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Autore: Sapphire_    07/05/2020    4 recensioni
Rieccomi qui!
No, non è un seguito della storia che ho da poco finito, bensì, come avevo anticipato, dei capitoli autoconclusivi già preannunciati: missing moments, scene dal punto di vista del caro Alessandro... Poi si vedrà!
Buona lettura!
***
Attenzione! Consiglio caldamente di leggere "La fisica dell'attrazione" prima di questa, al fine di una maggiore comprensione!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Ecco il secondo speciale che avevo in serbo per voi!
In questo capitolo potrete leggere del primo incontro tra i nostri cari Amelia e Alessandro, spero possa divertirvi leggerlo almeno la metà di quanto mi sono divertita io a scriverlo. E voi, come ve lo eravate immaginate il loro primo incontro?
Chiedo scusa in anticipo per eventuali errori di battitura.
Buona lettura e alla prossima!

~Sapphire_
 




 
 
 
 
 
~La fisica dell’attrazione
 

~Special
 
 
 
 
 
Si sa, il primo giorno di scuola è il giorno in cui non si fa un cazzo per eccellenza e di solito è anche divertente – rivedi i tuoi compagni di classe, racconti che hai fatto durante l’estate, ti rallegri perché manca sempre meno alla fine di quella tortura chiamata “percorso scolastico” ecc. – ma per Amelia era sempre stato la ripresa dell’inferno.
E quell’anno, giusto per cambiare, era arrivata in ritardo come suo solito.
In ritardo, sudata, ed è pure lunedì. Che schifo.
Questi erano i suoi pensieri mentre si affrettava dopo essere scesa dall’autobus e, con la camicetta chiara appiccicata addosso, si affretta a scrivere a Daniele per sapere se fossero già tutti in classe.
Il fatto che non le rispondesse subito la fece per un attimo preoccupare ma ignorò in fretta il fatto e cominciò a correre ancora di più mentre sentiva la borsa a tracolla – il primo giorno non si porta nulla! – sbatacchiare lungo i pantaloni di tela che aveva indossato il giorno, uniti ai sandali che mostravano la pedicure appena fatta.
Con sollievo notò di non essere la sola a essere in ritardo ma questo non la fece rallentare, anzi: iniziò a correre ancora di più per le scale dopo aver letto quale sarebbe stata la sua nuova aula.
Ebbe la certezza che sarebbe stata una giornata di merda quando, voltando l’angolo e rappresentando uno dei più penosi cliché di qualsiasi libro o film romantico, si scontrò con qualcuno e fece un molto poco dignitoso volo per terra che la fece imprecare.
«Merda!»
Non si era fatta granché male, per fortuna, ma l’imbarazzo della figura di merda la fece arrossire soprattutto quando constatò che era l’unica ad essere caduta mentre l’uomo di fronte a lei era rimasto più stoicamente in piedi.
Peccato che la guardasse con così profonda irritazione che l’imbarazzo scomparve in fretta, sostituito dal fastidio.
«Potresti anche aiutarmi, eh.» frecciò acida mentre guardava il giovane che non aveva mai visto.
Era alto, con capelli scuri e occhi chiari e – doveva assolutamente ammetterlo – parecchio figo. Se non fosse stata irritata per il comportamento avrebbe cercato di flirtare spudoratamente.
«Potresti anche stare più attenta, eh.» le fece il verso il giovane, lasciando che la ragazza si sollevasse da sola.
Amelia lo squadrò senza problemi, notando le vesti informali e nessun particolare che potesse farle capire chi fosse.
«Non ti ho mai visto.» si ritrovò a dire – a chi importava il ritardo quando c’era una così bella visione di fronte a lei? Oltretutto non doveva avere che pochi anni in più, magari era un ripetente o una cosa simile. Magari era del quinto e lei, essendo del quarto, era a un piano diverso e non aveva mai avuto occasione di notarlo – anche se le sembrava strano comunque.
Il giovane la squadrò a sua volta, la bocca storta in una smorfia.
«Siete sempre così diretti, qui?» chiese gelido.
Amelia alzò le mani.
«Scusa, non volevo ferire il tuo pudore.» frecciò ironica mentre la sua famosa lingua lunga prendeva il sopravvento.
Il giovane inarcò un sopracciglio.
«Pensi di avermi ferito?»
«Non so, tesoro, ma ritira pure gli artigli.» commentò con un sorriso sardonico la ragazza.
Il giovane però stirò un sorriso affilato.
«Oh, tranquilla, tesoro» la imitò ancora, quasi divertito da quella situazione «non hai ancora visto i miei artigli.» terminò ironico. Amelia continuò a squadrarlo.
«Oddio, sei uno di quelli “stronzi e misteriosi”?» schernì a sua volta.
«Prego?»
Amelia scrollò le spalle.
«Ma sì… Quelli “sono bellissimo e me ne rendo conto, per questo vi userò e vi tratterrò come mi pare”.» spiegò per nulla scalfita «Uno stronzo, ecco.»
Il giovane parve piuttosto scioccato a quelle parole, perché tacque per vari secondi.
«Non sei in ritardo?» chiese infine – evidentemente era deciso a ignorare quell’ultima uscita della ragazza che sembrava non avere nemmeno un pelo sulla lingua.
Nonostante tutto, quella domanda scosse il campanello d’allarme interno della mora che, all’improvviso, si ricordò di che ora fosse.
«Cazzo.» si lasciò sfuggire per poi fare un frettoloso sorriso «Beh, ci si vede.» disse solo prima di correre via verso la sua classe, pregando che il prof della prima ora fosse magnanimo con lei – era solo il primo giorno, in fondo.
Purtroppo, non sapeva che avrebbe dovuto preoccuparsi di ben altro, in realtà…
 
 
«A che ora usciamo, oggi?»
La domanda venne fatta da Amelia in maniera distratta mentre, al cambio tra la seconda e la terza ora, guardava distrattamente Instagram e le ultime foto pubblicate.
«A mezzogiorno. Ma da domani si riprende il solito orario.» rispose Daniele preso come lei a controllare il cellulare.
Amelia annuì sempre distratta.
«Comunque abbiamo un nuovo prof di matematica e fisica, sai?» le disse l’amico, attirando finalmente la sua attenzione. La ragazza alzò lo sguardo verso di lui e lo guardò curiosa.
«Davvero? E la Madaro?»
Daniele scrollò le spalle.
«In pensione anticipata. Non so bene perché, pare abbia avuto un esaurimento nervoso o qualcosa di simile.» spiegò.
Amelia scoppiò a ridere in maniera molto poco gentile.
«Oddio, povera donna!» continuò a ridere mentre lo diceva e Daniele ridacchiò insieme a lei, bastardo come al solito «Sai chi è questo?» chiese poi.
In quel caso però l’amico scosse la testa.
«No, non so nemmeno il cognome a dire il vero. È stata una cosa dell’ultimo momento.»
Amelia lo guardò incuriosita.
«E come hai tutte queste informazioni?»
«Me le ha dette Marina.» rispose semplicemente il ragazzo, facendo riferimento alla bidella del primo piano che si considerava un po’ la seconda mamma di tutti – spesso, quando Amelia non aveva voglia di seguire la lezione, fingeva di stare male e finiva sempre a bere tè e biscotti con lei mentre le raccontava dei gossip sui prof. Era divertente.
Amelia si limitò a sorridere e ad annuire.
«Dovremmo averlo adesso, sai?»
Quella frase però la lasciò piuttosto spiazzata.
«Ora?» ripeté.
«Sì, speriamo sia decente. La Madaro era fuori come un balcone.» bofonchiò il ragazzo.
Nemmeno a farlo apposta, la porta della classe si aprì all’improvviso e tutta la classe si zittì come spaventata mentre un giovane uomo entrava con in mano una borsa di pelle, i vestiti piuttosto casual e l’aria un po’ indolente.
Un giovane moro, con gli occhi chiari e assolutamente figo.
«Buongiorno a tutti, io sono Alessandro Angelis.» disse mentre poggiava la borsa sulla cattedra e squadrava l’intera classe.
Il suo sguardo si posò infine su Amelia che si era gelata sul posto. Il giovane stese un ghigno assolutamente poco rassicurante.
No, non dirmi che lui è…
«Sono il vostro nuovo professore di matematica e fisica.»
Oh, cazzo.
«No. No. Ti prego no.» iniziò a bisbigliare la ragazza presa dal terrore. Questo attirò subito l’attenzione di Daniele che le rivolse un’occhiata confusa.
«Che ti prende?» le sussurrò mente il professore si metteva comodo e apriva il nuovo registro, sfogliandolo distrattamente.
«Hai presente il tipo su cui sono andata addosso?» bisbigliò ancora la ragazza.
«Sì?»
Amelia si girò con la morte negli occhi.
«Beh, è lui.»
Daniele si voltò rapido verso il professore, ancora intento ai fatti suoi mentre l’intera classe (soprattutto le ragazze) commentavano sul suo arrivo.
«Dai, non preoccuparti, ci sei solamente andata addosso. Può capitare a tutti.» la tranquillizzò.
Amelia però lo artigliò per un braccio mentre scuoteva la testa terrorizzata.
«No. Non è solo questo. Potrei avergli risposto…» si bloccò per fare una smorfia «Ecco, in maniera non troppo educata.» terminò.
Daniele impallidì a quelle parole – conosceva bene la ragazza per capire cosa intendesse con “non troppo educata”.
«Cosa gli hai detto esattamente?» chiese comunque.
«Che è uno stronzo.»
«Bene.»
La voce del professore interruppe di nuovo tutti i bisbigli. Si rialzò da davanti la cattedra, tra le mani il registro aperto, e si pose di fronte a essa con ancora un sorriso perfido in volto.
«Prima di fare l’appello e conoscervi meglio, credo sia d’obbligo presentarmi per primo, no?» e la sua era una domanda retorica, perché non attese che nessuno rispondesse prima di riprendere a parlare indisturbato – e chi lo disturbava, uno del genere?
«Come vi ho detto, mi chiamo Alessandro Angelis e sono il vostro nuovo professore di matematica e fisica. Ho saputo che la vostra vecchia prof ha avuto alcuni problemi di salute, per questo non è più qui, ma appunto ci sono io al suo posto.» si interruppe, lanciando una vasta occhiata a tutti e anche in quel caso i suoi occhi si soffermarono un attimo di troppo su Amelia.
«Allora, presentarmi…» fece con tono vago, quasi una finta indecisione che fece capire a tutti che aria sarebbe tirata «Non vi interessano i dettagli della mia vita privata e mai devono interessarvi. Sono affari miei quanti anni ho, come mai insegno anche se sono così giovane, se ho la ragazza…» e dicendo questo si soffermò con lo sguardo verso un gruppo di tre ragazze, le cosiddette “oche della classe”, che avevano espresso i propri dubbi a voce non troppo bassa poco prima «…e non sono vostro amico. La mia giovane età non vi permette di essere informali con me così come io non sarò informale con voi.» disse con un finto sorriso splendente.
Un demonio travestito da angelo, ecco cosa era.
«Pretendo il massimo da tutti voi, il fatto che questo sia un liceo linguistico non implica un vostro scarso impegno nelle materie scientifiche, non accetto chiacchiere, cibo o telefoni durante le mie ore. Al primo richiamo una nota, al secondo vi spedisco dal preside, al terzo c’è l’ammonizione.» fece un sorriso ancora più angelico «Sono stato chiaro?»
Certo, se per chiaro intendeva di essersi mostrato come il nuovo Fürer scolastico.
Vedendo come nessuno intendesse parlare, l’espressione cambiò e si fece gelida.
«Perfetto. Iniziamo con l’appello.»
E iniziamo con l’inferno.
 
«Uccidimi.»
«Dai, Ame, non farla tragica. Non è successo nulla…»
«Non è successo nulla?» tono isterico e disperato da degna protagonista di tragedia greca «Ho solo dato dello stronzo a un prof, e non uno qualunque, ma il nostro demonio personale di matematica e fisica, che sono le materie in cui vado peggio!» con l’ultima parola si esibì in uno strillo di qualche ottava degno di un soprano lirico e Daniele fece una smorfia.
«Ti prego, non strillare, mi uccidi i timpani.» borbottò, poi vide il volto terreo dell’amica, pronta a fumarsi l’ennesima sigaretta al riparo dalla luce sotto un albero – il primo giorno era finito e tutti si trovavano ancora in cortile.
«Senti, capisco quello che dici ma disperarsi non ti aiuterà. Alla fine, ti sei rivolta in questo modo con lui soltanto perché non sapevi chi fosse, lui se ne rende conto.» disse paziente.
Amelia sembrò illuminarsi debolmente.
«Tu dici?» borbottò poco convinta.
«Certo!» fu la risposta, ma il tono era così insicuro e traballante che Amelia impallidì ancora di più.
«Oddio, la mia morte è vicina.»
«Dai, non morirai per questo!» tentò ancora il riccio.
Il viso di Amelia si tinse ancora più di isterismo.
«E invece sì. Perché lui ora mi odierà, non riuscirò mai a raggiungere la sufficienza, verrò bocciata e i miei mi ammazzeranno. E tutto questo perché ho dato dello stronzo al prof!»
Daniele le lanciò un’occhiata di sottecchi.
«O forse perché non studi matematica e fisica?»
Amelia ignorò l’ultima domanda – palesemente retorica – e si infilò le mani tra i ricci ormai disordinati.
«Daniele…» sussurrò disperata «Che faccio?»
Il ragazzo sospirò e si lasciò andare contro il tronco dell’albero, massaggiandosi la base del naso con aria stanca.
«E se provassi a chiedergli scusa?» propose.
Amelia si illuminò.
«Tu dici?»
«Beh, se vai e gli chiedi scusa per stamattina, dicendogli che non è il tuo solito modo di trattare i prof, non credo lui possa prendersela. In fondo capita a tutti di sbagliarsi, no?» spiegò il ragazzo.
Amelia buttò la cicca per terra e la calpestò.
«La tua idea è fantastica!» strillò entusiasta – il fatto che potesse pensarci da subito anche lei non la sfiorò, era troppo presa dell’isteria mista all’euforia per pensare ad altro.
«Vado subito, spero sia ancora a scuola!» dicendo questo si avvicinò a Daniele per schioccargli un sonoro bacio sulla guancia, prese la propria borsa abbandonata per terra e si diresse di corsa verso l’entrata.
«Se vuoi inizia ad andare senza di me!» urlò in direzione del giovane, ma non controllò se il ragazzo l’avesse effettivamente sentita o meno, era già dentro e si era già precipitata dalla bidella.
«Marina, cara!» tubò allegra.
«Amelia, tesoro!»
Si lasciò strapazzare dalla donna per qualche secondo, rispondendo rapida ai classici “come stai”, “che hai fatto queste vacanze”, “ma come sei bella”…
«Dimmi, Marina, per caso sai se il nuovo professore, quell’Angelis, è ancora a scuola?» chiese con aria innocente.
La donna però assunse subito un sorriso divertito.
«Oddio, Amelia, anche tu sei caduta vittima di quello?» disse, poi all’occhiata confusa della ragazza spiegò «Saranno venute qui altre cinque o sei ragazze a chiedermi di lui.»
Amelia proprio non riuscì a trattenersi da fare un gemito disgustato.
«Oddio, ma sei seria?» sbottò. Si allontanò di qualche passo dalla donna, mettendo le mani in avanti come in difesa «Potrà essere figo quanto vuoi ma è uno stronzo assoluto, col cazzo che mi interesso a un tipo del genere – è anche il mio prof, quindi non c’è pericolo, ma con quel carattere dispotico che ha piuttosto che andare con lui mi faccio suora.» esclamò presa dalla foga.
La bidella però aveva assunto un’aria corrucciata.
«Amelia…»
«Cioè, entra in classe e si crede Dio, ma che vuole? “Non sono vostro amico”» lo scimmiottò «ma chi vuole esserti amica, può anche andarsene a fanculo.» continuò sarcastica.
«Grazie, me lo appunterò nell’agenda.»
Silenzio.
Totale, agghiacciante, imbarazzante silenzio.
«Dimmi che ho avuto un’allucinazione uditiva e non è dietro di me.» piagnucolò Amelia in direzione di Marina che, però, si limitò a fare un sorriso imbarazzato.
«Sarebbe come mentire, lo sa?»
Altra frase detta con distaccata ironia e Amelia fu costretta a girarsi e a ritrovarsi davanti Angelis che la fissava con un sorriso da iena.
Ancora un po’ e si sarebbe sfregato le mani dalla soddisfazione.
«Professore…» bisbigliò per poi deglutire.
«Moretti, giusto?» la ragazza annuì – non che potesse fare altro, d’altronde «Mi fa sempre piacere sapere cosa gli altri pensino di me, lo trovo illuminante.» fece l’uomo con sempre il solito sorriso.
Amelia impallidì.
«Ecco, a proposito di questo, io…»
«Non credo ci sia bisogno che aggiunga altro, non pensa anche lei?» la bloccò il giovane.
Amelia si dovette costringere a non urlargli in faccia: prese un profondo respiro, sorrise cortese e puntò gli occhi scuri verso quelli grigi dell’altro – un grigio che, in quel momento, era di freddo divertimento.
«Salve professore. Volevo chiederle scusa per questa mattina, non sapevo chi fosse quando l’ho incontrata. Devo esserle sembrata poco educata.» disse con tono affettato – assolutamente cortese, ma affettato. E Angelis dovette accorgersene perché sorrise ancora di più.
«E quello di prima che è stato, invece? Un elogio mal riuscito?»
Amelia si morse la lingua.
«Ho espresso solo una mia prima impressione in maniera un po’ troppo focosa, temo.» formulò.
Angelis inarcò un sopracciglio.
«“Prima impressione in maniera un po’ troppo focosa”.» ripeté «Quindi non mi ha dato per la seconda volta dello stronzo, per poi suggerirmi di andare a fanculo, giusto?» commentò.
La mora non poté trattenersi dall’arrossire.
«Era una conversazione privata.» le sfuggì a denti stretti.
Angelis però sorrise ancora di più.
«Oh, peccato che io abbia sentito, allora.» fece soave, poi volse uno sguardo verso la bidella che aveva assistito a tutta la scena in silenzio «Buona giornata, Marina.» le disse come se la conoscesse da tanto e infine lanciò un’occhiata alla ragazza che teneva la testa parzialmente china.
«Buona giornata anche a lei, Moretti. Si assicuri di non insultare un professore quando esso è dietro di lei. Potrebbe essere pericoloso per la sua carriera scolastica.»
E con questa frase che suonava insieme come minaccia e sentenza di morte per la ragazza, il caro e nuovo professor Angelis prese il volo, lasciando la giovane in silenzio nell’atrio della scuola.
Buon inizio anno scolastico, Amelia.
 
 
 
«Così oggi era il tuo primo giorno…»
«Perché non eviti giri di parole inutili e non mi chiedi direttamente cosa vuoi sapere?»
Emanuele a quelle parole scoppiò a ridere ed Alessandro alzò gli occhi al cielo, abituato al comportamento evasivo dell’amico, poi si prese un sorso di birra.
«E se io volessi soltanto sapere com’è andata?» continuò il giovane mentre per un attimo il suo sguardo veniva attirato da una ragazza appena entrata nel locale.
«Penserei ti abbiano rapito per sostituirti con qualcun altro.» rispose schietto il moro «Avanti, dimmi cosa c’è.»
Emanuele ghignò divertito mentre prendeva a sua volta un sorso di birra.
«Ci sono ragazze carine?»
Alessandro gemette disgustato.
«Dio santo, Ema! Cazzo, avranno meno di diciotto anni!» berciò con un brivido.
Il biondo però non sembrava particolarmente toccato dalla frase.
«Non tutte. Ci saranno quelle di quinta, e anche qualcuna di quarta.» obiettò convinto «E poi ho solo chiesto se ci sono belle ragazze.»
«No, sono tutte delle oche a quell’età.» fu la placida risposta.
Emanuele però inarcò un sopracciglio scettico.
«Esagerato. Anche noi eravamo dei cazzoni a quell’epoca, sai?»
«Può darsi.» rispose solo il moro scrollando le spalle in maniera disinteressata – proprio perché, in effetti, non era per niente interessato a quel discorso. Soprattutto considerando che ricordava gli anni liceali come un periodo non troppo piacevole, ecco.
«Ma non ce n’è neanche una che ti ha colpito?» insistette l’amico «Dai, deve essercene almeno una!»
Alessandro gli lanciò un’occhiata.
«“Deve”?» gli fece eco indifferente. La sua mente però fu traditrice perché nella sua testa comparve il viso di una ragazza dai vaporosi ricci neri che lo guardava con aria di sfida.
Il ghignò che ne scaturì valse come mille rispose per Emanuele.
«Ecco!» esclamò l’amico puntandogli l’indice contro «Sapevo ci fosse qualcuna. Avanti, racconta.» lo spronò.
Alessandro cercò di dissimulare il tutto con una smorfia ma non servì a nulla: Emanuele non mollò l’osso – e che osso gli aveva fornito, considerando il suo interesse per le ragazze e per le situazioni pericolose.
«Non è nulla.»
«Non ci credo.»
«Sai quanto mi importa.»
«Sei noioso.»
«Possibile.»
Emanuele lo guardò truce.
«Dimmelo.» ordinò, per poi assumere un sorriso poco rassicurante «O potrei essere molto molesto stasera.»
Fu quella minaccia a costringere Alessandro a parlare – questo perché sapeva per esperienza quanto l’amico potesse essere fastidioso quando ci si metteva. Ed era anche il lato che meno sopportava di lui.
«Niente di che, oggi alla prima ora mi sono scontrato con una ragazza…»
«Banale.» lo interruppe Emanuele.
«Mi vuoi far finire o devi commentare ogni frase?» frecciò infastidito il moro. L’amico sorrise angelico.
«Scusa, continua.» tubò.
«Dicevo. Lei è caduta a terra e mi ha risposto – non credeva fossi un professore, evidentemente, dato che mi ha dato dello stronzo.» commentò con un piccolo ghigno divertito.
La situazione lo divertiva più del lecito, doveva ammettere.
Emanuele colse il suo divertimento.
«Oddio. Ti ha dato dello stronzo. È una pazza suicida.» commentò schietto il biondo.
«Può darsi. Ma glielo avrei anche perdonato dato che non sapeva chi io fossi davvero…»
«Sei serio?» lo interruppe di nuovo Emanuele stupito.
«Non credo.» ammise senza vergogna, poi però sorrise ancora più divertito «Ma non c’è bisogno di pensare ai “se”, dato quello che è successo dopo.»
Emanuele sembrava di fronte alla propria serie tv preferita per come quasi si distese sul tavolo preso dal racconto.
«Che è successo?»
Alessandro si esibì in uno dei suoi peggiori ghigni perfidi e anche l’amico si ritrovò a rabbrividire vedendolo.
«Immagino volesse venire a scusarsi, ma poi si è lanciata in una sequela di insulti nei miei confronti con la bidella – cose tipo “è uno stronzo”, “chi si crede di essere”, “sarà figo ma che vada a fanculo”.» spiegò ridendo bastardo «Peccato che io fossi dietro di lei.»
Emanuele impallidì – si doveva essere immedesimato parecchio nel racconto.
«Oh, cazzo. Poveretta.»
«Direi di sì.» commentò poco interessato il moro, ma poi si fece più corrucciato «Però mi ha risposto.» borbottò con fastidio.
Quella fu la frase che più sconvolse il biondo, dato che quasi saltò sulla sedia.
«Ti ha risposto?» ripeté scioccato.
«Non ha detto niente di ché, solo che non ha chinato la testa come dovrebbe.» frecciò ancora perfido.
«Oh, immagino come vorresti chinasse la testa…»
«Ti prego, Emanuele. È comunque una mia studentessa.» lo riprese Alessandro.
«E allora?» continuò ignorandolo «Almeno è bella?»
A quel punto il moro tacque.
Era bella?
Non sapeva dirlo. Certo era che aveva dei ricci fantastici e gli occhi grandi che sembravano volerlo uccidere avevano un ché di eccitante.
«Niente di ché.» commentò.
Sì, non era nulla di che. Una come lei non gli avrebbe mai fatto effetto.
Ne era sicuro.
  
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