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Autore: MaxB    10/05/2020    5 recensioni
Ossessionata dalla saga de La Passe-Miroir, non riesco a pensare ad altro da settimane.
E ho bisogno di approfondire alcune scene dei primi tre (e spoiler del quarto) volumi.
Ci saranno missing moments, scene descrittive relative a Thorn, soprattutto alla sua infanzia, e immersioni nei dialoghi tra Ofelia e Thorn, per come me li immagino io. Ed eventuali scene mancanti che ci starebbero bene.
Per possibili spoiler sul quarto volume verranno dati avvisi in cima alla pagina.
Aggiornamento irregolare.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ringrazio la mia carissima Itsellie per il meraviglioso spunto. E allo stesso tempo mi scuso, perché non sono soddisfatta della riuscita ç.ç Spero di non aver deluso le tue aspettative.
Itsellie mi aveva richiesto una specie di evoluzione alternativa: cosa sarebbe successo se Ofelia avesse detto a Thorn che era lui il motivo per cui si trovava a Babel? Il mio problema è che considero tutto quello che la Dabos ha scritto pura perfezione. Non c'è nulla che vorrei cambiare nei libri, nemmeno se questo significasse aggiungere qualche scena romantica o cambiare certi dialoghi. Quindi non mi sentivo in grado/autorizzata/serena all'idea di modificare un'intera storia.
Ho cambiato qualcosina, ho descritto un'Ofelia un po' più sincera con se stessa, ma molte descrizioni e dialoghi sono pedissequi al libro. Se fate un confronto lo notate: ho letteralmente copiato il capitolo. Allo stesso tempo vorrei ottenere questo effetto: far credere che questo capitolo rivisitato sia quello originale, confondere il lettore in modo da fargli chidere, alla fine, quale sia quello vero. Ma non pretendo di esserci riuscita, anzi, la mia era solo una spiegazione della mia idea di base. Uff. Grazie comunque a tutti per la lettura, sono aperta alle critiche e ai suggerimenti^^" (vi prego non siate troppo cattivi).

L’Attraversaspecchi III, La Memoria di Babel, L’Automa, pagine 275-284

8. Pourquoi etes-vous venue à Babel?

 
- È arrivata l’apprendista virtuosa. Ho alcune direttive da darle. Riprenderò il trattamento delle richieste bibliografiche appena terminato con lei. Fine comunicazione.
Spense il microfono, si tolse le cuffie e fece ruotare lo sgabello rimanendo poi immobile così a lungo che Ofelia si stava chiedendo se si aspettasse una qualche iniziativa da lei quando si rese conto che la stava esaminando meticolosamente dalla testa ai piedi. Ancora una volta, com’era accaduto poche ore prima, sotto la doccia, le parole di Mediana le risuonarono nella testa: “Detesti essere trattata da bambina, ma di fronte a un uomo sei e rimani una mocciosa senza esperienza”.
Davanti allo sguardo severo e inflessibile di Thorn si rese conto che quelle parole le facevano così male, la disturbavano tanto, perché erano terribilmente vere. Lei era una mocciosa di fronte a Thorn, quell’uomo che aveva sposato e non aveva più visto per praticamente tre anni. Si sentiva una bambina.
Eppure, la sensazione che suscitavano in lei gli occhi metallici e profondi di Thorn, ne era certa, una bambina non avrebbe mai potuta provarla. Si sentì nuda ancora una volta mentre lui la scrutava, registrando i cambiamenti che il suo corpo aveva subito durante la lontananza temporale e fisica. Ringraziò le atroci corse mattutine che almeno l’avevano aiutata a perdere peso. I tagli, invece, parvero riaprirsi uno dopo l’altro via via che Thorn la scrutava.
- Perché siete venuta a Babel?
Una erre scricchiolante come ghiaccio, consonanti dure come la pietra: Thorn aveva ripreso l’accento del Nord. Sentire la sua voce, non quella di sir Henry, ma quella di Thorn dopo tre anni, fu un tale shock che Ofelia temette che le cedessero le gambe. Qualcosa si mosse nella sua pancia, qualcosa che lei non avrebbe saputo come definire; non era fame, quello era certo. Inoltre, quando capì che Thorn stava parlando a lei, Ofelia, e non a Eulalia, perse ogni capacità di ragionare.
Com’era accaduto troppo spesso in passato, di fronte ad una domanda così diretta e alla sorpresa di averla ricevuta rispose di getto, facendo uscire dalle sue labbra la struggente e imbarazzante verità: - Cercavo voi.
Fece una piccola smorfia, quasi impercettibile. Avrebbe potuto dire che non ce la faceva più a stare dai suoi genitori, ma sarebbe stata una risposta idiota; l’altro pensiero che stava per scapparle di bocca, però, era decisamente peggio: non ce la faceva più a stare lontana da lui. Fortunatamente lo aveva bloccato in tempo. Non aveva fatto granché in quegli anni, non lo aveva cercato approfonditamente, si era solo chiusa in camera, in se stessa, in attesa. Non aveva lavorato alacremente come Gaela, Renard e persino Archibald, non aveva compiuto un’impresa titanica come quella di Thorn, che era diventato un Lord di Lux, una figura ancora più importante e potente di quella che ricopriva al Polo, come intendente. Però la sua risposta era sincera. Lo aveva cercato, se non fisicamente, almeno con la mente, e in quel momento, avendolo davanti, avendolo trovato, si sentì più a casa di quanto non lo fosse stata per tutta la sua vita, né su Anima, né al Polo.
Lì, a Babel. Con un individuo che si nascondeva dietro un’identità fittizia. Fu presa da una vertigine ma non barcollò.
Thorn, marmoreo sullo sgabello, era in attesa. La gola di Ofelia pulsava talmente da farle pensare che il cuore vi si fosse trasferito.
- Sono rimasto stupito quando ho visto che la sostituta di Mediana eravate voi. Anche qualcosa di più.
Ofelia stentava a crederlo, data l’impenetrabilità del suo viso. Quell’affermazione però le dava anche da pensare. Se era rimasto stupito, ma non lo dava a vedere, poteva essere che fosse anche felice, ma l’occultasse allo stesso modo? Poteva essere che anche lui si sentisse come lei, dopo tutti quei mesi, anni divisi? Gli era mancata quanto lui era mancato a lei?
Il pensiero le fece mancare il fiato più di quanto non avesse fatto la presenza stessa di Thorn. Ammettere così sinceramente che lui le era mancato... i suoi occhi da sparviero la facevano sempre straparlare, non solo con lui, ma anche con se stessa, ammettendo verità nascoste che da sola non avrebbe mai potuto capire. Oltretutto, lui, prima di andare via, le aveva detto...
“A proposito: vi amo”. L'eco lontana di quell’ammissione la colpì come uno sparo nel silenzio. Le girava la testa. Quelle quattro parole impacciate che Thorn  le aveva sussurrato subito prima di sparire dalla sua vita erano lì, reali, e se lei, che non lo aveva mai ammesso, sentiva con prepotenza di amarlo, lo stesso doveva valere per Thorn, che aveva trovato il coraggio di confessarglielo.
Lui aveva fatto la sua mossa, ora toccava a lei.
- Siamo stupiti in due. Se avessi saputo che eravate il famoso sir Henry avrei...
- Potreste essere Dio.
Colta alla sprovvista, Ofelia fece cadere al suolo i rapporti di Mediana.
- Credete che io... che sia...
- Avreste potuto esserlo. Anch’io, del resto. Dio conosce i nostri volti.
Era un’osservazione talmente elementare che Ofelia si vergognò di non averci pensato prima.
- È vero. Per fortuna Dio è un pessimo imitatore. Se mi aveste accolto con il sorriso sono sicura che avrei diffidato.
Thorn non fece commenti. Con la sua battuta Ofelia aveva sperato di distendere l’atmosfera. Non si aspettava certo che lui ridesse o anche semplicemente sorridesse, e nemmeno che cambiasse argomento per chiederle come stesse o cosa avesse fatto in quel periodo senza di lui, anche se lei ci sperava. Il fatto che però fosse rimasto coerente, che non fosse cambiato e si comportasse ancora in modo così pragmatico e inquisitorio la risollevarono: se era ancora se stesso voleva dire che provava ancora gli stessi sentimenti per lei, giusto? Non poteva essergli indifferente.
Tac-tac!
Era l’orologio da taschino. Ofelia si fece pizzicare le dita cercando di estrarlo dalla tasca.
- Ecco un testimone al disopra di ogni sospetto che dovrebbe convincervi che non sono Dio.
Si vergognò della voce incerta. Da quando era entrata in quella stanza si comportava come una bambina spaurita, proprio come Mediana aveva insinuato. All’epoca in cui non conosceva Thorn e aveva tutte le ragioni di temerlo non aveva provato nemmeno la metà dell’apprensione che la paralizzava in quel momento. Quell’uomo aveva aperto in lei una breccia che la rendeva insopportabilmente vulnerabile, in un modo che non aveva mai sperimentato prima.
Temeva di non essere amata da lui. Che situazione inadeguata per pensare una cosa del genere, però non poté fare a meno di rendersi conto che era esattamente così che Thorn doveva essersi sentito durante il loro fidanzamento. Non sapeva da che momento, di preciso, si fosse infatuato, ma era sicura che fosse molto, molto prima di lei. Del resto, lo stava ammettendo sinceramente e apertamente a se stessa solo in quell’istante, nonostante avesse letteralmente attraversato mezzo mondo per trovarlo.
Essere in bilico la straziava. Si pentì di essere stata così cieca per tutto quel tempo: avrebbe potuto risparmiare a Thorn un bel po’ di sofferenza.
Lui si alzò distendendo l’interminabile colonna vertebrale. Il movimento osseo suscitò un cigolio metallico nella gamba. Ofelia lo preferiva seduto. Era già abbastanza intimidita così, non aveva proprio bisogno di sentirsi schiacciata dalla sua altezza. Voleva poterlo guardare negli occhi, avere il suo viso a pochi centimetri dal suo, non lì in alto, a svettare su di lei.
Thorn non fece un passo verso di lei, non mosse un muscolo, non allungò un braccio. Rimase solo in piedi, fermo.
- Avete detto che siete venuta perché mi cercavate. C’era un motivo?
Ofelia fu presa in contropiede da quella domanda. C’era un motivo se lo cercava? Che domanda era, posta con così tanta serietà, poi?
Boccheggiò in silenzio prima di trovare il fiato per rispondergli. – Siete sparito senza lasciare traccia! Avevo… avevo risolto le cose con il sire Faruk. Avevo onorato il patto da parte vostra, gli avevo dato ciò che desiderava. Stavamo per tornare a dirvelo quando abbiamo trovato la cella carceraria vuota. Perché siete scappato? Si sarebbe sistemato tutto se solo mi aveste dato tempo!
Ofelia si rese conto di essere indignata, anzi, furente. Se solo Thorn avesse atteso, si fosse fidato, loro avrebbero trascorso insieme quei tre anni, al Polo, senza più nomee o epiteti fuori luogo per lui, che sarebbe stato insignito da Faruk del suo rango cancellando l’onta della sua nascita immorale. Invece si trovavano lì…
- Come sta mia zia?
Ofelia impiegò un po’ troppo tempo ad elaborare la domanda. Thorn era pacato ma rigido, per nulla scalfito dalla sua sfuriata o dalle sue rivelazioni. Sembrava quasi che non l’avesse sentita. Non aveva nemmeno fatto cenno di volersi riprendere l’orologio che lei gli porgeva, così Ofelia abbassò le braccia e continuò a stringerlo nel palmo per bloccarne i tac-tac nervosi.
Parlarono come due individui che non si vedono da molto tempo e si rivolgono a vicenda domande di circostanza, ma Ofelia avrebbe voluto urlare invece di sottoporsi a quell’interrogatorio: se era sola, se aveva una buona copertura nei panni di Eulalia, se c’era il rischio che le Decane li scoprissero.
Quando finalmente Thorn si mosse, con l’intento forse di fare un passo verso di lei, la meccanica che fungeva da esoscheletro alla gamba si bloccò a metà movimento. Thorn si aggrappò per un pelo alla consolle dell’Ordinatore per non perdere l’equilibrio.
Ofelia accennò un gesto, ma Thorn la prevenne: - Faccio da solo.
Obbedì, ma nulla le impedì di avanzare per avvicinarglisi, scrutandolo meglio così come lui aveva fatto con lei. Provò un tuffo al cuore osservando le sue mani inguantate che armeggiavano sapientemente con l’armatura, i suoi fini ma folti capelli chiari, il viso spigoloso e il naso severo, il cipiglio tra le sopracciglia e le cicatrici che si confondevano con il pallore della pelle liscia. Un sentore intenso di alcol farmaceutico la colpì, penetrando a fondo in lei. Era un odore del tutto sbagliato in quel contesto, eppure, in qualche modo, riusciva a ricondurlo a Thorn.
Quando si raddrizzò, dopo aver sbloccato il meccanismo con un baccano infernale, Ofelia si sentì schiacciare dalla sua altezza. Era stato un errore avvicinarglisi.
- Tocca a voi, se avete domande da fare. Preferibilmente non sulla mia gamba.
Ofelia non sapeva da che parte iniziare. Non aveva qualche domanda, aveva una cascata di interrogativi e confusione in testa. I suoi occhi però non abbandonavano il simbolo del sole cucito sulla camicia di Thorn.
Intercettato il suo sguardo, lui rispose senza che lei dovesse porre la domanda. Le spiegò cosa ci facesse quel simbolo sul suo petto, che ruolo ricoprivano i Lord di Lux e lui in tutto quello, e Dio, e come fosse arrivato lì dopo la sua fuga, anche se a spizzichi e bocconi.
Quando vide il fremito che gli percorse la mascella, capì che stava per chiederle di allontanarsi, di non ficcare il naso e tornare da dove era venuta. Quella volta non lo avrebbe permesso.
- Thorn, resterò a Babel, che lo vogliate o no. Checché ne dica Lady Septima, qui si sta tramando qualcosa… qualcosa di grave. Non so ancora cosa stiate combinando voi, ma prima che vi opponiate alla mia decisione, sappiate che…
- Non mi opporrò.
Con un movimento repentino, Thorn aveva annullato la distanza tra loro, abbassandosi a livello del suo viso. L’improvvisa vicinanza avrebbe dovuto metterla in allarme e spingerla ad allontanarsi, ma i suoi occhi erano ipnotici, e lei si rese conto di non averli mai scrutati così a fondo. Sbagliava a definirli metallici, sebbene il bagliore che proiettavano nella penombra fosse proprio quello del metallo. In realtà erano di un grigio intenso, a metà tra l’antracite e la quarzite, un mare in tempesta e un cumulo di nubi elettrostatiche. A giudicare dal fuoco che vi ardeva dentro, Ofelia capì che dentro di lui il nubifragio era già scoppiato.
Non vide le sue mani, ma ne sentì il contatto, guanto contro guanto, in basso. Credeva che volesse riprendere l’orologio, così glielo lasciò fare, ma anche quando l’oggetto gli venne passato Thorn non allontanò le dita. Anzi, le allungò, afferrandole il polso, come per trattenerla ed impedirle la fuga. La forza della stretta era pari a quella del suo sguardo.
Ofelia arrischiò un piccolo respiro quando si rese conto di averlo trattenuto, e condivise la medesima aria che respirava Thorn, il suo fiato fresco sul viso accaldato. Sentiva ancora l’odore di alcol disinfettante, e non capiva se quell’essenza la stesse aiutando a mantenere la lucidità o la stesse invece confondendo, annebbiando.
- Sono d’accordo con voi – rilanciò Thorn, in un bisbiglio. La sua voce le penetrò nell’anima, facendole vibrare il sangue e sussultare lo stomaco. Si scordò dov’era per un secondo. – Si sta tramando qualcosa. Io ho bisogno di uno sguardo all’esterno del Secretarium e voi di uno sguardo all’interno. Una collaborazione farà comodo a tutti e due. Fianco a fianco, però. Insieme. Che ne dite?
Vacillò quando Thorn disse “insieme”. Per tutto il tempo in cui erano stati fidanzati, da quando lo aveva conosciuto, per lui c’era stato solo lui stesso. Io, io, io. Io vado, io dico, io faccio, io vi ordino. Mai un noi, un insieme. Una collaborazione. La presa di Thorn sul suo polso si fece più stretta e morbida al tempo stesso, come accarezzandola.
Ofelia sapeva di non avere voce, le sue corde vocali erano come atrofizzate, incapaci di svolgere la loro funzione. Annuì semplicemente, battendo le palpebre più volte, ma quei gesti non servirono a cancellare lo sguardo famelico e il fiato fresco di Thorn, che la stavano obnubilando come le bolle di confusione dell’Immaginatoio.
Si rese conto che si stava avvicinando ancora di più al suo viso quando anche lui fece lo stesso, inclinando leggermente la testa. Vedeva così chiaramente i peli chiari delle sopracciglia, la cicatrice che ne attraversava una, le rughe che gli solcavano la fronte contratta. Chiuse gli occhi, incapace di registrare altri dettagli, e sentì le gambe cederle quando le labbra calde di Thorn sfiorarono le sue, dolcemente, quasi senza toccarle davvero.
Era in attesa di una conferma o di un rifiuto; non si era dimenticato di quando aveva ripetuto quel gesto, una vita prima, sotto la pioggia scrosciante, su un’alta Arca. Non si era scordato lo schiaffo che ne era seguito.
Che fosse per quello che le teneva ancora il polso? Voleva evitare che lo colpisse di nuovo? Era forse quello il motivo della sua titubanza? Non gli aveva detto che era arrivata lì per lui?
Ofelia schiuse le labbra, sul punto di perdere il controllo e avvinghiarsi a lui, sentirlo contro il proprio corpo, pronta ad assaggiare la sua bocca. Non si sentiva più una bambina, in quel momento, nemmeno lontanamente. Era inesperta, ma in qualche modo sapeva che avrebbe saputo cosa fare, come se anche quella fosse una seconda memoria che la indirizzava.
Invece, sulla consolle dell’Ordinatore le cuffie emisero un ronzio, segno che qualcuno stava cercando di stabilire una comunicazione. Era la voce di Lady Septima.
Ofelia indietreggiò, temendo quasi che Lady Septima potesse vederli, invece che parlare.
Thorn contrasse le labbra, i suoi occhi si raffreddarono e Ofelia poté giurare di vedere una certa frustrazione attraversargli il volto prima di tornare impassibile. – Non può sentirci.
L’incantesimo però era rotto, Ofelia sapeva di non poter più… restargli così vicina con quell’aggeggio che diffondeva ovunque la fastidiosa e imperiosa voce della precettrice.
- Sa chi siete veramente?
Thorn capì che Ofelia non si sarebbe più avvicinata, così si raddrizzò lasciandole il polso, allontanandosi a sua volta. Le spiegò velocemente e metodicamente, come suo solito, cosa ci facesse lì, chi sapesse di lui e perché. Capì anche per quale motivo gli serviva qualcuno che esaminasse il manoscritto come Mediana aveva fatto prima di lei, ma Thorn non volle contaminare il suo giudizio con un parere personale o una speranza.
Poi, nelle cuffie la voce di Lady Septima aumentò di volume, i “Pronto! Pronto!” si fecero più insistenti. Thorn tornò allo sgabello con rigidità meccanica, ma ancora non accese il microfono. Si prese alcuni istanti per dare ad Ofelia gli ultimi ordini, muovendo velocemente le mani su cavi e pulsanti. Ascoltando ciò che le diceva, si estraniò e una parte di lei si lamentò. Sarebbe finita così, dunque? Lui sarebbe tornato al suo lavoro e lei anche? Senza… senza cosa? Ofelia si sentì arrossire e fu grata che Thorn le stesse dando l’ampia schiena in quel momento. Del resto, lui non si era nemmeno accorto dell’effetto che le sue parole avevano prodotto su Ofelia.
- Ecco… stavo pensando di lasciare la Buona Famiglia.
Thorn fece ruotare lentamente lo sgabello verso di lei. Niente in lui esprimeva disapprovazione, eppure Ofelia si sentì gelare le ossa. Provò a spiegargli in che modo gli sarebbe stata utile uscendo da quel posto. Oltretutto, erano sposati, quindi… che male ci sarebbe stato a stare con lui?
Il rifiuto di Thorn però fu categorico, e Ofelia sentì crollare ogni certezza. Non erano stati ad un soffio dal baciarsi, pochi istanti prima? Perché d’un tratto Thorn le sembrava di nuovo così distante, come se ci fossero interi oceani di nuvole a separarli? Sentiva le ferite causate dai vetri pulsare sotto la pelle; avrebbe voluto togliersi la toga per mostrarglieli, ma non lo fece, e scacciò il pensiero come se non le fosse mai appartenuto.
Si rivolsero qualche altra frase per definire il piano e Ofelia raccolse i fogli con un misto di confusione, stizza e… un divorante senso di vuoto.
Quando si raddrizzò per uscire, però, si rese conto che Thorn era di nuovo in piedi, con una mano sulle cuffie e una a grattarsi la gola.
Rimasero immobili troppo a lungo, Ofelia a chiedersi cosa Thorn volesse, e lui a racimolare il coraggio per farglielo capire.
Alla fine fu Ofelia a dover rompere il silenzio. - È tutto? Non avete altro da dirmi?
Qualsiasi cosa, purché non riguardi i nostri piani, Lady Septima o i Genealogisti, avrebbe voluto aggiungere. Qualcosa su noi due, su te o su me.
Thorn però non rispose: la puntò. Si avvicinò a lei con una tale determinazione che i suoi occhi sembrarono vibrare come l’aria scaldata dal fuoco, mentre l’armatura cigolava come se stesse agonizzando. Nonostante quell’impedimento Thorn le fu addosso in un attimo, costringendola ad indietreggiare nello slancio, la schiena premuta contro la porta fredda.
Il suo viso si fece di nuovo spaventosamente vicino, e ad Ofelia mancò completamente il fiato. - Vi ho già detto tutto quello che dovevo dirvi. E voi? Avete altro da dirmi?
Ofelia scosse impercettibilmente la testa. No, nemmeno lei aveva altro da aggiungere, o meglio, aveva troppe cose da aggiungere, cose che non sarebbe riuscita a dire in quel momento, con quegli occhi stretti a fessura che la inchiodavano alla parete.
Da dire non aveva nulla.
Sollevò una mano senza incertezze, la posò sul collo di Thorn e lo attirò a sé fino ad annullare la distanza tra di loro. Non fu come il bacio che si erano dati sulle mura, anni prima, quel bacio inaspettato che Thorn le aveva rubato e a cui lei aveva reagito in modo tutt’altro che prevedibile.
Fu un bacio vero, un’esperienza extracorporea e allo stesso tempo profondamente radicata in lei. Sentì prima di tutto la sua barba corta pizzicarle il mento e le guance, solleticandola; poi prese coscienza delle sue mani, che le avevano artigliato la vita, stringendola a sé e premendola contro la porta contemporaneamente, come se avesse lui stesso bisogno di un sostegno per non cadere. Eppure Ofelia pensò che c’erano troppe cose che non andavano: troppi vestiti, troppi guanti, troppo metallo, troppo tutto. Un’eccedenza di cose superflue di cui si sarebbe volentieri sbarazzata. Non si sentiva affatto una bambina, ma di una cosa era certa: se Thorn l’avesse spogliata lì, in quel momento, rendendola nuda e indifesa come una bambina, non si sarebbe opposta. Non provava nessuna vergogna.
Si aggrappò alla sua camicia stirata e candida, ringraziando che nella sala dell’Ordinatore la temperatura fosse più bassa che all’esterno: si sentiva andare a fuoco. Alla fine, dopo tre secondi dall’inizio del bacio, si sciolse contro le labbra di Thorn, assaporandone il contatto. Erano ferme e decise come lui, ma non rigide, sottili e fresche, ma non algide e meccaniche. Sembrava che fosse pratico degli ingranaggi di un bacio quanto lo era di questioni finanziarie o aritmetiche, eppure Ofelia aveva la certezza che quello, come per lei, fosse solo il secondo bacio della sua vita. Si lasciò guidare da lui senza interrogarsi troppo su cosa dovesse fare, schiudendo le labbra e sentendo la punta fredda del suo naso contro la guancia, carezzevole. L’odore di alcol farmaceutico la inebriava. Per quanto fosse penetrante, Ofelia non avrebbe voluto sentire nessun’altra essenza in quel momento.
Quando sentì la sua lingua bussare alle porte della sua bocca non ebbe esitazioni, e la lasciò entrare, avida. Lo spazio accanto a loro fu ben presto riempito dai loro respiri erratici e affannati, mentre lottavano per riprendere fiato cercando di allontanarsi il meno possibile l’uno dall’altra. Ofelia voleva infilargli una mano tra i capelli, ma sapeva che il guanto le avrebbe impedito di sentirlo come invece desiderava. In compenso gli accarezzò la guancia con il pollice, sebbene neppure quello fosse abbastanza.
Trattenne a malapena un gemito quando Thorn affondò i denti nel suo labbro inferiore, gentilmente eppure con forza, inducendola a desiderare di essere interamente divorata da quella bocca. Si sentì avvampare quando quel suono lasciò la sua gola e aprì un occhio per guardare l’espressione di Thorn. Sembrava che gli avesse dato tutt’altro che fastidio, perché i suoi occhi ardevano e in un muto consenso prese un respiro stentato e continuò a baciarla.
La voce irritata di Lady Septima tornò a gracchiare nell’interfono e spezzò la magia, bloccandoli sul posto, fermi come statue. Thorn non disse nulla, si limitò a lasciarle un bacio sul collo, lungo e umido, prima di darle la schiena e risedersi sullo sgabello, prendendo nuovamente le cuffie in mano.
Ofelia non sapeva quanta violenza lui si stesse facendo per non voltarsi a guardarla ancora, per non cedere alla tentazione di gettare per aria tutto e vivere in quel momento con lei, dimentico di responsabilità, guai, scadenze e nemici, di Lady Septima e del suo tono petulante.
Sì, era decisamente meglio non abbandonare la Buona Famiglia.
- Chiudetevi la porta alle spalle – le disse poi a mo’ di saluto.
Ofelia obbedì e, fuori dalla sala dell’Ordinatore si bloccò in mezzo al baccano dei cilindri e si morse il guanto con tutte le sue forze, cercando di schiarire gli occhiali rossi e il battito impazzito del suo cuore, di far scemare l’erubescenza delle sue gote e il fuoco che le ardeva negli occhi.
Trasse un respiro profondo. La cosa più importante era averlo ritrovato. Il resto sarebbe stato questione di tempo, per lui come per lei.
Doveva pazientare, non c’era altra soluzione. L’unica cosa che potesse fare era lavorare alacremente per fornirgli risultati concreti ed essergli d’aiuto, in modo da andarsene il più presto possibile, insieme. O in modo da rivederlo. Presto, era questione di ore il loro appuntamento successivo. Era pronta, era carica.
- Al lavoro! - mormorò dirigendosi verso la camera fredda.
 
 


Bonus (per cercare di rimediare a quanto sopra, terribilmente breve)
L’Attraversaspecchi III, La Memoria di Babel, Il non detto, pagine 306-308
 
Ofelia dovette arrendersi all’evidenza: non era brava a fare conversazione. Thorn condivideva con lei le informazioni relative all’indagine, ma appena il discorso andava sul personale si chiudeva in se stesso.
Quando lo vide prendere la bottiglia dell’alcol pensò che la tappasse e la mettesse via, invece si disinfettò le mani un’altra volta, come se davvero fossero infette.
Agli occhi di Ofelia non lo erano. Guardò da lontano l’intreccio di vene sulla pelle, le lunghe dita arcuate, le ossa sporgenti dei polsi, e di colpo sentì come un dolore alla bocca dello stomaco. Non aveva idea di cosa stesse succedendo, ma guardare quelle mani le faceva venire voglia di urlare.
O meglio, forse sapeva cosa le stava succedendo, però faticava ad ammetterlo. Non era una bambina, non più, ma non era nemmeno una donna. Dopo il bacio che si erano scambiati pochi giorni prima ne aveva avuto la certezza lampante, che ancora era restia ad accettare ed abbracciare, nonostante il suo corpo già lo facesse. Chiuse gli occhi per scacciare i suoi stessi pensieri, e si ritrovò nella tana del lupo: dietro le palpebre che scrutavano il buio vide solo immagini di lei e Thorn, labbra contro labbra, pelle contro pelle, le sue mani fredde e grandi che la toccavano con possessività e delicatezza, trasmettendo sul suo corpo quelle parole che le aveva rivolto nella prigione, anni addietro. Quelle che lei aveva bisogno di sentirsi dire ancora.
Perché Thorn era così distaccato? Così distante, nonostante tutto? Perché non le dava ciò che lei voleva, ossia una parola di conforto, una rassicurazione circa il fatto che nulla era cambiato, che l’amava ancora? Lei non si era forse esposta?
No... un bacio non corrispondeva ad un’esposizione. Thorn era ancora in bilico, sospeso nell’incertezza, ma Ofelia non trovava le parole per esprimergli ciò che provava e voleva. Tutto quello che voleva. Comprese le sue mani...
Quando riaprì gli occhi dovette vedersela con i suoi occhi ardenti, il viso attraversato da ombre e qualcosa che assomigliava forse alla frustrazione, ma non avrebbe potuto dirlo con certezza. Era sempre così difficile decifrarlo.
Thorn si chinò su di lei, seduta sul suo letto, ad un passo di distanza. Allungò una mano e le passò il pollice sul labbro inferiore, schiudendole la bocca. Ofelia trattenne il fiato, non si sottrasse, in attesa di qualcosa, qualsiasi cosa, qualsiasi gesto o parola. Avrebbe solo dovuto chiederlo, e lei gli avrebbe dato tutto, tutto ciò che aveva e poteva dargli, tutta se stessa. Bastava il tocco leggero dei suoi polpastrelli a farle perdere di vista il loro obiettivo, o il fatto che Thorn era stato già rifiutato troppe volte per volerne rischiare l’ennesima. Non era più lui il problema, era lei.
Ofelia gli afferrò il polso e tenne fermo il suo braccio per baciargli il dito che ancora sfiorava la sua bocca. Thorn non batté ciglio, le posò solo la mano sulla guancia; lei vi si appoggiò e chiuse gli occhi, desiderando vivere in quel momento. E morire in quel momento, con lo stomaco che le ardeva e il cuore che voleva fuggirle dalla gabbia toracica. Thorn era in grado di percepirlo?
Forse sì, perché avvicinò il viso al suo, sempre di più, ma quando Ofelia gli soffiò il fiato caldo sulle labbra, protendendosi verso di lui, Thorn si ritrasse di scatto, negli occhi una luce assassina e intensa, un dolore a stento trattenuto, un sentimento divorante. Evitò di guardarla e si allontanò.
- Vi ho detto tutto quello che so. Ora fareste meglio a tornare alla vostra compagnia, ogni minuto che passate qui con me è combustibile per i pettegolezzi. Preferisco sfruttare questo tempo per esplorare nuove piste.
Le sue parole, per quanto oggettive e obiettive, le fecero comunque male, come la presenza della mano che ancora aleggiava sulla sua guancia, nonostante fosse lontana, in procinto di rinfilarsi il guanto metallico.
Ofelia prese tempo tornando a parlare del loro obiettivo, qualunque cosa pur di non sentire quel vuoto che si scavava in lei ogni secondo che passava, come uno smottamento, o un terremoto, qualunque cosa pur di sentire ancora il suono profondo della sua voce, quella vera, con l’accento del Polo.
Qualunque cosa per rimanere ancora un po’ di tempo con lui, fosse pure per “sfruttare quel tempo per esplorare nuove piste”.
Alla fine tacque, anche se non aveva alcuna voglia di tacere.
Non le andava per niente di andarsene. Sebbene stare accanto a Thorn fosse una specie di frustrazione permanente, tanto più che lui non la toccava quanto lei avrebbe voluto, lasciarlo era ancora peggio. La irritava dover inventare stratagemmi per vederlo in privato e cronometrare ogni loro incontro.
Aveva posato la mano sulla maniglia della porta quando una parola la trattenne.
- Ofelia.
Sentirsi chiamare col suo nome dopo aver portato per mesi quello di un’altra era così sorprendente che sentì lo stomaco sussultarle. O dipendeva forse dal fatto che era stato proferito dalle labbra di Thorn? Il suo nome gli era passato tra le labbra con una punta di struggimento, o si stava immaginando tutto? Era disperata fino a quel punto? Thorn stava finalmente per pronunciare le parole che lei aveva tanto bisogno di sentire?
- Siete sicura che non avete niente da dirmi?
Thorn si appoggiò con entrambi i pugni al tavolo facendole pesare addosso il suo sguardo.
Vi lesse tutto quello che sapeva fosse leggibile anche nei suoi: desiderio, un bisogno di abbandonarsi a lei che era quasi doloroso, violento. Solitamente dagli occhi di Thorn non traspariva nulla di più che una fredda analisi di persone e ambiente circostante, di insinuazioni che sfuggivano ai più, si stava dunque immaginando tutto? Se lui davvero provava ciò che lei stessa provava, perché le stava così distante, perché non colmava il vuoto dentro di lei, perché non le dava una certezza?
Si immaginò di corrergli incontro, dimentica del suo ruolo, del suo compito, della sua missione, dell’ora, del giorno, del mondo, di Dio e dei famigliari, impaziente di vivere per un istante dentro Thorn. Di baciarlo e sentirne il corpo duro e imponente contro di sé, ossa, tendini, muscoli, giunture, pelle. Tutto di lui, per lei, sopra, sotto, davanti, dietro, dentro di lei, come un solo corpo, una sola persona, un solo nucleo.
Invece stette zitta, la gola arida e riarsa, il sangue immobile, il cuore tachicardico, la mano sulla maniglia, artigliata ad essa come avrebbe voluto aggrapparla alla sua camicia candida e immacolata.
Una scintilla brillò ancora negli occhi di Thorn.
- Sapete dove trovarmi – disse facendole cenno di uscire.
Obbedì senza rendersene conto, disorientata. Era solo colpa sua.
Come poteva desiderare che lui la cercasse, che le desse ciò che lei per prima non era in grado di dargli?
Il messaggio era chiaro: la scelta era sua. E se voleva che ci fosse un “loro”, un “noi”, avrebbe dovuto dirgli chiaro e tondo quello che sentiva. Riusciva a malapena ad ammetterlo con se stessa, ma come poteva essere diverso, per Thorn? Lo aveva sempre allontanato. Si meritava una sincerità spudorata, un consenso.
Glielo doveva.
Ma sarebbe stata in grado di fornirgliela, quell’onestà?
  
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