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Autore: Crudelia 2_0    03/05/2020    6 recensioni
«Ginny» iniziò tormentandosi le mani e senza avere il coraggio di guardare l’amica «non metterò quell’abito, è troppo piccolo».
«Ma che dici, Hermione? Abbiamo la stessa taglia» Ginny la guardava con le sopracciglia corrugate, uno strano presentimento aveva iniziato a farsi strada nella sua mente.
«C’è un motivo se ho scelto di non frequentare Hogwarts il prossimo anno e dare soltanto gli esami».
«Lo so. Non mi hai ancora voluto dire di cosa si tratta, ma so che c’è un motivo» sussurrò Ginny. All’improvviso sostenere quella conversazione ad alta voce era diventato troppo difficile.
«A villa Malfoy, dopo che Bellatrix aveva finito con me, mi ha dato in mano a Greyback » disse Hermione con tono incolore.
«Sì» rispose Ginny con la bocca asciutta. Incrociò lo sguardo dell’amica e sentì gli occhi riempirsi di lacrime: non aveva finito, ma già aveva capito.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Hermione Granger, Nuovo personaggio, Severus Piton | Coppie: Hermione/Severus
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da Epilogo alternativo
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Note: anche se in ritardo imperdonabile, ecco il nuovo capitolo, spero che l’attesa sia valsa a qualcosa, personalmente, non mi lascia del tutto soddisfatta. In ogni caso, come sempre, grazie a tutti voi.
 
Un abbraccio,
Crudelia
 
 
 
 
Greyback
 
 
 
Era lì, appena al di là della quercia.
Facile. Era fin troppo facile.
Ghignò. Che diamine, se per una volta le cose gli andavano per il verso giusto non si sarebbe di certo lamentato.
Poteva sentire il suo odore anche a quella distanza: che non fosse una bambina come gli altri non poteva essere più evidente. Odorava di cucciolo addomesticato, ma lo sentiva, tutto il suo potenziale: aveva il suo sangue nelle vene, era sua figlia.
L'aveva spiata durante la luna piena e non aveva più dubbi. C'era un lupo, in lei, e lui le avrebbe insegnato a non reprimerlo, esprimendone il massimo potenziale.
Gli animali non sono fatti per vivere in gabbia, lui lo sapeva bene. Insieme, sarebbero stati liberi.
 
 
 
Hermione guardò Kathleen giocare tranquilla vicino all'altalena. Era quasi deserto, il parco, quel pomeriggio infrasettimanale.
Kathleen si era ripresa in fretta dall'avventura notturna di qualche giorno prima, ma non si era evitata una bella sgridata: era piccola, ma doveva esserle ben chiaro che mai, per nessun motivo, avrebbe dovuto mettere in pericolo la sua salute per attirare l'attenzione di qualcuno.
Nonostante questo, però, Hermione si sentiva segretamente contenta. Severus aveva accettato. Fra pochi giorni sarebbe partito per la Russia a cercare delle particolari radici che crescevano soltanto con il freddo. Le aveva confessato di aver accettato quel viaggio con l'intento di andare il più lontano possibile, ma nel modo in cui l'aveva detto entrambi avevano capito che la fredda solitudine delle steppe non avrebbe fatto altro che enfatizzare i suoi pensieri.
Avrebbe voluto stare con lui più a lungo, ma l'aveva salutata, guardandola con occhi capaci di farla bruciare. Era già stata guardata con desiderio da alcuni uomini, ma nessuno aveva quella passione ardente nello sguardo come Severus.
Distratta dal ricordo di quei momenti impiegò un po' ad accorgersi che il telefono stava squillando.
 
 
 
Si avvicinò mantenendo sulle labbra un sorriso sottile per non mostrare i denti rovinati e anneriti dal tempo. Era fortunato che fosse ancora così piccola da non far caso all'abbigliamento, perché chiunque avrebbe diffidato di un uomo con indosso laceri pantaloni grigi e una giacca che gli cadeva in lembi stropicciati ai lati del corpo.
«Ciao. Sei Kathleen, giusto?» Disse quando fu in vista, stupendo anche se stesso di quanto graffiante fosse diventata la sua voce in anni di quasi totale disuso.
Lei si voltò di scatto e lo guardò con i suoi grandi occhi neri così familiari. Il taglio era della madre, tondo ed innocente, ma il colore, il coloro era l'esatta sfumatura di nero che vedeva quando aveva la possibilità di guardarsi in uno specchio.
«Non avere paura. Mi chiamo Fenrir» continuò, vedendola immobile, ma non fece nulla per avvicinarsi.
«Non ho paura» rispose lei, con voce alta e cristallina, la fronte corrucciata ma il mento sollevato con orgoglio. Poi, forse ricordandosi che non avrebbe dovuto parlare con un uomo spuntato dal nulla, fece un passo indietro.
Era la prima volta che Fenrir aveva la possibilità di vederla così da vicino, e sentì un moto di violenta fierezza invaderlo.
Fece una risatina, che gli grattò la gola come tabacco. «Lo vedo, sei molto coraggiosa» la lodò, ma lei non cambiò atteggiamento, continuando a guardarlo con la stessa espressione di un cerbiatto messo in allarme da un rumore lontano.
«Sai chi sono, Kathleen?» continuò, calmo. «Sono il tuo papà»
Lei sgranò gli occhi e fece un altro mezzo passo indietro, ma non c'era reale convinzione.
«Io non devo parlare con te. Sei cattivo» disse, ma l'uomo aveva visto la nuova luce che le era comparsa nello sguardo: il riconoscimento di un simile appartenente alla stessa specie. 
Rise, sinceramente divertito. «E chi ti ha detto così, la mamma?»
Lei annuì, seria e accigliata. Era sulla difensiva, Greyback vedeva tutto il suo corpicino teso e pronto alla fuga.
«Ma io non ti farei mai del male, sono il tuo papà» disse cercando di sembrare rassicurante. Funzionò, perché le spalle si rilassarono, seppur impercettibilmente. «E poi se avessi voluto ferirti non mi sarei fatto vedere, non credi?» continuò sorridendo sghembo.
Gli angoli della bocca di Kathleen guizzarono verso l'alto, ma lei fu svelta a prenderne il controllo. Ormai, però, la vittoria era vicina. Nel suo sguardo c'era curiosità, adesso.
«Sei davvero il mio papà?» Chiese, inclinando la testa su una spalla.
Fenrir si leccò le labbra pensando a cosa rispondere. Doveva essere cauto, si disse. Un passo falso e tutto sarebbe stato rovinato.
«Certo che lo sono. Vuoi la prova?» Chiese sottovoce, chinandosi in avanti come per condividere un segreto. Lei annuì, protendendosi verso di lui quasi inconsapevolmente.
Greyback sfruttò quel vantaggio prolungando l'attesa. Si guardò attorno per assicurarsi che nessuno li stesse guardando, poi si avvicinò di un passo alla bambina. Chinandosi ancora di più - era così piccola - sussurrò: «Sono un lupo anch'io, quando c'è la luna piena»
La reazione fu immediata: Kathleen trattenne il fiato rumorosamente, gonfiando le guance colorate dal sole e dal gioco.
«Davvero?» Bisbigliò, guardandolo con tanto d'occhi. Fenrir annuì, il sorriso che si faceva famelico sulle labbra.
«E se vieni con me ti spiegherò tutto» la invitò tendendole una grossa mano.
Kathleen fece scivolare gli occhi dal suo viso alla mano tesa, soffermandosi sui calli e sulle unghie lunghe, poi si voltò a vedere la madre.
«È bello essere un lupo, Kathleen. Vieni con me a scoprirlo» disse suadente l'uomo per richiamare la sua attenzione. La bambina si voltò verso di lui con ancora un'ombra di tentennamento sul viso. Lo guardò pensierosa, con occhi da adulta, occhi da animale che soppesa i rischi del concedere la sua fiducia.
«Solo per un po', poi torniamo a prendere la mamma. Non vuoi passare un po' di tempo con il tuo papà, Kathleen?»
La bambina fece vagare gli occhi ancora una volta sul suo viso, poi, senza ulteriori esitazioni, gli prese la mano.
 
 
 
«Pronto?»
«... -Ion... Io...»
«Cosa? Chi parla?» Chiese aggrottando la fronte e cercando di comprendere qualcosa sotto il rumore della linea disturbata. Dopo una pausa, la voce tornò di nuovo.
«Hermione? Sono io!»
«Ron?» Chiese Hermione aprendosi in un sorriso reso titubante dalla sorpresa.
«In persona»
«Oh, Ron, che sorpresa! Non immaginavo di sentirti. Dove sei? Come stai?» Iniziò a parlare in fretta.
«Siamo al nord della Francia, stiamo per tornare. Forse già stasera se non abbiamo imprevisti»
«Sono così felice. Sembrano passati secoli da quando sei partito» disse alzando gli occhi al cielo, di un azzurro infinito.
«A chi lo dici, ho così tante cose da raccontarti» Hermione poté sentire il sorriso anche senza vederlo, immaginando la felicità nei suoi occhi che sentiva trasparire così concretamente dalla voce.
«Anche qui sono successe molte cose» disse, quasi fra sé, pensando a ciò che era cambiato in quel breve lasso di tempo.
«Appena torno... Oh, scusa, devo andare. Penso che Luna stia di nuovo cercando di infilare qualcosa di vivo nelle valige. Ci sentiamo!»
Prima che Hermione riuscisse a rispondere la linea era già caduta. Ripose il telefono con un senso di felicità volatile: le era mancato, Ron. Erano mesi che non lo vedeva e, anche se sapeva che non avrebbe gradito subito il suo coinvolgimento con Severus, non poteva impedirsi di essere impaziente.
Desiderosa di condividere la notizia con la figlia, alzò gli occhi per ispezionare il parco, senza trovarla.
Così incredula da non voler prendere in considerazione l'ipotesi peggiore, passarono minuti prima che smettesse di girare per il parco con occhi spiritati. Poi, fu il panico.
 
 
 
«E che cosa fa un lupo?» Chiese Kathleen alzando i grandi occhi curiosi sull'uomo al suo fianco.
«Oh, molte cose» rispose deliziato.
«Sì, ma cosa?» insisté.
«Mh, vediamo» iniziò accigliandosi: non si era aspettato tutte quelle domande, ma forse avrebbe dovuto pensarci. «Ti piace correre?»
La bambina annuì, un sorriso agli angoli delle labbra.
«Ecco, un lupo corre quanto vuole, quando vuole» rispose con evidente soddisfazione.
«Wow» commentò Kathleen con un pelo di meraviglia. «Dev'essere bello»
«E lo è» fu la pronta risposta, detto sotto un ghigno compiaciuto. Anni e anni passati a mordere bambini e crescerli come mannari riluttanti quando la soluzione era costringere qualche donna ad aprire le gambe e avere cuccioli suoi. Se l'avesse saputo prima le cose sarebbero andate in modo diverso.
«Ma tu diventi proprio un lupo-lupo? Un lupo vero?» Continuò con le domande Kathleen, dopo un attimo di silenzio in cui l'immensità di poter fare ciò che voleva le si apriva davanti come un futuro mai considerato.
«Certo» rispose Greyback con una punta di orgoglio e incomprensibile.
«Ah» disse Kathleen, la fronte aggrottata. Lei, e lo sapeva, della luna piena subiva solo l'influenza negativa restando costretta in quel corpicino minuto.
«Ma lo diventerai anche tu, alla prossima luna piena» le disse l'uomo, un burbero e stentato tentativo forse di rincuorarla.
«E come?» Chiese guardandolo, la speranza che ballava nel fondo dei suoi occhi neri.
«Ti aiuterò io»
«Davvero?» Meraviglia, ecco l'emozione che le aveva fatto schiudere la bocca e alzare le sopracciglia.
L'uomo ghignò, senza rispondere. Certo, si disse, un morso e sarebbe stata sua. Perché non gli importava la fragilità delle sue ossa da infante e la bambagia in cui era cresciuta, lei era sua. Sangue del suo sangue, unico esemplare in grado di riportare in gloria i vecchi sogni. Un branco, loro due avrebbero creato e dominato un branco. E poi i suoi nemici avrebbero tremato.
 
 
 
La polizia babbana era stata allertata e una squadra di Auror era già stata dipanata per le ricerche. Harry si era attivato non appena Hermione aveva detto le poche informazioni indispensabili: si era materializzato al Ministero e mandava informazioni ogni ora sul telefono.
Hermione, troppo spossata, lasciava che fosse Ginny a leggere gli aggiornamenti. Tanto lo sapeva, che erano inutili.
Stava sul divano con la testa abbandonata tra le mani, le lacrime che bruciavano dietro le palpebre e che si rifiutava categoricamente di far cadere. Sentiva la nausea, mischiata ad un senso di totale impotenza, roderle lo stomaco e salire a chiuderle la gola. In più, il senso di colpa: come poteva non essersi accorta che Kathleen si era allontanata?
Senza che se ne accorgesse, un gemito strozzato lasciò la sua gola.
Sentì delle mani calde - forse di Ginny, forse di Molly - sulle spalle, e provò il bruciante desiderio di scostarle con un gesto brusco. Ma non fece nulla, immobile, impotente, in attesa.
Un crack fuori dalla porta fece muovere in allarme le due donne, ma non Hermione. Non era sua figlia, lo sapeva. Lo sapeva grazie allo stesso istinto che le aveva stritolato le viscere la prima volta che aveva incontrato gli occhi ancora velati di Kathleen e aveva capito che, nonostante tutto, lei l'avrebbe amata.
Il ricordo di quell'immagine le fece salire un'altra ondata di lacrime al viso, ma le ingoiò con il groppo doloroso che le rendeva difficile respirare.
La sua Kathleen, la sua bambina.
Le voci si spostarono in salotto e un Harry distrutto crollò sul divano di fronte, Hermione non alzò nemmeno la tesa. Quante ore erano passate.
Non lo sapeva. Tante, troppe. La sera era scesa da così tanto tempo che la luna spendeva con insolenza, incurante come sempre del loro dolore.
«Hermione» disse Harry cauto. Probabilmente aveva detto altro, ma aveva attirato la sua attenzione solo chiamandola per nome. «So che ti chiedo molto, ma prova a ricordare, non c'è nessun posto che ti aveva detto di voler visitare? Magari dove si rifugiava o che la faceva sentire al sicuro»
Iniziò a scuotere la testa prima ancora che finisse di parlare.
No, no, Kathleen non si allontanava. Conosceva le regole, non sarebbe mai scappata senza prima avvertirla. Era un concetto che conosceva bene, e ancora meglio dopo la punizione che le aveva dato per essere scappata dal centro estivo per andare da...
«Severus...» sussurrò, una preghiera a fior di labbra. «Severus» ripeté con maggior convinzione alzando la testa se incontrando lo sguardo di un Harry più che perplesso.
«Oh, come ho fatto a non pensarci prima?» Disse alzandosi, parlando fra sé, le mani tra i capelli. «Ma certo, devo andare da lui. Sicuramente, sicur-»
«Dove vai?» La interruppe Harry scattando in piedi, tutti i muscoli tesi e pronti all'azione.
Hermione si voltò, stupita e scrollata dall'irruenza della sua voce.
«Da Severus, ovvio. Sicuramente sarà là, da lui» spiegò con tono ovvio, perché era così chiaro che anche loro avrebbero dovuto capirlo.
«No, no. Tu non vai da nessuna parte» disse Harry, frapponendosi fra lei e la porta.
Hermione si fermò un momento per guardarlo con astio. Chi pensava di essere per impedirle di andare a trovare la sua bambina? Come pensava di poter comprendere la profonda angoscia che prova una madre che non conosce informazioni sulla posizione di suo figlio?
«Togliti, Harry» disse. Un sibilo minaccioso, una minaccia rabbiosa.
«No, Hermione. Sei troppo coinvolt-»
Non finì, perché Hermione fece quello che lui non si sarebbe mai aspettato: raccolse la tensione sulle cosce e scattò in avanti.
Se Harry non avesse avuto un addestramento da Auror probabilmente ce l'avrebbe fatta, ma lui riuscì ad agguantarla all'ultimo allungando un braccio e cingendole la vita. Hermione iniziò a scalpitare, bloccata impotente al suo petto, e avrebbe continuato finché non fosse riuscita a liberarsi se la porta non si fosse aperta proprio in quel momento.
«Eccomi, famiglia, sono tornato!»
Zaino in spalla, barba incolta e abbronzatura da viaggio, Ron entrò nella stanza con un sorriso felice che sfumò all'istante. Il suo sguardo si soffermò sulle espressioni angosciate della madre e di Ginny e sulla posa compromettente di Harry e Hermione. Poi, con voce cupa e le sopracciglia corrugate, diede voce ai suoi pensieri.
«Che sta succedendo?»
 
 
 
«Ma dove andiamo? Perché non c'è la mamma?»
Kathleen aveva freddo e iniziava ad avere paura. L'uomo - il suo papà - non le piaceva più così tanto come alla luce del parco. Le aveva promesso di riportarla indietro, invece erano in una casetta abbandonata e fredda, senza cena e senza mamma.
Lei voleva conoscerlo, è vero, ma ancora di più voleva tornare a casa.
«Dove andiamo?» chiese di nuovo, il tono lamentoso.
«Sta' zitta, bambina» rispose Greyback, senza guardarla. Stava leggendo dei fogli che occupavano tutto lo spazio dell'unico tavolo di legno nella stanza.
Kathleen si strinse le braccia al corpo. Se almeno fosse stata seduta su una poltrona le gambe lasciate scoperte dai pantaloncini non avrebbero avuto i brividi, ma il pavimento era duro e ghiacciato.
«Ma tu-»
«Ho detto sta' zitta!» Gridò l'uomo colpendo con un pugno il tavolo.
Kathleen sussultò e sentì le lacrime traboccare dagli occhi e bagnarle le guance sporche.
«Voglio la mamma» si lamentò ancora, il corpicino tremante che comunque non si arrendeva.
Greyback buttò con violenza i fogli sul tavolo e si avvicinò al suo angolo fino a sovrastarla. Si chinò su di lei sfruttando la sua mole per incuterle ancora più paura, poi scoprì i lunghi e sporchi denti appuntiti in un sorriso che avrebbe detto rassicurante, ma che aveva tutta l'intenzione di essere una muta minaccia.
«Ti conviene stare in silenzio, bambina, perché se mi fai arrabbiare la mamma non la vedrai neanche più da lontano»
Terrorizzata, Kathleen affondò il viso tra le braccia conserte, bagnandole di lacrime e sforzandosi di soffocare i singhiozzi.
 
 
 
Molly se n'era accorta, che era cambiato. Forse non molto, forse qualcun altro non l'avrebbe notato, ma lei era sua madre e poteva dirlo: era cambiato.
Rom era rimasto seduto sul divano e aveva ascoltato il tutto con un cipiglio cupo e concentrato sul viso abbronzato. Mai una volta aveva interrotto se non per qualche domanda ben contestualizzata e atta a capire meglio.
Si era fatto uomo.
Se non fosse stata in una situazione tanto disperata, Molly avrebbe sorriso.
 
Per spiegare tutto a Ron alla fine si era deciso che lei rimanesse. Hermione aveva acconsentito in fretta. Non perché ne avesse voglia, ma perché perdere tempo in quel momento era la cosa peggiore che potessero fare.
Più che altro, comunque, era stata Ginny a parlare, e lei era rimasta ad ascoltare passivamente senza intervenire.
Ron non aveva commentato, e lei moriva dalla voglia di abbracciarlo. Se il senso di colpa che sentiva non l'avesse inchiodata al morbido cuscino si sarebbe già alzata e avrebbe iniziato a ragionare lucidamente.
Il telefono squillò e questa volta lo prese in mano per prima, per non disturbare il racconto di  Ginny.
Harry era stato conciso, ma quelle poche parole affondarono in lei come pugni e bastonate impietose.
 
Kathleen non è qui. Stiamo arrivando.
   
 
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