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Autore: _Cthylla_    03/05/2020    3 recensioni
[Sequel della fanfic del 2013 “The Specter Bros’”]
Dopo la battaglia che ha portato alla distruzione dell’Omega Lock, molte persone in entrambe gli schieramenti si sentono perse o hanno perso qualcosa -o, ancora, qualcuno.
Il ritorno di vecchie conoscenze più o meno inaspettate sarà destinato a peggiorare ulteriormente la situazione o porterà qualcosa di buono?
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Autobot, Decepticon, DJD/Decepticon Justice Division, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Transformers: Prime
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Specter Bros'- la serie'
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(“Come vanno le cose?”)















Tutto si sarebbe potuto dire, tranne che l’atmosfera nei bui corridoi e nelle altrettanto fosche stanze dell’astronave Nemesis fosse allegra.
Non che ciò dovesse meravigliare avendo appena subito una brutta sconfitta per mano di un Optimus Prime redivivo e in grado di volare… eppure non era quello il motivo principale del pessimo stato d’animo dei presenti nell’infermeria.

«Ma come diavolo volete che faccia a riparare questa cosa?! Non so nemmeno da dove dovrei iniziare!» esclamò Knockout, indicando ciò che fino a poco tempo prima era stato l’Air Commander dei Decepticon, il comandante in seconda di Lord Megatron, un seeker argentato dalla corazza curata quasi quanto la sua -solo quasi: nessuno più di Knockout badava all’estetica- e che in quel momento era…

«Hhhh…»

Un rottame.
Un rottame incapace anche solo di parlare.

La scatola vocale non era stata danneggiata e la bocca era libera da quando avevano rimosso le mani che erano state staccate dalla loro sede naturale e infilate all’interno, ma l’insieme di tutti i restanti problemi impediva a quel mech di mettere insieme una frase di senso compiuto.
Le lunghe gambe snelle e ben modellate di Starscream erano ormai solo un lontano ricordo, ridotte a dei poveri monconi sbrindellati che si interrompevano poco sotto quel che restava dell’inguine, che non era messo meglio, essendo stato privato della propria relativa protezione per poter versare del metallo fuso direttamente su organi riproduttivi ormai inutilizzabili. Come se ciò non fosse stato sufficiente, il volto del Decepticon presentava un numero imprecisato di fori, l’unico segno che restava delle ali era il disastro che aveva sulla schiena, le braccia erano state divelte fino a metà e, infine, il T-Cog era presente ma distrutto.

«Comincia da dove vuoi, Knockout, basta che tu lo faccia. Hai a disposizione la tecnologia migliore della galassia e materiale per i trapianti, quindi inizia subito» disse Megatron.

«Sì, Lord Megatron» obbedì il medico, sconsolato, iniziando a esaminare con più attenzione il ferito.

«Se non altro ora sappiamo cosa stava facendo mentre Darkmount veniva abbattuta» commentò poi l’ex gladiatore.

Era debilitato dalla battaglia, o meglio, era debilitato per l’esplosione in cui era finito coinvolto, ma non si sentiva ridotto uno straccio, soprattutto facendo il confronto tra le proprie condizioni e quelle di Starscream. Non era la prima volta che gli capitava di vedere un mech ridotto molto male, in svariati casi lui stesso era stato la causa, però quel che aveva davanti era diverso.

“Airachnid? Specter?”

Escludendo a priori un ritorno della M.E.C.H., che comunque agiva in modo diverso, quei due nomi erano gli unici che gli venivano in mente pensando ai transformers ufficialmente presenti sulla Terra. Anche tenere in considerazione il massacro dell’ Autobot Wheeljack -riguardo cui avevano fatto rapporto i vehicons e che a livello di arti semidistrutti presentava un modus operandi simile- non aiutava granché a capire quale dei due potesse essere di preciso il colpevole. Entrambi avevano qualche motivo per detestare tanto Wheeljack quanto Starscream.

«I vehicons hanno riferito che era uscito per la nuova miniera» disse Soundwave, con voce inespressiva.

Nulla nell’Universo avrebbe potuto far sì che provasse compassione verso Starscream, non solo per quel che era successo con Spectra negli ultimi tempi ma anche perché l’atteggiamento del seeker gli aveva da subito impedito di averne stima. Il massimo che Soundwave aveva sempre fatto era stato sopportarlo.

«Poi però si è allontanato per conto proprio, nessuno ha idea del perché» continuò «E nessuno ha avuto notizie di lui fino a poco fa» alias quando Megatron aveva dato ordine di cercare il suo segnale ed era stato trovato «Forse c’entra qualcosa l’astronave Harbinger, in linea d’aria non è poi tanto… lontana…»

Vide Megatron voltarsi per scambiare un’occhiata con lui, segno che avevano avuto lo stesso pensiero.

«Soundwave, controlla a quale unità di vehicons è stato ordinato di sorvegliare l’Harbinger».

Il tecnico non impiegò molto a verificare che a nessuna unità di vehicons era stato impartito tale ordine, segno che Starscream aveva lasciato l’Harbinger senza protezione.
Un’astronave che se sistemata poteva costituire tanto da base operativa quanto da rifugio.

«A nessuna. Era lì, era vuota…»

«Gli Autobot potrebbero averla utilizzata, spiegherebbe il Ponte Terrestre in cui sono scomparsi. Però se hanno ritrovato i contatti con gli umani» come dimostrava il colpo di grazia che questi ultimi avevano dato a Darkmount «Non credo che siano più lì, come di certo non è più lì chiunque vi si fosse rifugiato prima. Credo anche che “chiunque” non sia stato preso in ostaggio dagli Autobot, in caso contrario avrebbero cercato di sfruttare la cosa».

«Non che questo mi tranquillizzi, se lì fuori c’è qualcuno in grado di fare cose del genere» replicò Soundwave, indicando Starscream con un cenno del capo «E Spectra-»

Un ululato terrorizzato e rauco che sembrava più adatto a una bestia che a un essere senziente si levò dalle labbra di Starscream che, con uno sguardo folle nelle ottiche rosse totalmente spalancate, iniziò ad agitarsi sul lettino cercando inutilmente di coprire il volto con ciò che restava delle braccia mozzate.

«Lo sapevo! Dovevo addormentarlo subito!» esclamò Knockout, cercando di tenere fermo il seeker mentre gli infilzava una siringa alla base del collo.

Una reazione che dava da pensare, rifletté Megatron, perché secondo lui si spiegava solo in due modi: la prima era che fosse stata lei a ridurlo in quel modo -ma gli sembrava improbabile perché né lei né Dreadwing avevano i mezzi per fare tanto- e la seconda era che fosse in qualche modo coinvolta, il che poteva portare a svariate ipotesi poco edificanti sull’accaduto che solo Starscream avrebbe potuto chiarire… prima o poi.

“Se non fosse per il T-Cog ancora al suo posto e per altri dettagli che non tornano, mi sarebbe venuta in mente una terza ipotesi oltre a Specter ed Airachnid” pensò “Ma per come stanno le cose adesso solo Starscream potrebbe confermarne o smentirne una, se riuscisse a parlare”.

«Non serve che parli di quel che è successo, possiamo vederlo da soli. C’è la connessione corticale e nella Nemesis c’è Shockwave, quindi abbiamo anche un esperto» disse Soundwave, rivolto a Megatron, come se avesse sentito i suoi pensieri «Potrebbe essere l’ideale per-»

«Per terminarlo. Solo per quello» lo interruppe Knockout «Non può reggere la procedura, lo capirebbe anche una protoforma».

“E se proprio vuoi sapere cos’è successo, trova la tua compagna e falle due domande. Se questi non sono i segni delle sue lame io mi chiamo Cenerentola!” aggiunse mentalmente il medico.

Aveva notato delle ferite inferte da lame particolarmente piccole in punti che se colpiti impedivano agli arti superiori di funzionare correttamente. Aveva già visto una cosa del genere tempo addietro, quando Airachnid era stata trovata ferita nello stesso modo: era stata Spectra a farlo e, da quel che era venuto a sapere, il giorno in cui la base degli Autobot era stata distrutta aveva ripetuto lo stesso giochetto col fratello.
A ogni modo decise di non parlare ai suoi superiori di quella scoperta, immaginando che forse farlo avrebbe potuto mettere Starscream più nelle peste di quanto già fosse, e non era il caso dato che nella Nemesis era rimasto l’unico con cui potesse fare due chiacchiere e avesse un briciolo di stile.
Non c’era dubbio alcuno sul fatto che, se Starscream l’aveva trovata ed era arrivato abbastanza vicino a lei da essere ferito, non era stato per salutarla amabilmente. Per come la pensava Knockout era probabile che lei l’avesse ferito, si fosse tolta di torno e in seguito qualcuno particolarmente sadico avesse approfittato della cosa.

“Magari il qualcuno in questione poi ha ucciso anche lei, la speranza è l’ultima a morire” pensò, trattenendo un sospiro.

«Allora sbrigati a rimetterlo abbastanza in sesto perché possa parlare. Questo è quanto» concluse Megatron, lasciando l’infermeria assieme a Soundwave.

«Vuoi che invii un’unità a vedere cosa c’è nell’Harbinger? Forse è tardi per…» Soundwave non completò la frase «Ma è sempre tecnologia Decepticon che va protetta».

Megatron si disse concorde ed evitò con cura di insistere perché Soundwave approfondisse quella mezza frase, avendone immaginato il contenuto, e poco dopo si separarono.

Una volta tornato alla propria postazione, Soundwave decise di contattare Spectra. Il comm-link di quest’ultima in quel momento era chiuso ma adesso poteva ricevere i suoi messaggi.
Memore di quel che gli aveva detto Megatron sul non essere impulsivo e l’evitare di fare stupidaggini -il consiglio riguardava il suo atteggiamento verso Spectrus, ma forse applicarlo anche a Spectra poteva essere una buona idea- decise di andare dritto al punto e limitarsi all’essenziale, come se fosse stata una semplice comunicazione di lavoro. Temeva che più avesse allungato il discorso più si sarebbe allargato il margine di errore.

«…»

“Erano oltre venti giorni che aspettavo un contatto e ora che posso parlarle non so da dove cominciare. In certe cose sono un disastro” si disse Soundwave, decidendo poi di farsi forza.

«Qui Soundwave. In seguito al tuo contatto provvedo a fornire le informazioni che hai richiesto. Le mie condizioni di salute sono buone, i miei cicli di ricarica sono tutto sommato regolari» mentì «E le tue scuse riguardo il graffio sono accettate. Causa recentissime vicende riguardanti Starscream, richiedo un aggiornamento immediato sulle tue condizioni di salute» aggiunse «E sulla tua posizione, così che io… così che tu…»

Ed ecco: in quel momento i buoni propositi di limitarsi all’essenziale andarono allegramente a servicebot.

«Devi tornare qui e basta, il tuo comportamento era già totalmente irrazionale quando credevi che Spectrus fosse offline ma adesso sappiamo che non è così, quindi non hai motivi per non tornare. Non risolverai niente stando in compagnia di un disertore, è tutto tranne che tuo amico e finirai solo col rovinarti più di quanto tutto quel che è successo abbia già fatto. Sono il tuo compagno di vita, spetta a me aiutarti a risolvere i tuoi problemi o farti capire che i suddetti non esistono. Potrebbe tornare tutto com’era se per una volta ti decidessi a usare il raziocinio, lo capisci? Spectra, lì fuori diventa sempre più pericoloso e io sono preoccupato per te più di quanto fossi prima, e lo ero già molto. Fatti sentire, per favore».

Avrebbe voluto essere più carino e più romantico dopo essersi reso conto che non sarebbe riuscito a restare formale ma non ce l’aveva proprio fatta, non si sentiva né una né l’altra cosa. Nella sua preoccupazione -mista alla gelosia e a un po’di acredine- tutto quel che voleva era che lei stesse bene e tornasse nella Nemesis… anche perché iniziava a chiedersi sempre più spesso chi effettivamente fosse in giro sulla Terra in quel momento.






***






Benché Darkmount fosse stata distrutta, gli abitanti della tranquilla cittadina chiamata Jasper non erano ancora stati fatti rientrare nelle proprie case, ragion per cui gli edifici erano ancora tutti vuoti, le strade erano tutte deserte e il silenzio era opprimente…

«“Le brutte intenzioni la maleducazione, la tua brutta figura di ieri seeera!”»

Con un’unica eccezione che, illuminata dalla luce vagamente rosata tipica dell’inizio di un tramonto, era rappresentata da un minicon che sfrecciava in mezzo alla strada grazie a un monopattino.

«“La tua ingratitudine, la tua arroganza…”»

Era difficile capire se fosse più assurdo questo, il fatto che indossasse una camicia a mezze maniche sulla quale era disegnato un bradipo che cavalcava un t-rex, o il fatto che nella busta che portava appesa al braccio fossero presenti altre sei camicie con fantasie altrettanto strane; tuttavia, forse la cosa più assurda era che quei bizzarri capi d’abbigliamento fossero la ragione precisa per cui si trovava lì.
Spectrus gli aveva detto che nella situazione attuale sarebbe stato il caso di rivedere le sue priorità, tornando quindi subito nella Jackhammer insieme a lui e rimandando lo “shopping” -che Bustin aveva previsto prima del ritrovamento di Wheeljack- a data da definirsi, però Bustin aveva idee diverse.

«“Fai ciò che vuoi mettendo i piedi in testa!”»

Aveva ritenuto di potersi permettere di entrare nei negozi chiusi per prendere le sue camicie… mettendo la giusta quantità contante in cassa, ovviamente, proprio come ogni bravo figliolo.
Sapeva che aggirandosi lì c’era un rischio di incontrare Autobot, Decepticon, ex Decepticon, insecticons, umani non necessariamente bene intenzionati o la Decepticon Justice Division -della quale, nel volare fino a Jasper, aveva anche localizzato l’astronave- però aveva concluso che per il momento potesse evitare di curarsene.

«Certo il disordine è una forma d'arte/ ma tu sai solo coltivare invidia!»

La sua partnership con Spectrus era nota solo a Ultra Magnus, che non aveva ancora parlato per bene con il resto del suo gruppo, e a Smokescreen, che in quel momento era legato nello sgabuzzino della Jackhammer e non poteva parlare affatto; il resto non sapeva ancora alcunché di lui ed era perfetto così. Anche in passato Bustin aveva sempre gradito la discrezione nelle faccende in cui si era trovato coinvolto o aveva generato lui stesso, preferendo che nessuno o solo il “giusto” numero di persone fosse a conoscenza dei suoi ruoli e cercando di prolungare tutto ciò finché era stato possibile.

«“Ringrazia il cielo sei su questo palco, rispetta chi ti ci ha portato deeentro/ questo sono io!...”»

Lo aveva fatto in Messico, lo aveva fatto in città o città-Stato più o meno discutibili sparse nel cosmo e lo aveva fatto anche a Prion, la sua terra natale. La sua immagine pubblica in età adulta era stata di uno studente la cui famiglia d’origine era benestante ma comunque lavoratore nel bar di quella che, in un equivalente umano, sarebbe stata un’università con svariati corsi.
Era stato lì che aveva conosciuto l’ultima fidanzata della quale gli era importato ben più di qualcosa, la prima persona a essere stata in grado di risvegliare in lui sentimenti d'amore sinceri ben diversi da un interesse da yandere, la stessa che lui aveva vigliaccamente lasciato andandosene via poco prima che la Black Block Consortia arrivasse -cosa che aveva saputo solo in seguito.

«Bustin?...»

“Ricordare i vecchi tempi mi dà quasi l’impressione di sentire la sua voce” pensò il minicon “Era una bella persona, lei e i suoi parenti non meritavano la fine che hanno fatto. Ma tant’è!...”

«Bustin!»

Sullo schermo visivo del minicon rimasero solo i due candidi occhi ovali fatti di micro pixel.
Sentire la voce della sua ex fidanzata una volta poteva essere stata un’impressione, sentirla due volte però poteva significare solo due cose, alias il preludio a una malattia mentale o, più semplicemente, che Nickel era dietro di lui.

E Nickel infatti era proprio dietro Bustin, a circa tre metri di distanza e intenta a guardarlo con un’aria sconvolta che nella situazione in cui si trovava era inevitabile avere.

Quando il resto della Decepticon Justice Division era uscito in perlustrazione, avendo avvistato un Autobot che probabilmente ormai aveva terminato il suo ciclo vitale in modo poco piacevole, l’aveva lasciata nella Peaceful Tiranny come accadeva di solito. Non era male che qualcuno restasse a guardia dell’astronave e Nickel non teneva particolarmente a esplorare parte di un pianeta abitato da organici. Proprio la presenza di questi ultimi l’aveva indotta a mettere una pistola laser alla cintura e impostare i radar alla massima sensibilità e alla massima portata: gli indigeni della Terra non erano particolarmente intelligenti o evoluti, almeno per quel che si sapeva, ma Nickel dava per scontato che anche loro avessero l’istinto di attaccare ciò che era estraneo. Si era messa al posto di comando pronta a difendere la nave da attacchi che per fortuna non erano arrivati, né da parte degli indigeni né da altri, cosa che aveva migliorato un umore che era stato un po’più inquieto del necessario e le aveva fatto pensare di aver esagerato.

A un certo punto però c’era stato il segnale di un oggetto volante non identificato che il radar aveva rilevato quasi per caso, trovandosi appena al confine, e quando Nickel aveva azionato le telecamere era arrivato il colpo. Non quello di un missile contro l’astronave, bensì quello altrettanto dannoso di scoprire che l’oggetto volante non identificato sembrava essere nient’altro che il suo fidanzato.
Ex.

O no?
Come definire un fidanzato molto amato che sarebbe dovuto essere nell’Allspark e che invece sfrecciava in aria vivo, libero e contento?

Allo stupore assoluto era seguito uno stato di paranoia a livelli altissimi. Non era passato troppo tempo dall’esperienza orribile avuta nella parte sud della costellazione dello Scorpione, per colpa della quale aveva rivissuto l’evento più traumatico della sua esistenza: la distruzione di Prion, ovvero la causa primaria del suo odio e la sua diffidenza verso le specie organiche. Era stata tutta un’illusione, almeno in teoria, ma non per questo aveva fatto meno male. Più volte aveva temuto che lei e il resto della DJD non sarebbero mai riusciti ad andarsene da quel posto, lei aveva seriamente rischiato di non riuscire a farlo quando in quel delirio illusorio aveva parlato proprio con Bustin, e proprio in virtù di questo il dubbio atroce alla base della paranoia era stato: “Siamo veramente andati via o siamo ancora intrappolati a sud dello Scorpione?”.

Era stato quello a spingerla a uscire dalla Peaceful Tiranny, avendo la sola accortezza di chiudere il portello e attivare i sistemi di difesa prima di allontanarsi dalla nave in volo grazie al jet pack. La sua parte razionale sapeva che non avrebbe dovuto farlo, sapeva che era una cazzata, sapeva di aver ricevuto degli ordini, sapeva che non avrebbe potuto permettersi di correre dietro qualcosa che avrebbe potuto far crollare come un castello di carte l’idea che lei e il resto della squadra fossero in un luogo reale, peccato che
in quel frangente suddetta parte razionale non avesse avuto alcuna voce in capitolo.

Non aveva mai volato tanto velocemente in vita propria, tantomeno senza conoscere la direzione precisa del suo obiettivo. Si era mossa in quell’ambiente desertico solo basandosi sulla direzione presa da Bustin quando il radar l’aveva “sentito”, arrivando in una città indigena fortunatamente deserta.
Poi l’aveva sentito cantare. La canzone era sconosciuta ma avrebbe riconosciuto la sua voce tra mille, dunque aveva deciso di volare in quella direzione.
Poi se l’era trovato davanti. Quegli strani vestiti che indossava e quel mezzo di locomozione primitivo non erano certo un travestimento.
Ora si era voltato, la stava guardando e lei, che pure era una donna forte, sentiva che la possibilità di uno svenimento non era così lontana, ma trovò comunque la forza di corrergli incontro prima che lui avesse il tempo per una qualunque reazione, afferrando i suoi avambracci come una disperata che moriva di fame avrebbe afferrato un pezzo di pane fresco.

«Bustin…»

Toccarlo ebbe lo stesso effetto di un violento schiaffone, dissipando il suo stato di paranoia e riportandola alla realtà, una realtà in cui non era più l’unica rimasta della propria gente.
Da un lato era lieta di sapere Bustin che fosse vivo, ma dall’altro c’erano milioni di pensieri nel suo processore e altrettante domande che si stavano fondendo tutte insieme in un qualcosa che le sue labbra tradussero con un…

«Dov’eri finito?!»

«Que?... lo siento, no comprendo, soy un humano Mexican, adios muchacha!» esclamò Bustin decollando alla velocità della luce dopo aver afferrato il mezzo di locomozione, averlo chiuso e averlo caricato sulla schiena in neppure due secondi.

« Bustiiiiiin!» gridò la minicon, attivando il jet pack intenzionatissima a non lasciare che si desse alla fuga.

Era lui, era quello vero, Nickel se lo sentiva, ne era certa: stavolta non era un’illusione, il vero Bustin era lì davanti a lei, vivo, vegeto e intento a fare lo gnorri.
Nonché cercare di scappare come se lo stesse inseguendo uno hyenabot particolarmente violento.

«Pretendo delle spiegazioni e le pretendo subito!» strillò, cercando di non perderlo di vista mentre zigzagavano tra gli edifici di Jasper.

«No comprendo!» esclamò Bustin.

Ove Nickel era decisa a non lasciarlo scappare, Bustin era altrettanto deciso a sparire rapidamente dalla sua vista. Aveva concluso che fosse meglio cercare di seminarla prima di tornare verso la Jackhammer: lì avrebbe trovato aiuto ma non aveva intenzione di farla finire legata in uno sgabuzzino come Smokescreen. Essersene andato tempo addietro abbandonandola non significava che attualmente volesse farle del male.

«“Non compendi” un corno!» sbraitò Nickel, con una brusca accelerazione del jet pack che riuscì a portarla davanti al fuggiasco «Fine della corsa, atterra immediatamente».

«Magari potremmo parlare un’altra volta, tra venti minuti inizia Dragon Ball!»

Nickel afferrò la pistola che teneva alla cintura e la puntò contro Bustin. «Atterra, ho det-»

Un colpo laser raggiunse la pistola e la fece volare via dalla sua mano senza causarle danni.

«Atterro» disse Bustin, con l’indice della mano destra ancora tiepido per il raggio che aveva appena sparato «Però il fatto che tu volessi spararmi già adesso non è incoraggiante».

A non essere incoraggiante, secondo Nickel, era anche il “già adesso”, ma non lo disse.

Atterrarono simultaneamente senza togliersi lo sguardo di dosso neppure per una frazione di secondo.

«Che dire» esordì lui «Sono sorpreso di vederti qui… viva. Non mi fraintendere, sono contento di vedere che stai bene. Come vanno le cose?»

“Come vanno le cose”.
Nickel non poteva credere che gliel’avesse chiesto sul serio.

«Noto che hai trovato dei nuovi amici, Decepticon nientemeno» continuò lui «E facendo due più due tra chi già c’era e i nuovi arrivi… Nanetta, vai in giro con quei matti del magico mondo di Tarnlandia?» le chiese, tirando fuori un mini datapad da uno scomparto e facendo poche rapide operazioni toccando lo schermo «Sul serio?»

«Punto primo: “Nanetta” un cazzo. Punto secondo: non ti devi assolutamente permettere di parlare così della mia squadra, non osare proprio. Punto terzo: aspetto ancora risposte! Dov’eri finito? Dov’eri andato il giorno in cui casa nostra è stata distrutta?!» lo incalzò Nickel, facendo qualche passo verso di lui «Quel giorno ti ho cercato anche fuori da Prion, ti ho cercato ovunque, credevo di aver saltato qualche posto, credevo che fossi morto anche tu come tutti gli altri e invece ora ti ritrovo qui, a… a… ad andare in giro cantando e con quella roba addosso!» esclamò, indicando la camicia di Bustin.

«Se vuoi una camicia te la regalo, Nicky-»

«Non metterei gli abiti di una specie organica neanche sotto tortura, non dopo quel che hanno fatto alla nostra casa, e non chiamarmi neanche “Nicky”» lo interruppe Nickel, brusca «Non fare il finto tonto con me, non ti azzardare».

«Gli umani non c’entrano niente con la Black Block Consortia, molti non immaginano neppure che qui sulla Terra ci siano degli alieni, avercela con loro sarebbe come prendere a calci un mech in agonia. Prenditela con chi ha dato inizio al disastro su Cybertron, se mai» disse Bustin con perfetta calma indicando con un cenno del capo il simbolo dei Decepticon sul petto di Nickel «O con chi non ha ucciso Megatron prima che il disastro in questione si spargesse in giro».

«Non ti vedo molto colpito da quello che è successo» fu la replica rabbiosa di Nickel.

«È successo tempo fa e ho appena scoperto di non essere più il solo sopravvissuto».

Il sollievo nel sapere di non essere più la sola prioniana nell’Universo non riusciva a mitigare minimamente quel che stava provando, un miscuglio tra rabbia e profondissima confusione -e non solo perché Bustin l’aveva disarmata sparandole con un dito. Da quando poteva farlo?!- che la stava inducendo a formulare miliardi di ipotesi su quando, dove, come e perché di tutta quell’assurdità, una meno edificante dell’altra.

«Per l’ultima volta: voglio sapere dov’eri andato e soprattutto perché!»

Si sentì un fievole “blip” provenire dal datapad di Bustin ma questi, dopo aver dato solo una brevissima occhiata, non se ne curò più.

«Dopo essere andato via da Prion sono stato in vari posti, poi sono arrivato qui. D’accordo, non qui-qui, fino a poco tempo fa ero in un altro Stato, ma immagino che questo non sia molto importante. Quanto al perché» fece una pausa «Non volevamo le stesse cose. A un certo punto ho capito che non avresti mai smesso di chiedermi di formare una famiglia, quindi ho messo fine al nostro fidanzamento in uno dei modi più vigliacchi possibili. Non l’ho fatto a Scintilla leggera. Mi spiace che non esista un modo più carino per dirti tutto questo».

Pur dicendosi che avrebbe dovuto immaginare una cosa del genere, pur essendosi abituata al fatto di non stare più con lui avendolo creduto morto, sentirselo dire in faccia fu un gran brutto colpo. La conversazione che stava avendo col vero Bustin era ben lontana da quella nostalgica che aveva avuto nello Scorpione del sud con la sua illusione.
Per un attimo, solo per un attimo che comunque passò presto, si trovò quasi a desiderare di essere rimasta lì.

«Sei una carogna. Sei una schifosissima carogna» mormorò.

«Forse al tuo posto lo direi anche io».

«Te ne sei andato all’improvviso e l’hai fatto proprio il giorno in cui siamo stati attaccati. Ti ho perso di vista… quando? Qualche ora prima? Guarda un po’che caso… come se avessi saputo cosa stava per succedere!»

Era un dubbio atroce generato più dall’emotività che dalla razionalità, però le tempistiche pressoché perfette non contribuivano a farlo sparire dal suo processore. Le ottiche iniziarono a bruciare pericolosamente di lacrime che però rifiutava di far uscire, non voleva che succedesse, non in quel momento, non davanti a lui.

«Sarebbe stato facile, vero?» continuò, chinandosi a raccogliere la pistola laser «Gli unici legami che avevi eravamo io e i miei parenti, non ricordo che ne avessi altri in particolare, e di sicuro uno sterminio riduceva al minimo i rischi che venissi a cercarti per chiederti di mettere su famiglia. I morti non possono cercare nessuno, sbaglio?!»

«Non avevo idea di quel che sarebbe successo, come avrei potuto? È stata una coincidenza. Immagino che però sia difficile convincerti di questo, adesso».

«Lo trovo un po’troppo strano, talmente tanto che non ci credo» ribatté Nickel, dura. «Lo sapevi non so come e te ne sei andato senza avvertirci».

Proprio mentre la minicon, leggermente tremante di rabbia, puntava nuovamente la pistola contro il suo ex fidanzato, ricevette una comunicazione nel comm-link aperto.


Nickel, aggiornamento immediato sulle tue condizioni.


Era Tarn e non sembrava allegro. D’altra parte come poteva esserlo? Lei era uscita dall’astronave quando invece avrebbe avuto il compito di restare di guardia. Non le era mai capitato di essere punita ma probabilmente quel giorno le sarebbe toccato, considerando l’infrazione commessa e il motivo sarebbe stato giusto così.

«Io… sto bene. Sto bene. Non sono in pericolo» ripeté, pur sentendosi tutt’altro che “bene”, senza distogliere lo sguardo da Bustin «Mi trovo-»


Abbiamo localizzato il tuo segnale, stiamo decollando, arriviamo, non ti muovere.


Comunicazione breve ma più che sufficiente.

Bustin tornò a guardare il proprio datapad. «Nickel-»

«Non ti muovere e non provare a disarmarmi un’altra volta» lo avvisò la minuta Decepticon.

«Devo immaginare che tu, essendo convinta che quello di cui mi hai accusato sia vero e che io sapessi cosa voleva fare la Black Block Consortia, voglia tenermi qui fino all’arrivo della DJD? Finire nelle loro mani sarebbe abbastanza spiacevole».

«Hai lasciato tutti quelli che conoscevi lì a morire per mano di organici, questo è il minimo. E la DJD è già qui, perché io ne faccio parte» replicò Nickel «E se vuoi saperlo ne vado anche fiera».

«Io quel giorno ho “lasciato” solo una persona e, anche se non mi sono comportato bene, di sicuro non volevo che morissi. Non lo voglio neanche ora».

«Io sì!» ringhiò Nickel.

«In verità quel che vorrei è che tu fossi bella e tranquilla da tutt’altra parte e senza quello sul petto» continuò Bustin, indicando il simbolo dei Decepticon «Si possono fare tante altre cose più divertenti che starsene tra i Decepticon, tipo, che so, guardare anime, assistere ai tornei dei meme sui social network, scrivere fan fiction e giocare ai videogames. Uno di quelli a cui gioco più spesso si chiama Warframe…»

«Non mi interessa!»

«C’è una quest in particolare che mi piace. Si chiama Chains of Harrow» sorrise il minicon, portando il datapad vicino al volto «E tra le parti che apprezzo di più c’è la fine di un messaggio piuttosto inquietante. Dice “Rap… tap… tap…”»

Non capire il motivo per cui le stesse parlando di un videogame -sebbene fosse appassionato di quelle cose anche ai tempi di Prion, Nickel lo ricordava bene- riuscì a farla sentire piuttosto allarmata.

«“Rap… tap… tap!”» ripeté lui «Il tutto mentre lo schermo viene invaso di rosso. Fa sicuramente effetto».

L’allarme di un grave malfunzionamento nella Peaceful Tiranny, alla cui manutenzione lei contribuiva, iniziò a far trillare il datapad che Nickel portava sempre appresso in uno scomparto.

«Che succede?!» esclamò, tirando fuori il datapad per verificare il tutto.

Una distrazione che la indusse a distogliere le ottiche dall’altro minicon, che ovviamente ne approfittò subito per alzarsi in volo.

«Non credo che i tuoi colleghi di lavoro arriveranno qui molto in fretta, se vuoi raggiungerli fai meglio ad andare. Da me non hai niente da temere, ma stai attenta finché sarai qui. Arrivederci, Nanetta».

«Cos’hai fatto?!» gridò Nickel, tentando perfino di sparare un colpo che però mancò il bersaglio «Cos’hai fatto?!»

Non giunse risposta a quella domanda, perché Bustin volò via e divenne rapidamente nient’altro che un puntolino turchese e bianco nel cielo.






***






«Non riesco a riprendere il controllo, Tarn, mi serve più tempo!» esclamò Kaon, alle prese con il sistema informatico dell’astronave che era completamente impazzito.

Tutti gli allarmi nella Peaceful Tiranny erano entrati in funzione assieme alle relative luci rosse che, se già poco dopo il decollo avevano iniziato ad accendersi e aumentare progressivamente la luminosità, erano diventati tanto accecanti da fare male alle ottiche quando l’impianto audio aveva riprodotto il secondo “Rap… tap… tap!”, inondando tutto l’ambiente di uno sgradevolissimo bagliore rossastro.

“Il tempo è precisamente quello che non abbiamo, dannazione!” pensò Tarn, che in quell’occasione cercava inutilmente di muovere il timone mentre la distanza tra loro e la montagna contro la quale presto sarebbero finiti a schiantarsi si riduceva sempre di più all’aumentare dell’accelerazione dell’astronave.

«Non posso dartene, Kaon! Dobbiamo cambiare tattica!»

Forse in un certo senso era stato un bene che Nickel avesse abbandonato l’astronave e in quel momento non fosse lì. Si era risparmiata qualcosa di cui, a guardare i filmati di sorveglianza che l’avevano mostrata tanto scioccata quanto spaventata prima che decidesse di uscire, non aveva bisogno.

«Rompiamo i vetri e saltiamo giù prima che finisca male!» gridò Helex, al quale venne risposto da Vos che, probabilmente, tentando una cosa del genere alla velocità che avevano raggiunto si sarebbero fatti danni altrettanto gravi.

«No, serve qualcosa di diverso. Kaon, al timone» ordinò Tarn, lasciando il posto al tecnico che lo raggiunse immediatamente «La nave va spenta completamente, tu cerca di evitare lo schianto sfruttando l’accelerazione!»

«Ho già provato a spegnere tutto, ma-»

«Ma non a modo mio» tagliò corto Tarn.

In altri tempi quel che stava per fare gli avrebbe causato dolori al processore più che lancinanti, adesso invece spegnere un intero incrociatore gli avrebbe causato, forse, un vaghissimo accenno di mal di testa, grazie al fatto di non dover agire a distanza; un conto era uccidere le persone con la propria voce o, sempre con essa, danneggiare e spegnere piccoli e medi oggetti, ma una bestia del calibro della Peaceful Tiranny era un altro paio di maniche e serviva qualcosa di più potente.

Sollevando leggermente le mani, Tarn iniziò a concentrarsi ed entrare in comunicazione con le frequenze dei vari macchinari dell’astronave, che iniziarono a spegnersi uno dopo l’altro in rapidissima progressione mentre Kaon lottava disperatamente con il timone.

«Ci siamo!» esclamò il tecnico di bordo una volta che anche le luci accecanti degli allarmi si furono disattivate «Riesco a controllare il timone!»

«Ci schianteremo lo stesso, la montagna è troppo vicina, spacchiamo i vetri e saltiamo!» esclamò Tesarus, cui l’idea di Helex era sembrata più pratica nonostante tutto.

«Troppo tardi!» ribatté Kaon, facendo la virata più brusca e pesante della sua esistenza verso sinistra «Tenetevi forte, mech di poca fede!»

Quello di tenersi forte fu un buon consiglio da parte di Kaon, ma anche seguendolo buona parte del gruppo non riuscì a evitare di crollare a terra quando la Peaceful Tiranny deviò in maniera brutale dal proprio corso e la fiancata destra venne brutalmente divelta della derapata contro la montagna con un rumore orribile che era il miscuglio tra uno schianto e unghie su una lavagna.
L’impatto fece sì che l’astronave venisse sbalzata verso l’alto, per qualche attimo pensarono perfino che avrebbe finito col capovolgersi e sarebbe precipitata in uno dei modi più dannosi possibili, ma così non fu: dopo molteplici urti che anche tutta la bravura di Kaon al timone non riuscì a evitare, la Peaceful Tiranny eseguì un rovinoso atterraggio contro il suolo roccioso.

«Ce l’abbiamo fatta… ce l’abbiamo fatta. Ok. Ok» ripeté Kaon, ancora in fibrillazione, stringendo convulsamente le mani attorno al timone.

«Considerata la situazione, Kaon, hai fatto un buon lavoro» disse Tarn come prima cosa «Helex?... Tesarus?... Vos?»

«Siamo a posto» disse Tesarus, ultimo a rialzarsi «Ora che siamo a terra si può sapere perché l’astronave voleva ucciderci?»

«Un attacco esterno al sistema» rispose Tarn «Nessun guasto può giustificare una voce sconosciuta negli altoparlanti, Tesarus».

«Non dovremmo essere al riparo da certe cose?»

«Le difese apportate da Kaon avrebbero dovuto tenerci al riparo, io stesso le avevo ritenute valide quando le avevo esaminate. È stato commesso un errore di calcolo» disse Tarn.

Sapeva che nell’universo c’era più di una persona in grado di fare una cosa simile ma sapeva anche che non erano tante, che una di esse era Kaon stesso e che quindi essere in grado di penetrare nei sistemi esterni significava anche sapere come poter evitare di subire un attacco. In futuro avrebbero dovuto potenziare le difese per evitare che quanto era appena accaduto si ripetesse, oltre a trovare chi aveva osato tanto e occuparsene -il tutto ringraziando il cielo che la Peaceful Tiranny non avesse un pulsante di autodistruzione.
Forse la loro permanenza su quella piccola palla di fango abitata da virus di carne e sangue avrebbe dovuto affrontare più insidie di quanto avessero immaginato.

Sentì una serie di scariche nel proprio comm-link.


– …arn?! Tarn! Mi sentite?! Sto cercando di raggiungervi, mi sentite?!


«Forte e chiaro, Nickel».


A Tarn parve di sentire un confuso “grazie al cielo”. – È da prima che provavo a contattarvi ma non ci riuscivo, c’erano delle interferenze e… state bene?!


«Noi stiamo bene, l’astronave un po’meno» disse Tarn «Quando arriverai dovremo parlare».


Sì. Lo so.


Riuscì ad avvertire distintamente sia la contrizione di Nickel, sia una certa stanchezza. Qualunque cosa le fosse successa doveva essere stata poco piacevole proprio come preannunciato dai filmati di sorveglianza.

«Fatto questo, una volta ripristinato il sistema, stabilita l’entità dei danni e dato alla Peaceful Tiranny modo di volare, raggiungeremo la Nemesis come da programma. Presentarmi con un’astronave malconcia è molto lontano da quel che avrei voluto» il che era perfettamente udibile nel suo tono di voce «Ma dovendo rimetterla in sesto più presto possibile è anche la cosa più sensata da fare».

«Sono sicuro che Lord Megatron non baderà granché all’aspetto della nave quando vedrà questi» disse Helex, in un goffo tentativo di rincuorarlo, tirando fuori dalla camera di fusione temporaneamente adibita a magazzino la testa mozzata di Wheeljack, lo stemma degli Autobot e, infine, l’alteratore di fase «A proposito, continuo a chiedermi cosa sia quest’affare e a cosa serva».

«È visibilmente una reliquia della Cybertron che fu ma, quale che sia la sua funzione, a noi non compete utilizzarla. Verrà ceduta a Lord Megatron in omaggio assieme al resto, com’è giusto che sia» concluse Tarn.

«La sola cosa che rimpiango del nostro lungo giro di perlustrazione è non essere arrivati prima nel relitto dell’astronave Decepticon poco lontana da qui» disse Helex «Avremmo potuto portare a Lord Megatron più teste di Autobot».

«Vero» concordò Tarn «Avremmo potuto».

Dopo aver finito con Starscream, da buoni cacciatori quali erano avevano deciso di seguire le tracce che Spectra aveva lasciato nell’arrivare fino alla radura in cui l’avevano trovata. Si erano detti che dovesse esserci una ragione a giustificare la sua presenza in mezzo al nulla e che, se anche fosse stata una fuga, non sarebbe potuta partire da troppo lontano. Dreadwing era un volatore ma non era con lei, e lei era una terrena, quindi la distanza che poteva coprire era inferiore.
Giunti fino al relitto avevano avuto conferma di due cose: la prima era che Spectra fosse partita da lì, la seconda era che si fosse trattato proprio di una fuga. Alle sue tracce infatti si erano mescolate quelle di altri transformers, tutti terreni, tutti sicuramente Autobot, tutti altrettanto sicuramente non suoi amici.
Non c’era modo che potessero esserlo se lei era dalla parte di un ufficiale Decepticon, anche se fosse stato un disertore come Starscream aveva detto, e che Spectra fosse dalla parte di Dreadwing era indubbio. Se non fosse stato così, questi non avrebbe avuto altrettanta voglia di correre rischi. Di certo gli erano serviti sia un gran fegato -“No. Incoscienza.”- sia degli ottimi motivi per decidere di fare un’azione improvvisa e portarla via da l… loro.

“Quelli che avrebbe potuto avere un compagno, per esempio”, aveva pensato Tarn, senza approfondire oltre i propri pensieri riguardo quell’idea.

Entrati nel relitto non avevano trovato altro oltre a quel che già sapevano, il computer dell’astronave era stato perfino fatto esplodere con una micro carica perché nessuno potesse risalire alle coordinate dell’ultimo Ponte Terrestre. La sola cosa “nuova” erano state tre lampade di un minerale terrestre a lui sconosciuto che se accese illuminavano l’ambiente con una gradevole luce rosata/aranciata, oggetti che Tarn, riuscendo ad associarli a una sola tra le persone che conosceva, aveva preso e portato via.

«In ogni caso, Helex, avremo tempo di rifarci in futuro».












Qui lo dico e qui lo nego... questo capitolo è stato un po'un parto, e non per la lunghezza :'D ma finalmente ha visto la luce.
L'esperienza nella costellazione dello Scorpione di cui parla Nickel è narrata    >>qua<<
Grazie a tutti quelli che stanno leggendo, come sempre :) Alla prossima

_Cthylla_
   
 
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