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Autore: fra_puf    08/05/2020    7 recensioni
[Dal primo capitolo:
< Cos’è? > Chiese con tono pacato. La sua voce era di una morbidezza disarmante.
Deglutii con fatica, per ritrovare la voce.
< È… un invito. Per una festa > Risposi, cercando di apparire il più disinvolta possibile.]
Isabella Swan, appena diciannovenne, inizia a frequentare un'Università in Alaska.
Grazie ad una borsa di studio alloggia in un dormitorio per studenti, al primo piano.
Al terzo, nella camera 3B, vive un misterioso ragazzo di cui nessuno sa quasi nulla… ed è il figlio adottivo della Rettrice.
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Cullen, Carlisle Cullen, Edward Cullen, Esme Cullen | Coppie: Alice/Jasper, Bella/Edward, Carlisle/Esme, Emmett/Rosalie
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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CAP. 1. Il pianoforte
 
Era già tarda notte quando parcheggiai di fronte al dormitorio.
Avevo sopravvalutato il mio senso dell’orientamento, e solo dopo essermi persa tre volte di fila mi ero convinta ad impostare il navigatore.
Il risultato? Ero arrivata alla University of Alaska Fairbanks 5 ore più tardi del previsto. Un ottimo inizio per il mio primo anno di università.
Ma di questo mia madre non sapeva e non avrebbe dovuto sapere niente; fosse stato per lei, sarei venuta fin lì in taxi dalla Florida.
Così, quando mi ero fermata a mangiare un panino in autogrill verso le 21, l’avevo chiamata assicurandole che ero arrivata e che il viaggio era andato bene.
Prima di spegnere l’auto, lanciai un’occhiata all’orologio sul quadrante. Era già sabato mattina, ore 1.55. Scossi la testa, maledicendomi in ogni lingua conosciuta e non.
Grazie al cielo avrei avuto il week-end per riposare e tentare di ambientarmi, prima di iniziare i corsi.

Uscii dall’auto e presi dal bagagliaio i due pesanti trolley in cui avevo in qualche modo fatto entrare 19 anni -appena compiuti- della mia vita.
Spensi l’auto e mi incamminai frettolosamente verso la porta d’ingresso della palazzina, pregando di non morire assiderata prima di arrivarci.
Visto da fuori, sembrava un edificio d’epoca.
Varcai la porta d’ingresso e con gran sollievo trovai la portinaia del dormitorio ancora lì.

< Buonasera > Ansimai, disattorcigliandomi la sciarpa da attorno al collo. < Sono… >

< Isabella Swan. La ritardataria > Mi interruppe lei, senza nemmeno sollevare lo sguardo dai suoi cruciverba.
Rimasi in silenzio, imbarazzata e colpevole, aspettando che aggiungesse qualcosa.

< Primo piano, terza porta a destra > Gracchiò lei, allungando un braccio fuori dal gabbiotto di vetro in cui se ne stava appollaiata e facendo penzolare dalla mano una piccola chiave argentata.

< Grazie > Risposi a mezza voce, prendendola.
Immediatamente, la donna ritrasse il braccio e tornò a concentrarsi sul giornalino di parole crociate che teneva in grembo.
Rimasi a fissarla per alcuni istanti, indecisa se chiederle alcune informazioni di cui avevo bisogno o lasciar perdere.
Quando si accorse che non me n’ero ancora andata, sollevò lentamente la testa e mi lanciò un’occhiata torva.

< Ti ci devo accompagnare io?! > Disse acida.
Mi convinsi che forse non era una buona idea.
Stupita da tanta asprezza, scossi la testa ed afferrai i manici dei miei due trolley, dirigendomi verso l’ascensore.
L’atrio, ampio e sontuoso, era illuminato da un grande lampadario antico. Le pareti erano di pietra, così come il soffitto a volta.
Era un edificio moderno, ma che conservava e riproduceva il fascino dell’arcaico.
Continuando ad ammirare l’ambiente circostante, premetti il tasto di chiamata dell’ascensore, le cui porte si aprirono all’istante di fronte a me.
Caricai all’interno i bagagli e salii al primo piano.
Quando le porte si riaprirono, mi ritrovai di fronte un lungo e stretto corridoio.
Le pareti erano letteralmente ricoperte di targhe, riconoscimenti e articoli di giornale incorniciati.
Mi avvicinai per guardare meglio; venivano sbandierati con orgoglio tutti i successi ed i grandi obiettivi che erano stati raggiunti dall’Università, o da suoi ex-studenti, come fossero stelline sulla divisa di un boy-scout. 
Probabilmente un’Università di quello spessore poteva permetterselo; in ogni caso, per essere il corridoio di un dormitorio studentesco era un po’ troppo intimidatorio, a mio parere.
Sembrava una raccomandazione (per non dire una minaccia) a non essere da meno, per tenere sempre alto il nome della University of Alaska Fairbanks.
Procedetti fino alla terza porta a destra, e dopo qualche respiro di auto-incoraggiamento infilai la chiave nella toppa.
Cercai di fare meno rumore possibile; non sarebbe stato certo un buon primo passo svegliare i miei futuri compagni nel bel mezzo della notte.
Ma come aprii la porta, trovai tutte le luci della camera accese, e a poco più di un metro di distanza da me quella che doveva essere la mia coinquilina. Era alta, bionda e per qualche strana ragione abbronzatissima; mi fu subito chiaro che non poteva essere di quelle parti.
Indossava già il pigiama e teneva stretta tra le mani una pila di buste rosa.

< Isabella Swan! > Strillò, rivolgendomi un sorriso a 32 denti.
Quell’inaspettata scarica di entusiasmo -alle 2 di notte poi- mi fece sobbalzare.

< Ehm… ciao > Dissi, abbozzando un sorriso a mia volta.

< Oh, accidenti! Ti ho aspettata tutto il pomeriggio, avevo preso dei muffins buonissimi da mangiare con te, ma non arrivavi e li ho dati ai ragazzi del terzo piano. Credevo che ormai arrivassi domani! Ma via, meglio così. Dammi! Ti aiuto a portare dentro le valigie! Comunque non preoccuparti per i muffins, domani vado a prenderne degli altri! Li devi assolutamente assaggiare, sono più che divini >.
Non avevo mai conosciuto nessuno capace di parlare tanto, e tanto in fretta.
Ero talmente rintronata da non riuscire a dire una parola.

< Oddio, scusami, non ti ho neanche detto il mio nome; sono Tessa > Aggiunse, tendendo una mano verso di me.
Finalmente ci fu in istante di silenzio.
Le strinsi la mano, cercando di sorridere nella maniera più briosa possibile.
Non ero mai stata una campionessa di socialità, ma di fronte a tanta esaltazione mi sentivo letteralmente un manico di scopa.

< Bella > Dissi, cercando di ‘rettificare’ il mio nome, che a quanto pare conosceva già.

< Ok Bella, adesso vieni con me. Disferai le valigie domani > Fece lei sbrigativamente, afferrandomi per un polso e trascinandomi con sé di nuovo in corridoio.

< Che… > Cercai di protestare.

< Io e te daremo una festa, qui da noi, sabato sera. È per festeggiare l’inizio del nuovo anno! E se si dà la prima festa dell’anno si acquistano punti; mi spiego? È il modo migliore per farsi conoscere. L’ho fatta già l’anno scorso, quand’ero matricola anch’io, e ti assicuro che è stato un successone >
Ero troppo scombussolata per riuscire a star dietro a ciò che diceva.
La mia testa era rimasta ferma alla frase ‘io e te daremo una festa’.
Proprio l’ultima cosa al mondo che avrei voluto.
Ma sentivo che controbattere sarebbe stato del tutto inutile; senza contare che non avrei saputo trovare il momento per farlo, dato che Tessa parlava tanto velocemente da farmi sospettare che non respirasse nemmeno.
Quando il suo monologo si interruppe, il mio sguardo si posò sulle buste che teneva in mano; evidentemente erano inviti. Ed erano parecchi.
Non avevo avuto più di venti secondi di tempo per guardare il nostro bilocale, ma ero sicura che ci fossero più buste tra le mani di Tessa che metri quadri lì dentro.

< E perché li distribuisci alle due di notte? > Chiesi, ingenuamente.
Tessa si strinse nelle spalle.

< Perché durante il giorno la signorina Headmith sorveglia le scale come un cane da guardia. Sai, non sarebbe permesso a noi ragazze salire al terzo piano, quello maschile >
Ottimo. Non avevo ancora disfatto le valigie e già stavo per infrangere le regole dell’istituto; e lo avrei rifatto il sabato seguente, dando una festa di nascosto nel mio appartamento.
Tessa richiuse silenziosamente la porta della nostra camera e si avviò in punta di piedi verso le scale, che affiancavano l’ascensore. A metà strada si voltò, per essere sicura che la stessi seguendo.
Ed io, sebbene molto perplessa, lo stavo facendo.
Salimmo senza fare rumore due piani di scale.

< Ok, io penso al lato sinistro e tu a quello destro > Sussurrò lei, mettendomi in mano una quindicina di buste.
Senza fare domande, iniziai a percorrere il lungo corridoio, infilando sotto ciascuna porta un invito.
Una leggera melodia, proveniente da chissadove, aleggiava nell’aria, facendosi sempre più forte man mano che procedevo.
Avevo già imbucato 5 inviti, quando mi accorsi che Tessa, giunta davanti alla camera 3B, la ignorò completamente e passò avanti.

< Hai saltato quella porta > Le feci notare sottovoce.
Lei si girò a guardarmi e soffocò una risata.

< Sarebbe uno spreco di carta, Bella > Bisbigliò in risposta.
La guardai confusa.

< Chi sta alla 3B? > Chiesi.
Mentre lo domandavo, mi resi conto che la melodia proveniva proprio da quella stanza. Qualcuno stava suonando un pianoforte. Era una musica lenta, nostalgica. Ne rimasi ipnotizzata.
Tessa appoggiò la schiena al muro ed alzò un sopracciglio.

< Cullen, il figlio della Rettrice > Rispose a bassa voce, scandendo il suo nome con disprezzo. < E del dottorone > Aggiunse, con tono altrettanto infastidito.
Continuavo a non capire dove stesse il problema.

< Quindi.. pensi che se lo invitassimo farebbe la spia con sua madre? >
La mia domanda scatenò nuovamente una sua risata.

< Diavolo, mi auguro di no! Sarebbe il colmo > Ridacchiò in un bisbiglio; < Ci sono già abbastanza cose di lui che lo rendono insopportabile, spero non sia anche così viscido >

< Quali sarebbero queste cose? > Insistetti, incuriosita. Per qualche ragione, non riuscivo a lasciar perdere la questione.

< Beh > Fece Tessa, stringendosi nelle spalle < È un raccomandato. Ha la camera più grande ed è l’unico a non dividerla con nessuno. Per non parlare dei suoi fratelli adottivi, che possono addirittura permettersi di vivere in appartamenti propri fuori dal campus >
Rimasi a fissarla con un sopracciglio inarcato, in attesa che aggiungesse qualcosa. Mi sembrava un motivo un po’ troppo debole per poter definire una persona ‘insopportabile’.

< Ed è spocchioso > Aggiunse lei precipitosamente, vedendomi poco convinta.

< Con il viso che si ritrova ovviamente è già stato invitato a milioni di feste. Non c’è ragazza nell’intero dormitorio che non abbia provato a farlo… alcune feste sono state addirittura organizzate proprio per invitare lui. Ma non si è mai degnato di venire, né di ringraziare per gli inviti >
Si interruppe un momento, poi incrociò le braccia al petto ed annuì con serietà.

< Questa è maleducazione. E non si tratta solo delle feste; non partecipa mai a nessuna iniziativa di gruppo: cinema, concerti, ... Mai conosciuta persona più asociale >.
Nell’ascoltare quelle critiche, a mio parere piuttosto superficiali e inconsistenti, mi resi conto che probabilmente non conosceva affatto la persona di cui stava parlando.
Rimasi in silenzio, lasciandomi trasportare dalle note malinconiche di pianoforte che provenivano da dietro quella porta. E allora riconobbi la melodia: era Clair de Lune di Debussy.
Mi chiedevo come potesse essere tanto disprezzabile una persona capace di suonare in quel modo. La sua musica parlava… e non trasmetteva né spocchia né maleducazione, ma solo una profonda tristezza.
 
< E cosa fa da solo tutto il giorno? > Chiesi in un sussurro. Era più un pensiero tra me e me che una domanda rivolta a lei.
Tessa fece un cenno con il mento verso la porta della camera. < Suona il pianoforte. Legge, credo. Non lo so, forse gioca a scacchi da solo > Fece sarcastica.
Poi aggiunse a bassa voce:
< È deprimente che non sappia divertirsi alla sua età >
Rimasi ferma a fissare la targa ‘3B’ affissa sulla porta per alcuni istanti.

Mentre Tessa già si stava dirigendo verso la porta successiva, dissi con fermezza:
< Invitiamolo. >
L’espressione stupita e assieme scocciata che mi rivolse la ragazza mi fece arrossire.

< Dico sul serio, ascolta la sua musica… è così malinconica… non sembra anche a te? Forse nemmeno a lui in fondo fa piacere essere così solitario >
Per un istante la melodia si arrestò. Rimasi senza fiato, temendo di essere stata sentita. Ma un secondo dopo, con mio profondo sollievo, riprese.

Tessa mi guardò in cagnesco < Santo cielo Bella, non verrà. So di aver detto che è particolarmente carino, ma non preoccuparti, prometto che ci saranno molti altri bei maschioni alla festa > Sbuffò.
Arrossii ancor più violentemente, capendo di essere stata totalmente fraintesa. Ma non ribattei, e in silenzio la seguii lungo il corridoio.
5 minuti dopo avevamo distribuito tutti gli inviti a quel piano. Con la sola eccezione del ‘figlio della preside’, di cui ancora non avevo conosciuto il nome.
Tessa, il cui umore migliorava esponenzialmente ogni volta che infilava una busta sotto ad una porta, sembrava assai soddisfatta.

< Ottimo lavoro Bella, ti ringrazio. Ora finiamo con i due piani femminili e poi dritte a letto, d’accordo? >.
Mi chiese di occuparmi del secondo piano, mentre lei avrebbe distribuito gli ultimi inviti al primo.
Facendo mentalmente un rapido calcolo, mi resi conto che se fossero venuti tutti, ci saremmo trovati in 60 ammassati in un minuscolo bilocale. Ma Tessa, dall’alto della sua esperienza, mi aveva già ripetuto almeno tre volte che a queste feste non veniva mai più del 50% degli invitati.
Mi auguravo che avessero ragione.
In ogni caso, avevo già deciso che per non condannare fin da subito la mia vita sociale, il sabato seguente avrei bevuto abbastanza birra da essere brilla ad inizio festa. La mia già scarsa capacità di socializzazione aveva bisogno di una leggera spinta.
Tessa, raggiante, iniziò a scendere le scale per tornare al nostro piano.
Io scesi i primi due scalini, ma poi mi fermai.
Esitai un istante, e li risalii, dirigendomi a lunghi passi verso la camera 3B.
Era una questione di principio: avrei invitato anche quel ragazzo.
Alla peggio, se era vero ciò che aveva detto Tessa, non si sarebbe presentato e la cosa sarebbe finita lì.
Mi chinai per infilare un invito nello spiraglio sotto alla porta, ma un attimo prima che lo facessi, questa si aprì con un leggero cigolio.
Rimasi china, immobile, senza fiato. Ero appena stata beccata alle due di notte passate, su un piano del dormitorio che chiaramente non era il mio, piegata davanti ad una porta a fare non si sa bene che cosa.
Sentii le guance prendermi fuoco, mentre mi rialzavo. Sollevai lentamente lo sguardo, sperando che il terreno mi crollasse sotto ai piedi.
Il silenzio era tombale.
Sussultai leggermente, quando il mio sguardo incontrò il suo.
Erano occhi inverosimili, di un colore castano/ocra che ero certa di non aver mai visto prima. Caldi ed estremamente espressivi.
Quando spostai l’attenzione sul resto del suo viso, rimasi ancor più senza fiato.
La perfezione dei suoi lineamenti era quasi inquietante.
Mentre me ne stavo lì impalata, come in trance, incapace di aprire bocca, lui allungò un braccio e mi sfilò di mano la busta rosa che stavo per infilare sotto la sua porta.

< Cos’è? > Chiese con tono pacato. La sua voce era di una morbidezza disarmante.
Deglutii con fatica, per ritrovare la voce.

< È… un invito. Per una festa > Risposi, cercando di apparire il più disinvolta possibile. Ma non ero brava a mentire.
Il ragazzo si rigirò la busta tra le dita per alcuni istanti, con fare pensieroso.
Poi tornò a posare i suoi occhi su di me.

< Non amo le feste. Ma grazie lo stesso > Disse educatamente.
Afferrò la maniglia della porta e lentamente la tirò verso di sé; ma un momento prima che si chiudesse del tutto esitò, e sussurrò un fugace < Buonanotte >.
   
 
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