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Autore: Calia_Venustas    12/05/2020    3 recensioni
[IN PAUSA FINO AL PROSSIMO AGGIONAMENTO DI KHUX]
C'è qualcosa che il Maestro dei Maestri non può confessare a nessuno, nemmeno a Luxu. Qualcosa che se i suoi apprendisti dovessero scoprire metterebbe a repentaglio tutto quello in cui credono. Il Maestro sa di essere nel torto, ma sa anche di essere troppo orgoglioso per ammetterlo.
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Una storia sull'origine del Maestro dei Maestri e dei Veggenti sin dall'inizio del loro apprendistato fino all'epilogo di KH3. A partire dal capitolo 18 scorre in parallelo una seconda trama che ha per protagonisti Soggetto X e Luxu, ora nei panni di Xigbar, alle prese con i retroscena degli eventi successivi a Birth By Sleep.
[Coppie: Luxu/Ava, Luxu/Maestro dei Maestri, Invi/Ira, Ava/Gula, Soggetto X/Isa, Lauriam/Elrena]
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Nuovo personaggio, Organizzazione XIII, Vanitas, Ventus, Xigbar
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Furry, Spoiler! | Contesto: Altro contesto, Più contesti
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✭ THE BEGINNING OF THE END ✭


I'm completely incomplete,
I can't struggle on alone.
You made me strong when I was weak.
My red eyed friend where are you now?
My red eyed friend I miss you so!
[Red Eyed Friend - Sonic Syndicate]

 


Perbias s'addentrò ancor più nella visione, seguendo la scia di briciole lasciata dai suoi ricordi sbiaditi.

A poco a poco le sale del palazzo reale divennero per lui tanto familiari quanto i corridoi della Torre Meccanica e mentre procedeva, fluttuando in quella forma incorporea che l'Occhio che Scruta aveva manifestato per rendere più facile la sua navigazione, iniziò a rivivere tanti brevi scorci di vita quotidiana.

Vide il sé stesso bambino correre a perdifiato sui pavimenti a mosaico inseguito da Kida, così piccola e spericolata che non faceva altro che inciampare nei suoi stessi piedini con grande angoscia dei servitori. Ma si rialzava ogni volta, mettendo il broncio ed ingoiando i lacrimoni decisa a dimostrare al fratello che  sapeva stare al passo. Gli ricordava Mava durante i suoi primi giorni alla Torre, quando ancora disorientata dalla vastità della sua nuova casa lo seguiva ovunque andasse, tempestandolo di domande e tirandolo per la camicia per attirare la sua attenzione.

Con un sorriso indecifrabile sulle labbra, il Maestro si domandò se l'affetto che provava per i suoi allievi, in particolare per i più giovani, fosse un riflesso inconsapevole di quello che doveva aver provato nei confronti della sorellina.

E perché no, magari persino di quel curioso legame che aveva con la creatura chiamata Oscurità.

Chissà, forse era per questo che Mava e Luxu gli erano così affini. Non amava fare favoritismi, ma sarebbe stato disonesto negare che loro fossero sempre stati i suoi preferiti. Del resto, non si era forse ripromesso di non prendere con sé altri apprendisti proprio dopo aver reclutato Mava e Luxu? Non ne sentiva più il bisogno, il suo cuore era soddisfatto, come se la sua lunga ricerca si fosse finalmente conclusa. Aveva tutti i pezzi necessari per iniziare a giocare la sua personale partita a scacchi contro il fato.

La visione continuò, presentandogli una lunga serie di giorni spensierati. Già a quell'età Perbias si scoprì in possesso del proprio Keyblade e assistette persino alle rudimentali lezioni di scherma impartitegli dal maestro di corte. Vide anche Re Kashekim complimentarsi con lui, posargli affettuosamente una mano sui capelli argento e assicurargli con orgoglio che un giorno sarebbe diventato un grande re e un grande guerriero. 

Accettare Kida come parte della famiglia gli era stato molto più facile di quanto lo sarebbe stato fare lo stesso con il Re, ma in quel momento Perbias sapeva di dover proseguire nel fiume dei ricordi e scoprire cosa fosse successo durante il Cataclisma.

Solo così Kida avrebbe ottenuto le risposte che cercava. Solo così lui avrebbe capito cosa fosse andato storto.

Si mosse rapido tra i ricordi fino a che uno in particolare non si spalancò davanti a lui come il maxischermo di un cinema. 

In una sala sontuosamente arredata si stava tenendo una riunione importante e lui non avrebbe dovuto trovarsi lì. Era il consiglio di guerra di suo padre e gli animi si stavano surriscaldando, la tensione si sarebbe potuta tagliare con un coltello. Accuse di complotto e tradimento venivano scagliate in ogni direzione e persino la lealtà di famiglie da sempre alleate del Regno di Atlantide era messa in discussione.

Il dibattito si fece così acceso che Re Kashekim fu più volte costretto a richiamare all'ordine i presenti mentre le guardie tenevano d'occhio gli elementi più violenti.

Il giovane principe assisteva alla scena nascosto sotto gli spalti di legno che sorreggevano i seggi dei re e dignitari, Oscurità era acquattata al suo fianco, nervosissima e molto più grande di quanto lo fosse stata nei ricordi precedenti. A suo confronto, Oscurità aveva ora la stazza e la fisionomia di un adolescente. I suoi occhi rotondissimi s'erano fatti a mandorla e il loro colore tendeva adesso al rosso-arancio piuttosto che al giallo puro. Anche il suo musetto aveva assunto un contorno più maturo e sulla schiena ricoperta di un'ispida pelliccia blu notte erano visibili rudimentali protuberanze simili ad ali. Oscurità non era un Heartless, e nemmeno uno dei Darkling imprigionati nei sotterranei del palazzo di Re Kashekim ma una creatura unica, in costante evoluzione. Qualcosa di mai visto prima.

"É tutta colpa mia!" Piagnucolò, mordendosi gli artigli.

"Non essere stupido." Gli rimbrottò il bambino a bassa voce.

"Ma è così… tutte queste persone! Non lo vedi? I loro cuori sono caduti preda dell'Oscurità."

L'altro rimase in silenzio, senza sapere cosa controbattere. Suo padre, dall'alto del suo trono rivestito d'oro, aveva appena lanciato la stessa accusa, puntando il dito contro uno dei suoi consiglieri.

L'accusato si alzò dal proprio seggio tremante di rabbia, le mani serrate a pugno lungo i fianchi.

Perbias conosceva quell'uomo da tutta la vita. Era sempre vissuto a palazzo, un cortigiano saggio e paziente che aveva persino dato lezioni a lui e Kida, insegnando loro i principi base della magia e della filosofia. Non poteva essere un traditore…

Non poteva…!

Eppure l’uomo s’avventò su suo padre animato da un'improvvisa furia omicida, il Keyblade saldamente stretto in pugno.

Re Kashekim defletté il fendente all'ultimo istante, evocando una lama di cristallo che Perbias riconobbe come incredibilmente simile alla propria ma non ebbe il tempo di assimilarne i particolari perché Oscurità lo stava trascinando via dalla sala del consiglio mentre al suo interno scoppiava il finimondo.

"No! Devo aiutare papà!" protestò, cercando di liberarsi.

Oscurità non cedette, gli artigli rossi serrati attorno al polso dell’amico "Non c'è niente che puoi fare! Devi andartene!"

Mentre strisciavano fuori dal cunicolo in cui si erano nascosti, il bambino cominciò a singhiozzare "Perché il Maestro Jirad dovrebbe fare una cosa del genere? Cosa sta succedendo? Sembrano tutti impazziti!"

L'Ombra si voltò per guardarlo in faccia. Non aveva mai visto il principe così spaventato e scosso. “Te l’ho detto, è colpa mia. Di quelli come me.” ripeté, sperando che stavolta il suo amico afferrasse il concetto.

“Tutte quelle persone sono state prese dalle Ombre, anche tuo padre, temo. E’ questo che facciamo, ci nascondiamo nei cuori della gente e a poco a poco...” Oscurità abbassò lo sguardo, come se quello che stava per dire gli causasse grande vergogna “...ne prendiamo il controllo. Era questo che volevo fare con te quando ci siamo incontrati. Avrei inghiottito il tuo cuore e non te ne saresti neanche accorto finché-”

“Allora sai com’è che funziona!” Il principe lo afferrò per le spalle, interrompendolo speranzoso “Ci deve essere qualcosa che puoi fare per risolvere questo disastro!”

Oscurità sussultò, sorpreso da quella reazione. Nell’udire quell’ammissione di colpa chiunque altro gli avrebbe voltato le spalle ma non il principe. Lui seguiva sempre quel che gli diceva il cuore, non la testa. “Vorrei aiutarti, ma non so come. Le altre Ombre non mi ascolteranno… non posso semplicemente dir loro di lasciare libere quelle persone.”

Spingendo giù la grata d’ottone, i due sgattaiolarono fuori dalla conduttura e si trovarono nel corridoio del palazzo. Guardie e membri della servitù correvano in tutte le direzioni in preda al panico mentre fuori dalle finestre ad arco Atlantide risuonava dell’eco dei corni d’allarme. Come già altre volte sin dall’inizio della guerra, quell’ululato sinistro indicava l’arrivo di macchine da guerra nemiche e avvertiva i cittadini ed i soldati di correre ai propri posti.

Il principe si guardò attorno disorientato, le spalle premute contro la parete affrescata per non venir travolto dalla folla di dignitari in fuga “Dobbiamo trovare Kida e la mamma e andare ai rifugi.”

Oscurità s’appiattì contro il muro, il suo corpo nerissimo che si fondeva con l’ombra del bambino per non attirare l’attenzione. 

“Sì, è la cosa migliore.” gli sussurrò all’orecchio “Ma dovrai andare da solo.”

“Come sarebbe? Vieni con me! Puoi stare nascosto nella mia ombra come adesso..!” cercò di protestare il principe ma Oscurità gli diede uno spintone, incoraggiandolo ad allontanarsi dal muro ma lui puntò i piedi a terra.

“Sta per succedere qualcosa. Lo sento, le altre Ombre… sento le loro voci nella mia testa. Devo andare da loro.”

“Cosa? No, non se ne parla!” il bambino si voltò, gli occhi fissi contro la sagoma nera proiettata sulla parete. Se non avesse saputo che il suo amico s’era nascosto lì dentro, sarebbe stato proprio come parlare ad un muro. “Me l’hai promesso! Mi hai detto che saresti stato la mia ombra!”

Oscurità sembrò sospirare con aria risentita “Lo so, ma io-” la sagoma nera sussultò, sollevando una mano artigliata “...attento!”

Il principe ebbe appena il tempo di voltarsi che un paio di mani lo afferrarono per le spalle, sollevandolo di peso da terra. 

La guardia di palazzo sogghignò, premendogli la lama del gladio contro la gola e il bambino scorse un bagliore giallo e malsano negli occhi dell’uomo. Non conosceva il nome di tutti i soldati al servizio di suo padre ma il suo era un volto amico e familiare, qualcuno su cui il principe non avrebbe esitato a fare affidamento in un momento di bisogno. Eppure, proprio come il Maestro Jirad aveva appena attaccato il Re nella sala delle udienze, anche quella guardia aveva rivolto la spada contro il proprio principe.

Prima ancora che l’Ombra o il bambino potessero reagire, l’assalitore fu messo fuori combattimento da un colpo alla testa ben assestato.

L’uomo rantolò a terra mentre una nube di tenebra violacea esalava via dal suo corpo inerme, confermando che fosse stato posseduto dalle ombre proprio come aveva detto Oscurità.

“Mamma!”

La Regina di Atlantide prese il figlio tra le braccia, il Keyblade che aveva appena usato per bandire le tenebre ancora stretto in pugno. Il principe affondò il viso nel petto della madre, i loro capelli bianchi che si mischiavano in una stretta colma di sollievo. “Dobbiamo andare, il Cristallo ci proteggerà.” tagliò corto la donna dai luminosi occhi blu, dandogli un’energica scrollata per assicurarsi che il figlio fosse ancora tutto d’un pezzo e pronto ad affrontare quella fuga improvvisa.

Kida si teneva saldamente stretta alla veste della madre e tese la mano al fratello maggiore che l’afferrò con risolutezza, gettando uno sguardo in direzione di Oscurità prima di cominciare a correre.

L’Ombra lo guardò allontanarsi, incerta sul da farsi. L’ululato dei corni sulle torri di vedetta si faceva sempre più assordante e i fari abbaglianti delle prime macchine da guerra punteggiavano l’orizzonte di quella notte colma di terrore. Che fossero nemici o alleati, non faceva alcuna differenza. L’Oscurità s’era infiltrata in ogni luogo, in ogni famiglia. Nessuno poteva più fidarsi di nessuno, chiunque poteva essere un traditore o un congiurato. Era così che l’Oscurità prendeva possesso di un mondo… lo distruggeva dall’interno, seminando sospetto e paranoia.

E lui, a differenza di tutte le altre Ombre che l’avevano preceduto, se ne rendeva conto. In mezzo a quella moltitudine di Oscurità senza nome e senza senno, lui e soltanto lui provava un soverchiante senso di colpa. Anche se era nella sua natura di creatura delle tenebre, anche se non avrebbe dovuto biasimare i suoi ‘fratelli’ per agire secondo il loro istinto di divoratori di mondi… Oscurità non riusciva a perdonarselo.

Un’esplosione così violenta da far tremare le colonne del palazzo e mandare in frantumi le vetrate lo scaraventò indietro, facendolo ruzzolare fuori dall’angolo buio in cui si era rifugiato. L’intera città fu investita da una nube di vento ed acqua che estinse tutte le luci, lasciando Atlantide rischiarata solamente dal bagliore azzurro ghiaccio del Cristallo che fluttuava sopra di essa. Quando Oscurità riuscì a rimettersi in piedi e a balzare sul cornicione per guardare di nuovo fuori, il suo piccolo cuore di ombre prese a battere così forte da sembrare sul punto di scoppiare. 

All’orizzonte, oltre le mura sormontate di statue e torri di guardia, un’enorme muro d’acqua stava avanzando a velocità vertiginosa verso la città, travolgendo tutto ciò che incontrava sul suo cammino, distruggendo ponti e sommergendo i campi coltivati.

Per la prima volta nella sua esistenza, Oscurità comprese il significato della parola ‘terrore’. Temette per la sua vita, per quella del suo amico umano e persino per il destino di tutte le cose inanimate che esistevano in quella città che a poco a poco aveva imparato a conoscere e a chiamare casa.

Digrignando i denti in una smorfia di rabbia e frustrazione, Oscurità ridusse nuovamente il proprio corpo ad una silhouette nera ed impalpabile e corse a raggiungere il principe e la sua famiglia, anche se questo significava avvicinarsi pericolosamente al Cristallo la cui luce abbagliante era per lui tanto spaventosa quanto l'onda distruttrice alle sue spalle.

°°°

 

Luxu non sapeva cosa fare.

Dopo quanto successo con Oscurità e col Maestro ancora assente, lui e i suoi compagni s'erano riuniti nella sala circolare e seduti attorno al tavolo, cercando di pianificare la prossima mossa.

Mava aveva immediatamente suggerito che si recassero tutti ad Atlantide per rintracciare il Maestro ma Salegg aveva obiettato che non potevano lasciare incustodita la loro base quando qualcosa di oscuro s'aggirava per le sue sale. Dividersi sembrava una pessima idea ma era anche la loro unica opzione. Perciò, quando Hafet si offrì di andare da solo a cercare il Maestro, gli altri non poterono far altro che accordargli il permesso.

In fin dei conti, doveva soltanto recapitare il messaggio e poi lui e Perbias sarebbero stati di ritorno in un attimo. Nel frattempo, gli altri sarebbero rimasti tutti insieme a vegliare sulla Torre e la città che ancora dormiva tranquilla e ignara sotto di loro. Era la soluzione migliore.

Ma mentre i suoi compagni discutevano di questo, Luxu non riusciva a togliersi dalla testa le giare con i frammenti di cuore e nonostante avesse tentato più volte, non aveva ancora trovato il coraggio di guardare in faccia i propri compagni e condividere con loro quella scoperta.

Il suo cuore, da poco tornato completo, faceva ancora male e lo riempiva di dubbi e paranoie che non aveva mai sperimentato prima. All'improvviso si trovò a mettere tutto in discussione e a domandarsi se quello non fosse esattamente ciò che Oscurità voleva. 

 

"E’ il momento di scoprire quanto sarà sincera la tua lealtà."

 

Luxu deglutì a fatica, alzandosi dalla sedia "Scusate, devo andare un secondo al bagno." Si giustificò, temendo che se avesse detto ai propri compagni che aveva bisogno di starsene da solo a riflettere non lo avrebbero lasciato andare. Ma hey, ai bisogni fisiologici non si comanda e infatti nessuno ebbe niente da ridire.

Appena ebbe raggiunto la fine del corridoio Luxu svoltò in direzione opposta dei servizi igienici e andò verso le scale. Aprì una delle finestrelle e sgusciò fuori sul cornicione sferzato dalla dolce brezza notturna senza troppi preamboli. 

Con i suoi poteri di manipolazione della gravità, il ragazzo salì verticalmente lungo la parete esterna della Torre Meccanica, le mani in tasca e lo sguardo perso davanti a sé mentre il cuore dolorante palpitava nel suo petto come un uccellino in gabbia.

Auropoli dormiva ancora profondamente sotto di lui. La piazza della fontana era deserta e tutti i lumi erano spenti rendendo la luna il solo faro in quella notte tersa.

Più in alto, poteva vedere le ante chiuse della finestra della sua stanza e gli occhi gli si inumidirono al pensiero che non avrebbe più trovato Schad ad aspettarlo sul davanzale col suo unico occhione azzurro e la lingua ruvida che gli lappava le dita in risposta alle sue carezze.

Raggiunse la finestra, le guance ormai umide di lacrimoni caldi e copiosi. Si sedette sul davanzale senza aprire la finestra, la schiena premuta contro il vetro e le gambe che penzolavano nel vuoto. Il vento soffiava più forte là in alto, ma il ragazzo non aveva paura di cadere. Un tempo quell’altezza vertiginosa gli avrebbe fatto girare la testa ma adesso lo aiutava a pensare, a mettere le cose in prospettiva. Tutto era così piccolo ed insignificante se osservato da lassù.

Schad era solo un animale, dopotutto. E per essere un gatto, era anche piuttosto vecchio ma il fatto che non gli restasse comunque molto da vivere non lo aiutava a mettersi l’animo in pace. Se c’era una cosa che aveva imparato in tutti quegli anni di missioni e viaggi nei mondi più disparati era che i cuori erano tutti uguali, non importava se appartenessero ad una creatura più o meno longeva o intelligente. Il fatto che Schad non fosse in grado di comunicare con lui come avrebbe potuto fare uno degli animali bipedi di Zootopia non significava che non avesse capito cosa stesse succedendo, cosa stava rischiando nel mettersi tra il suo padrone e quella nube di fumo e tenebra.

“Un cuore è pur sempre un cuore.” diceva il Maestro durante le sue lezioni. “Al mondo non c’è niente di più imprevedibile e potente.” 

Il ragazzo strinse le ginocchia al petto, confuso e angosciato come non lo era mai stato in vita sua.

“Il cuore è un pesante fardello.”

S'asciugò gli occhi, tirando su il cappuccio ocra della mantella da apprendista come per nascondersi dallo sguardo giudicante della luna e restò così, immobile e rannicchiato contro il vento freddo nonostante sapesse benissimo che una sua assenza prolungata avrebbe immediatamente messo gli altri apprendisti in allarme.

Sapeva di doversi dare un contegno e tornare da loro, affrontando il problema a testa alta… ma qualcosa lo tratteneva lassù, tra le guglie che incoronavano la Torre Meccanica.

Tutto d’un tratto, sentì qualcosa muoversi al suo fianco. Un tocco tiepido e familiare contro le braccia che teneva incrociate sopra le ginocchia.

“...Schad?!”

Luxu sussultò e alzò la testa di scatto, riconoscendo il modo in cui il suo animaletto da compagnia aveva così tante volte attirato la sua attenzione, dandogli un colpetto con la testolina pelosa. 

Ma ovviamente davanti a lui non c’era niente di niente, soltanto il cielo vuoto e le colline in lontananza… eppure Luxu avrebbe giurato di aver visto un barlume con la coda dell’occhio, una scintilla di luce bianca, proprio come quelle in cui Schad s’era dissolto tra le sue braccia poche ore prima. Fantastico, adesso aveva pure le traveggole.

Si rimise in piedi, le spalle incurvate con fare sconsolato e ripercorse a ritroso i suoi passi, rientrando in corridoio con un balzo.

   
 
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