La
stazione di Gan ‘Eden
‘Sto
arrivando.’
Digitò
il messaggio su
quell’oggetto infernale che le avevano regalato i nipoti e
premette ‘invio’.
Giusy,
registrata Giuseppina
all’anagrafe settantotto anni
prima, aveva imparato a usare le nuove tecnologie come i giovani della
nuova
generazione, ma non ne aveva mai abusato. Rimise in borsetta quel
telefono
senza fili e si alzò dal sedile quando scorse dal finestrino
l’arrivo in
stazione del treno.
Prese
il cappotto, il suo
cappotto più bello, e se lo infilò sul vestito
buono, continuando a guardare
fuori: lui la stava aspettando sul binario? Lui ci sarebbe stato, vero?
Era
agitata e forse non andava bene per una donna della sua età.
Continuò
a lanciare
occhiate al vetro mentre radunava il bagaglio e la borsetta. Poche cose
per
quel viaggio: non aveva bisogno di molto, infatti aveva solo una
piccola
valigia.
Si
stava annodando il
foulard al collo quando sulla banchina deserta vide un ragazzo. Giusy
spalancò
gli occhi: lei conosceva quel ragazzo! Lo conosceva, sì, ma
che lui fosse lì
era… impossibile. Non poteva essere. Non poteva essere
così. No. No. Iniziò ad
agitarsi. Non andava per niente bene.
Il
controllore iniziò a
passare lungo il corridoio dichiarando l’ultima fermata del
treno e Giusy
dovette per forza uscire dallo scompartimento.
“Stazione
di Gan ‘Eden! Stazione di
Gan ‘Eden!”
L’uomo si fermò sulla porta
del suo scompartimento e guardò il suo bagaglio.
“Ha bisogno di una mano,
signora?” le chiese.
“La
ringrazio, ma dovrei
farcela” rispose la donna anziana, sorridendo. Lui
annuì. “Mi sa dire che ore
sono, per cortesia?” chiese lei, notando che il suo orologio
da polso non
indicava più l’orario.
“Qui
il tempo non conta.
Non c’è stato, non ci sarà”
rispose e continuò a camminare lungo il corridoio,
richiamando gli altri passeggeri. Lei non fece in tempo a chiedere
nient’altro.
Giusy
si incamminò verso
la porta di uscita del vagone e si mise in fila dietro alle altre
persone che
dovevano scendere. Sebbene non fosse affollato, il treno trasportava un
bel po’
di gente. Ma immaginò che fosse normale.
Il
vagone si fermò e le
persone iniziarono a scendere alla spicciolata, senza fretta e con
calma: era
l’ultima fermata e il treno non sarebbe ripartito. Era buffo
vedere tutte
quelle persone accalcarsi al finestrino per guardare giù,
probabilmente tutti
si aspettavano di vedere qualcuno. Chissà chi avrebbe
aspettato quella bella
donna mora davanti a lei. Forse un genitore? Un marito? Un fratello? O
l’amica
del cuore?
Giusy
scese per ultima facendo
attenzione ai gradini. Appoggiò un piede sul predellino e
fece per muovere
anche l’altro, tirando a sé la piccola valigia, ma
inciampò e cadde sulla
banchina.
Il
ragazzo che aveva visto
dal finestrino accorse subito in suo aiuto. “Signora, si
è fatta male? Venga,
faccia piano. Piano… Ecco, così” disse,
mentre l’aiutava a rialzarsi e a
spostarsi dalle rotaie. “Oh, che peccato, il suo bel cappotto
si è rovinato…
Proprio un peccato…”
Giusy
sorrise del fatto di
non essersi fatta male e che il ragazzo non l’avesse
riconosciuta. Lui non era
lì per lei. Voltò il viso per vedere i danni
subiti dal cappotto, ma dovette
sforzarsi di più e girò quasi su se stessa per
guardarsi la schiena. “Oh!”
esclamò il ragazzo.
“Che
succede?”
“Il
suo cappotto si è
strappato. Si è strappato in modo strano… Lei
sembra… sembra un angelo,
signora. Il suo cappotto ha le ali” disse ancora lui,
arrossendo imbarazzato
per le sue parole.
Giusy
rise, perché quel
ragazzo lei lo conosceva e lo conosceva benissimo. Era la persona
più gentile
del mondo ed era sicura che non si sarebbe mai rivolto maleducatamente
a
qualcuno, così cercò di tranquillizzarlo,
assicurandogli che non si era offesa.
“Vuol
dire che oggi sono
diventata un angelo, allora!” Si guardò intorno,
ma Adriano non c’era. Non era
venuto a prenderla.
Guardò
di nuovo il
ragazzo: possibile che fosse lei a doverlo aiutare e non il contrario?
Poteva
essere. Si voltò verso di lui e gli chiese: “Lei
aspettava qualcuno? Ero
l’ultima della carrozza”.
“Non
lo so, signora” disse
lui, sempre con imbarazzo. “Sono arrivato con il treno, ma
devo aver preso il
mezzo sbagliato, perché non dovevo scendere qui, in questo
posto strano. Volevo
andare a trovare una ragazza!” Il suo sguardo si fece
luminoso e Giusy provò
una fitta al cuore per la sua giovinezza e la vita che avrebbe vissuto.
“Va
dalla sua fidanzata?”
chiese, capendo quello che doveva fare.
“Oh,
no, signora. Lei… non
è la mia fidanzata. Magari lo fosse: è la
più bella ragazza che io abbia mai
visto e quando le parlo mi sembra che il resto del mondo non esista
più.”
“Dovrebbe
proprio chiederle
di diventare la sua fidanzata, allora.”
“Oh,
no. Non posso
chiederglielo: io non ho niente da offrirle...” disse il
ragazzo sconsolato.
“Sono
sicura di sì. Un
cuore pieno di amore è tantissimo da offrire. Deve prendere
quel treno lì,
guardi, quello che sta arrivando, deve scendere alla fermata che
conosce,
andare da lei e chiederle di diventare la sua fidanzata!
Vedrà come sarà
felice!” concluse emozionata.
Sarete
felici.
Il
ragazzo le sorrise e
Giusy insistette: “Mi raccomando, glielo dica
davvero”. Lui annuì
e Giusy capì che era arrivato il momento di
andare: non doveva aspettare lì sul binario, probabilmente.
Si
incamminò lungo la
banchina e scese le scale del sottopasso. Stranamente non si sentiva
più così
pesante e irrigidita come era successo negli ultimi tempi. Anzi, si
sentiva
agitata e piena di speranza: Adriano sarebbe venuto a prenderla!
Scelse
le scale mobili per
risalire al livello del suolo, era comunque una signora di settantotto
anni!
Quando vide Adriano andarle incontro, sorrise e alzò la mano
per richiamare la
sua attenzione.
L’uomo,
vestito elegante
come era stato al loro matrimonio, bello come un angelo, le sorrise. Il
cuore
di Giusy si riempì di amore e lei non riuscì
più a trattenersi, cercando di
affrettare le cose accelerando il passo sul pavimento di marmo.
“Giusy,
cara!” la salutò
lui abbracciandola.
“Adriano!
Non sai quanto
sono felice di vederti…” I suoi occhi erano ormai
lucidi di gioia e qualche
lacrima le scivolò sulle guance.
“Tesoro…”
iniziò lui,
accarezzandole il viso. Giusy notò che anche lui era
commosso. “Dovevi rimanere
di più. Non c’era fretta”.
“Mi
mancavi. Là da sola
non era la stessa cosa. E poi sono passati sei anni!”
“Sei?”
chiese lui,
sorpreso, prendendole la piccola valigia. “Qui il tempo
è strano non passa come…”
“Eh
sì, me lo hanno detto,
ma me ne sono accorta da sola.”
“Che
intendi?”
“Ti
ricordi quando in
guerra ti hanno sparato e sei stato incosciente per tantissimo tempo?
Hai detto
che tutti pensavano che fossi morto…” Ricordare
quell’episodio la fece
commuovere ancora.
“Sì,
quando mi sono
svegliato ho capito che non potevo più aspettare, sono
tornato da te e ti ho
chiesto di sposarmi” rispose lui, attento.
“Esatto.
Ti aveva convinto
un angelo, a farlo, ricordi?” Adriano annuì,
prestando sempre più attenzione.
“Beh, penso di essere stata io. Ti ho appena incontrato sul
binario quattro,
hai detto che sembravo un angelo e io mi sono ricordata di quello che
mi avevi
raccontato. Ti ho detto di prendere il treno e di tornare da me.
È quello che stai
per fare”.
Tutti
e due si girarono
verso la banchina del binario quattro e videro un ragazzo,
l’unico passeggero
in attesa per prendere il treno, salire i gradini e sparire nel vagone.
Giusy prese a braccetto il marito e si accoccolò sul suo braccio. “Avremo una bella vita”.