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Autore: Enchalott    05/05/2020    3 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tutti! Eccoci a un punto importante della storia, spero di essere riuscita a renderlo fondamentale e sufficientemente raggelante. Il termine "iattanza", che ho volutamente scelto, è dedicato con affetto a Old Fashioned per riportare alla memoria un piacevole momento condiviso. ^^ Lui sa perché. :)

Servi dell’oscurità

 
Adara non riuscì immediatamente a distinguere le presenze oscure appena nominate dal marito. Si guardò intorno, spaesata, attendendosi di scorgere una schiera compatta di nemici pronti all’attacco o qualche creatura spaventosamente simile a Urien. Oppure a Shion. Rabbrividì.
Dovette invece seguire lo sguardo glaciale di Anthos, che si concentrava su un punto lontano e buio in mezzo alle rovine di Odhran. Il principe li aveva percepiti ancor prima di individuarli con la vista, così come aveva fatto anche il Crescente, che stava continuando a inviarle i suoi segnali inquieti, fatti di spasmi al ventre.
La ragazza si ritrovò a pensare che l’Imis’eli forse possedeva un potere simile a quello innato del reggente: poteva essere una spiegazione al fatto che lui riuscisse a comprenderne così bene le facoltà misteriose e mostrasse sempre una forte convinzione su ogni argomento o situazione che coinvolgesse la mezzaluna tatuata.
Se quel ragionamento avesse trovato conferma, la principessa avrebbe avuto la prova definitiva di ciò che le stava tanto a cuore: che Anthos non fosse affatto l’emblema del male assoluto che stava risucchiando il creato, che non fosse in competizione con Ishkur per prenderne il dominio incondizionato tramite l’oscurità.
“Controllalo”.
La voce calma di lui la distolse dalla riflessione. Stava continuando a fissare lo spazio davanti a sé, ma i suoi sensi finissimi avevano subito avvertito l’accendersi repentino di Leuhan. Adara cercò di regolarizzare la respirazione e di disancorare i pensieri dalla paura che la presenza dei Daimar le stava procurando.
“Difenditi” continuò il principe “Se non lo sfrutti adesso, non ti sarà concessa una seconda occasione. Non posso combattere i deamhan e insieme salvaguardare te”.
Lei spalancò gli occhi, atterrita, portando meccanicamente le mani all’ombelico.
“A me il compito, altezza!” esclamò Kesthar, rimettendosi in piedi e sfilando la pesante ascia a due lame dal fodero di cuoio “Mi occuperò io della vostra sposa e anche della mia. Dovranno carpire la mia vita prima di osare ambire alle loro! E non sarà semplice!”.
“Ammirevole” pronunciò il reggente con una punta di scherno “Ma la scure ti servirà a ben poco. Sei il meno adatto all’onere che ti stai assumendo, Haffgan”.
Màrsali si strinse al marito, percependo il tendersi nervoso del suo corpo massiccio a quelle parole tanto sprezzanti. Tuttavia, intuì nei modi e nell’espressione del sovrano una verità plausibile e scomoda, lontana dalla semplice volontà di dileggiare il coraggioso carceriere. La tenebra non patisce l’acciaio, bensì la luce. Il buio attecchisce al dolore, mentre viene respinto dalla consapevolezza che da esso si è acquisita della propria umana imperfezione.
“Io difenderò lui, allora” disse a sua volta “La principessa sarà il baluardo di noi tutti”.
Anthos strinse le palpebre e avanzò senza indugiare oltre.
 
Erano in quattro e i loro occhi di rodolite maligna sfavillavano animosamente sui volti bestiali, ombreggiati dalle vesti pesanti e scure.
La luce calante sulle rovine di Odhran rendeva ancora più spaventoso lo scenario dominato dai deamhan, i cui sguardi si concentrarono immediatamente sul reggente del Nord, che procedeva nella loro direzione, privo di esitazioni e con altrettanta furia nell’espressione.
Le creature sibilarono tutt’altro che intimidite, pronte a mettere in pratica le loro strategie illusorie fatte di torture mentali e distorsione della realtà. Ciononostante, tra le loro mani adunche si materializzarono altrettante spade di metallo nero a scanso di ogni svantaggio fisico.
“Non siamo qui per combatterti, Anthos di Iomhar” soffiò rapace uno dei demoni “Bensì per accoglierti come un fratello. L’essenza che ti governa ci è affine, non differisce da quanto fino a poco fa riposava sul fondo dimenticato di Yfrenn-amrri”.
Il principe sogghignò, come se gli avessero rivolto un complimento gradito.
“Non siete in grado di trattare con me” ribatté altero “Non vi consentirò di tornare nel vostro lurido pozzo, perché vi dissolverò qui. Vi ridurrò all’inesistenza”.
Un secondo Daimar fece eco a quella minaccia con una risata fredda e gracchiante.
“Il nostro signore Ishkur ci aveva informato della vostra iattanza, non avete fatto altro che esibirla e confermare la sostanza che vi pervade. Se preferite combattere, avrete ciò che cercate, transitando attraverso il peggiore dei vostri incubi… ma non cadrete da solo, non temete”.
Le sue iridi rossastre saettarono verso gli altri tre presenti, pregustando l’afflizione che avrebbe loro inflitto, distorcendone i pensieri e i ricordi per farli cedere.
“Siete solo feccia” mormorò il reggente, sdegnoso.
Scostò il mantello e tese in avanti il braccio, deciso ad annientare i quattro avversari in un colpo solo, prima che il Nemico facesse la sua teatrale comparsa. Percepiva la sua presenza corrotta, sebbene non riuscisse a individuarne la posizione esatta. La sua aura infetta si mescolava a quella dei suoi servitori, impedendone l’identificazione esatta, e a quella del male dilagante che impregnava il cosmo. L’avrebbe stanato in seguito, nel solo modo possibile.
Si concentrò per scagliare al massimo la sua energia contro quegli inutili gregari.
I suoi poteri non risposero.
Anthos trasalì, incredulo. Ritentò la mossa, ma nuovamente non riuscì a far scaturire la sua essenza all’esterno, come se il suo io profondo fosse stato arginato per divenire irraggiungibile. Imprecò silenziosamente, retrocedendo.
 
Adara osservò con sgomento il marito sbigottire e abbassare la mano, come se stesse rinunciando al combattimento. Si sentì gelare il sangue.
“Che cosa sta facendo?!” sbottò Kesthar, stupefatto.
“Anthos…!” gridò la principessa, pensando che i deamhan fossero riusciti a prendere il controllo della sua ragione “Anthos, non guardarli! Non ascoltarli!”.
“Vattene, Adara!” rimandò lui senza voltarsi, dimostrando invece di essere ancora nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali.
La ragazza, tuttavia, non si mosse e lo osservò esterrefatta portare la destra al fianco opposto per sfoderare la lama che rappresentava soltanto il suo rango e non altro.
“La spada…?” mormorò Màrsali, fissando la scena con altrettanta meraviglia “Perché sta estraendo un’arma materiale? Non servirà per…”.
Poi si bloccò, sbarrando gli occhi azzurri e scivolando nel panico più totale, con una tragica consapevolezza stampata sul viso.
“Màrsali?” balbettò il Custode, reggendola quasi di peso.
“I suoi poteri…” singhiozzò lei, catturata da una sorta di visione mistica priva di trance “Non governa più i suoi poteri! Oh, dei misericordiosi!”.
Adara impallidì, sconvolta. Il Crescente infuriò sotto la sua casacca.
“Cosa? Impossibile! Non possono essere così forti anche se sono in quattro! Non…”.
Si arrestò a sua volta, esalando un gemito angosciato.
 
Il mio amuleto argina i poteri, il vostro li amplifica…
 
“Il Medaglione…” sussurrò, attanagliata dalla certezza “È il Medaglione!”.
Sguainò la spada con foga, decisa a correre in suo aiuto, mentre i due compagni ascoltavano a bocca aperta quell’incredibile rivelazione.
La veggente si portò una mano al volto, tremando. La spiegazione poteva essere soltanto quella. Il Medaglione del Nord, completato con la Pietra del Cielo, aveva ripreso a funzionare come avrebbe dovuto, inibendo al principe l’uso delle sue facoltà particolari. Non avvertì più la consueta dissonanza prodotta dal gioiello, chiaramente dovuta alla contraffazione precedente, quella che aveva percepito sin dal suo primo incontro con il sovrano e dalla quale lo aveva messo in guardia. La sorte che avrebbe dovuto condurli tempo prima alla salvezza, pareva al contrario aver deciso di negare loro tutte le possibilità. Il corso della Profezia si era forse riavviato nel momento peggiore. Il reggente sarebbe morto e loro sarebbero stati perduti con lui.
 
“Fermati!” ordinò perentorio Anthos, scorgendo il movimento della principessa alle sue spalle “Non ti avvicinare, mi saresti d’intralcio!”.
Uno dei demoni si staccò dal mucchio brulicante dell’oscurità, mirando al nuovo obiettivo con bieca soddisfazione.
Adara ignorò l’imposizione e si liberò dalla stretta premurosa di Kesthar, che avrebbe voluto trattenerla e difenderla come aveva garantito.
“Non posso!” gridò “Non ti lascio solo!”.
Il principe imprecò contro la testardaggine di sua moglie nella lingua arcana che gli usciva dalle labbra nei momenti di somma tensione e arretrò di qualche passo.
Uno dei deamhan strinse gli occhi fiammeggianti nell’udire quell’idioma perduto e si consultò rapidamente con i compagni in un codice fatto di sguardi torvi e sinistri, ma anche di malcelata sorpresa. Le creature parvero irrigidirsi, come se non sapessero in che modo procedere, ma fu un’esitazione momentanea e la loro considerazione si rivolse nuovamente all’avversario senza ulteriori remore.
Anthos sollevò la spada in una figura d’attacco.
“Quell’arma non ti servirà, reggente del Nord” graffiò il primo essere oscuro “Non potrà niente quando ti porremo difronte alla tua vera sostanza! Quella che rifiuti!”.
“Non ho mai negato alcunché di me stesso” replicò lui, sfidante “Forse sei solo incapace come appari e credi di potermi affrontare con le vane parole”.
La creatura emanò un’ondata di buio raggelante e sondò l’arrogante rivale a caccia di una qualunque debolezza che gli consentisse di intaccarlo interiormente.
Non trovò nulla.
Non perché quell’uomo altezzoso non ne possedesse, ma perché incontrò semplicemente il vuoto assoluto. Come se lui non avesse un passato, una storia, un’esperienza personale e vissuta. Come se non fosse. Si schiantò su un bianco abbagliante nel quale non apparivano né dubbi né fragilità né irrisolti: il pallido riverbero di una potenza sovrastante, intriso di un dolore cui tuttavia non era possibile attingere, come se fosse incontaminato, intangibile e venisse a costituire un universo a sé stante: e quel nitore irreale era più spaventoso della fine stessa dell’esistenza.
Il Daimar non riuscì a sostenere la contiguità e mollò la presa sull’avversario, incredulo e schiumante di rabbia ferina.
“Che cosa sei tu!?” ringhiò, tamponandosi la bocca raggrinzita, come se avesse assaporato un frutto aspro e sgradevole “È impossibile che in te non esista fallo!”.
Anthos inarcò un sopracciglio, ragionando velocemente sulla drastica constatazione.
“Io sono semplicemente quello che vi negherà il ritorno” rispose poi, impassibile “Informate anche il vostro padrone, quello che si autoproclama dio del Nulla, ma che è troppo vigliacco per affrontarmi di persona!”.
“Nessuno ha mai sconfitto me, Sanarath, da quando l’eternità è divenuta tempo!” ruggì il deamhan, furibondo “Succhierò la tua anima attraverso un’altra via!”.
“Non puoi prendere ciò che non esiste” sogghignò il principe “Assaggia il gusto della morte invece, scarto di Yfrenn-ammri!”.
Affondò la lama, ma la mossa non fu sufficiente a sistemare la creatura dell’ombra, che gli si parò davanti con irosa foga, priva di ferite.
Anthos sapeva che quella tattica non avrebbe sortito alcun risultato, aveva sfoderato l’arma solo per prendere tempo e dare modo a Adara di fuggire. Aveva compreso che il Medaglione lo stava privando dei poteri e quell’effetto imprevisto aveva fatto luce su molti altri aspetti del gioiello, della Profezia, della sua sorte. Improvvisamente, il ventaglio delle priorità era mutato e lui avrebbe desiderato soffermarsi a riflettere sulla nuova prospettiva con la cura necessaria, ma quei maledetti avanzi di carne putrida venduta all’oscurità gli stavano facendo perdere tempo prezioso. E sua moglie aveva appena intrapreso la meno accorta delle soluzioni. Quello sì che avrebbe dovuto aspettarselo con puntualità!
Osservò con la coda dell’occhio uno dei demoni dirigersi sulla principessa, che ormai si trovava a pochi metri da lui.
“Maledizione…” inveì a voce bassa.
 
Adara menò la spada di punta, ma incontrò una resistenza tra le pieghe della tunica del nemico. Il Daimar la squadrò dall’alto in basso, con una smorfia di superiorità dipinta sui tratti ripugnanti, che gli raggrinziva il marchio triangolare.
“Sei sangue del nostro signore” constatò mellifluo “Potresti essere perdonata, se accettassi l’assoluzione pietosa di Berazin… devi soltanto domandarla”.
La ragazza avvertì il tocco sudicio di quei termini lusinghieri, che andavano a colpire una ferita aperta e profonda. Ingoiò l’angoscia soffocante e strinse le mani sull’elsa.
“Mai! Siete voi che dovete restituirmi Shion!”.
“Lo faremo in cambio di te. Libereremo tuo fratello e diverrai tu il veicolo di Ishkur. Uomo o donna per il Nulla non fa differenza. Offriti a me”.
La principessa spalancò gli occhi, frastornata dalla proposta appena udita.
“Stai mentendo!”.
“Solipsismo” sibilò il demone “Accusi me di falsità per evitare di ammettere il tuo immane egoismo. Hai la possibilità di liberare Shion e preferisci salvaguardare te stessa dandomi del bugiardo. Non è forse così, Adara di Elestorya? È quello che hai sempre fatto: essere egocentrica, Berazin lo distingue in te con lampante chiarezza… le persone muoiono per te, donna. Ma tu non ne soffri”.
Lei esitò, confusa e addolorata. Il calore del Crescente si affievolì.
 
Anthos avvertì il calo energetico di Leuhan e sussultò. Sua moglie stava perdendone il controllo: era ancora troppo inesperta, troppo insicura per usarlo nel modo corretto. Persino lui non era sicuro al cento per cento di come andasse governato. Inoltre, il demone stava colpendo con micidiale perfezione i suoi punti deboli.
“Svegliati, Adara! Non ti opporre!” esclamò, incendiando con lo sguardo l’odioso terzetto che gli stava impedendo di raggiungerla “Concentrati, come ti ho insegnato!”.
Lei si riscosse a quelle parole pronunciate con bruciante rimprovero, riguadagnando la decisione e con essa la percezione del Crescente: fece appello alle emozioni che lo attivavano e raddrizzò la spada.
“Non è quella l’arma che devi sfoderare!” continuò il principe “Ti distrae e basta!”.
“Ma tu…” obiettò lei, alludendo alla lama che anche lui stava impugnando.
Leuhan!” ripeté il principe, severo.
L’ombra perfida chiamata Berazin assottigliò gli occhi, riducendoli a due fessure magmatiche, deciso a ricominciare da dove era stato interrotto, prima che la sua vittima riuscisse ad affrancarsi definitivamente dalla sua cattura spirituale.
“Sei già abituata ad ascoltare il male, vedo” proferì con turpe soddisfazione “Quello che risiede nell’uomo che ti comanda come uno stupido burattino. Egli non desidera che tu domini, che tu divenga il baluardo del divino Ishkur… a sua volta brama la potestà sul cosmo e la sua unica volontà è quella di eliminare i suoi rivali! Te per prima, riducendoti a imbelle preda tra i suoi artigli nefasti, illudendoti di essere oggetto del suo amore incondizionato!”.
Adara vibrò di una sofferenza straziante e ritrasse l’arma, infilandola nel fodero. La luce della mezzaluna divenne chiara e intensa, filtrò attraverso gli abiti mentre abbandonava definitivamente quella difesa troppo concreta.
“Lui non ha mai mentito!” gridò furente “Anthos di Iomhar non mi ama e non mi ha mai ingannata! Anche se così non fosse, tu non saresti in grado di giudicare, abietta creatura del buio, perché non puoi vantare o provare nulla di umano!”.
Il deamhan ruggì di collera soverchiante davanti a quella perorazione schietta, che lo ustionava più di una fiamma viva. Il riverbero del Crescente lo sfiorò, spietato, bloccandolo in una morsa serrata e dolorosa, facendolo ansare penosamente in mezzo agli sterili tentativi di allontanamento.
Si divincolò, ma non riuscì a sottrarsi a quell’energia pura che lo aveva catturato come mai era accaduto. Urlò di rabbia e di frustrazione, facendo tremare l’aria.
I suoi tetri compagni indirizzarono l’attenzione su quel fenomeno inspiegabile e sconvolgente, che costituiva un unicum nel curriculum delle ere trascorse a fagocitare le tenebre che intessevano Yfrenn-ammri e adombravano il futuro.
Il reggente intuì le loro intenzioni e scattò in avanti, ma i tre demoni gli sfuggirono, sciamando come spiriti inquieti verso la donna che aveva osato opporsi ad uno di loro, voraci e vendicativi. Attirati dal bagliore ipnotico dell’Imis’eli.
Sanarath gli si parò dinnanzi, ostacolandolo per dare modo ai fratelli oscuri di raggiungere la nuova preda, emanando tutto il nero di cui era composto, facendo sfrigolare come acqua sul ferro rovente il dolore delle anime che aveva corrotto e di cui si era nutrito nei secoli.
“Adara!” gridò Anthos, osservando l’avversario di lei contorcersi in un’immobilità forzata simile a quella che lo aveva trattenuto quando Leuhan aveva manifestato la sua vera forza “Fammi passare, maledetto!”.
Lei non avrebbe retto l’assalto degli altri nemici, stava già frenando il primo con difficoltà estrema, se l’avessero circondata...
Strinse il Medaglione nel pugno e le tre Gemme baluginarono attraverso le sue dita contratte, ammonitorie e irremovibili.
Il Daimar lo squadrò con freddezza, ignorando la terrificante minaccia insita delle sue iridi dorate e inumane.
 
Kesthar saettò in avanti, scuotendo l’ascia bipenne, gettandosi nella mischia per difendere la principessa con altruistico spirito di sacrificio.
Uno degli esseri oscuri deviò nella sua direzione, attratto dall’apparente semplicità dell’opera e richiamato dall’echeggiare intimo di una nuova sofferenza da snidare e amplificare al fine di sbranare un’anima fragile e indifesa.
“No!”
Màrsali gridò e gli fu dietro, poi accanto, come un bastione insieme forte e delicato, munita solo di se stessa, ma disposta a tutto pur di non perdere l’uomo che amava.
I dehalbh azzurri tracciati sulla sua pelle si fecero più intensi.
“Orothen non sbaglia mai” esalò l’essere oscuro, cozzando contro il corpo massiccio del guardiano e respingendolo “Orothen sa quando un cuore già annerito non attende altro che l’ultimo consenso a operare scientemente il male completo. Per te infliggere dolore è appagante piacere carnale, più di quello che ti avrebbe dato la ragazzina che hai risparmiato dai tuoi laidi propositi solo per compiacere il tuo lato sadico”.
Il carceriere si oppose, sentendo venir meno le forze mentre la realtà svaniva nel passato e nel vortice dei rimorsi di coscienza opportunamente provocati dal nemico.
“Haffgan…” continuò il deamhan “Possiedi già il nome di uno di noi, Yfrenn-ammri ti accoglierà come un eroe insieme con il corteo di vite innocenti che hai mietuto!”.
“Kesthar!” urlò la veggente, aggrappandosi a lui e vedendo i suoi occhi blu scuri farsi sempre più vacui e spenti “Reagisci! Ti prego!”.
La mente del Custode risuonava di grida infernali, come se tutti i suoni delle segrete di Jarlath gli si fossero riversati contemporaneamente nei timpani. Nonostante il clamore insopportabile, magnetico, riusciva a distinguere comunque una voce suadente che lo invitava a rilassarsi, ad ammettere la propria colpevolezza, a scusare con noncurante indifferenza le colpe orribili di cui si era macchiato. Turpe nell’aspetto e nell’animo, nessuno lo avrebbe mai accolto se non coloro i quali erano a lui simili. Fratelli pronti a mostrargli rispetto e a guardarlo da pari, demoni come lui non solo per abitudinario appellativo, bensì per predisposizione interiore.
La discesa nel buio era agevole e attraente, il fardello sulle sue spalle si assottigliava, la sensazione costante di inadeguatezza svaniva… era così tiepido e rassicurante. Eppure c’era qualcosa che avrebbe dovuto ricordare, qualcosa di importante che gli pizzicava un angolo recondito della memoria…
“Kesthar!”.
Màrsali espresse a gran voce tutto il proprio strazio nel vederlo abbandonato senza più difese, aggredito da un nemico sleale e insidioso che sapeva approfittare della candida debolezza di chi portava un peso arduo da dimenticare.
“Rinuncia, ragazzina!” sogghignò Orothen, pregustando il lauto pasto “È mio ormai!”
“No” sferzò lei, puntando gli occhi celesti sul demone con una fermezza che gli inflisse una stilettata amara “Non è tuo, infame oscurità. Non può esserlo. Appartiene a me! A me sola! Perché io lo amo!”.
Il Daimar schizzò all’indietro, furioso, respinto dalla potenza di quel sentimento sincero. Il guardiano delle prigioni si mosse lievemente, quasi libero dalla presa oscura, sbattendo le palpebre.
“Mi senti?” disse la veggente, piegandosi su di lui e sfiorandogli la lunga cicatrice sulla guancia “Ti amo, ti amerò per sempre! In ragione di questo, il male non ti toccherà! Non ti avrà! Accolgo tutto di te, anche ciò che non vorresti mostrare!”.
Lo baciò sulle labbra, sincera e appassionata, stringendolo forte mentre il deamhan che li aveva attaccati piombava al suolo in preda alle convulsioni, emanando un vapore grigiastro e rovente.
“Màrsali…” sussurrò il Custode, socchiudendo gli occhi ancora velati.
 
Era troppo tardi per intervenire.
Anthos vide la seconda creatura delle tenebre tuffarsi su Adara, strenuamente impegnata in un duello di volontà con Berazin. Il Crescente incatenava il primo demone, ma non lo sconfiggeva definitivamente; se si fosse spostata, l’avrebbe perso e sarebbe divenuta preda di entrambi.
Era dannatamente tardi.
Sanarath gli impediva di proposito di raggiungerla.
Tardi…
Un sibilo letale percorse l’aria e prese forma in un’asticella piumata, che andò a conficcarsi decisa nel petto dell’essere oscuro, arrestandolo.
Questi mugghiò di stizza, afferrando subitaneo la freccia ed estirpandola con rabbia.
La principessa sussultò, realizzando tardivamente di essere scampata a un vile attacco alle spalle, ma dovette riportare l’attenzione sul suo avversario primigenio, rinunciando a comprendere che cosa stesse accadendo.
Un altro dardo respinse il Daimar che ostinatamente ambiva di dare man forte al compagno ridotto all’impotenza.
Il reggente distolse lo sguardo dal proprio nemico, come se non gli importasse più di lui e rinfoderò la spada con un movimento lento e calibrato. Posò lo sguardo ribollente di collera sul nuovo arrivato. La sua mano si serrò nuovamente sul gioiello del Nord.
Narsas.
 
L’arciere Aethalas abbassò il cappuccio sulle spalle con una mossa del capo, continuando a tenere sotto tiro l’essere oscuro che aveva già colpito per due volte.
“Non toccarla!” esclamò tendendo al massimo la corda.
La creatura sibilò irosa, strappandosi il nuovo legnetto appuntito dalle carni.
“Le tue armi primitive non possono ferire Showa, moccioso!” ghignò famelico “Niente di ignobilmente umano può avere ragione di me!”.
“Nulla di bassamente demoniaco può invece sfiorare lei” ribatté il ragazzo, duro.
Il deamhan si avvicinò, minacciando vendetta, abbandonando l’intento originario per dedicarsi a quello strano mortale che lo stava fronteggiando. Qualcosa in lui suscitava la sua curiosità, qualcosa di estremamente singolare.
“Custodisci una vita non tua, capisco…” grugnì l’essere di tenebra, facendo baluginare le iridi di granato “Potresti riprendere il tuo corso, giovane guerriero. Sarebbe sufficiente il tuo voto di fedeltà al nostro signore”.
“C’è solo una persona che possiede il mio giuramento e la mia vita”.
“Ella perirà per nostra mano, certa della tua viltà. Potresti restare con lei per sempre, se solo piegassi le ginocchia e rinunciassi al tuo inutile orgoglio”.
“Ho già il sempre cui alludi con parole distorte. Rinuncia, Daimar! Allontanati!”.
“Combatti una vana battaglia, difendi una donna che non ti appartiene” sferzò la creatura maligna “Hai paura del suo rifiuto, temi che preferisca a te un altro uomo e sfidi la morte perché non puoi gareggiare con la tua pusillanimità, non puoi sostenere un rigetto. Lei lo sa, è per questa tua inferiorità d’animo che non ti cerca, che non ti vuole! Che non ti salva!”.
“Sì, ho paura” mormorò l’arciere “Di non essere degno di lei, di non amarla abbastanza… ma tu non puoi capire”.
Showa si ritrasse con profonda repulsione, eppure riprese con lucida crudeltà.
“Vorresti averla per una sola notte o per le poche che ti restano?” domandò sottile.
“Non mi resta niente”.
“Oh, allora il Nulla ti è familiare, può abbracciare la tua sofferenza, può renderti l’uomo che ambisci diventare e fare in modo che tu ottenga ciò che sogni. La tua vita finirà presto, decidi con accortezza! Permettiti di desiderare il tempo che ti manca!”.
In quell’istante Adara si volse, pronunciando il nome dell’arciere con preoccupazione, con sollievo, con amore. Poi tornò a contenere il deamhan che la stava incalzando.
Narsas sorrise lieve.
“Ho già operato la mia scelta, ombra” proferì calmo “Desidero provare una leggenda”.
Showa aguzzò lo sguardo, incerto difronte a quella sicurezza inattaccabile.
“Si dice che il koreyon possa uccidere persino gli dei… e tu non lo sei, vero?”.
Si passò l’estremità acuminata della freccia sul dorso della mano, procurandosi una ferita, che subito si colorò di scarlatto. Poi incoccò senza esitare, puntando il vertice tinto di rosso contro l’insidioso nemico.
“Pagherai la tua arroganza!” ruggì questi, furente.
Il dardo abbandonò la corda, conficcandosi a fondo nella gola del demone e trapassandola con uno schiocco sinistro.
Showa si portò le unghie violacee al collo, gorgogliando, mentre un tortuoso fiotto di essenza bruna fuoriusciva dal buco slabbrato che gli era stato inferto.
“Questo non sarà sufficiente per eliminarlo!” gridò Narsas rivolgendosi al reggente “Usate i vostri poteri, fate presto!”.
Anthos congiunse pollice e indice, portandoseli alle labbra. Emise un fischio che riecheggiò tra le macerie di Odhran, perdendosi nell’abisso ai suoi piedi e nella nebbia lattiginosa del crepuscolo.
“Che cosa state facendo!?” esclamò il guerriero del deserto, esterrefatto, puntando un'altra freccia imbevuta del suo sangue contro l’immobile avversario di Adara.
Perché il principe non stava emanando la sua mostruosa energia verde?
Il rumore pesante di un galoppo sfrenato sfilacciò la bruma stagnante, concretizzandosi poi nel possente stallone bianco del sovrano del Nord.
“Portala via, Aethalas!” ordinò il lui “Prendi il cavallo e allontanati da qui! Ora!”.
Narsas trapassò Berazin, ancora avvolto nella luce chiara del Crescente: la creatura delle tenebre piombò a terra come un sacco, in un’immobilità più intensa rispetto a quella dovuta a un comune stordimento. Adara fissò lo spettacolo, inorridendo, mentre l’arciere ripeteva il suo nome con angosciata premura.
Illtyd si impennò, fissando il suo padrone come se stesse ricevendo da lui un comando silenzioso e poi caracollò rapido verso la principessa.
“Anthos, no!” urlò lei, disperata, intuendo le sue intenzioni, mentre il destriero la spingeva con il muso, sbuffando vapore dalle froge dilatate.
Il reggente continuò a guardare Sanarath, senza distrarsi: non era certo quel verme a costituire un problema. Stava arrivando: il Nemico, il Nulla, stava riempiendo il creato con la sua odiosa presenza.
“Monta in sella, Adara!” la incitò Narsas alle sue spalle, infilandosi l’arco di traverso e agguantando la cavezza dello stallone “Dobbiamo andare!”.
“No!” gridò lei “No! Non possiamo abbandonarlo! L’Imis’eli avverte un’entità incombente, malvagia… dobbiamo aiutarlo!”.
L’Aethalas la prese di peso e la depose in arcione, infilando poi il piede nella staffa con la viva speranza che Illtyd non lo scaraventasse a terra, issandosi infine sulla groppa robusta del cavallo. Afferrò le redini penzolanti e strinse le ginocchia.
“Reggiti!” le raccomandò, avvertendo già i muscoli dell’animale tendersi in attesa dell’ordine di partenza.
“Fammi scendere!” esplose lei, divincolandosi in preda all’angoscia “Narsas!”.
“Adara!” ribatté lui, severo, bloccando i suoi tentativi “Smettila adesso!”.
La ragazza lo fissò, sconcertata, avvertendo il doloroso pizzicore delle lacrime agli angoli degli occhi.
“Lo sta facendo per te…” continuò l’arciere con maggiore dolcezza.
Prima che lei riuscisse a raccapezzarsi, un rombo devastante rintronò il creato.
Hah, Illtyd!” ordinò Anthos, senza attendere oltre “Yarlathi en dulai! Ne skae!”.
Lo stallone schizzò in avanti come una folgore senza attendere lo sprone, lanciandosi al galoppo tra le rovine di Odhran, abbandonando l’antico quartiere in men che non si dica, per poi gettarsi attraverso la pianura avvolta dalla foschia in una corsa sfrenata e inarrestabile.
Il cielo alle sue spalle divenne livido.
   
 
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