FIRENZE, 6 ANNI PRIMA
«Raccontami una storia, non riesco a dormire.»
Mento. Sdraiata su questo petto potrei anche morire e mi ritroverebbero con un bel sorriso stampato in faccia.
Andrés mi guarda dall’alto verso il basso con un’espressione divertita: «Dovrei considerarla un’offesa?»
Mi metto a ridere piano mentre giro il viso e poggio il mento sopra la sua pelle, assaporando ogni singolo respiro: «Dai su, raccontami una storia.» insisto.
Lui sospira anche se so che finge di essere scocciato, chiude gli occhi e inizia a recitare: «Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura che la diritta via era smarrita.»
«No, no.» protesto e lui apre un occhio solo, sembra stia per scoppiare a ridere: «Voglio sentire una delle tue storie.»
Ci pensa un attimo, il suo braccio mi cinge completamente e spinge il mio corpo più vicino al suo viso: «C’erano una volta tre uomini che volevano entrare alla Banca di Spagna…»
***
BANCA DI SPAGNA, PRESENTE
Il ragazzo mi porta in bagno, forse è un effetto psicologico ma sento davvero il bisogno di far pipì, slaccio la tuta e quando sto per chiudere la porta lui mi blocca.
«Ti piace guardare?» lo provoco.
«Ordini superiori.»
Fingo stupore mentre faccio quello che devo fare, la testa china tra le mani e i capelli che coprono il sorriso.
La storia della Banca di Spagna ha accompagnato quasi tutte le mie notti anche quelle in cui Lui non era al mio fianco, per paura di dimenticarla l’avevo annotata su un quaderno e senza rendermene conto la favola aveva preso le sembianze di un vero e proprio piano per una rapina.
Eccomi, io sono qui.
E tu non ci sei.
A questo pensiero il sorriso si cancella in automatico, esco dal bagno e mi fermo davanti allo specchio dopo aver pulito le mani con cura.
«Muoviti.»
Guardo il ragazzino.
Se Lui fosse qui probabilmente lo avrebbe già messo al suo posto. Anzi, sono convinta che se nemmeno lo avrebbe chiamato per un progetto di proporzioni così vaste.
Alzo la mano sopra la testa, da bravo soldato lui alza il mitra minacciandomi di uccidermi.
Tolgo questa stupida parrucca nera lasciando liberi capelli biondi, non ho bisogno dello specchio per togliere le lenti verdi così da mostrare gli occhi nocciola profondi. In un rapido gesto cancello i nei marroncini che avevo disegnato sul volto.
«Ma tu chi cazzo sei?» sbotta il ragazzino preso in contropiede e abbassando leggermente l’arma.
Raddrizzo le spalle e cammino decisa in sua direzione coi tacchi che echeggiano per tutto il bagno: «Dovrei parlare con il Professore, ne avete un disperato bisogno.»