Fumetti/Cartoni americani > Voltron: Legendary Defender
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Autore: Taylortot    11/05/2020    2 recensioni
La paura gli si inerpicò in bocca, amara sulla lingua. “Chi sei?” Gli ci volle un momento per registrare il suono della sua stessa voce.
Lei lo fissò e sbatté le palpebre. “Lance, per favore. Non è il momento per una delle tue battute-”
Lui aggrottò le sopracciglia e si mise a sedere a fatica per sfuggire alle braccia di lei. “Non sto- non sto…scherzando.”
*
Dopo essersi sacrificato per salvare Allura, Lance si sveglia in un mondo strano e nuovo dove l’unica cosa che sente è un profondo legame con un ragazzo che non ricorda.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kogane Keith, Krolia, McClain Lance, Takashi Shirogane
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Note della traduttrice: Piccolo avviso per i lettori: questo sarà l'ultimo capitolo di LaD che pubblicherò fino a fine luglio causa sessione estiva di esami incombente. Lo studio ha la priorità sulle traduzioni che faccio per diletto, quindi metterò in stallo i miei progetti di traduzione fino a quando non avrò dato l'ultimo maledetto esame <3

Come sempre, un grandissimo grazie alla mia beta, CrispyGarden, che si è prodigata per correggere questo capitolo con la sessione che le alita sul collo...!

Vi lascio con l'ottavo capitolo, buona lettura!

 


 

 

Lance dormì come un sasso. Non gli capitava di solito, ma con tutto quello che era successo di recente la stanchezza l’aveva messo al tappeto per un lungo sonno senza sogni. Si risvegliò il mattino seguente con i segni del cuscino sulla guancia, sentendosi caldo e appesantito e a suo agio. Scivolò fuori dal letto con un sospiro e si diresse verso il bagno per sciacquarsi la faccia e lavarsi i denti.

Il suo riflesso nello specchio gli restituì uno sguardo con occhi assonnati e Lance riprese lentamente a pensare. Ripassò nella sua mente tutte le informazioni del giorno precedente, catalogandole nuovamente con stupore, assaporando il modo in cui il dentifricio alla menta stanava le ultime tracce dell’alito mattutino dalla sua bocca.

Era così… normale. Forse per la prima volta da quando era morto non si era svegliato con una sensazione di terrore che incombeva su di lui. Al posto di quella sensazione orrenda che gli rivoltava lo stomaco, al posto di volersi seppellire nuovamente nel letto in un bozzolo di coperte, Lance si guardò nello specchio con il dentifricio agli angoli della bocca e si sentì bene. Perfino con la nuova minaccia di Lotor che pendeva sul Castello, i suoi capelli avevano ancora una piega strana, ma le occhiaie stavano scomparendo e riusciva a respirare senza fatica e le cose andavano bene.

E i motivi erano ovvi.

O meglio, c’era un motivo lampante.

Lance si sentiva delicato. Non fragile, non nel senso che si sarebbe potuto frantumare in mille schegge di vetro al primo tocco sbagliato. Non era così forte come sentimento; non sentiva il dolore dalle punte acuminate, le lame frastagliate delle emozioni. Era qualcosa di più dolce. Qualcosa quasi di esile, qualcosa di caldo. Sentì le farfalle nello stomaco al ricordo della notte precedente. A quel tentativo di vulnerabilità. Al modo in cui la dolcezza aveva assalito Keith come in un sogno nebbioso. A come non si era sentito così nervoso o insicuro, a come Keith gli aveva afferrato il polso, a come avesse bruciato e a quanto fosse salda la sua presa. Un tentativo consapevole di raggiungerlo. Deliberato.

Non ti ricordi davvero di me?

Te l’ho chiesto solo perché sembra che ti ricordi di me.

Lance si aggrappò con forza al lavandino con la mano libera mentre quel ricordo lo riempiva, sentendo la testa leggera, e pensò che fosse ridicolo quanto fosse rimasto destabilizzato dall’incanto di Keith. Quel ragazzo non era neanche lì e lui cadeva ai suoi piedi al suo solo pensiero. Era pazzesco che per sentirsi meglio gli bastasse pensare ai suoi occhi scuri e alla curva gentile delle sue labbra ma…

Ci stava facendo l’abitudine; si stava abituando ad accettare i suoi sentimenti e il fatto che nessuno li avesse capiti. Per quanto fosse frustrante avere due visioni separate di sé e nessun modo di capire quale fosse tutta la verità, era un qualcosa che poteva scoprire man mano che imparava a conoscere Keith, perché in quel modo imparava anche cose su di sé. Era una parte di lui adesso, qualcosa che apparteneva solo a lui, il Lance che esisteva in quel momento… ed era un ricordo che non aveva dimenticato.

Sembrava impossibile che appena una settimana prima non sapesse neanche che aspetto avesse Keith. Poteva figurarsi il suo volto con così tanta chiarezza nella sua mente, ora. Così burrascoso e imprevedibile. Il sonno gli scivolò di dosso e il calore gli pizzicò vagamente la pelle nell’istante in cui un fremito di anticipazione gli elettrizzò la spina dorsale. Il palese desiderio di volerlo rivedere era schiacciante. Ecco, quella era una cosa a cui non era sicuro che si sarebbe mai abituato.

Terminò in fretta la sua routine in bagno e incespicò nuovamente in camera per cambiarsi. Si pettinò i capelli con le dita, si ficcò in tasca la lettera inconclusa con il nome di Keith per abitudine e uscì in tutta fretta. Riservò una lunga occhiata alla porta di Keith… mosse addirittura un paio di passi in quella direzione, ma placò la sua smania con un respiro profondo e si girò sui talloni per dirigersi verso la cucina.

Ci trovò solo Pidge, ingobbita sopra al suo computer e a una tazza, che si ficcava il cibo in bocca scandagliando lo schermo alla ricerca di qualcosa. Lance si fermò brevemente sulla soglia prima che lei lo notasse. Sperò che interagire con lei non gli rovinasse l’umore. Sembrava che non andassero d’accordo su niente, il che poteva rendere la situazione tesa… non aveva per niente voglia di averci a che fare quel giorno.

“Ehi, Pidge.” La salutò con cautela, attirando la sua attenzione.

Lei sollevò la testa di scatto, inghiottendo un boccone della sua colazione. “Lance! Ehi!” Sorrise, dissipando un po’ della diffidenza di Lance. “Stavo per venirti a cercare.”

Mosse qualche passo nella cucina e si diresse dritto verso il frigo. “Cercavi me? Perché?”

Lei si sistemò gli occhiali. “Qualche giorno prima che perdessi i tuoi ricordi, il database del Castello è stato ripulito da un glitch. Fortunatamente, si trattava per lo più di roba inutile; file che contenevano un sacco di filmati di sicurezza e roba simile. Non volevo dirtelo perché… beh, erano scomparsi e non volevo farti preoccupare. Nessuno di noi pensava che cambiasse qualcosa e non ero riuscita a recuperarli.”

Lance si immobilizzò e si voltò per guardarla, dimenticandosi completamente della fame. Filmati di sicurezza? Avevano dei video di quello che succedeva nel Castello? Sentì lo stomaco rivoltarsi e una fitta al cuore, scosso da un tremore. Si appoggiò al frigo per sostenersi nel modo più discreto possibile, fissandola con occhi spalancati. “Di… di che stai parlando, Pidge?”

Lei appoggiò un gomito sul bancone e sorrise, appoggiando la guancia nell’incavo della mano e spostando la tazza. “Ieri notte, mentre stavo controllando tutt’altro, ho trovato alcuni dei nostri vecchi vlog in un file nascosto. Ne ho un paio. Vuoi guardarli?”

E si accorse, anche per il modo in cui quella notizia lo lasciò senza fiato e per come la sua mente si fermò con un urlo, che gli stava chiedendo che cosa voleva fare riguardo ai suoi ricordi. Era la prima volta che succedeva con lei e il suo cambio di approccio – anche se probabilmente premeditato – lo spinse a risponderle con onestà, con voce impastata. “Io- wow, davvero?”. Scosse appena la testa, battendo le palpebre per la confusione. “Sì. Certo. Vorrei tanto.”

Pidge gli rivolse un sorriso radioso. “Perfetto! Ti invio i file sul tablet così puoi guardarteli quando ti sentirai pronto.”

Lance annuì e si voltò quando lei si rituffò sul computer, battendo le dita sulla tastiera. Dopo un paio di secondi, sentì nuovamente forza nelle gambe e, anche se non aveva più fame, aprì il frigo e frugò alla ricerca di qualche avanzo per dopo.

La sua mente si era bloccata in modo devastante a quella scoperta, arrivata così a ciel sereno durante una conversazione mattutina, e Lance si chiese se fosse stato un sogno. Anche se aveva deciso di chiuderla con ogni speranza di riottenere i suoi ricordi, non gli era mai passato per la mente che avrebbe potuto guardare una parte della sua vita di cui non si ricordava. Nessuno gli aveva mai parlato di video prima e Lance non aveva mai voluto chiedere, temendo la risposta.

Non era neanche sicuro di doverli guardare. Si era abituato così bene a quel nuovo status quo ma… Ma forse c’era qualcosa sulla sua famiglia. La sua famiglia, che amava e che gli mancava e che voleva disperatamente conoscere di nuovo. Forse per allora la sua colpevolezza non sarebbe stata così forte o bruciante da farlo soffocare. Non sarebbe stato bello? Pensare a una famiglia che non riusciva a ricordare senza sentirsi come se fosse colpa sua l’averli dimenticati?

O…

O… o forse quei video contenevano elementi sulla sua relazione con Keith. Un vlog probabilmente non era così personale – sapeva quasi con certezza che la persona che era stato prima di morire era molto riservata sui suoi veri sentimenti riguardo a molte cose – ma forse poteva ricavarne qualcosa. Una frase noncurante. Un commento fugace. Come poteva lasciarsi sfuggire una simile occasione?

“Dovrebbe essere tutto pronto.” Annunciò Pidge, riscuotendolo dal suo stupore. Lance afferrò la prima cosa che vide su uno scaffale e chiuse il frigo, voltandosi per guardarla di nuovo. Dalla faccia che fece la ragazza, era chiaro che fosse stato colto di sorpresa mentre fissava il vuoto cosmico, ma lei si addolcì quasi subito e cambiò il soggetto. “In ogni caso, è un bene che ti sia alzato. Shiro ha detto qualcosa a proposito di chiamare le Spade e di fare rapporto alla svelta, quindi probabilmente dovremmo andare in plancia di comando.”

Annuì, ancora terribilmente scombussolato. “Grazie e… uh- sì. Forse dovremmo.”

Lei chiuse il suo laptop di scatto e saltò giù dallo sgabello, portando il suo sguardo sulle mani di Lance. “Lo accompagnerei a qualcosa, fossi in te.”

Lance abbassò lo sguardo e vide che stava stringendo un panetto di burro ben avvolto in una cerata; sentì una vampa di imbarazzo risalirgli su per il collo. “Giusto.” Si voltò, impacciato, e rimise il burro nel frigo prendendo al suo posto un frutto rosa alieno. Le rivolse un sorriso stretto e affondò i denti nel frutto, gustando a malapena la sua stucchevole dolcezza.

Lui e Pidge si avviarono insieme alla plancia di comando e Lance sapeva che avrebbe dovuto ascoltarla mentre parlava di qualcosa… ma era in parte distratto dal pensiero di quei vlog. E chissà perché ma non ci voleva davvero pensare in quel momento, pensarci lo rendeva nervoso. La sua mente minacciò di divagare su Keith, come succedeva di solito, ma sapeva che lasciarla fare voleva dire stuzzicare pensieri irrazionali. Avrebbe fatto qualcosa di stupido come staccarsi da Pidge e ritornare ai dormitori da lui. Quindi selezionò un altro argomento che non lo rendeva ansioso o impulsivo.

“Hai visto Allura?” Le chiese Lance per avviare il discorso, mangiando.

Pidge sospirò e gli rivolse una mezza alzata di spalle quando svoltarono l’angolo alla fine del corridoio. “No, ma Hunk le ha portato la colazione poco fa e, quando gliel’ho chiesto, mi ha detto che si comportava come al solito. Non so se sia un bene o un male.”

Lance annuì solenne, principalmente a se stesso. Da un lato, quello che aveva fatto Lotor era terribile e non meritava un posto tra i pensieri di Allura. Dall’altro, tutti sulla nave avevano visto quanto fosse felice con lui. Come fosse leggera, quanto sorrideva con facilità. Fingere che non la toccasse doveva significare che stesse soffrendo più di quanto pensassero.

E Lance poteva anche non essere così intimo con la principessa, ma quando aveva perso i suoi ricordi – quando era morto – lei si era addossata tutta la colpa. Pensava che Lance la ritenesse colpevole e che l’avrebbe odiata, perfino. Lo aveva evitato per due intere settimane, sicura che lui non l’avrebbe voluta avere intorno, prima che potessero finalmente parlarne. Quindi sapeva, senza ombra di dubbio, che perfino nel dolore di un tradimento così personale, si sarebbe colpevolizzata per essersi fidata di Lotor. Quel pensiero lo fece incupire; sperava di sapere cosa dirle, ma si ritrovava impotente quanto il resto della loro squadra e il doppio più ignaro perché non la conosceva ancora bene come gli altri.

“Sono sicura che starà bene.” Disse Pidge, interrompendo il filo dei suoi pensieri. “Si è risvegliata 10.000 anni dopo la morte della sua gente per guidare una guerra senza neanche battere ciglio. Sono sicura che questo le sembrerà una bazzecola.”

Lance non sapeva cosa fosse una bazzecola, ma si incupì comunque. Anche se Allura aveva passato di peggio che un doppiogioco da parte di Lotor, non significava che avesse accusato meglio il colpo. “Forse… Non penso che la faccia sentire meglio, però.” Tutti contavano sul fatto che fosse forte ma… non gli sembrava giusto.

Perché la capiva. Vedere infranta la propria fiducia e perdere la memoria erano due cose molto diverse, ma se quello che Pidge aveva detto era quello che pensavano tutti su quella nave, allora la capiva. Sapeva che Allura non si sentiva granché forte o coraggiosa in quel momento, a dispetto di quanto si comportasse normalmente a detta di Hunk. Sapeva che probabilmente provava rancore e si sentiva spaesata e isolata e, peggio ancora, che si stava addossando tutta la colpa.

Almeno lui aveva Ketih. Qualunque tipo di distanza ci fosse ancora tra loro, Keith era comunque l’unica cosa di cui fosse sicuro. In tutta quell’assurdità e casino che quel “difendere l’universo” comportava, Keith era la risposta a tutto. La ragione e il movente, il motivo. L’aveva capito nel momento in cui aveva posato lo sguardo su Keith sullo schermo della plancia di comando.

Il motivo per cui era riuscito a comportarsi con più naturalezza negli ultimi giorni era perché non era sbattuto dai flutti del mare dell’incertezza. Con Keith lì, la disconnessione che sentiva con gli altri membri del gruppo non gli sembrava più così fastidiosa. Al suo solo pensiero sentiva la pelle calda, il cuore gonfio di tenerezza. Con o senza quei ricordi, aveva compreso che stava iniziando a riprendersi da quell’esperienza.

Allura non aveva un Keith e il tradimento era così recente da dover fare un male inimmaginabile. E anche se, da qualche parte nel profondo, sapeva che gli altri erano lì per lei, meritava di avere qualcuno che glielo dicesse forte e chiaro. Meritava di sapere che non doveva essere sempre forte e che poteva prendersi del tempo per riprendersi. Lance… non voleva che si sentisse come si era sentito lui in quegli ultimi due mesi passati a pensare alla morte di Keith. Perché, tecnicamente, era quello che Lotor era per lei, no? Morto.

“Parlo solo seguendo la logica.” Disse Pidge un po’ sulla difensiva, lanciandogli uno sguardo in tralice. “Ci vorrà del tempo, ma siamo qui per lei. Ce la farà.”

“Già.” Quella volta, Lance si trovò d’accordo. “Già.”

***

Dopo la riunione con Kolivan e il resto del team, Keith e Krolia vennero incaricati di riportare le Spade di Marmora ormai guarite alla base, il che non fu affatto una sorpresa. Lance si tenne occupato aiutando Hunk a fare un controllo sommario delle navicelle alteane che avrebbero usato per il ritorno e cercò di non abbandonarsi a pensieri negativi e paure.

Voleva disperatamente andare con Keith, ma sapeva che sarebbe stato eccessivo. Era una missione priva di pericoli e Keith doveva tornare al castello perché avrebbe lasciato lì il suo lupo. E poi… gli aveva detto che avrebbero parlato, no? Non aiutò a far sparire la sua ansia perché qualcosa avrebbe sempre potuto andare storto, ma c’era un che di… di meravigliosamente forte nell’essere sicuri. Ficcò una mano tremante in tasca e afferrò la lettera, prendendo respiri profondi. Guardò Krolia, Allura e Shiro che parlavano vicino alle navicelle; Keith era di fianco a sua madre in quella sua tuta di Marmora nera che gli stava così bene.

Hunk e Coran li avevano già salutati dato che avevano altri compiti di cui occuparsi e Pidge era attaccata al gomito di Shiro, distratta, ma comunque impegnata in una conversazione con uno dei membri de La Spada. Probabilmente lo stava informando di un upgrade o chissà ché che aveva installato la notte prima nelle navicelle mentre tutti dormivano, e il pensiero che si fosse preoccupata abbastanza da farlo lo fece sentire un po’ meglio.

Il cuore gli sobbalzò nel petto quando lo sguardo di Keith si spostò da Shiro a lui, a molti metri di distanza con il suo lupo al fianco che poggiava metà del suo peso su di lui. Lance passò le dita nella sua pelliccia e rivolse a Keith l’accenno di un sorriso per poi salutarlo piano con la mano.

Keith aggrottò le sopracciglia, poi diede un abbraccio sbrigativo a Shiro e una pacca sulla spalla a Pidge, incamminandosi verso di lui. La sua carnagione pallida contrastava meravigliosamente con la sua tuta e Lance sentiva che man mano che si avvicinava gli era più difficile respirare e non era affatto giusto. Avrebbe dovuto essere facile, non… merda. Il solo pensare a Keith nel suo bagno quella mattina lo aveva reso di gelatina, non c’era alcun motivo per cui vederlo nella sua armatura scura con quello sguardo intenso sul volto non avrebbe dovuto lasciarlo indifferente.

“Ehi.” Lo salutò quando Keith fu a una distanza ragionevole per parlare. “Come va la caviglia?”

Keith si fermò a qualche passo di distanza e non zoppicava nemmeno. “Acciaccata, ma sopravvivrò. Tu come stai?”

Quel brusco cambio di soggetto lo prese in contropiede. “Cosa? Sto benissimo, amico. Perché?”

Lo sguardo tagliente di Keith gli fece venire un nodo in gola e fece del suo meglio per rimanere indifferente, allungando una mano per carezzare nuovamente il lupo. “Sembravi turbato.” Keith si iscurì.

Oh maledizione. Lance doveva proprio lavorare su, tipo, non riflettere i suoi sentimenti sul volto ogni volta che Keith lo guardava. Distolse veloce lo sguardo per trattenersi. “Sto… sto bene, davvero. Solo… non importa. È stupido.”

“Lance.” Keith si avvicinò di un passo. “Dimmi.”

Lance arrossì e il suo cuore lo abbandonò. “Non è importante.”

“Lo è se sei così sconvolto.”

“Non sono così sconvolto.” Borbottò e fece saettare lo sguardo su Keith, sentendo la bocca asciutta e la pelle riarsa quando vide l’espressione dolce che aveva sul volto. Il suo cuore si mise a battere alacremente, martellando nel petto, e le parole gli uscirono di bocca senza che avesse dato loro il permesso. “Solo che- è difficile vederti andare via.”

La linea delle sopracciglia di Keith si fece meno severa e le sue spalle si fecero più rilassate. “Tornerò.”

“Lo so.” Rispose con il volto in fiamme, sapendo che non poteva più tirarsi indietro. Poteva anche dirglielo a quel punto. “Ma non lo rende certo più facile.”

“Lance” Keith sospirò il suo nome e il modo in cui lo disse… suonò così familiare sulla sua lingua. Lance sentì le ginocchia vacillare, la testa leggera. L’unica cosa che era sicuro fosse reale e solida in quel momento era il suo cuore che batteva, minacciando di cadere ai piedi di Keith per il modo in ci l’altro lo guardava. “Hai affrontato il viaggio alla base l’altro ieri. Sai che è sicuro; non c’è niente di cui preoccuparsi.”

“Lo so,” disse Lance, “ma non riesco- non riesco-”

“Keith, dobbiamo andare.” Disse Krolia a voce abbastanza alta da far riecheggiare le sue parole nell’hangar.

“Arrivo.” Rispose Keith senza distogliere lo sguardo da lui. Continuò a guardarlo, senza esitare, studiando la sua espressione con i suoi occhi scuri. Qualcosa nella concentrazione dei suoi occhi lo fece rabbrividire. “Stanotte- quando torno. Parleremo, va bene?”

E, chissà perché, quelle parole lo fecero sentire leggermente meglio. Sapeva che la speranza era palese sul suo volto e, in ogni caso, non era che volesse nasconderla, non quando Keith lo guardava a quel modo. “Davvero? Sarai- non sarai stanco?”

Keith scosse il capo. “Non importa. Anch’io voglio parlarti.”

Lance non era per niente pronto per quelle parole. La sicurezza innegabile nel modo in cui Keith le aveva pronunciate, presente in quasi tutte le interazioni che avevano avuto fino a quel momento, aveva il potere di annullare ogni pensiero razionale da parte del suo cervello. Si sorprese ad appoggiarsi al lupo in cerca di sostegno, sentendosi la pelle calda e tesa, lo stomaco in fiamme che faceva le capriole, pieno di farfalle.

“Keith!” Krolia lo chiamò di nuovo e, coperta dai battiti del cuore di Lance, sembrava leggermente esasperata.

Keith allungò una mano per carezzare il suo lupo, che scodinzolò a quelle attenzioni, e poi arretrò, continuando a guardare Lance. “Ci vediamo stanotte.”

Lance era abbastanza in sé da annuire. “Va bene.” Disse, e la sua voce si spezzò. Se qualcun altro lo avesse sentito sarebbe stato imbarazzante, ma ormai aveva perso la sua compostezza di fronte a Keith così tante volte che non gli dava più fastidio. Lo guardò mentre si voltava e si avviava verso la sua navicella, entrando nella cabina di pilotaggio e sedendosi di fianco a Krolia. Era vagamente cosciente del fatto che Shiro stese guidando lui e Pidge fuori dall’hangar, con il lupo dietro di lui, ma gli ci volle un momento per smettere di pensare alla conversazione che aveva avuto con Keith.

“Interessante.” Disse Pidge una volta che furono nel corridoio e che la porta si era richiusa alle loro spalle.

Lance ritornò alla realtà. “Huh?”

“Pensavo che quella strana tensione tra voi fosse dovuta all’ennesimo litigio, ma quello non era affatto, uh, litigare.”

Il rossore incandescente colpì Lance come un’onda. Si irrigidì, punto sul vivo. “Hai mai pensato che forse c’era molto di più tra noi che litigare e basta? È così difficile credere che erravano anche amici?” Le chiese, sapendo di essere fin troppo sulla difensiva, ma incapace di attenuare il tono teatrale della sua voce. “Siamo rimasti chiusi insieme dentro un gigantesco castello fluttuante nello spazio per due anni e pensi che tutto quello che abbiamo fatto sia stato litigare? Hai un cervello, Pidge. Usalo.”

Lei sollevò le sopracciglia e Shiro, dopo un momento pregno di silenzio, scoppiò inaspettatamente a ridere. Il rumore distese la tensione che era calata nella stanza e Lance sentì scemare il suo imbarazzo, placando la sua irritazione nonostante non si sentisse mai molto a suo agio vicino a Shiro. Pidge continuò a fissare Lance e si riprese solo quando Shiro poggiò le mani sulle loro spalle con un: “Andiamo, su, abbiamo cose da fare.”

“Non posso credere che tu abbia appena insultato la mia logica e che non mi senta offesa.” Disse. “Non ti ricordi neanche di lui.”

Lance sbuffò col naso. “Non serve che mi ricordi di te per essere tuo amico.”

Lei tacque e Lance sapeva che era perché odiava non avere ragione.

***

Trascorse la giornata a svolgere le più svariate mansioni con il lupo di Keith che lo tallonava. Non pulivano il castello da tempo, quindi Coran aveva organizzato una lista di cose che sarebbero riusciti a terminare prima di cena se tutti si mettevano di impegno. Allura rimase solenne e in silenzio quando si divisero in gruppi per le faccende, ma prima di lasciare la stanza, Lance la sentì lamentarsi con Shiro del fatto di rimanere con le mani in mano con Lotor lì fuori che sperimentava su centinaia di alteani.

Smise di pensarci quasi subito; con Keith nello spazio in quel momento, pensare alla minaccia che rappresentava Lotor era l’ultima cosa di cui voleva preoccuparsi. Quindi scacciò quella conversazione dalla mente e si diresse verso l’infermeria per pulire le criocapsule, accompagnato dal lupo di Keith.

Un paio di ore più tardi, dopo pranzo, il lupo lo guardava seduto da un angolo della cucina mentre lui e Hunk lavoravano. Hunk ruppe il silenzio con un sospiro pesante, come se l’avesse colpito un improvviso attacco di frustrazione.

“Senti, ho una domanda da farti: perché Keith non ha ancora dato un nome al suo cane?” Gli chiese tutto d’un fiato.

Lance sussultò un poco alla domanda improvvisa, ma continuò a strofinare con una pezza una macchia sul bancone. “Aspetta che sia il lupo a dirglielo.” Rise un pochino. “Strano, no?”

“Già!” Concordò Hunk. “Ha bisogno di un nome! Non posso chiamarlo sempre ‘Lupo’ o che so io.”

Lance ridacchiò a quelle parole. Sapeva che Keith non gli aveva ancora dato un nome di proposito, ma lo faceva ridere il fatto che non fosse lì per difendere la sua scelta. Passò a una macchia sul lavandino ed emise un verso pensieroso. “Avevi qualche nome in mente?”

Continuarono a quel modo per un po’, lasciando passare il tempo, con Hunk che proponeva nomi via via più stupidi e diversi da quelli che Keith avrebbe probabilmente scelto per il suo lupo. Lance non aveva mai riso così tanto dacché avesse memoria e, quando la cucina fu immacolata ed entrambi si misero a coccolare amorevolmente il lupo per dimostrargli il loro affetto, si sentiva un calore e una leggerezza nel petto che non si aspettava di poter sentire con Hunk.

Era quello che provava in passato? Stando con un Hunk e facendo cose da migliori amici e roba simile? Era bello. Hunk era gentile. Lance sentì un’ondata di gratitudine per quel ragazzo che quasi lo travolse.

“Okay, impossibile! Questo è orribile.” Lance rise, la schiena al muro, e carezzò con le dita la testa del lupo, posata sulle sue cosce. Non l’avrebbe detto, ma era molto orgoglioso del fatto che l’animale gli voleva bene e che non lo aveva lasciato per tutto il giorno. Non avrebbe neanche detto che gli sembrava quasi che Keith fosse ancora lì con lui, che la sua presenza lo aveva aiutato molto a calmare la sua ansia. “Che- che mi dici di quello che avevi detto prima, Kosmo? Quello un po’ mi piaceva.”

Hunk sorrise. “Anche a me. Che ne dici, amico?” Chiocciò rivolgendosi al lupo, e gli diede un grattino sulla schiena. “Ti piace Kosmo?”

A voler essere onesti, probabilmente il lupo scodinzolò felice solo perché aveva sentito la sua voce, ma quella reazione convinse entrambi.

“E Kosmo sia.” Annunciò Hunk, carezzandolo.

E Kosmo fu.

***

Lance cercò di non perdersi nei suoi pensieri mentre il resto della giornata scivolava via con lentezza. Quella notte, dopo cena e una doccia, per non pensare a Keith si mise in testa di guardare quei video che Pidge gli aveva inviato sul tablet quella mattina ma, una volta seduto sul letto, esitò.

Non sapeva il perché. Probabilmente perché in parte non aveva idea di cosa si sarebbe trovato davanti e si si era abituato a come stavano le cose. E se uno di quegli stupidi vlog avesse cambiato tutto quello che pensava di sapere? Dopo mesi passati a cercare un equilibrio – dopo quella settimana, finalmente si reggeva in piedi – era terrorizzato all’idea che potesse stravolgersi tutto. Lui… merda, era stato così difficile arrivare dove si trovava in quel momento, ma finalmente aveva iniziato a sentirsi meglio riguardo alla situazione in cui si trovava e a chi era in quel momento. Perfino con l’occasionale dose di colpevolezza.

Dunque, dopo aver passato dieci minuti di fronte allo schermo vuoto del tablet, se lo mise in tasca e vagò fuori dalla sua stanza con Kosmo che lo seguiva da vicino. Pensò che avrebbe potuto andare da Rosso perché il leone era sempre fonte di conforto per lui. Forse nella cabina di pilotaggio avrebbe trovato il coraggio di guardare quei video; era un piano come un altro. Avrebbe fatto di tutto pur di tenere la sua mente occupata.

Mentre si dirigeva verso l’hangar del suo leone, passò per il corridoio che portava alla sala degli allenamenti e si fermò quando sentì provenire dall’altro lato della porta un suono di droni fatto a pezzi. Lo prese la curiosità perché sapeva che di solito nessuno usava quella stanza a quell’ora. Rivolse un’occhiata a Kosmo, e il lupo ricambiò lo sguardo, poi guardò nuovamente la porta. Tutti i pensieri sul tablet svanirono e premette una mano sul sensore della porta.

La porta si aprì silenziosa, rivelando Allura, ansante per lo sforzo, in piedi sopra un drone mentre gli perforava il collo con un bastone. Lance si sentì subito di troppo nonostante quello fosse un luogo pubblico. La ragazza dava le spalle alla porta e Lance poteva vedere quanto fossero tese le sue spalle e, anche se probabilmente voleva essere lasciata sola, non riuscì a non pensare a quanto stesse soffrendo e a quanto la capiva.

“Allura?” Si assicurò di parlare piano per non spaventarla.

Lei sobbalzò lo stesso e si voltò di scatto con uno sguardo destabilizzato, ma poi riconobbe Lance con Kosmo sullo stipite.

“Oh, ciao, Lance.” Rispose dopo un momento. “Posso aiutarti?”

Lui aggrottò le sopracciglia e mise le mani in tasca, attraversando lentamente la stanza per avvicinarsi a lei. “No… Stavo solo andando a vedere Rosso. Stai… stai bene?”

Lei scacciò la domanda sventolando la mano e si voltò per estrarre il bastone dal collo del drone. “Sto bene. Vai pure da Rosso. L’importanza della connessione con il tuo leone è-”

“Puoi dirmi la verità.” Disse, interrompendola.

Lei non si voltò, tenendo stretta l’arma in pugno. “Non so di cosa parli.”

Lui si fermò solo quando le fu abbastanza vicino da toglierle il bastone dalla mano. Da lì, poteva vedere come le tremavano le mani, anche se si sforzava di domarle stringendole forte a pugno. “Non devi fingere con noi. Siamo qui per te.”

La sua voce era priva di emozioni quando gli rispose. “Come puoi guardarmi, sapendo quello che ho fatto? Quello che gli ho lasciato fare?”

Lui poggiò il bastone a terra e aggrottò le sopracciglia, turbato che lei si stesse addossando la colpa come lui aveva precedentemente predetto. “Non è colpa tua. Ci ha ingannati tutti. Se vuoi prenderti questa responsabilità, allora siamo tutti colpevoli.”

Lei proruppe in una risata amara. “Non tu.” Disse con un’amarezza che comprese non essere diretta a lui. “Non ti è mai piaciuto.”

Lance non sapeva cosa fare. Forse la persona che era in passato era più brava a confortare le persone, ma lui non aveva idea di cosa fare né di cosa dire. Seguendo il suo istinto, allungò una mano per toccarle appena la spalla, con gentilezza, per paura di spaventarla. “Non mi fidavo di nessuno.” Le disse. “A volte, non mi fidavo neanche di voi.”

Lei non si mosse.

“Allura, non posso dire con certezza di sapere che cosa stai passando, ma so che ti senti arrabbiata e in colpa. Mi sono sentito spesso così da quando sono morto, ma diventa più facile se hai qualcosa a cui appoggiarti. Lascia che ti aiutiamo.”

Sentì un brivido scuoterla con il palmo della mano. “È solo che non so cosa fare.” Finalmente lo guardò, gli occhi pieni di lacrime, e Lance sentì male al cuore alla vista dell’emozione straziante che aveva sul volto. “Non posso credere di essere stata un burattino nelle sue mani. La tecnologia di cui è entrato in possesso grazie a me…”

Lance la tirò a sé in un abbraccio e la sentì rilassarsi addosso a lui. Oltre alla notte in cui aveva pianto addosso a Keith, quello era il maggior contatto fisico che avesse avuto da quando era morto. Non era male, ma gli sarebbe piaciuto che non fosse accaduto in quelle circostanze. “Troveremo un modo. Va tutto bene.”

Lei annuì contro la sua spalla.

“Ci hai fatto preoccupare tutti, sai?” Mormorò, posando gentilmente una mano sulla sua schiena.

“Mi dispiace.” Sussurrò lei, piano, la voce leggermente incrinata alla fine di ogni parola.

Lo tenne stretto a sé per un po’ e Lance si augurò che si sentisse un po’ meglio quando sciolse l’abbraccio, asciugandosi veloce le lacrime con i polsi, come se non volesse che lui la vedesse piangere. Lui le rivolse un sorriso pieno di comprensione, sciogliendo le mani dalla vita di lei. “Grazie per essere stata onesta con me.” Disse.

“Temo di essere io a doverti ringraziare.” Rispose lei sommessamente, gli occhi grandi e lucidi. “Non accettavo di essere perdonata per ciò che avevo fatto, ma immagino che sia l’unico modo di superare questo ginepraio.”

Lui annuì. “Sì, mi sembra la cosa giusta da fare.”

“Cosa ti ha aiutato?” Gli domandò, e Lance aggrottò le sopracciglia, confuso.

“Cosa intendi?”

“Hai detto che è più facile se si ha qualcosa a cui appoggiarsi.” Spiegò lei. “Cosa ti ha aiutato?”

Sapeva che probabilmente glielo stava chiedendo per sé, per confrontare i mezzi che poteva usare per alleviare il peso della colpevolezza che non era interamente sua, ma era una domanda così personale che non sapeva ancora come condividere con gli altri quella parte di lui – quella che amava Keith. Non voleva; almeno, non fino a quando non l’avesse saputo Keith.

“Beh… uh, sai, la nostra squadra.” Disse vago, palesemente imbarazzato e colto alla sprovvista.

Lei lo guardò con i suoi occhi azzurri e cristallini, le lacrime in procinto di asciugarsi, i capelli dal chiarore di luna che le incorniciavano graziosi il volto. Lance si ricordò che la prima volta che l’aveva vista al suo risveglio nel leone rosso era rimasto colpito da quanto fosse bella, e lo era anche in quel momento, nonostante tenesse la fronte aggrottata dopo aver capito la sua palese bugia.

“Capisco.” Disse lentamente, a voce bassa.

Lui le rivolse un sorriso tirato. “Già, è- è tutto, davvero.”

Sapeva che lei voleva aggiungere qualcosa, ma la porta della stanza si aprì e Kosmo, che era rimasto fermo e silenzioso da quando Lance era entrato, emise un breve latrato. Lance si girò sui talloni, sentendosi improvvisamente frastornato dalla speranza, giusto in tempo per vedere Kosmo teletrasportarsi da dove si trovava vicino a lui a Keith, che stava di fronte alla porta.

Sembrava scompigliato dal vento e stanco, e così dannatamente bello in quella sua armatura, scuro e affascinante come un mistero, ma il suo volto si rilassò in un’espressione più neutra e si abbassò per dare un po’ di attenzioni a Kosmo per poi spostare il peso della borsa che aveva sulle spalle. Il cuore di Lance sospirò come di sollievo, e riuscì finalmente a ritrovare la voce quando Keith mise piede nella stanza.

“Sei tornato.” Disse con la gioia che gli scoppiettava nella voce, e resistette all’impulso di fare come il lupo e lanciarsi dall’altra parte della stanza per stargli vicino. La reazione che ebbe quando lo rivide fu più intensa di quello che si era aspettato e si sentì le farfalle nello stomaco, ricordandosi di quello che Keith gli aveva detto prima di partire.

“Volevo solo restituire le armi in più che avevamo preso.” Spiegò lui. “Scusate se ho interrotto qualcosa.”

Allura sorrise. “No, credo che abbiamo finito, non è vero, Lance?” Gli toccò la spalla per un momento. “Ti ringrazio. Ora devo riordinare la stanza e poi andrò a dormire.”

Lance annuì, riservandole una breve occhiata e un cenno di assenso, ancora distratto da Keith, che si stava dirigendo verso il ripostiglio dove tenevano le armi di ricambio, evitando palesemente di guardarlo di proposito a ogni falcata che faceva. Allura si voltò e iniziò a raccogliere le sue cose, terminando la sessione di allenamento con un comando vocale, e poi si diresse verso la porta, sparendo poco dopo.

Kosmo seguiva Keith tutto contento, scodinzolando, e Lance si permise un sorriso quando lasciò il suo posto al centro della stanza per avvicinarsi a loro.

“Com’è andato il viaggio?” Gli chiese tanto per parlare, mettendo le mani in tasca. Sentì il cuore balzargli nel petto senza motivo quando toccò la lettera, la carta liscia e usurata contro le sue dita.

Keith non lo guardò mentre svuotava il borsone e iniziò a sistemare le armi al loro posto. “Bene.” Disse, conciso.

C’era qualcosa che non andava e Lance non capiva cosa. Che fosse andata male la missione? Era nei guai per qualcosa o, forse… si trattava del membro de La Spada che era morto? L’emozione che gli scorreva nelle vene si acquietò e si sentì arrabbiato con se stesso per il solo motivo di non riuscire a capire che cosa rendesse Keith così distaccato. “Stai bene?” Gli domandò. “È successo qualcosa?”

Keith non gli rispose subito. Anzi, non rispose se non dopo aver finito di sistemare tutto per poi girarsi e guardare Lance, che era lì in piedi, imbarazzato, sentendosi sempre più fuori posto a ogni secondo che passava.

“No.” Disse Keith, e fece un lungo sospiro pesante. “No, scusami.” Lo guardò attraverso le sue ciocche nere, uno sguardo quasi di scuse. “Va tutto bene.”

Incapace di controllarsi, Lance allungò la mano e gli toccò il polso, studiando quell’espressione illeggibile, e lasciando che le parole fluissero dalle sue labbra insieme alla sua trepidazione crescente. “Ne sei sicuro? Hai bisogno di riposare? Si tratta forse della tua caviglia? Keith, se sei stanco o- Non voglio che tu ti senta in dovere di- Voglio dire, possiamo anche parlare un’altra volta se-”

“Lance.” Lance si zittì, trattenendo il respiro, quando Keith gli sorrise, e la sua espressione torva si sciolse immediatamente, sostituita da uno sguardo affettuoso che ebbe uno strano effetto sul cuore di Lance. “Voglio parlare. Va tutto bene. Dammi solo il tempo di cambiarmi e darmi una ripulita prima, okay?”

Lance annuì con foga e lasciò scivolare via la mano dal tessuto ruvido che ricopriva il polso di Keith. “Va bene.” Rispose piano. “Non voglio- davvero non hai cambiato idea? Sai-”

“Lance.” La voce di Keith si fece insopportabilmente dolce. “Non ho cambiato idea.”

“Okay.” Lance annuì di nuovo. “Okay… va bene.”

“Ci troviamo nella tua stanza?” Keith si incamminò verso la porta e Lance gli andò dietro, smanioso di tenere il passo.

“Stavo… beh, volevo vedere Rosso stanotte.” Disse Lance, guardando il pavimento. “Io… in verità, ho passato più tempo dentro Rosso che nella mia stanza da quando…” Deglutì, ricordando la reazione di Keith alla sua morte, e decise di sorvolare su quella parola. “Ti andrebbe bene?”

Lasciarono la stanza insieme e la porta si richiuse silenziosa dietro di loro. “Mi sembra ottimo, Lance.” Disse Keith, ed era come se man mano che parlavano Keith diventasse sempre più genuino, aprendosi e mostrando sé stesso. Lance non sapeva se sarebbe sopravvissuto a quella chiacchierata se Keith fosse stato tutto gentile con lui. “Ti raggiungerò presto.”

Lance rimase nel corridoio mentre Keith si voltava con un piccolo sorriso, diretto verso la sua stanza per cambiarsi. Per quanto fosse ridicolo e sdolcinato, Lance rimase incollato sul posto fino a quando le ampie spalle di Keith scomparvero dietro l’angolo alla fine del corridoio, e Kosmo dietro di lui.

Allora, e solo allora, riuscì a respirare un po’ meglio con le ginocchia di gelatina che tremavano. Sfiorò con le dita la lettera che teneva in tasca e diede un colpetto alla forma quadrata del tablet nell’altra. Poi, si voltò e si incamminò lentamente verso l’hangar di Rosso.

 


 

 

 

Note dell’autrice: Grazie a tutti per la vostra pazienza, sono rimasta su questo capitolo per un mese lol. Immagino che trasferirmi in una nuova casa, aver trovato lavoro e i ritrovi con la mia famiglia nelle ultime settimane siano stati abbastanza da ammazzarmi la voglia di scrivere, ma sono tornata giusto in tempo per l’inizio dell’ottava stagione di venerdì! Ero nervosa perché pensavo che non sarei riuscita a pubblicare prima questo capitolo e sono felice perché non credo che sarò capace di funzionare bene dopo che trasmetteranno la serie ahah.

Comunque! Questo capitolo mi piace davvero davvero tanto e spero moltissimo che piaccia anche a voi :) Grazie per averlo letto!!!

   
 
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