva tra le zampe e ora giaceva a terra, ricambiandogli lo sguardo con un’espressione innocente.

«Mi stavo domandando quando avrò il piacere di vedere quella lì data in pasto agli alligatori, ma a giudicare da questo quadretto familiare, ho come l’impressione che le mie aspettative verranno largamente deluse» disse in tono assente.

Quelle parole non piacquero per nulla a Mohatu, colto alla sprovvista. «Sono desolato, ma temo tu abbia ragione a questo proposito. Abbiamo già parlato della sorte di questa leoncina, ed è a tutti gli effetti parte del nostro branco» replicò freddamente, sentendo la propria ira crescere come un fuoco ardente.

Choyo rise, beffardo. «Come puoi essere caduto così in basso? Un membro del nostro branco, dici… Quindi d’ora in poi tutti i cuccioli orfani raccattati durante i combattimenti verranno accolti da sua maestà il Re?» gli chiese, sarcastico. «Se fosse stato per me non avrebbe visto sorgere il sole dopo che i suoi genitori l’hanno lasciata sul campo di battaglia. È questa la fine che devono fare, prima che abbiano la possibilità di ucciderti per vendetta» aggiunse, scoccando alla leoncina un’occhiata velenosa.

«Questa volta è diverso» rispose Mohatu seccamente. «Non ha alcuna responsabilità così come non ne aveva il suo branco di origine» aggiunse, determinato a concludere quella spiacevole conversazione.

«Il ‘branco’ a cui apparteneva questo cucciolo ha ucciso le nostre leonesse! Metà del branco perduto in tre combattimenti, Mohatu. Non è altro che una sporca traditrice tanto quanto il suo vergognoso padre naturale» osservò Choyo, cinico.

Il Re digrignò i denti. «Le lotte precedenti non avevano nulla a che vedere con questo branco! Se non fosse stato per suo padre, io non sarei qui» replicò, provando un moto di tristezza a quel ricordo.

«Che eroe» sogghignò Choyo, incurante dell’espressione contrita del fratello. «Peccato che sia cascato da solo in quel dirupo. Poteva portarsi questo sgorbio con sé e il problema si sarebbe risolto immediatamente». A quelle parole Mohatu perse la pazienza e gli ruggì in segno di avvertimento, furibondo.

«Ho deciso di salvarla e te ne farai una ragione che ti piaccia o meno, fine della questione» sentenziò irato, con gli occhi che lampeggiavano pericolosamente. Il fratello fece un passo indietro, intimorito da quello scatto violento, ma sostenne il suo sguardo.

«Non intendo tollerare altre empietà su Uru o sulle sue origini da parte tua, d’ora in avanti. Sei mio fratello, ma ricorda bene il tuo posto, Choyo. Soprattutto se contribuisci così poco al benessere del nostro branco» concluse in tono categorico il sovrano, tornando a sedersi.

L’altro leone lo fissò con sguardo cupo mentre la cucciola piangeva, spaventata dal forte rumore provocato dal fratello che la teneva nuovamente tra le zampe.

«Non potrai mentire a te stesso per sempre» disse poi Choyo in tono sommesso. «Tu non sei il vero padre, né tanto meno Nya è la madre: il cucciolo che sta per nascere, quello è tuo figlio» aggiunse, accennando all’entrata della grotta.

«Ne sono perfettamente consapevole, fratello» replicò Mohatu, stizzito. «Nya sta assistendo Uzuri e Uru non le dava tregua. Non c’è niente di male a occuparsi dei cuccioli, dovresti provarci anche tu ogni tanto» aggiunse per provocarlo, ma quello non si scompose. «Sempre così altruista e nobile il nostro Re» osservò, «ma sii sincero per una volta, Mohatu, entrambi sappiamo la verità dietro questo atto di magnanimità. Lei è viva solo perché sei stato troppo codardo per lasciarla dove è stata abbandonata» disse con un ghigno. «Non facevo altro che ripeterlo a nostro padre. Sei troppo buono. Sarai molto più forte e saggio di me, come diceva lui… Quanto al cervello, però, posso considerarmi fortunato».

Mohatu si sentì oltraggiato da quelle parole, sfoderò gli artigli e gli ringhiò contro, spaventando nuovamente la leoncina sotto di sé. «Fratello, ti avverto…» disse, guardandolo dritto negli occhi. Choyo però gli sorrise imperterrito.

«Continua così e finirai come quel Kito che tanto ti porti orgogliosamente nel petto, un morto di fame che si è piegato a te nel momento in cui ha capito che poteva abbindolarti: fidati del tuo saggio fratellino».

Il grande leone a quel punto ringhiò ancora più forte. «MI HA SALVATO LA VITA!» ruggì al fratello, ricordando dolorosamente l’ultima battaglia che aveva affrontato.

«Perché non avrebbe potuto fare altrimenti» replicò Choyo, ghignando. «Ormai aveva perso. Sapeva di non potere nulla contro di te e non poteva più garantire nulla al suo branco. Se non si fosse suicidato ‘eroicamente’ ci avrebbero pensato le sue sottoposte a toglierlo di mezzo».

Mohatu era sconvolto: non era andata così, suo fratello si stava sbagliando di grosso.

«Tu… Non eri lì» disse soltanto, respirando a fatica. «Beh, allora è tutto a posto, no?» commentò sarcastico questi.

Il Re digrignò i denti, ma prima che potesse fare altro una voce squillante li interruppe.

«Sire, Sire! Ci siamo, è nato, è nato! Un maschio sano e forte!» trillò Zozu nel suo tono più cordiale ed entusiasta, svolazzando intorno ai due leoni.

Volse uno sguardo al Re, ma notando l’espressione irata che rivolgeva a suo fratello, il sorriso dipinto sul becco si attenuò e ridiscese a terra.

«Va… Tutto bene?» chiese, incerto sul da farsi. I due leoni continuarono a fissarsi per qualche istante, finché Choyo accennò appena un inchino: la sua espressione arrogante, tuttavia, non lasciò trasparire alcuna forma di rispetto.

«Splendidamente» disse in direzione di Zozu. «Dovevo fare le mie congratulazioni al nostro amato Re Mohatu per la nascita di suo figlio, nonché mio nipote. Adesso, però…» aggiunse sbadigliando, «vado a stendermi, si è fatto tardi. La mia povera anca reclama il suo dolce riposo, sapete com’è malconcia… Porgerò i miei omaggi alla Regina domani, naturalmente» concluse, accennando all’entrata della grotta.

Detto questo, dopo aver lanciato un’ultima occhiata infuocata al fratello fece dietrofront, scomparendo nell’ombra notturna come se nulla fosse accaduto.

Mohatu lo seguì con lo sguardo, in collera e ancora con le vene pulsanti nella tempia, finché non scomparve: sospirò più volte cercando di tornare in sé e solo dopo aver riaperto gli occhi scorse il bucero, rimasto immobile in attesa di istruzioni.

«Grazie Zozu, scusa per la scenata» si affrettò a dirgli, forzando un sorriso. Il pennuto si inchinò velocemente, rigido come un ramo d’albero.

«Un Re non deve scusarsi per aver impartito una lezione, Sire» replicò, tenendo il becco chino fino a quasi toccare terra.

Il leone prese per la collottola la cucciola, non prima di averla calmata per il baccano che aveva causato, per poi fare il suo ingresso nella grotta; dopo pochi passi il giovane riuscì a mettere da parte i pensieri cupi dovuti alla discussione con Choyo poiché alla sua vista comparve Uzuri, accerchiata da alcune delle leonesse più anziane del branco, intenta a tenere tra le zampe un batuffolo biondo di pelo.

Si avvicinò cautamente, con il cuore che cominciò a battergli a mille e un sorriso che andava via via allargandoglisi sul muso. Consegnò gentilmente la leoncina alla madre adottiva, Nya, la quale teneva stretto tra le zampe l’altro cucciolo, un maschio nato pochi giorni prima l'ultima battaglia che li aveva coinvolti: entrambi i leoncini ora fissavano incuriositi il nuovo arrivato.

La Regina alzò appena il capo, riconobbe l’odore del compagno nella penombra della grotta e sorrise stancamente.

«Uzuri… Amore mio…» mormorò il Re, leccandole affettuosamente il muso dopo averla raggiunta. Aveva gli occhi lucidi dall’emozione, mai aveva creduto di poter provare tanta felicità come in quel momento. La leonessa ricambiò l’affetto del compagno finché insieme non abbassarono lo sguardo.

Il cucciolo aveva le palpebre semiaperte, da cui si potevano intravedere fiocamente delle brillanti iridi verdi identiche in tutto e per tutto a quelle di sua madre, mentre il manto era color sabbia dorata, straordinariamente simile a quello di suo padre; piangeva a pieni polmoni, quasi come per far sapere a tutti quanti che si era appena affacciato alla vita.

«Ehi, ehi… Non fare così…» sussurrò il leone, portandosi a pochi centimetri dal piccolo: questi, avvertendo il calore paterno accanto a sé iniziò a calmarsi e il pianto, lentamente, si diradò.

«Penso che tu piaccia già al nostro maschietto» decretò Uzuri intenerita; Mohatu scrutò orgogliosamente entrambi mentre Uru scoppiava a ridere, cercando di scavalcare allegramente la zampa della madre per raggiungere il minuscolo leoncino. Il fratellino invece, intimorito dal pianto, alzò lentamente la testolina per osservare il cucciolo appena nato, ora con aria interrogativa.

«Direi che ha fatto colpo non solo su di noi, eh?» ridacchiò il Re, ritraendosi e leccando nuovamente il muso della compagna che annuì convinta.

«Come vogliamo chiamarlo?» chiese dopo un po’: Uru, nel frattempo, si era avvicinata al piccolo sprofondato in un sonno tranquillo e lo osservava con gli occhioni spalancati.

Mohatu ci pensò, ma nel profondo aveva già una chiara idea sul nome che avrebbero potuto dare al loro cucciolo nel caso si fosse trattato di un maschio.

«Pensavo a un nome, in effetti» esordì, cauto.

«Beh, che aspetti? Io non ho proprio alcuna idea in mente, perciò sta a te!» replicò la Regina, scoppiando a ridere gioviale.

«Ahadi[8]» disse Mohatu, deciso. Si rivolse a Uzuri, in attesa del suo parere e quest’ultima annuì.

«E sia, amore mio. Ahadi, come la promessa di un futuro migliore» concluse, approvando la scelta del compagno.
 
[5] Uzuri: Vuol dire ‘bellezza’ nella lingua Swahili.
 
[6] Choyo: significa ‘egoista’ in Swahili.
 
[7] Uru: è questo il nome scelto dal branco per la piccola leoncina, in memoria del padre naturale. Significa ‘diamante’ in lingua Swahili.
 
[8] Ahadi: Significa ‘la promessa’ in Swahili.

Angolo dell'autore:
"Ciao a tutti!
Ecco a voi il secondo capitolo della storia. Ho deciso di pubblicare con cadenza settimanale come potete notare, precisamente ogni sabato salvo imprevisti dell'ultimo minuto che eventualmente comunicherò. Domando scusa in anticipo se i titoli dei capitoli potranno sembrare un po' banali, ma in tutta onestà non sono proprio il mio forte!
Sentitevi liberi di lasciare una recensione, una critica o anche dei suggerimenti, sono sicuro che mi aiuteranno molto i vostri commenti con il prosieguo della storia! Rimango inoltre a disposizione in caso di eventuali domande sui personaggi o su qualcosa che è risultato poco chiaro nella lettura. 
Al prossimo capitolo!

Un saluto da Lion"
   
 
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