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Autore: Lumos and Nox    04/05/2020    1 recensioni
I semidei muoiono spesso, si sa.
I loro genitori divini lo possono percepire, ma... cosa succede con quelli mortali?
/ambientato nella prima serie/
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altro personaggio, Gli Dèi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Threnodia:
In memoria dei semidei

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Lee, figlio di Apollo
Mr. Fletcher



“Fra i morti, Lee Fletcher della casa di Apollo, abbattuto dalla mazza di un gigante.
Fu avvolto in un drappo dorato senza nessuna decorazione”.

 
La "Queen Anne" fece il suo ingresso nel porto nove ore dopo il tempo previsto. Nove ore.
Un ritardo che Hector Fletcher, ritto sul molo 17, non era disposto a tollerare, soprattutto considerando che era il suo compagno a comandare la nave.
Sbuffò e rimase per tutto il tempo necessario all'attracco ad aspettare, immobile, sul molo. Gli schizzi d'acqua e le imprecazioni del resto del porto lo toccavano a malapena, come anche faceva il caldo estivo- sebbene la sua gamba destra non fosse più quella di un tempo e di tanto in tanto si facesse sentire con qualche fitta fastidiosa.
Finalmente, la sua nave si diresse verso il molo. Con la sua andatura lenta, pareva volesse dare a tutti la possibilità di ammirarla e di bearsi del fatto che quella grande e grossa nave merci stava per attraccare proprio in quel porto, con nove fottute ore di ritardo. La sua ombra oscurava le acque della Florida mentre devastava lieta i timpani di chiunque nei paraggi con lo sferragliare dei suoi motori.
Fu un pensiero strano ma ormai piuttosto consueto, per il signor Fletcher, collegare quel frastuono a suo figlio Lee. Il ragazzo era stato piuttosto costretto a crescere nel porto, tra tutte le navi, e Hector si era convinto che prima o poi si sarebbe stancato dei rombi dei motori, delle sirene e delle urla dei marinai. Invece, il ragazzo era sempre stato affascinato da qualsiasi forma di suono, tanto da arrivare a convincersi che quello che per Hector era un indifferente baccano infernale fosse in realtà la “musica del porto”. L'aveva chiamata decisamente e precisamente in quel modo, la “musica del porto”. Era qualcosa che di certo non aveva ereditato da lui: no, da lui aveva preso i capelli ricci e rossi, le lentiggini, una peluria piuttosto consistente e… vediamo, forse anche la testardaggine. Sì, di sicuro, e la vena autoritaria. Tutte le cose un po’ più utili, insomma.
Hector sbuffò, mentre una corrente d'aria particolarmente forte rincorreva sventolava i suoi capelli come se fossero la coda di una bandiera. La "Queen Anne" aveva finalmente cominciato le manovre d'attracco e in sorprendente poco tempo, specie considerando il ritardo precedente, Hector ebbe la possibilità di salire sulla sua nave e di capire perché quell'idiota di John Teague ci avesse messo così tanto. Senza preoccuparsi nemmeno di salutare il resto dell'equipaggio- guardò in cagnesco un ragazzetto sui vent'anni e dovette perfino urlare qualche insulto e comando per mantenere una vaga parvenza d'ordine- arrivò nella sala comandi.
John Teague ovviamente era lì, e ovviamente stava giocando con l’iPad che teneva in mano. Certo, il suo sguardo era fisso e concentrato sull'elenco delle merci, ma Hector avrebbe scommesso il suo cappello che fino a qualche minuto prima John stesse facendo altro, riconducibile a un gioco con gli zombie a cui si era appassionato.
«Ah, Hector!» gli sorrise con innocenza, dopo aver aspettato qualche secondo per sottolineare quanto fosse stato preso da quella inesistente lettura. Aveva perfino aperto le braccia verso di lui, in un gesto di evidente scherno.
Hector lo ignorò nel suo angolo e arrivò fino ai comandi della nave, per controllare che tutto fosse stato svolto almeno ai limiti della sufficienza. «Nove ore. Dovevi essere qui almeno nove ore fa. Nove. È così difficile condurre una nave da un porto all'altro, Teague?»
Il suddetto Teague si diede una spinta con le gambe, e la sedia girevole sfrecciò a una velocità moderata sino ad Hector. «Potrebbero esserci stati degli imprevisti» borbottò, premendo qualche tasto in corrispondenza a spie che non avrebbero dovuto essere lampeggianti.
Hector alzò un sopracciglio. «Ovvero? E non permetterti», aggiunse, «di parlarmi ancora del tuo schifoso vino come scusa».
John aprì la bocca, alzano l'indice. Poi la richiuse, si grattò la fascia e i capelli castani e boccheggiò ancora, alla ricerca di qualcosa da dire.
«Joooohn» sibilò Hector. «Non è professionale né vagamente accettabile che la mia nave...»
«La mia nave!»
«... la nostra nave arrivi così in ritardo per una tua fottuta sbornia».
Con un salto, John si inginocchiò sulla sedia, così da poterlo raggiungere in altezza senza dover abbassarsi a stare sul pavimento come i comuni mortali. Appoggiandosi malamente sul tavolo dei comandi, si protese verso di lui quel tanto che bastava per guardarlo chiaramente in faccia e tentare di ammaliarlo con lo sguardo. Fece mostra dei denti in un sorriso che non si allargò agli occhi scuri mentre gli punzecchiava la guancia. «Non è stato per una mia sbornia e mi considero molto offeso!»
«E allora spiegami il perché!» ringhiò Hector chinandosi verso di lui con un mezzo inchino sarcastico.
Gli occhi di John saettarono da quelli di Hector alla sua bocca, e non fu così difficile capire che, baciandolo, avrebbe effettivamente dimostrato un alito fin troppo al vino per uno che non si era ubriacato. Hector Fletcher alzò le sopracciglia, un'espressione di sufficienza sul viso segnato dal mare e dai suoi cinquantotto anni, preparandosi già alla strigliata che avrebbe dovuto fare a John, quando...
Quando quest'ultimo lanciò un'occhiata alle sue spalle, per poi cominciare a indicare freneticamente l'ingresso della stanza con una vittoria appositamente mal celata nella sua felicità. «Ecco! Il mio ritardo è del tutto giustificato e assolutamente dovuto a lui!»
Hector si girò, sospettoso. La sua bocca si chiuse leggermente alla vista del nuovo arrivato, poggiato sullo stipite della porta. Dimostrava qualche anno in meno di John, anche se a prima vista gliene avrebbe dati di più, con quel suo completo blu da pilota. Gli occhi azzurri gli scintillavano mentre guardava lui e John e i capelli profumati e biondi sembravano racchiudere parte del sole. Cosa che, d'altronde, era effettivamente vera.
«Apollo» lo salutò Hector con un cenno del capo.
John, incapace di stare per troppo nell'ombra (specie poi con un dio del sole nei paraggi), scattò in avanti con la sedia. «Hai pensato a ciò che ti ho detto tempo fa, divino dio? Possiamo provare quella cosa a tre?»
Hector si massaggiò la testa, cercando di ignorare la risposta e la risata di Apollo. Non capiva perché proprio a lui dovesse essere capitato un compagno del tutto affascinato dal suo ex, e del tutto deciso a combinare qualcosa tra loro. Ma perché non poteva mostrare un po' di sana e normale gelosia?
In più non solo John non si era sconvolto di fronte al fatto che Lee non fosse nato da una madre mortale, ma da un dio- Hector aveva rinunciato a cercare di capire come funzionasse- ma da circa il momento di quella dannata confessione, cercava di approfondire la conoscenza di Apollo in modi davvero imbarazzanti. Se fosse stato lui il dio in questione, John sarebbe stato molto molto morto.
«Come stai, Hector? Sempre stupito dalla mia magnificenza?» chiese Apollo, mentre John, come ogni volta in cui non riusciva prontamente nei suoi scopi sessuali assatanati, si fiondava in un armadietto della sala comandi alla ricerca di alcool.
Hector si soffermò appena sul viso perfetto di Apollo per poi sogghignare. «Stupito quanto basta da essermene stancato».
Gli occhi del dio diedero in un luccichio difficile da definire, ma poi Apollo rise. «Mi manca spesso il tuo sarcasmo, amico. E quando guardo voi due, poi... bè, non riesco mai a capire se io voglia più rubare te a John o John a te».
«Se vuoi prendertelo, non hai che da farlo».
Dal suo angolo, John si espresse con un mormorio irritato che avrebbe potuto essere un consenso, un dissenso o un'ordinazione di un cheeseburger piccante.
Hector lo ignorò. «Cosa ti porta stavolta qui?» chiese al dio, senza aspettarsi una vera e propria risposta. Non era la prima volta che Apollo capitava a trovarlo e non era mai chiaro esattamente perché lo facesse. John era del parere che fosse ovviamente per trascorrere del tempo a rimirare quanto perfetto potesse essere un John Teague in carne, ossa e tartaruga, mentre Lee sosteneva semplicemente che di tanto in tanto ad Apollo facesse bene sentirsi non troppo considerato un dio. Lee faceva sempre analisi molto accurate delle persone, quasi vedesse delle canzoni anche in loro, ma Hector era certo che si sbagliasse nel caso di Apollo. Gli sarebbe piaciuto che questo almeno si fosse fatto vivo quando Lee era nei paraggi, o perlomeno in Florida, ma sembrava invece capitare quasi soltanto quando in estate il ragazzo se ne andava al Campo Mezzosangue.
Era uno dei fattori principali per cui Apollo non gli dava più lo stesso brivido di un tempo. L'immortalità spesso conduceva gli dei ben lontani da un qualsiasi concetto di maturità personale.
E questo era evidenziato anche in quel momento, con Apollo che eludeva la sua domanda con qualche poesia- Lee li chiamava haiku- pur di non rispondergli.
«Anche Lee tira fuori sempre poesucole del genere» affermò John con la stessa saggezza che può dimostrare un quarantacinquenne accovacciato a brandire una bottiglia di rum.
A quel punto, lo sguardo del dio si fece scuro più o meno come quello di Hector alla vista di quante bottiglie di alcool in meno ci fossero nella scorta. Con la differenza che il temperamento di Apollo aveva ripercussioni anche sul mondo circostante: l'estate della Florida sembrò farsi più un autunno improvviso. Ventate di vento violento si abbatterono sulle finestre e la luce del sole parve decidere di allontanarsi, lasciando la stanza comandi in una penombra grigia.
Hector avanzò di un passo verso il dio, la gamba destra indolenzita dal brusco cambio di temperatura. «John non intendeva offendere quel particolare genere di poesie, Apollo» disse, cercando di sembrare diplomatico. Non vedeva l'ora di levarsi da una situazione così spinosa. «Semplicemente, ha espresso una sua opinione».
Il dio spostò il suo sguardo da John ad Hector. Pareva confuso. «Non... non sono qui per parlare di poesia, anche se ammetto che i miei ultimi componimenti erano un vero schianto!». Un'ombra di un sorriso passò sul suo viso, prima che ritornasse a vestire quell'altra sua anomala espressione, amara, fin troppo cupa considerando il tipo che era.
Hector lo conosceva da decenni, forse da quando aveva l'età di Lee, e, pur non apprezzandolo più come un tempo, lo inquietava vederlo in uno stato del genere.
Forse... forse sarebbe stato meglio non chiedere nulla. Fingere che Apollo non fosse venuto a trovarli e fare almeno una telefonata al Campo, per avvisare Lee che avrebbe dovuto prepararsi. Dopotutto, anche Hector discendeva da un dio, di conseguenza aveva avuto le sue grane a combattere mostri e sapeva quello che comportavano. E se un dio era inquietato da qualcosa, lui preferiva avere suo figlio dove poteva vederlo.
Ma John rovinò tutto.
Anche lui doveva aver percepito qualcosa di sbagliato, ma per quella volta fu fin troppo diretto. «Cos'è quell'aria depressa?» chiese, facendosi avanti, un po' barcollante per com'era rizzato all'improvviso in piedi. «Oh, andiamo, è morto qualcuno?»
La battuta non ottenne risposta. Rimase lì, vaga nell'aria, mentre Apollo fissava Hector con occhi azzurrissimi diventati lucidi come due specchi d'acqua.
No.

La gamba destra cedette all'improvviso. Hector barcollò.
John scagliò via la bottiglia e, nel frastuono del vetro che si infrangeva sul muro, scattò in avanti per afferrarlo giusto in tempo, aiutandolo a scivolare piano sul pavimento.
I capelli scuri del capitano più giovane erano scivolati fuori dalla bandana e, mentre sussurrava conforti, coprivano tutto il viso di Hector.
Apollo sentì una vampata di dolore unita a una sorta di consapevolezza che si trovò a odiare. Era un dio, ma rimaneva di troppo. Hector aveva chiuso con lui molto tempo prima, considerando gli anni umani, e c'era un mortale ad aver preso il suo posto, quasi fosse migliore di lui, che invece aveva portato solo una notizia come quella. Diede le spalle ai due, prima che la rabbia prendesse il sopravvento sulla sua magnificenza di dio.
«Com'è successo?» gli arrivò dalla sala la voce gracchiante e spezzata di Hector.
«Un gigante» disse piano Apollo, senza voltarsi. Poi scomparve in un vento tiepido: era l’unico modo in cui poteva portare calore a quei due mortali.
***
Apollo osservò dall'alto del carro le coste della Florida. Precisamente 34,5° più a ovest doveva trovarsi il porto dove aveva visto per l'ultima volta Hector Fletcher. Non ricordava esattamente quando era stato- gli anni umani sfrecciavano a una velocità impressionante.
Ma non era stato troppo tempo prima che Ecate gli aveva confidato l'ultimo pettegolezzo.
Un certo discendente di Nereo (ed Hector era l'unico ancora vivo) aveva richiesto delle gocce del fiume Lete per sé e per il suo compagno, solo per dimenticare l'esistenza degli dei e vivere in pace.
Apollo gettò un'occhiata giù. Non sarebbe servito nemmeno controllare, di per sé, ma voleva accertarsene di persona.
Eccoli lì. Su una strada poco distante dal porto, Hector e John stavano passeggiando con una bambina di tre, quasi quattro anni. L’avevano chiamata Leah, in onore del figlio che ora credevano di aver perso in un incidente stradale. Bastò un'occhiata perché Apollo aumentasse la velocità e si allontanasse, prima di scagliare via qualcosa.
La storia di quei mortali aveva fatto piuttosto scalpore nell'Olimpo, tanto che alcuni avevano addirittura proposto di cancellare dalla faccia della terra quegli odiosi che avevano preferito dimenticare esseri perfetti come loro. Alla fine, Zeus aveva lasciato in sospeso quella situazione, specialmente perché sembrava si stessero creando dei problemi non da poco con la parte romana della loro natura.
Afrodite però aveva preso in disparte Apollo, osando ammonirlo sul fatto che i suoi bambini avessero bisogno di amore e di cure- proprio lei, che ne aveva tipo il triplo in giro per il mondo- e che Hector si fosse allontanato da lui specialmente perché non aveva dimostrato il minimo interesse per Lee. Al ricordo di quanto facesse schifo che quella divina svampita avesse forse in parte ragione, si passò nervosamente una mano tra i suoi perfetti capelli biondi.
Avrebbe davvero voluto avere un altro bambino con Hector- e tutto a causa di quelle maledette frecce di quello stupido di Eros- così da magari risolvere la questione una volta per tutte. Lo avrebbe preso in braccio sotto gli occhi di Hector e guarda come sono un bravo genitore, stronzo! Amami!
Cavolo, gran parte degli altri dei nemmeno si prendeva la briga di conoscere quanti marmocchi avevano generato. Lui lo aveva fatto da ben prima di quelle richieste di Percy Jackson, ed era anche uno di quelli più impegnati!
Uff, sembrava non bastare mai. Avrebbe quasi voluto scendere di nuovo in Florida e spiattellare davanti ad Hector e al suo perfetto John e alla loro piccola bimba quanto lui potesse essere veramente ottimo in tutto. Avrebbe mostrato loro la sua vera natura. Li avrebbe letteralmente folgorati!
Ma poi gli tornavano in mente le storie con Dafne e con Giacinto. Non serviva nemmeno il dono della profezia per capire che se avesse provato qualsiasi altra cosa con Hector, si sarebbe aggiunto un altro nome ai suoi rimpianti.
Eppure, moriva dalla voglia di fargliela vedere.
In quel momento, aveva tra le mani il copione che Lee aveva scritto, un musical davvero promettente, e si sarebbe mosso al più presto perché venisse pubblicato e ottenesse il giusto successo. E dopo aver fallito anche nel proteggere Michael Yew, stava cercando di aiutare i suoi figli più in difficoltà.
Uno in particolare.
Anche se non aveva gli stessi capelli rossi di Lee o non fosse proprio suo diretto figlio, Octavian di Nuova Roma avrebbe avuto tutto il suo supporto.


 
 
 
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Note dell’autrice

Buonsalve!
Sono le 00.05 e avevo promesso che avrei aggiornato la storia oggi: avete davanti a voi uno straordinario esemplare di Nox in grado per la prima volta di rispettare le scadenze che si era data. Cosa più unica che rara.
Ho rinunciato al continuare un’altra storia per allestire le ultime cose di questo capitolo… vedrò di essere breve con le note, che sono giornate lunghe e stanche e che la suddetta storia mi sta aspettando. Spero ne sia valsa la pena ahah
Lee Fletcher mi è sempre rimasto particolarmente scolpito nella memoria, e non so bene perché. Sarà che avevo e ho tutt’ora tutta una mia teoria su un’eventuale maledizione sulla Casa di Apollo (che mai racconterò ma vabbè), sarà che è un altro dei personaggi di cui sappiamo troppo poco che ha trovato una morte brutaletta, la mia testa è particolarmente partita in viaggi mentali nei suoi confronti.
In questo modo è nato Hector, suo padre insieme da Apollo- ah, e anche John. Hector ha conosciuto Apollo da giovane, quando aveva circa la stessa età di Lee, ma la loro storia è cominciata molto dopo, tanto che è diventato padre quando già era oltre i quarant’anni. Hector è ispirato un po’ ad un vecchio pirata e discende da parte di mamma (cit.) da Nereo, Il Vecchio del mare (incontrato anche da Percy, se non sbaglio). Il vecchio Ner è suo bisnonno, perciò il sangue divino in Hector è molto annacquato e, di conseguenza, è totalmente assente in Lee- almeno per quanto riguarda Nereo, si intende.
Anche Hector e John si conoscono da decenni, ma hanno iniziato a sviluppare una relazione amichevole e poi vera e propria solo quando Lee aveva circa cinque anni. Lee li ha sempre shippati e ha aiutato un po’ suo padre Hector a capire che John era effettivamente l’uomo giusto per lui. I due non si sono mai sposati, ma sono giunti a convivere e la cosa ha reso particolarmente felice Lee. John ha vomitato la prima volta che gli è stato riferito dell’esistenza degli dei&co. ed Hector ha dato di matto perché credeva che lo avrebbe lasciato. Avrei anche tutta una serie di cose da dire su Leah e sul rapporto tra Apollo ed Hector, ma non è questo il giorno.
Quindi le mie pare mentali terminano qui.
La citazione iniziale è direttamente tratta dal 19° capitolo del “La Battaglia del Labirinto”. Ridandoci un’occhiata, mi sono resa conto che Dedalus mi manca e non capisco nemmeno il perché. Ma tant’è.
Ovviamente, la parte finale con Apollo si svolge appena prima degli eventi narrati in “Eroi dell’Olimpo”—ho voluto un po’ dare una motivazione alla sua scelta piuttosto ambigua di supportare Octavian. Non credo fosse stata mai chiaramente esplicitata, no? Correggetemi se sbaglio.
Ringrazio le due anime pie che hanno recensito la mia storia e chrisiliae che l’ha inserita tra le preferite: grazie mille!
Qui chiudo. Ci si vede lunedì prossimo!
 
Baci,
- Nox
  
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