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Autore: Parmandil    08/05/2020    1 recensioni
Abolita la Prima Direttiva per ragioni umanitarie, l’Unione Galattica è sprofondata nel caos. Le civiltà precurvatura abusano delle tecnologie loro donate e un terzo dei sistemi federali è pronto alla secessione, concretando il rischio di una guerra civile.
Dopo un violento attacco alieno, la Keter si reca nel Quadrante Delta, ripercorrendo la rotta della Voyager in cerca di riposte. Qui troverà vecchie conoscenze, come i Krenim e i Vidiiani, che si apprestano a colpire un nemico comune, incautamente risvegliato dalla Voyager secoli prima. I nostri eroi dovranno scegliere con chi schierarsi, in una battaglia che deciderà le sorti del Quadrante. Ma la sfida più ardua tocca a Ladya Mol, già tentata di lasciare la Flotta per riunirsi al suo popolo. Dopo una tragica rivelazione, la dottoressa dovrà lottare contro un morbo spaventoso; la sua dedizione potrebbe richiederle l’estremo sacrificio.
Nel frattempo i Voth, un’antica specie di sauri tecnologicamente evoluti, sono giunti sulla Terra per stabilire una volta per tutte se questo sia il loro mondo d’origine. Sperando d’ingraziarseli, le autorità federali li accolgono in amicizia, senza riflettere sulle conseguenze del ritorno dei “primi, veri terrestri” sul pianeta Terra.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Borg, Dottore, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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-Capitolo 10: L’occhio del serpente

 

   Dopo le lunghe trattative, i rinvii e gli aggiustamenti dell’ultimo minuto, il gran giorno era arrivato. Tre flotte si erano radunate in tre punti diversi del Quadrante Delta, separate da migliaia di anni luce, ma unite dal comune obiettivo. Nei pressi dell’antica Vaadwaur stazionava la flotta Devore, fatta di navi massicce e scure, pesantemente armate. L’Inquisitore Marroc la guidava personalmente dalla sua nave ammiraglia. Vi era poi la flotta Krenim, con le navi giallo-grigie armate di siluri cronotonici. Tra di esse spiccava, per la mole e la forma unica, l’Annorax dell’Ammiraglio Hortis. Meno numerose, ma comunque pronte alla battaglia, erano le navi giallo-verdastre della Gerarchia. Munite di occultamento e contraddistinte dalle sinuose forme organiche, erano dirette dal Supervisore Ghak. Separata da tutte le flotte, ma egualmente pronta a entrare in azione, c’era infine la Keter.

   Sulla plancia dell’Annorax si respirava un’aria di tesa concentrazione. Hortis supervisionava gli ultimi preparativi con l’accortezza di un direttore d’orchestra, accertandosi che tutti avessero una parola d’incoraggiamento. Vedendo sopraggiungere un volto familiare, lasciò la consolle tattica accanto alla sua poltroncina e gli venne incontro. «Benvenuto, Capitano Jarros. Sono lieto che la commissione d’inchiesta l’abbia prosciolta» lo accolse.

   Dopo che la sua astronave era stata distrutta dai Vaadwaur, Jarros aveva dovuto dimostrare in tribunale di aver fatto tutto il possibile per salvarla. La testimonianza dei federali era stata fondamentale per scagionarlo. Anche così, il Capitano non pensava che sarebbe tornato tanto presto nello spazio e di certo non con lo stesso grado.

   Giunto davanti all’Ammiraglio, Jarros fece il saluto militare. «Grazie a lei per avermi convocato, signore» disse, un po’ emozionato. «Accetterò volentieri una retrocessione, pur di contribuire alla battaglia».

   «Uhm... sfortunatamente per lei, nella flotta non ci sono posti liberi come Comandante e nemmeno come Tenente Comandante» rispose Hortis con gravità.

   Jarros chinò il capo, presagendo un tale arretramento di carriera che gli sarebbero serviti molti anni per compensarlo. «Capisco, signore...» mormorò.

   «Di conseguenza mi vedo costretto, mio malgrado, ad affidarle il comando di una nave stellare» proseguì inaspettatamente l’Ammiraglio. «Capitano Jarros, le assegno la Fulminatrix. Veda di riportarla senza un graffio» ironizzò.

   Jarros rialzò la testa di scatto, incredulo. La Fulminatrix era una delle navi più moderne e potenti della flotta Krenim. Osservando lo schermo principale, la vide transitare in quel momento. Di color giallo oro, la Fulminatrix aveva forma affusolata, con un doppio apparato motori posteriore, simile a due U incrociate che puntavano in avanti.

   «Sì, signore... non la deluderò» farfugliò Jarros, stordito dalla sua fortuna. I due Krenim si strinsero la mano. Jarros notò che la stretta di Hortis era forte e prolungata, come se si trattasse di un congedo definitivo. «Si sbrighi a raggiungere la sua nave» disse poi l’Ammiraglio. «Fra poco andremo in battaglia».

 

   All’ora prefissata, le sonde-spia introdotte dalla Gerarchia nella Rete Subspaziale entrarono in azione. Colpirono le pareti dei tunnel spaziali con impulsi gravitonici che, pur non avendo la potenza necessaria a farli collassare, li resero più permeabili. Nello stesso momento le tre flotte dell’Alleanza entrarono a curvatura. Sovrapponendosi al tracciato dei tunnel spaziali e lanciando a loro volta impulsi dal deflettore, indebolirono a tal punto le pareti dei wormhole da scivolarci dentro.

   Fu un grosso stress per le astronavi, tanto che alcune riportarono danni. Una volta dentro, bisognava agire in fretta. Ciascuna flotta si diresse verso lo Snodo assegnatole, inviando però qualche nave a presidiare l’uscita più vicina al proprio spazio. Le flotte Devore e Krenim avanzarono impetuosamente, con gli scudi alzati e le armi pronte a colpire. Invece le navi della Gerarchia, dovendo attraversare un ampio tratto della Rete, procedettero occultate. In un paio d’occasioni fecero persino dei giri più lunghi del necessario, nel caso i Vaadwaur avessero approntato degli ostacoli lungo il tragitto. Ma per parecchi minuti nessuna delle tre flotte incontrò opposizione. Si addentrarono sempre più nella Rete, così simile a un formicaio, con la sua serie di condotti, biforcazioni e slarghi.

   Sull’Annorax, Hortis osservava il tunnel arancione con aria cupa. Lungi dal confortarlo, l’assenza del nemico lo inquietava.

   «Siamo a metà tragitto e non c’è segno dei Vaadwaur» notò l’addetto ai sensori.

   «Forse hanno capito che non possono difendere la Rete e l’hanno abbandonata» suggerì il Primo Ufficiale. I calcoli fatti prima della battaglia lo indicavano come uno scenario possibile, anzi gli davano una probabilità del 31%.

   «No, non credo» disse Hortis, sempre più accigliato. «Suddayath non è tipo da arrendersi senza combattere. State pronti; ci attaccheranno da un momento all’altro».

 

   Nello stesso attimo la Keter s’introdusse nel wormhole che aveva localizzato poco lontano da Vidiia. Se i Vaadwaur lo avessero spostato, sarebbe entrata allo stesso modo dell’Alleanza; ma i padroni di casa sembravano stranamente impreparati. Non avevano minato l’ingresso e nemmeno posto navi di guardia.

   «Eppure sanno del nostro attacco» rimuginò il Capitano Hod, osservando il condotto arancione con la stessa aria accigliata di Hortis. «Mantenere la rotta; teniamoci pronti a un’imboscata».

   «Sono pronto, eccome» pensò Norrin, le mani già sui comandi delle armi. Da quando era stato costretto a lasciare Ladya in preda alla Phagia, nell’orribile mondo dei Vaadwaur, si era rassegnato all’idea di averla persa per sempre. Considerando i giorni trascorsi, ormai la Vidiiana doveva essere prossima alla morte, se non era già morta. Non avendo potuto salvarla, l’Hirogeno intendeva almeno farla pagare cara ai Vaadwaur.

   «Quattro incursori sono sbucati dietro di noi» avvertì Zafreen.

   «Fuoco appena saranno nel raggio delle armi» ordinò il Capitano. Alle sue spalle, non visto, Norrin si passò il dito sulla fronte, nell’antico gesto del Cacciatore pronto alla battaglia. Aveva rispettato la volontà di Ladya, lasciandola con i suoi pazienti; ma non avrebbe avuto pietà dei suoi aguzzini.

 

   «Navi Vaadwaur dietro di noi» rilevò l’addetto ai sensori dell’Annorax. «Diciotto incursori Pythus e quattro fregate Manasa».

   «Briciole» commentò l’Ammiraglio. «Hortis a flotta. Rispondete al fuoco se potete, ma non rallentate, né uscite dalla formazione. Quelle navi sono lì solo per stuzzicarci. Hortis, chiudo».

   Non era del tutto vero, si disse il Krenim intrecciando le dita. Se avessero voluto stuzzicarli per bene, i Vaadwaur si sarebbero fatti trovare davanti a loro e poi avrebbero deviato in altri tunnel, cercando di farsi seguire. Il fatto che li attaccassero alle spalle, invece, rivelava la volontà di spingerli più a fondo nella Rete, per poi impedirgli di fuggire. Una trappola, dunque. Ma se le leggi fisiche non erano cambiate, un massiccio impulso gravitonico avrebbe fatto collassare lo Snodo 2. E se gli alleati facevano lo stesso con i loro snodi, la Rete sarebbe collassata.

   «Altri dodici incursori e due fregate dietro di noi» avvertì l’addetto ai sensori. «Ci sono anche quattro vascelli strappati ai Turei».

   «Ora si che sì ragiona» ironizzò Hortis, mentre la nave sobbalzava per i colpi ricevuti a poppa. «Energia agli scudi posteriori, ma state pronti a reindirizzarla a prua. Avanti verso lo Snodo».

 

   Situazione analoga avevano incontrato, nello stesso momento, i Devore. Dapprima navi di piccola taglia li attaccarono alle retrovie. Col passare del tempo l’attacco divenne più gravoso, il che li spinse in avanti, nella speranza di raggiungere lo Snodo il prima possibile. Ma quando erano quasi arrivati, il condotto deviò bruscamente davanti a loro, portandoli a tutt’altra zona della Rete. Qui trovarono navi Vaadwaur di maggior stazza, con cui dovettero ingaggiare battaglia.

   «Vogliono logorarci» comprese l’Inquisitore Marroc. «Tenerci lontani dallo Snodo. Frammentarci, se possibile. Beh, ci hanno sottovalutati. Inquisitore a flotta, non lasciate la formazione per nessun motivo. Se vi allontanate in qualche tunnel e restate isolati, siete morti. State in formazione e colpite solo i nemici che si trovano nel raggio delle armi. È un ordine!».

   «I nostri alleati saranno altrettanto disciplinati?» si chiese un ufficiale.

   «Sarà meglio» mugugnò l’Inquisitore. «Ricalcolate la nostra posizione e tracciate una nuova rotta per lo Snodo 1» ordinò. La speranza di un attacco lampo era già sfumata: ora li aspettava un logorante gioco di nascondino, punteggiato di scontri.

 

   La Keter sfrecciava da un condotto all’altro della Rete, così veloce da seminare le navi che la inseguivano. Solo gli incursori erano abbastanza rapidi da starle dietro. Il loro fuoco serrato indebolì gli scudi di poppa. Norrin rispose con i siluri e i raggi anti-polaronici, riuscendo a distruggere due incursori e a danneggiare gli altri, che dovettero rallentare. Il loro posto fu presto da un vascello strappato ai Turei. Sotto i duri colpi la Keter sbandò e sfiorò la parete del wormhole.

   «Ci tenga in carreggiata, Vrel» raccomandò il Capitano Hod.

   «Ci provo, ma quelli picchiano duro» rispose il timoniere, raddrizzando la nave a fatica.

   Norrin rovesciò un’intera salva di siluri quantici sul muso della nave avversaria, senza risultato. «Non riesco a penetrare i loro scudi. Devono aver deviato tutta l’energia a prua» commentò. «Suggerisco la manovra theta 1».

   Il Capitano ebbe un attimo d’esitazione, perché sapeva che quella manovra, oltre ad essere pericolosa, poteva distruggere la nave avversaria. Non era quello il loro scopo. Entrando nella Rete, dovevano respingere i nemici finché non fossero riusciti a farla collassare. Ma se accumulavano troppi danni, la missione sarebbe fallita. «Proceda» disse Hod a malincuore.

   Vrel portò la Keter vicina al bordo del tunnel, come prima, e diminuì bruscamente la velocità. La nave avversaria non fu altrettanto rapida a frenare e così la oltrepassò, passandole vicinissima. In quell’attimo, prima che potesse deviare l’energia agli scudi posteriori, Norrin aprì il fuoco. Stavolta i siluri quantici penetrarono le difese, squarciando lo scafo nerastro. La nave nemica sbandò, con la poppa in fiamme, e colpì la parete del wormhole con tale violenza da esplodere. La Keter passò attraverso la fiammata, proseguendo la sua corsa.

 

   La flotta Krenim si faceva strada nella Rete, affrontando i Vaadwaur in un serrato gioco di strategia. Ogni volta che gli attaccanti si avvicinavano allo Snodo 2, i difensori riconfiguravano la Rete per tagliarli fuori. Questo costringeva i Krenim a fermarsi ogni volta per stabilire la loro posizione ed elaborare una nuova rotta. Quando ciò accadeva, i Vaadwaur attaccavano, pressando gli avversari in tunnel così stretti che le navi rischiavano di entrare in collisione. Dopo di che i padroni di casa si ritiravano, senza dare ai Krenim il tempo di contrattaccare e quindi invogliandoli all’inseguimento. Ogni volta Hortis raccomandò alle sue navi di restare in formazione, perché se la flotta si fosse disgregata i Vaadwaur avrebbero intrappolato e distrutto ogni gruppo.

   «Signore, siamo vicini allo Snodo 3» notò il Primo Ufficiale. «I sensori indicano che la Keter e la Gerarchia non l’hanno ancora raggiunto. Potremmo occuparcene noi» suggerì.

   «No! Per nessuna ragione dobbiamo deviare dal piano» si oppose l’Ammiraglio. «Se perdiamo tempo con lo Snodo 3, rischiamo di consumare le forze al punto da non poterci occupare del 2».

   «Stiamo già consumando le forze» notò l’ufficiale tattico, mentre la nave tremava sotto l’ennesima incursione Vaadwaur. «Tanto vale occuparci di quello Snodo, visto che gli alleati non lo fanno».

   «Lo faranno appena possibile» sostenne Hortis. «Ricordi che stanno affrontando le nostre stesse difficoltà».

   «Ha molta fiducia nella Gerarchia» notò il Primo Ufficiale, lanciandogli un’occhiata dubbiosa.

   «Della Gerarchia mi fido moderatamente» ribatté l’Ammiraglio. «È nella Keter che ho piena fiducia».

   Respinto l’attacco, la flotta Krenim si accinse a ripartire. Hortis pose la sua nave in testa e fece caricare il disgregatore subatomico, perché ora gli avversari attaccavano anche dal davanti. L’Annorax distrusse fregate e incrociatori Vaadwaur, aprendo la strada al resto della flotta. Trovandosi in posizione così esposta, però, subiva anche il grosso del fuoco nemico. Gli scudi s’indebolirono e alcuni colpi danneggiarono lo scafo. Vedendola in difficoltà, il Capitano Jarros le affiancò la Fulminatrix, cercando di attirare parte del fuoco nemico. I Vaadwaur però ignorarono l’altra nave e continuarono a bersagliare l’Annorax.

   «Ce l’hanno proprio con noi» constatò Hortis, con un occhio alla mappa della Rete e l’altro ai sistemi di bordo. «Energia d’emergenza agli scudi anteriori. Continuate a far fuoco col disgregatore».

   Vedendo una fregata Manasa che veniva dissolta dal disgregatore e un’altra che ne prendeva immediatamente il posto, l’Ammiraglio sentì una stretta allo stomaco. I Vaadwaur combattevano con totale sprezzo delle perdite, come chi sa di avere la superiorità numerica, malgrado l’epidemia che li aveva decimati. Questo suggeriva che l’entità delle loro forze fosse stata gravemente sottovalutata. «E se li ho sottostimati, tutte le mie previsioni sono sbagliate» pensò Hortis, osservando con rimpianto gli intricati calcoli con cui aveva determinato l’esito della battaglia. «Tutto da buttare» si disse, rimuovendo la schermata dalla consolle con gesto rassegnato. Ormai non gli restava che andare a naso.

 

   Al quinto tentativo, la flotta Devore raggiunse lo Snodo 1. Più che uno slargo era una bolla, larga parecchie centinaia di chilometri e nella quale confluivano oltre venti tunnel spaziali. Subito la flotta si aprì a ventaglio, preparandosi a lanciare l’impulso gravitonico. In quella però una moltitudine di navi Vaadwaur – quasi tutte strappate ad altre specie – uscì dai tunnel spaziali. Si avventarono contro gli incrociatori Devore, sparando a tutto spiano. I Devore risposero con un fuoco serrato, che ne distrusse alcune e ne danneggiò molte altre.

   Le navi danneggiate non cercarono minimamente di sfuggire al fuoco. Guidate dal pilota automatico, tirarono dritte come arieti, impattando contro gli incrociatori Devore. Dopo i ripetuti scontri, questi avevano gli scudi indeboliti; non potevano resistere a esplosioni di quella potenza. Molti incrociatori furono dilaniati. I loro detriti riempirono lo Snodo e s’incanalarono nei condotti circostanti, rendendone pericolosa la navigazione.

   Messi alle strette, i Devore si raggrupparono per proteggere le navi al centro. Queste diressero gli impulsi gravitonici contro le pareti dello snodo, come da programma. Ma alcune navi Vaadwaur si frapposero, intercettando i raggi. Altre emisero impulsi di polarità opposta, per rinsaldare lo snodo: una mossa che nessuno aveva previsto.

   Al centro della flotta Devore, la nave ammiraglia dell’Inquisitore era ancora intatta, ma la gravità della situazione era sotto gli occhi di tutti. «Qui si mette male» commentò l’ufficiale tattico, leggendo i rapporti della flotta. «Dobbiamo andarcene, prima di perdere troppe navi».

   «Se ce ne andiamo, sarà stato tutto inutile» rispose Marroc, fissando le navi Vaadwaur con sguardo omicida. «Basta che rimanga uno dei tre snodi, perché l’impalcatura della Rete si conservi. No, finché i nostri alleati resteranno al loro posto noi faremo altrettanto. Distruggeremo questo dannato snodo a ogni costo. Massima energia al raggio gravitonico; continuiamo a fare fuoco».

 

   Uscita finalmente nello Snodo 3, la Keter si trovò al centro di una gragnola. Navi Vaadwaur di tutti i tipi sbucavano dai condotti, sparando all’impazzata. «Qui non resistiamo a lungo, senza aiuto» commentò Radek, consultando i dati tattici sul suo oloschermo; gli scudi erano ridotti a meno della metà.

   In quella tuttavia le navi Vaadwaur cessarono l’attacco e si ritirarono presso le imboccature dei tunnel. Il Capitano Hod si tese in avanti sulla poltroncina, intuendo che stava per arrivare qualcos’altro.

   E il qualcos’altro giunse. Era un vascello gigantesco, progettato per fare a pezzi qualunque cosa incontrasse. Lo scafo bruno, venato di viola, era ricoperto da una quantità impressionante d’armi. La parte anteriore era vagamente squadrata, con robusti listelli che la ispessivano ai lati. La sezione di poppa era più sottile, ma tornava a ispessirsi nella parte finale, da cui si protendevano quattro gondole di curvatura squadrate.

   «Il Ravager» riconobbe Norrin, che lo conosceva indirettamente, dai rapporti dell’Alleanza. La nave ammiraglia Vaadwaur circolava da un decennio e da allora era stata avvistata in tutta la Galassia. Pochi però erano sopravvissuti agli incontri, tanto che non c’era pieno accordo sul suo aspetto e le sue dimensioni. Alcuni sostenevano che non esistesse nemmeno, che fosse un trucco dei Vaadwaur, i quali proiettavano false immagini sui sensori per terrorizzare gli avversari. Infatti come avrebbe potuto una specie tutto sommato limitata, per numeri e risorse, costruire un vascello degno di una superpotenza galattica? Eppure il Ravager era lì, in tutta la sua terrificante mole, a testimoniare l’ingegnosità e la determinazione dei suoi costruttori.

   «Ci sta chiamando» disse Zafreen.

   «Apra un canale» ordinò il Capitano Hod, alzandosi.

   Sullo schermo apparve, inquadrata per una certa ampiezza, la plancia del Ravager. C’erano molti ufficiali Vaadwaur dalle uniformi brune. Uno di loro sovrastava nettamente gli altri per statura. Aveva una benda nera sull’occhio sinistro, che metteva in risalto quello superstite, di un giallo sulfureo. Vistose cicatrici gli segnavano la membrana di pelle che contornava il collo. «Capitano Hod, finalmente c’incontriamo» esordì. «Sono il Generale Suddayath, della Supremazia Vaadwaur. Vi ordino di cessare quest’inutile attacco e abbandonare il nostro subspazio, o sarete distrutti».

   «Quello che lei chiama “attacco” è la risposta alle vostre continue, spietate aggressioni» rispose prontamente Hod. «Mesi fa ci avete assaliti presso Akaali e ora siete in procinto di distruggere Vidiia Primo. Non ve lo permetteremo».

   «I Vidiiani hanno cercato di sterminarci per primi, con un virus!» obiettò Suddayath. «Ora hanno la punizione che meritano. Ma la nostra contesa non vi riguarda, federali. Tornate da dove siete venuti e non osate mai più sfidarci, o la stessa ritorsione colpirà i vostri mondi».

   «Come potremmo tornare a casa, sapendo che siete pronti a distruggere interi pianeti?» ribatté l’Elaysiana. «Furono dei federali come noi a svegliarvi dall’ibernazione e ad aiutarvi a ricominciare. In cambio, voi cercaste di rubargli l’astronave. E ora minacciate i nostri mondi?! No, Generale: non vi lasceremo mai questa Rete, visto il pessimo uso che ne fate» dichiarò. «E non vi permetteremo neanche di sterminare i Vidiiani, per quanto la loro azione sia stata esecrabile. So che di recente avete sconfitto la Phagia; credo che per questo dobbiate ringraziare proprio una Vidiiana, la dottoressa Mol. Se aveste chiesto il suo aiuto, ve lo avrebbe dato spontaneamente; invece l’avete rapita. E ora che vi ha guariti, cercate ancora di distruggere il suo mondo. Siete sempre i soliti ingrati e traditori».

   Suddayath la scrutò con l’unico occhio, prima di rispondere. «Vedo che la dottoressa vi sta molto a cuore. Se cessate l’attacco, ve la restituiremo» propose.

   Il Capitano Hod sostenne lo sguardo sulfureo. Prima della battaglia aveva parlato con Norrin, preparandolo all’eventualità del ricatto e alla risposta che lei avrebbe dato. «Non posso interrompere l’attacco, perché verrei meno al patto con l’Alleanza» spiegò. «Del resto, non mi fido della vostra parola: troppe volte avete tradito gli accordi. Ma se a battaglia conclusa ci consegnerete la dottoressa, potrei mediare un accordo di pace tra voi e l’Alleanza, così che la guerra non travolga anche le vostre colonie».

   «Ridicolo!» sibilò il Generale. «Non cederò niente in cambio di una vaga promessa. Comunque ve lo avevo proposto solo per la curiosità di sentire le vostre scuse, perché la dottoressa è morta, consumata dalla Phagia».

   Quelle parole furono una pugnalata per Norrin. Si era preparato all’eventualità, ma sentirselo confermare recise l’ultimo filo di speranza. Forse era meglio così, si disse, piuttosto che saperla viva e non poterla salvare.

   Le astronavi Vaadwaur si chiusero sulla Keter, pronte a distruggerla con il loro fuoco concentrato. Ma in quella la flotta della Gerarchia uscì da un condotto, rendendosi visibile, e aprì il fuoco. Nello snodo subspaziale divampò la battaglia. Colpite sulla fiancata, le navi Vaadwaur manovrarono per fronteggiare gli assalitori. Gli incursori Pythus si volsero in fretta, ma i vascelli più grandi ebbero qualche difficoltà a manovrare in quello spazio ristretto. I vascelli della Gerarchia, più piccoli e agili, sgusciarono fra loro provocando ingenti danni.

   «Avete voluto la guerra; ne avrete più di quella che potete sopportare» avvertì Hod, scrutando cupamente il Generale. Segnalò di chiudere il canale e tornò a sedersi. «Coordiniamoci con la Gerarchia» ordinò. «Loro impegneranno i Vaadwaur, mentre noi faremo collassare lo Snodo. Plancia a sala macchine, lanciare l’impulso».

   Gli ingegneri erano pronti. In pochi secondi il deflettore s’illuminò e il potente impulso gravitonico colpì la parete dello Snodo, che iniziò a contrarsi. Ma il Ravager si frappose: intercettò il raggio e nello stesso tempo bersagliò la Keter. Lo Snodo si stabilizzò, mentre la nave federale tremava per la violenza dell’attacco. Osservando l’ammiraglia Vaadwaur, Hod comprese che le navi della Gerarchia non sarebbero mai riuscite a sconfiggerla.

   «Okay, cambio di programma» disse il Capitano. «Prima occupiamoci del Ravager, poi facciamo collassare lo Snodo».

   «Non chiedo di meglio» ringhiò Norrin, rovesciando sulla nave avversaria tutta la potenza di fuoco della Keter. Le altre astronavi arretrarono, per consentire ai due titani di affrontarsi al centro dello Snodo. Il Ravager e la Keter girarono in circolo, colpendosi selvaggiamente e ignorando ogni altra nave nella loro foga. Tutt’intorno, come promanando da loro, la battaglia dilagava.

 

   Raggiunto faticosamente lo Snodo 2, la flotta Krenim doveva affrontare gli stessi problemi delle altre. I Vaadwaur attaccavano con forze molto superiori al previsto, ricorrendo persino a tattiche kamikaze. La loro aggressività però non era diretta in modo uniforme, ma si concentrava sull’Annorax. Le altre navi Krenim cercarono di proteggerla, ma gli incursori s’infilarono tra di esse, martellando l’ammiraglia.

   In plancia, Hortis era sempre più preoccupato. La sua nave aveva distrutto molti vascelli dei Vaadwaur, ma questi continuavano ad attaccare, incuranti delle perdite; dovevano aver ricevuto ordini tassativi. Mentre la sua nave tremava, l’Ammiraglio lesse la crescente lista dei danni. C’erano falle sullo scafo e tra l’equipaggio si contavano le prime vittime. «Hortis a flotta, restate concentrati sull’obiettivo. Dobbiamo far collassare questo snodo» ribadì.

   «È inutile, i Vaadwaur lo rinforzano con raggi opposti ai nostri!» esclamò il Primo Ufficiale. «Questa non è una battaglia, ma una carneficina. Dobbiamo andarcene, finché possiamo!».

   «Abbiamo degli alleati che in questo momento affrontano le stesse difficoltà» obiettò Hortis. «Non li abbandoneremo».

   «E se fossero loro a fuggire?».

   «Per il momento restano al loro posto» disse l’Ammiraglio, scorrendo i rapporti delle altre due flotte. «Finché loro resistono, non saremo da meno».

   In quella però i Vaadwaur sferrarono un assalto ancor più feroce dei precedenti. Cominciò con un’ondata di navicelle kamikaze, che distrussero o disabilitarono molti vascelli Krenim, e proseguì con la carica degli incrociatori Astika. Uno di essi si fece strada fra le navi Krenim, puntando decisamente contro l’Annorax. Fu colpito sulla fiancata dalla Fulminatrix, riportando gravi danni, ma tirò ugualmente dritto. Hortis e i suoi ufficiali se lo videro venire addosso, avvolto dalle fiamme.

   «Tutto a babordo!» ordinò l’Ammiraglio, pur intuendo che la collisione era inevitabile. Le navi Krenim erano troppo pressate; l’Annorax non aveva libertà di manovra. La grande astronave virò di lato, mentre gli altri vascelli si scostavano. Troppo lentamente. L’incrociatore Vaadwaur colpì il complesso apparato del disgregatore subatomico. Urtò due segmenti, spezzandoli, e infranse l’anello di raccordo che li univa tutti e sei. L’impatto fu così violento che la nave Vaadwaur si disintegrò da prua a poppa. L’esplosione investì in pieno l’Annorax, distruggendo del tutto l’impalcatura del disgregatore. Il resto della nave fu scagliato indietro, alla deriva.

   In plancia ci furono esplosioni: alcune consolle si schiantarono e i Krenim furono scaraventati di lato. All’ultimo istante Hortis attivò le cinture di sicurezza della sua poltrona, che lo avvolsero, evitandogli una caduta fatale. Appena la nave si stabilizzò, l’Ammiraglio sganciò le cinture e si tirò in piedi. I suoi ufficiali, caduti a terra, furono più lenti a rialzarsi. Il Primo Ufficiale aveva battuto la testa contro la paratia che separava due consolle e non dava segni di vita. Hortis si chinò su di lui e lo esaminò con attenzione, cercando traccia di respiro o battito cardiaco. Non trovò né l’uno né l’altro. Si rialzò stancamente, sostenendosi a una consolle. «Rapporto danni» richiese, consapevole della situazione drammatica. Gli ufficiali risposero uno dopo l’altro, evidenziando i danni alle loro sezioni.

   «Il disgregatore anteriore è distrutto. Le armi secondarie non hanno energia».

   «Abbiamo perso gli scudi».

   «I motori a impulso non rispondono, siamo alla deriva».

   «Falle sui ponti da 4 a 11, perdiamo atmosfera. Ci sono almeno venti morti e decine di feriti, molti gravi».

   Frastornati dalla gravità della situazione, gli ufficiali fissarono Hortis, nella speranza che il leggendario Ammiraglio li traesse anche stavolta dal baratro.

   Per qualche secondo Hortis fissò lo schermo, ancora attivo. I Vaadwaur combattevano con la solita ferocia, ma avevano smesso di colpire l’Annorax, proprio ora che era priva di scudi. Alcuni incursori fecero dei rapidi passaggi, senza tuttavia aprire il fuoco.

   «Siamo indifesi, perché non sparano?» si chiese l’ufficiale tattico.

   L’Ammiraglio ne intuì il motivo. «Se i sensori interni funzionano, fate una scansione anti-intrusi» ordinò, ormai rassegnato.

   «Oh, no... ci hanno abbordati» confermò l’addetto ai sensori. «Rilevo 72 segni vitali Vaadwaur. No, 80... 88... continuano a teletrasportarsi».

   L’ufficiale tattico stava già ordinando alle sue squadre di convergere sui nemici, quando l’Ammiraglio lo fermò con un gesto pacato. «Inutile, Tenente. È chiaro che i Vaadwaur vogliono questa nave ad ogni costo» disse.

   «Allora che facciamo?» chiese l’ufficiale.

   «Se la desiderano tanto, gliela daremo» sospirò Hortis, guardando con rimpianto la sua bella nave. «Ma non vivranno abbastanza da godersela».

 

   Come due antichi galeoni, la Keter e il Ravager si scambiavano bordate a distanza ravvicinata. Intorno a loro la battaglia proseguiva in un susseguirsi di attacchi, acrobazie e finte ritirate. Due navi della Gerarchia si affiancarono alla Keter per aiutarla: furono distrutte in pochi minuti dai colpi implacabili del Ravager. Dai tunnel della Rete Subspaziale affluirono altre navi Vaadwaur, a rimpiazzare quelle distrutte. Ormai i detriti erano così fitti da costituire un serio pericolo per le navi ancora in grado di muoversi. Gli sforzi dell’Alleanza per far collassare lo Snodo erano vani, perché i Vaadwaur continuavano a rafforzarlo con emissioni di polarità opposta.

   La flotta della Gerarchia, meno potente delle altre, cominciò a sbandarsi. Molte navi erano state distrutte e altre, danneggiate, volgevano già in fuga. Se si fossero ritirate tutte, la Keter non avrebbe avuto scampo. Inquieta, il Capitano Hod richiamò gli alleati ai loro obblighi e poi lesse i rapporti che le arrivavano dalle altre flotte, appurando che erano tutte in difficoltà. Particolarmente drammatica era la situazione dei Krenim, ora che l’Annorax era stata abbordata. Hod avrebbe voluto soccorrerla, ma non osava lasciare la Gerarchia, per timore che si ritirasse.

   «Altre navi in arrivo» avvertì Zafreen.

   «Dren, ma quante sono?!» inveì Vrel, inclinando la nave per schivare alcuni siluri.

   «Queste non sembrano Vaadwaur» notò l’Orioniana. «Si direbbero... sì!».

   Quaranta navi da guerra uscirono da un tunnel e si gettarono nella mischia. Erano Vidiiane. Si trattava di grossi incrociatori “a catamarano”: il corpo centrale era saldato a due scafi laterali più sottili, contenenti le gondole di curvatura. I Vidiiani attaccarono i Vaadwaur con la furia di chi aveva visto il proprio pianeta sull’orlo della distruzione. Cinque astronavi circondarono il Ravager, dando manforte alla Keter. Le rimanenti affrontarono il resto della flotta nemica. Il loro arrivo persuase la Gerarchia, prossima alla ritirata, a proseguire la battaglia. Lo Snodo 3 divenne così teatro di uno scontro ancora più immane degli altri due.

   Al centro del pandemonio, il Ravager sparava con tutte le armi. I Vidiiani strinsero il cerchio, attaccandolo da tutte le parti. L’ammiraglia Vaadwaur si slanciò allora in avanti, come un ariete. Centrò un vascello Vidiiano, ampio ma relativamente sottile, e lo aprì in due. L’esplosione avvolse le astronavi, come se le avesse consumate entrambe; ma quando la fiammata si estinse, il Ravager era ancora tutto d’un pezzo. Tallonato dalle altre quattro navi Vidiiane, fuggì verso un condotto.

   «Gli stia dietro, Vrel» ordinò il Capitano Hod, decisa a non farselo sfuggire. «Zafreen, lo analizzi in cerca di danni. Non può essere illeso, dopo un colpo del genere».

   «Ha perso gli scudi anteriori» rilevò l’Orioniana. La cosa sarebbe stata utile, se avessero potuto colpirlo da quell’angolazione. Purtroppo il Ravager aveva già infilato il tunnel spaziale. La Keter e i Vidiiani, che lo inseguivano, potevano colpirlo solo a poppa.

   «Ora riesco a scansionarlo meglio» proseguì Zafreen. «Rilevo 1.200 segni vitali Vaadwaur a bordo... più uno Vidiiano».

   «Vidiiano?!» scattò Norrin. «Può essere Ladya?».

   «Non saprei, è molto debole» disse l’Orioniana, ricalibrando i sensori nel tentativo di avere letture più nitide.

   «Suddayath aveva detto...» cominciò Radek.

   «So cos’ha detto!» lo interruppe l’Hirogeno. «Forse ha mentito. Portatela a bordo!».

   «Non ci riesco, ci sono troppe interferenze» disse l’addetto al teletrasporto, dopo vari tentativi. «Però potrei mandare là qualcuno».

   «Okay, sono pronto» disse Norrin, impugnando il phaser.

   «No, lei mi serve qui» obiettò il Capitano.

   «Mi aveva promesso d’autorizzare la missione di recupero!» le ricordò l’Hirogeno.

   «Sì, ma non durante la battaglia!» chiarì Hod. Per quanto le dispiacesse trattenerlo, non poteva privarsi del suo Ufficiale Tattico in quel momento.

   «Io posso essere sostituito, ma Ladya morirà, se non mi permette di aiutarla!» insisté Norrin.

   «Non sappiamo nemmeno se sia lei...».

   «E allora mi faccia andare, così lo scoprirò!».

   Il Capitano esitò. Non voleva mandare Norrin, in quello stato, su una nave piena di Vaadwaur, nell’ora decisiva della battaglia. Ma se lo avesse costretto a restare, l’Hirogeno avrebbe senz’altro svolto male il suo compito. E non l’avrebbe mai perdonata. «Va bene, prenda una squadra e vada» cedette Hod. «Ma se sopravvive, non mi chieda mai più una cosa del genere».

   L’Hirogeno annuì e allertò gli elementi migliori della Sicurezza. Escluse Jaylah, perché la mezza Andoriana era ancora convalescente dopo la brutta esperienza con i Borg.

   «Aspetta!» disse Radek, quando Norrin era già sulla pedana del teletrasporto. «Ti ho promesso che l’avremmo salvata insieme e così faremo».

 

   L’Annorax fluttuava alla deriva nello Snodo 2, in mezzo a una nube di detriti. Tutt’intorno il resto della flotta Krenim proseguiva la lotta contro i Vaadwaur, che avendo speso ingenti forze per disabilitare la nave ammiraglia erano adesso sulla difensiva. Alcune navette e capsule di salvataggio lasciarono l’Annorax. I Vaadwaur cercarono di abbatterle, implacabili, ma la Fulminatrix intervenne in loro difesa.

   A bordo dell’astronave gli scontri, fino a poco prima intensi, cominciavano a scemare. Centinaia di soldati Vaadwaur si erano teletrasportati a bordo, soverchiando i difensori, finché dagli altoparlanti era risuonato il fatidico ordine dell’Ammiraglio: abbandonare la nave. Da quel momento i Vaadwaur avanzavano incontrando minima resistenza. In testa a una squadra d’assalto, il Capitano Relin procedeva dritto verso la plancia. Si sarebbe teletrasportato direttamente lì, se il ponte di comando non avesse avuto una schermatura supplementare. Così aveva dovuto trasferirsi a una certa distanza e ora vi si dirigeva a piedi, uccidendo tutti i Krenim che incontrava.

   «Squadra 2 a Capitano, la sala macchine è nostra» lo informò un sottoposto.

   «Squadra 3 a Capitano, controlliamo il deflettore» avvertì un altro subito dopo.

   «Relin a squadre, ottimo lavoro. Mantenete la posizione fino a nuovo ordine. Sto per arrivare in plancia» disse il Vaadwaur, sentendo un brivido di eccitazione. C’era qualcosa di esaltante nella battaglia, quando volgeva alla vittoria. Domare l’Annorax aveva richiesto un prezzo salatissimo, ma il Capitano pensava che ne valesse la pena. Chissà quali segreti della scienza temporale erano racchiusi nel database di quella nave. Per non parlare del disgregatore subatomico, l’arma che aveva devastato la loro flotta. Anche se aveva dovuto distruggerlo per mettere fuori uso l’Annorax, Relin era certo che nel computer di bordo ci fossero i progetti. Presto ogni incrociatore Vaadwaur avrebbe avuto un’arma come quella. Era una grande vittoria... ed era sua, non di Suddayath. A battaglia conclusa, nessuno avrebbe potuto negargli un posto nella giunta militare.

   A questo pensiero il Capitano accelerò il passo, obbligando i soldati a correre per stargli dietro. Svoltarono nel corridoio che portava alla plancia, trovandovi due Krenim, forse ufficiali del ponte di comando. Spararono nello stesso momento: caddero i Krenim e caddero altrettanti Vaadwaur, ma Relin era ancora in piedi.

   «La fortuna è con me» si disse il Capitano, calpestando i corpi dei nemici uccisi. Giunti davanti all’ingresso della plancia, i Vaadwaur iniziarono a tagliarlo con i fucili nadionici. Dall’interno provenivano strani suoni, come una melodia che saliva e scendeva, ma gli invasori non stettero a farsi domande. Tagliata la porta, l’abbatterono con una spallata. Entrarono con le armi spianate, aspettandosi una sparatoria; invece trovarono la plancia deserta. I danni della battaglia erano evidenti. Molte consolle erano annerite e spente, dal soffitto pendevano cavi sfrigolanti. C’era anche una vittima a terra, ma nessuno in vita, tranne...

   «Ammiraglio Hortis» disse Relin, osservando il Krenim seduto sulla poltrona di comando, al centro della sala. Il celebre condottiero gli dava le spalle, mostrando solo la testa calva sopra lo schienale. I soldati Vaadwaur lo circondarono, mentre il Capitano restò indietro, temendo qualche inganno.

   «Ben arrivati. Vediamo un po’ chi mi hanno mandato» disse Hortis, facendo ruotare la poltroncina per fronteggiare l’invasore. Il suo volto era tranquillo come la voce. «Ah, Relin! Pensavo che il vecchio Suddayath avrebbe scelto un ufficiale più esperto» commentò.

   «Ha scelto me. E io ho portato a termine l’incarico» disse Relin, avvicinandosi cautamente. «La sua nave ora mi appartiene. Vedo che l’equipaggio l’ha abbandonata... che tristezza. Forse non li ha addestrati a dovere. O forse hanno capito che la sua stella sta calando».

   «La mia stella è decisamente calante, ma il mio equipaggio non mi ha abbandonato» spiegò il Krenim con la massima calma. «Se ne sono andati per mio ordine. Ammetto che li avrei accompagnati volentieri, ma le capsule di salvataggio più vicine sono danneggiate e se li avessi seguiti fino a quelle lontane li avrei rallentati. Così eccomi qui. Le piace la musica?».

   «Musica?» fece il Vaadwaur, inclinando la testa un po’ stupito. «Le voci su di lei sono vere: ascolta i concerti durante le battaglie. Che vecchio folle».

   «Eccentrico» corresse Hortis, socchiudendo gli occhi per concentrarsi sulla melodia. «Questo è un brano adatto al momento: s’intitola O fortuna e parla della volubilità della sorte. Quando terminerà – cioè fra un minuto – si avvierà la sequenza».

   «Quale sequenza?!» sibilò Relin, avvicinandosi ancora.

   «Quella di autodistruzione, ovviamente. Non avrà mica creduto che le lasciassi la mia nave?» rispose l’Ammiraglio, serafico.

   Un brivido percorse il cerchio dei soldati. Un minuto non bastava per uscire dalla zona schermata della nave.

   «Non le credo... voi Krenim non vi sacrificate facilmente» sibilò il Capitano, chinandosi su di lui. Erano faccia a faccia.

   «Non mi restava molto da vivere» disse Hortis, facendo spallucce. «Ma prego, si sieda. Ascolti con me la fine del pezzo».

   «Il suo piano è fallito, la sua flotta è in fiamme... lei è sconfitto!» ringhiò il Vaadwaur, imbestialito da quella sfacciata tranquillità.

   «Ho piena fiducia nei miei alleati» rispose il Krenim, con la sua calma disarmante. «Poco fa mi è giunta notizia che i Vidiiani si sono uniti alla battaglia. La vittoria ci arride, dopotutto».

   «Anche se l’Alleanza vincesse, lei non vivrà tanto da saperlo» disse Relin in tono velenoso.

   «Pazienza, non si può avere tutto» rispose filosoficamente il vecchio Ammiraglio. Chiuse gli occhi, concentrandosi sulle ultime note. «Ah... se potessi rinascere, farei il compositore» sospirò soddisfatto.

   L’attimo dopo la melodia giunse al termine. Mentre vibrava l’ultima nota, il campo di contenimento del nucleo di curvatura si disattivò. Materia e antimateria si annichilirono, provocando un’immane esplosione. L’Annorax si disintegrò in tutta la sua struttura: l’apparato motori, i tre globi semifusi dello scafo e i resti del disgregatore anteriore. Gran parte dell’equipaggio si era messo in salvo su navette e capsule; ma i Vaadwaur che l’avevano abbordata perirono tutti. Compreso Relin, che fissava incredulo e rabbioso l’Ammiraglio. Una potente onda d’urto ad anello si sprigionò dall’esplosione, distruggendo due incursori Vaadwaur che trovò sulla sua strada. La Fulminatrix, più lontana, fu scossa ma non subì danni.

   «Ammiraglio!» gridò Jarros, costretto a schermarsi gli occhi dalla luce abbagliante. «È riuscito a fuggire?» chiese ai suoi ufficiali, che stavano contando i superstiti.

   «Abbiamo alcuni ufficiali di plancia» fu la risposta. «Dicono che l’Ammiraglio è voluto restare, per non rallentarli durante l’evacuazione».

   «Nobile fino all’ultimo» mormorò Jarros, chinando il capo rattristato. Quando lo rialzò, in lui brillava una nuova determinazione. «L’Ammiraglio Hortis vive in noi; non dimenticheremo il suo gesto. Elimineremo una volta per tutte questa Rete Subspaziale. Facciamolo per lui... che questa vittoria sia la sua!» esclamò, scattando in piedi.

   Ispirati dalle sue parole, gli ufficiali raddoppiarono gli sforzi. I feriti della nave furono sostituiti dai superstiti dell’Annorax, tanto che la Fulminatrix si trovò più equipaggiata di quanto non fosse all’inizio della battaglia. Preso il comando di ciò che restava della flotta Krenim, Jarros lanciò un ultimo assalto. La Fulminatrix e le altre navi si radunarono e poi si gettarono compatte sui vascelli Vaadwaur, ormai decimati. I siluri cronotonici schiantarono gli scafi bruni, facendoli esplodere o lasciandoli alla deriva come relitti. Ormai i rottami erano così fitti che gli incursori Vaadwaur non riuscivano più a volare. Crivellati da piogge di detriti che laceravano gli scafi, rotearono fuori controllo e si unirono alla crescente massa di relitti.

 

   Lontano da lì, nello Snodo 1, i Devore resistevano con lo stesso accanimento. La loro nave ammiraglia sussultava per la violenza dello scontro. In plancia l’attività era frenetica, con le voci che si sovrapponevano per dare allarmi e ordini. Solo quando l’addetto alle comunicazioni riferiva lo status degli alleati tutti tacevano, nella speranza che giungessero buone notizie. «L’Annorax è stata distrutta, ma i Krenim resistono. Anzi, stanno lanciando un contrattacco» disse l’ufficiale.

   «Chi li comanda, ora?» chiese Marroc, massaggiandosi la tempia, là dove pulsava l’emicrania.

   «Si direbbe... il Capitano Jarros».

   «Mai sentito. E lo Snodo 3?».

   «Nessuna novità. I Vidiiani danno manforte alla Gerarchia, mentre la Keter insegue il Ravager nei condotti».

   «Speriamo che lo distrugga» commentò l’Inquisitore. Ormai si era rassegnato anche lui all’impossibilità di far collassare la Rete finché i Vaadwaur erano lì a rinforzarla.

   In quella un violento assalto da parte di una fregata Manasa scosse l’astronave. «Gli scudi di prua hanno ceduto!» avvertì l’ufficiale tattico.

   I Devore guardarono lo schermo, dove la fregata si avvicinava sparando a tutto spiano. Dopo l’attacco con le armi nadioniche, lanciò una salva di siluri. Privata degli scudi anteriori, la loro astronave non avrebbe mai resistito.

   «Lealtà all’Impero» disse Marroc, vedendo i missili sempre più vicini. Chiuse gli occhi, aspettandosi l’esplosione fatale. Ma i secondi passavano e lui era ancora lì. Meravigliato, tornò a guardare. Non c’era traccia dei siluri e anche la fregata era passata oltre. «Cos’è successo?» chiese, al colmo dello stupore.

   «Signore, è pazzesco, ma... ci ha mancati» rispose l’ufficiale tattico. «I siluri sono passati a cinquanta metri dallo scafo».

   «Assurdo! Non potevano mancarci a quella distanza» obiettò l’Inquisitore, pur non sapendo darsi una spiegazione.

   «Non è la prima volta che sbagliano mira» intervenne un altro ufficiale. «L’efficacia dei loro tiri è diminuita del 40% dall’inizio della battaglia e continua a calare».

   «Cause?» chiese Marroc, interdetto.

   «Sconosciute, eccellenza».

   L’Inquisitore, che fino ad allora sedeva rigido, si abbandonò contro lo schienale della poltroncina. Un vago sorriso gli comparve sul volto, mentre pianificava le prossime mosse. «Cercheremo la spiegazione più tardi; ora approfittiamone. Inquisitore Marroc a flotta» disse, aprendo un canale. «Un fato provvidenziale vuole che la mira dei Vaadwaur stia calando. È il momento di spingere a fondo l’attacco e spazzarli via!». L’Inquisitore istruì la flotta sulle manovre da eseguire. Nel frattempo l’efficienza dei Vaadwaur continuava a ridursi, tanto che alcune delle loro navi si allontanarono per riorganizzarsi.

   «Scudi frontali di nuovo attivi, signore» disse l’ufficiale tattico.

   «Eccellente» sogghignò Marroc, scrocchiandosi le dita. «Ora finiamo il lavoro».

 

   La plancia del Ravager era costruita su due livelli, dei quali il più alto era un camminamento riservato agli ufficiali superiori, mentre quello in basso accoglieva gran parte del personale e delle postazioni di lavoro. Dal livello superiore gli ufficiali in comando davano ordini a quelli che stavano giù e li tenevano d’occhio. In tal modo i sottoposti non osavano mai rilassarsi, né chiacchierare fra loro, sapendo di essere sorvegliati in ogni momento. La parete frontale era tutta un enorme schermo visore, che si estendeva su ambo i livelli, dando una visione spettacolare dello spazio antistante. In quel momento lo schermo mostrava i meandri della Rete Subspaziale e i colpi che, avendo mancato il Ravager, passavano oltre. Molti di più erano i colpi che andavano a segno, tanto che il vascello vibrava costantemente. Quattro navi Vidiiane lo inseguivano ancora, sparando a tutto spiano; subito dietro veniva la Keter.

   Ritto al centro del camminamento, Suddayath fissava cupamente il wormhole arancione, mentre i suoi ufficiali lo aggiornavano sulle condizioni della nave e l’andamento generale della battaglia. Le notizie non erano buone: con l’arrivo dei Vidiiani, l’Alleanza stava prendendo il sopravvento. Neanche la distruzione dell’Annorax poteva dirsi una vittoria, sia per le gravi perdite che era costata, sia perché il Generale avrebbe voluto catturarla. Tuttavia Suddayath non prese in considerazione la ritirata. Aveva gettato in battaglia la sua intera flotta, comprese le riserve che sperava di tenere a difesa delle colonie. Ora doveva vincere a ogni costo.

   «Scudi posteriori al 25%, signore» avvertì un ufficiale, mentre la nave sobbalzava. I Vidiiani inseguitori accorciavano le distanze, cercando di mettere fuori uso i motori del Ravager.

   «Energia d’emergenza all’integrità strutturale. Concentrate il fuoco sulla nave di testa» ordinò Suddayath.

   Raggi nadionici e siluri bersagliarono l’astronave Vidiiana, fino a squarciare uno degli scafi laterali, che conteneva una gondola di curvatura. L’esplosione di antimateria scagliò l’astronave di lato, contro un altro vascello Vidiiano che lo seguiva a breve distanza. Dopo averne urtato lo scafo, aprendo una lunga breccia, l’astronave in fiamme colpì la parete del wormhole ed esplose. Il secondo vascello, anch’esso danneggiato anche se non così gravemente, dovette rallentare. Ciò costrinse quelli che lo seguivano a fare lo stesso, per evitare collisioni a catena.

   «Fuoco!» ordinò Suddayath, vedendo la possibilità di distruggere anche l’altro vascello.

   Una salva di siluri guizzò contro la nave Vidiiana – un bersaglio facile – e le passò accanto senza colpirla. La nave continuò a rallentare, fino a mettersi fuori tiro.

   «Beh, come avete fatto a mancarla?!» tuonò Suddayath dall’alto del camminamento, rivolto agli artiglieri.

   Uno di questi scattò in piedi, alzando il viso al superiore. «Generale, chiedo di essere sostituito. Io... ehm... ho dei problemi alla vista» rivelò, tremando per l’imbarazzo.

   «Come sarebbe? Ti prendi gioco di me?!» ribatté il Generale, incredulo.

   «Nossignore, sto dicendo la verità. Negli ultimi minuti la mia vista è calata e ormai la vedo a stento» insisté l’artigliere, tremando come una foglia.

   Suddayath pensò che il sottoposto delirasse, o che cercasse una patetica scusa per discolparsi. Ma aguzzando la vista notò che i suoi occhi erano coperti da una patina biancastra: stava realmente diventando cieco.

   «Signore... anch’io ho lo stesso problema» disse un altro ufficiale, alzando il viso per mostrare gli occhi velati di bianco.

   «Anch’io!».

   «E io!».

   «Io pure!».

   Uno dopo l’altro i Vaadwaur lamentarono lo stesso sintomo, finché Suddayath si trovò fissato da una buona metà dei suoi ufficiali. Tutti quanti avevano gli occhi velati da un’orribile patina bianca che continuava a ispessirsi, privandoli della vista. Il fenomeno era così improvviso e inspiegabile, oltre che catastrofico per le conseguenze, che il Generale si sentì tremare. Un equipaggio di ciechi non poteva manovrare l’astronave neanche in condizioni normali; figurarsi durante una battaglia. Angosciato, il Generale si levò il comunicatore di tasca. «Suddayath a infermeria, abbiamo un’emergenza. Sembra assurdo, ma... qui in plancia stanno diventando tutti ciechi!».

   «Signore, nell’ultima mezz’ora siamo stati sommersi da pazienti con lo stesso sintomo» rispose il medico capo con voce trafelata. «Sono così tanti che non sappiamo più dove metterli. E il problema cresce a ritmo esponenziale».

   «Devo sapere subito il motivo. Il nemico ha forse immesso un agente tossico nell’aria, mentre gli scudi erano abbassati?» ipotizzò Suddayath. In quel caso anche lui era stato esposto, pensò con un brivido.

   «Abbiamo esaminato l’atmosfera, ma non abbiamo trovato nulla di anomalo» spiegò il medico, con voce tirata. «Non ci sono composti chimici, né microrganismi che possano spiegare quest’epidemia di cecità».

   Alla parola epidemia, il Generale sentì squillare un campanello d’allarme. La sua gente era appena scampata alla Phagia, grazie alla dottoressa Mol – una nemica – che aveva trovato la cura. E ora, a distanza di pochi giorni, stavano perdendo tutti la vista. Non poteva essere una coincidenza. «Contattate il resto della flotta! Voglio sapere se le altre navi hanno lo stesso problema» ordinò.

   L’addetto alle comunicazioni inoltrò la domanda e attese qualche minuto, mentre le astronavi facevano rapporto. «Sono tutte nelle nostre condizioni, signore» disse con un filo di voce. «Ormai gli equipaggi hanno difficoltà a manovrarle. Piloti, artiglieri, ingegneri... stanno tutti perdendo la vista».

   «Allora non può essere un agente contaminante inviato dal nemico. Non tutte le navi hanno perso gli scudi» ragionò il Primo Ufficiale.

   «Infatti è il risultato di un tradimento» ringhiò Suddayath, la rabbia al calor bianco. «La dottoressa Mol è ancora viva?».

   «Sì, signore. A malapena» disse l’addetto ai sensori interni, dopo aver scansionato la sala d’osservazione. Agli ufficiali non sfuggì il fatto che il Generale avesse mentito ai federali circa la sorte della Vidiiana, ma nessuno se ne stupì.

   «La voglio qui» ordinò Suddayath. «E convocate anche qualche medico, di quelli che hanno lavorato con lei».

   «Signore, c’è un altro problema» avvertì l’addetto ai sensori. «Fuoco di phaser sul ponte 25. Una squadra federale ci ha abbordati».

   «Mandate i soldati, spazzateli via!» gridò Suddayath, sentendo che le cose gli sfuggivano sempre più di mano. «E portatemi subito la prigioniera».

 

   Dopo aver compiuto un ampio giro all’interno della Rete Subspaziale, distanziando gli inseguitori, il Ravager tornò allo Snodo 3 per aiutare il resto della flotta. La manovra aveva avuto la sua utilità, dando all’astronave il tempo di rigenerare gli scudi anteriori. Sbucato da un tunnel spaziale, il Ravager attaccò una nave della Gerarchia già danneggiata, distruggendola con pochi colpi. Ma non poteva cambiare le sorti della battaglia, ormai a favore dell’Alleanza. L’epidemia di cecità aveva ampiamente ridotto l’efficienza dei Vaadwaur, che stentavano a colpire gli avversari e non riuscivano a riparare i danni alle loro navi. Questo valeva anche per il Ravager. La colossale nave da guerra si aggirò per lo Snodo, continuando a far fuoco. Molti dei suoi attacchi andavano a vuoto; gli altri colpivano sia amici che nemici.

   Di lì a poco, la Keter e le tre navi Vidiiane che lo avevano inseguito nella Rete fecero ritorno. Anche loro avevano approfittato della pausa per rigenerare gli scudi. Con un ruggito dei motori a impulso, le quattro astronavi si gettarono sul Ravager per chiudere la partita.

 

   «La cecità è indubbiamente un effetto collaterale della cura» disse la dottoressa Phanin, convocata in plancia. «L’opacizzazione della cornea è il sintomo più evidente, ma ci sono danni anche al nervo ottico. Se l’avessimo immaginato...! Ma esaminando i guariti, non abbiamo pensato di cercare un danno agli occhi».

   «Lei però ci vede ancora!» notò il Generale. «Com’è possibile, se ha ricevuto la cura prima degli altri?».

   «Stiamo cercando di appurarlo. Probabilmente la mia cura differiva dalla ricetta che la dottoressa Mol ci ha dato in seguito. Così ci ha ingannati» rispose cupamente la virologa.

   «Se i suoi naniti vanno bene, potete usarli per rimediare?» chiese Suddayath.

   «Intende se possiamo replicarli e usarli come cura? Non è così semplice» spiegò Phanin. «I miei naniti non danneggiano gli occhi; ma ciò non significa che possano riparare un danno già inflitto. Dovremo progettare una tipologia completamente nuova. Si può fare... ma non così su due piedi. Solo per farci un quadro clinico completo ci vorranno giorni».

   «Forse la colpevole saprà illuminarci!» ringhiò Suddayath, vedendo aprirsi il portone in fondo alla plancia. Entrò un drappello di guardie, armate di fucili nadionici, che spintonavano in avanti la prigioniera.

   Ladya percorse la passerella rialzata, alla massima velocità consentita dalle sue condizioni precarie. Era imbacuccata in abiti scuri, con un ampio cappuccio calato sul viso per nascondere gli effetti della Phagia. Il suo respiro era ansante, rauco. Scortata presso Phanin e Suddayath, sulle prime li ignorò, contemplando invece la battaglia che infuriava all’esterno.

   «Miserabile traditrice!» tuonò il Generale. «Ci ha accecati di proposito! Voleva portarci a questo!» gridò, indicando la carneficina che si consumava nella Rete Subspaziale.

   «Vi ho implorati di non dar battaglia all’Alleanza, di negoziare la pace. Voi mi avete ignorata» rispose la dottoressa, con voce lenta e roca. «Tutto questo è opera vostra».

   «Dottoressa... io mi fidavo di lei!» singhiozzò Phanin. «Non pensavo che ci avrebbe pugnalati così. Come ha potuto?!».

   «Voi Vaadwaur siete notoriamente spergiuri» rispose Ladya. «Mentre mi affaticavo a curarvi, sapevo che probabilmente vi sareste rimangiati la promessa. Così ho preso questa contromisura. Se aveste risparmiato Vidiia e fatto pace con l’Alleanza, vi avrei curati anche dalla cecità. Invece avete scelto l’altra strada».

   «Lei ci curerà, che lo voglia o no!» sbraitò Suddayath, sul punto di avventarsi contro di lei.

   «Lo farò, se la Phagia non mi uccide prima» disse la Vidiiana, fronteggiandolo senza timore. «Ma pretendo che disattiviate l’arma-tunnel e abbandoniate la Rete Subspaziale, altrimenti resterete ciechi».

   «Pretende?!» ruggì il Generale, pazzo di rabbia. «Lei non può pretendere nulla! Distruggere Vidiia è troppo poco... incenerirò tutte le vostre colonie, a partire da quella dove lei è nata! Darò la caccia a ogni convoglio di rifugiati, a ogni astronave. Non avrò pace finché la vostra razza immonda non sarà cancellata dalla Galassia! Lo giuro sulla testa dei miei figli!».

   Così dicendo fece per colpire Ladya, ma Phanin cercò di trattenerlo. «Generale, la prego... forse è l’unica in grado di curarci!» implorò la virologa.

   «Taci!» gridò Suddayath, colpendola con un manrovescio così forte che la gettò a terra. Dopo di che, ansante di collera, si rivolse nuovamente alla prigioniera. Questa era indietreggiata fino allo schermo. Con lente movenze, la Vidiiana si portò le mani al cappuccio e se lo tirò indietro, scoprendo la testa. I Vaadwaur la osservarono disgustati.

   Il volto di Ladya era uno sfacelo di pelle morta e secca che si squamava. I capelli castani erano caduti quasi tutti e i pochi rimanenti le scendevano sulle spalle, disordinati e stopposi. La metà sinistra del volto era come paralizzata, con l’occhio semichiuso. Più che di un vivente, sembrava il viso di un cadavere.

   «Guai a voi!» ammonì la Vidiiana, levando un indice accusatore contro i rettili che l’attorniavano. «Siete sempre stati dei folli. Lo eravate mille anni fa, quando induceste la Prima Alleanza a farvi guerra, e lo siete stati ancor più adesso, con la Seconda. Nella lingua dei Talaxiani, “Vaadwaur” è sinonimo di sciocco, sconsiderato... e cieco. Sì, ciechi eravate e ciechi rimarrete!» predisse. «Lei, Generale, è il più cieco di tutti. Credeva che le restasse un occhio buono? Avrebbe dovuto mettersi la benda su quello e restare a casa, invece di condurre il suo popolo alla rovina!».

   Un gelido silenzio piombò sulla plancia. Ladya e Suddayath si fronteggiavano davanti al grande schermo panoramico su cui furoreggiava la battaglia. Intorno a loro, il Ravager tremava e scricchiolava per i colpi subiti. I Vaadwaur attesero muti l’epilogo del confronto. La dottoressa Phanin si rialzò, massaggiandosi la guancia dolorante, ma non disse nulla.

   «Sono cieco, dice?» sibilò il Generale. «Eppure ci vedo quanto basta a ricompensarla per i suoi servigi!». Chiamò con un cenno il capo delle guardie. Quando questi gli fu accanto, gli strappò di mano il fucile nadionico. Ladya non si mosse. Sapeva di non poter fuggire e d’altro canto la morte le appariva ormai come una liberazione.

   Suddayath alzò il fucile e prese la mira, socchiudendo l’occhio sulfureo. In quella ci fu un boato assordante, accompagnato da un’onda d’urto. Il portone esplose in mille schegge che schizzarono per tutta la plancia, compreso il livello inferiore, ferendo i Vaadwaur. Dalla nube di polveri emersero i federali armati, con Norrin e Radek in testa. Anziché intimare la resa, spararono immediatamente con colpi stordenti. I Vaadwaur risposero al fuoco, ma avendo la vista offuscata spararono con imprecisione. Alcuni si colpirono inavvertitamente tra di loro.

   Riconoscendo Norrin, Ladya ebbe un tuffo al cuore. Ma l’Hirogeno era ancora lontano, mentre Suddayath era a pochi passi da lei. «Addio, Vaphorana» sibilò il Generale, e premette il grilletto.

   «No!» gridò Phanin, frapponendosi. Il raggio mortale la colpì in pieno petto ed ella si accasciò davanti a Ladya.

   «Idiota» commentò Suddayath, prendendo di nuovo la mira. In quell’attimo fu colpito alla spalla dal raggio stordente di Norrin. Vacillò e cadde a pochi passi dalla dottoressa.

   Mentre i colleghi della Sicurezza si assicuravano il controllo della plancia, stordendo gli ultimi Vaadwaur, Norrin raggiunse Ladya. Sopraffatta dalle emozioni e indebolita dalla Phagia, la Vidiiana gli si accasciò tra le braccia. «Norrin... sei tornato a prendermi...» singhiozzò.

   «Sì, e stavolta ti porto via con me. Non accetto scuse» disse l’Hirogeno, osservando con apprensione il suo volto sfigurato.

   «Non... guardarmi...» mormorò Ladya, cercando di coprirsi per la vergogna.

   «Perché no? Non ti ho mai amata così tanto» disse Norrin con tenerezza. Ignorando il suo aspetto repellente, la baciò sulle labbra. Poi, siccome la Vidiiana non si reggeva in piedi, l’accompagnò delicatamente a terra.

   «Phanin...» gemette Ladya, tendendo la mano verso la dottoressa che le aveva fatto scudo.

   Dato che il combattimento era terminato con la vittoria dei suoi, Norrin mise il phaser in cintura e al suo posto trasse il tricorder. Pur nutrendo poche speranze, si chinò sulla Vaadwaur per esaminarla. «È morta, mi dispiace» confermò. «Non so perché ti abbia salvata, ma...».

   «Attento!» gridò la Vidiiana. Colpito alla spalla destra, Suddayath si era accasciato ma non aveva perso i sensi. Si stava già rialzando, con il fucile nadionico nella mano sinistra, per colpire Norrin alle spalle.

   Compreso il pericolo, l’Hirogeno si rialzò e si girò fulmineo. Afferrò l’arma per la canna e la strattonò di lato, così che il raggio letale colpì il pavimento; poi la strappò di mano al Vaadwaur e la gettò lontano.

   «Maledetto!» ringhiò Suddayath, vedendosi disarmato. Con il braccio sano dette un pugno in faccia a Norrin, facendolo vacillare.

   L’Hirogeno piegò la testa di lato per assorbire l’impatto e poi, con lentezza, tornò a guardare l’avversario. «Cattiva idea» avvertì. «Ultimamente mi sono molto allenato». Dette un formidabile gancio al Vaadwaur, che avendo il braccio destro paralizzato non riuscì a pararlo. Subito dopo lo colpì al plesso solare e poi di nuovo in faccia. Senza dargli il tempo di raccapezzarsi, continuò a riempirlo di cazzotti, spingendolo sempre più indietro lungo il ponte rialzato. Erano colpi magnifici, i più potenti che Norrin avesse mai sferrato. Non ne sprecò neanche uno: andarono tutti a bersaglio, che fosse la faccia di Suddayath o il suo stomaco. Nemmeno all’apice del combattimento col Pendari, nell’arena di Tsunkatse, l’Hirogeno si era battuto così. Incalzò l’avversario fino all’estremità della passerella e da lì, con un ultimo micidiale uppercut, lo buttò di sotto. Suddayath cadde per circa quattro metri e atterrò su una consolle, schiantandola col suo peso. Da lì non si mosse più.

   Con il respiro un po’ affannoso, Norrin osservò l’avversario privo di sensi. Se Ladya fosse stata bene, lo avrebbe lasciato così. Ma Ladya aveva la Phagia in stadio avanzato: anche riportandola sulla Keter, non c’era garanzia che i medici riuscissero a salvarla. A questo pensiero l’Hirogeno fu invaso da una tale collera che trasse il phaser di cintura e mirò l’avversario inerte.

   «No!» lo richiamò Ladya, trascinandosi verso di lui. «Ci sono già state troppe vittime, troppe crudeltà. Anch’io ho fatto una cosa orribile. Questa cecità che sta colpendo i Vaadwaur è opera mia. Non voglio causare altra morte. Lascialo in vita... tanto ormai è sconfitto».

   «Dopo quello che ti ha fatto, non merita di vivere!» ringhiò Norrin.

   «Dopo questi eventi, forse nessuno di noi lo merita» sussurrò la Vidiiana. «Perdoniamoci a vicenda e forse potremo perdonare noi stessi».

   A quelle parole, pronunciate da chi aveva sofferto molto più di lui, Norrin sentì svanire la rabbia. Ripose il phaser e corse da Ladya, aiutandola a sorreggersi. «Come vuoi, amore. Ma cerca di resistere, ti prego» disse, vedendola così debilitata. Le braccia della Vidiiana ballavano nelle maniche troppo larghe e tutto il suo corpo era di una magrezza cadaverica.

   In quella ci fu uno schianto e il Ravager beccheggiò. Alcune consolle nel livello inferiore esplosero e una sirena d’allarme segnalò una breccia nello scafo. Norrin alzò gli occhi allo schermo: i Vidiiani continuavano a colpire l’astronave, che dopo il loro attacco alla plancia era pressoché indifesa. Solo gli artiglieri che si trovavano nelle postazioni di fuoco disseminate lungo le fiancate continuavano a sparare, anche se con mira sempre più scarsa.

   «Dobbiamo andare!» esortò Radek. «Su questa nave ci sono centinaia di soldati e non tutti sono ancora ciechi. Ci piomberanno addosso da un momento all’altro».

   «Sì, andiamo» convenne Norrin. Cercò di aiutare Ladya a camminare, ma la Phagia incalzante e le ultime emozioni furono troppo per la Vidiiana, che svenne. Così l’Hirogeno la prese in braccio. Sentendo quant’era leggera, si preoccupò ancora di più.

   Siccome Norrin aveva le mani impegnate, Radek prese anche il suo phaser. Poi, con un’arma per mano, il Comandante si accostò alla porta. Da fuori stavano già arrivando i soldati Vaadwaur, molti più di quanti potessero affrontare.

   «Abbassate gli scudi, così la Keter potrà portarci via!» ordinò il Comandante. Mentre gli ufficiali della Sicurezza cercavano di usare le consolle aliene, lui e pochi altri difesero l’ingresso. «Groan... devo bere di meno. O almeno devo astenermi dal fare promesse mentre sono ubriaco» pensò Radek, mentre tratteneva la marea incalzante dei nemici.

   Quando un raggio nadionico gli passò a pochi centimetri dalla testa, il Comandante arretrò, continuando a sparare con ambo i phaser. «Non vi conviene attaccarci! Abbiamo il vostro Generale!» gridò, sperando che ciò trattenesse i nemici. In realtà come ufficiale di Flotta non intendeva farsi scudo con un ostaggio, ma questo i Vaadwaur non lo sapevano. La minaccia sortì l’effetto sperato, perché i soldati interruppero l’assalto, pur restando appostati appena fuori dalla plancia.

   In quella i federali riuscirono ad abbassare gli scudi. La Keter li trasse subito in salvo, mentre il Ravager tremava sotto il fuoco dei Vidiiani e della Gerarchia. Ora che gli scudi erano disattivati, tutti i colpi andavano a segno, aprendo squarci nello scafo. Solo quando la plancia restò deserta i Vaadwaur poterono entrare e riattivare le difese. Ma ormai l’orgogliosa nave da guerra era butterata di falle. Una gondola di curvatura era stata tranciata e molte delle armi non rispondevano ai comandi. Con il Generale e il suo stato maggiore ancora privi di sensi, non era chiaro a chi spettasse il comando. Ai Vaadwaur non restò che portare il Ravager via dallo Snodo. L’astronave danneggiata imboccò il tunnel spaziale più vicino, inseguita da due navi Vidiiane che sparavano a tutto spiano, decise a finirla.

 

   Riattivati gli scudi, la Keter non si unì all’inseguimento del Ravager. Ora che i Vaadwaur stavano cedendo, poteva finalmente completare la missione. «Raggio gravitonico a piena potenza» ordinò il Capitano Hod. Il deflettore s’illuminò, colpendo la superficie arancione dello Snodo con un fascio concentrato di particelle. Diversamente da prima, i Vaadwaur non furono in grado di contrastare l’attacco. Gran parte delle loro navi era stata distrutta; le rimanenti avevano visto fuggire l’ammiraglia ed erano rimaste senza ordini. Con la cecità che dilagava tra l’equipaggio, esplose il panico. I pochi Vaadwaur ancora in grado di vedere presero il timone delle loro navi e le portarono via dallo Snodo, sfruttando la Rete – finché c’era – per tornare alle loro colonie. I Vidiiani partirono all’inseguimento, mentre le navi della Gerarchia restarono con la Keter.

   «Come se la cavano le altre flotte?» volle sapere Hod.

   «Più o meno come noi» disse Zafreen. «I Vaadwaur sono in rotta anche negli altri Snodi. Marroc e Jarros c’informano che hanno lanciato gli impulsi gravitonici». Mentre parlava, lo snodo attorno a loro iniziò a restringersi.

   «Bene, informi la Gerarchia che è il momento di anda... come non detto» s’interruppe il Capitano. Dopo aver teletrasportato i superstiti dalle loro navi alla deriva, i vascelli della Gerarchia stavano già lasciando lo Snodo.

   In quella Radek e Norrin rientrarono in plancia e tornarono rapidamente ai loro posti. «Salve, Capitano» disse il Comandante, come se si fosse assentato per un drink. «La situazione?».

   «I Vaadwaur sono in rotta, stiamo per far collassare la Rete» riferì sinteticamente Hod. «E voi?» chiese, passando lo sguardo da lui a Norrin.

   «Abbiamo recuperato Ladya. È viva... per il momento» disse l’Hirogeno, per nulla rasserenato. «Ma ormai ha la Phagia in stadio avanzato. Il dottor Joe l’ha messa in una capsula cronostatica, mentre studia il da farsi. Dice che la vecchia cura non basterà, ora che il virus è mutato».

   «Forse combinandola con quella che Ladya ha trovato per i Vaadwaur avremo dei risultati» disse Radek, per dargli un po’ di speranza.

   «Non lasceremo nulla d’intentato» promise Hod. Dopo di che tornò a concentrarsi sulla missione. Con i Vaadwaur in fuga e i tre Snodi che collassavano, tutto era pronto per il gran finale.

 

   Esposto al raggio gravitonico, lo Snodo 3 collassò sempre più rapidamente, finché gli ingegneri segnalarono che il limite di tolleranza della Rete era superato: il fenomeno era inarrestabile. Il deflettore fu prontamente disattivato. Vrel impresse una virata alla nave e puntò a uno dei condotti, schivando gli innumerevoli detriti che affollavano lo Snodo. Imboccò il tunnel spaziale e lo percorse a una velocità che in altre circostanze sarebbe stata pericolosa, ma lì era indispensabile, se volevano uscire in tempo.

   Dietro di loro lo Snodo 3 continuò a contrarsi, finché collassò del tutto, distruggendo i relitti che conteneva. Più o meno contemporaneamente anche gli altri due snodi furono eliminati. Come previsto, questo innescò una reazione a catena in tutta la Rete Subspaziale. L’ondata dissolutrice partì dai tre snodi principali e si allargò rapidissima, cancellando i condotti e gli snodi minori. Qualunque cosa ne fosse investita era annichilita. Gli oggetti non erano semplicemente distrutti: ogni atomo era fatto a pezzi, convertendosi in energia che si sommava a quella del fronte d’onda.

   Sapendolo, le navi dell’Alleanza fuggirono alla massima velocità possibile, facendo attenzione a non perdersi nel dedalo di condotti e a non uscire dallo sbocco sbagliato. La Keter seguì i Vidiiani. Dopo aver superato numerose biforcazioni imboccò un lungo condotto che scorreva senza più dividersi. Alcune navi Vidiiane in fuga le sfrecciavano davanti. Altre, che si erano attardate a inseguire i Vaadwaur, le venivano dietro.

   «Ci siamo quasi» disse Vrel, con la fronte imperlata di sudore. «Trenta secondi all’uscita».

   «Il fronte d’onda è sessanta secondi dietro di noi» avvertì Zafreen. D’un tratto una lettura attirò la sua attenzione. «Attenti, qualcosa blocca il condotto!» strillò.

   «Yotz!» imprecò il timoniere, diminuendo bruscamente la velocità. Era proprio così. Una grossa sagoma scura, di forma allungata, era posta di traverso al tunnel, così da ostruirlo quasi del tutto. Restavano solo due sottili passaggi, in alto e in basso. Erano due scappatoie troppo strette, tanto che anche le astronavi Vidiiane avevano dovuto fermarsi.

   «Oh, no» disse Vrel, riconoscendo l’ostacolo. Quell’enorme ammasso di metallo che ostruiva l’uscita non era un asteroide e nemmeno un’astronave qualunque. Era il Ravager.

 

   Con un grido rabbioso, Suddayath raddrizzò la schiena. Dopo la sonora batosta subita da Norrin aveva perso i sensi, ma i soldati prontamente accorsi gli avevano prestato soccorso. Gli stimolanti iniettati in dose massiccia lo fecero tornare in sé. Con la consapevolezza tornò però anche il dolore per le percosse e quello, molto più cocente, per la sconfitta. «Rapporto!» ordinò il Generale, guardandosi attorno ancora confuso.

   «I federali sono fuggiti con la prigioniera» rispose cupamente un ufficiale. «La nave ha subito danni catastrofici. Abbiamo distrutto i due vascelli Vaphorani che c’inseguivano, ma siamo alla deriva nel tunnel 219».

   «Non abbiamo propulsione?!» chiese Suddayath, balzando in piedi.

   «Ci resta solo qualche propulsore di manovra. Insufficiente a farci uscire» rispose l’ufficiale, lugubre. «E i sensori indicano che la Rete ha iniziato a collassare. Questa è la fine».

   «Se è la fine, non sarà solo nostra!» ringhiò Suddayath. «Mettete la nave di traverso al tunnel. Quando i Vaphorani passeranno di qui, avranno un’amara sorpresa». Ciò detto tornò al livello superiore della plancia, quello riservato agli ufficiali.

   Non avendo altra consolazione che la vendetta, i Vaadwaur eseguirono. Sbuffando fiamme e atmosfera dalle numerose falle, il Ravager si pose di traverso al condotto. Di lì a poco giunsero le navi Vidiiane in fuga e con esse la Keter. Per non entrare in collisione dovettero fermarsi; ma così sarebbero state raggiunte dal fronte d’onda.

   «È meglio di quanto sperassi» commentò il Generale, riconoscendo la Keter. Le sue labbra si atteggiarono a sorriso. Come tutti i Vaadwaur, Suddayath si era allenato fin da bambino a pensare, ogni sera prima d’addormentarsi, a un modo diverso di morire. Di tutte le modalità che aveva escogitato, le più appaganti erano quelle che gli permettevano di trascinare i nemici con sé.

 

   Il Capitano Hod squadrò la carcassa del Ravager, sapendo di avere i secondi contati. Poteva quasi vedere il ghigno di Suddayath. Le navi Vidiiane aprirono il fuoco, ma da sole non avrebbero distrutto in tempo l’ostacolo. «Siluri transfasici e poi avanti tutta» ordinò il Capitano.

   I siluri partirono mentre Hod stava ancora parlando, perché Norrin l’aveva anticipata. La raffica colpì il Ravager ormai senza scudi nella sezione centrale, più sottile, spezzandolo in due. L’attimo dopo la Keter scattò in avanti, schivando le navi Vidiiane, e passò attraverso l’esplosione. I detriti del Ravager tamburellarono gli scudi come grandine. I più grandi li oltrepassarono, rimbalzando sullo scafo in neutronio. All’interno i federali sentirono il rimbombo e furono quasi scagliati a terra dallo scossone.

   Col cuore in gola, Vrel diresse la nave a massimo impulso verso l’uscita del tunnel spaziale. Lo sbocco si avvicinava, ma così anche il fronte d’onda alle loro spalle. Il mezzo Xindi non ebbe tempo di calcolare tra quanto li avrebbe colpiti. Si concentrò esclusivamente sulla guida, sapendo che nemmeno il neutronio li avrebbe salvati dal subspazio che collassava.

 

   Tranciato in due dai siluri, il Ravager si scosse come una bestia ferita a morte. Nessuno dei due tronconi esplose, ma gli scoppi li punteggiarono dentro e fuori. In plancia, ufficiali e soldati furono scagliati da tutte le parti, mentre le consolle esplodevano a cascata. Quelli che si trovavano sul ponte superiore caddero di sotto, tranne Suddayath, che scivolò in ginocchio. Quando gli scossoni diminuirono, il Generale alzò lo sguardo allo schermo principale, che funzionava ancora a intermittenza. Vide le astronavi Vidiiane che sfrecciavano accanto ai resti della sua nave, per mettersi in salvo. Tutt’intorno le pareti arancioni del wormhole tremolavano. E là in fondo avanzava l’onda d’urto subspaziale.

   Rialzatosi, Suddayath incrociò le braccia sul petto e attese a piè fermo il fronte d’onda. Non disse nulla e non tremò nemmeno. Immobile come una statua, fissò con disprezzo la morte, senza rimpianti né pentimenti. E la ribollente onda d’urto subspaziale passò, cancellandolo con la sua nave e il suo equipaggio.

 

   La Keter sfrecciava a massima velocità d’impulso lungo il tunnel spaziale, inseguita dall’onda d’urto. I vascelli che la seguivano ne furono inghiottiti uno dopo l’altro: astronavi Vidiiane, incursori Vaadwaur. Il fronte d’onda era sempre più vicino; ma là in fondo brillavano le stelle. Con i motori a impulso prossimi a fondere per lo sforzo, la nave federale schizzò fuori dal wormhole, un istante prima che questo collassasse. L’apertura a imbuto parve rivoltarsi come un guanto, quindi svanì in un’esplosione subspaziale che scagliò la Keter in avanti, come una foglia in un uragano. In plancia, gli ufficiali videro le stelle vorticare pazzamente. Ma quando Vrel riuscì a riportare la nave in assetto e a fermarla, fu chiaro a tutti che erano in salvo.

   «Grazie, Vrel... ottimo lavoro» mormorò il Capitano, levandosi una ciocca di capelli sudati dalla fronte. «Complimenti a tutti. La Rete Subspaziale non esiste più. E penso che con essa siano tramontati i sogni di gloria dei Vaadwaur».

 

   
 
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