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Autore: BabaYagaIsBack    12/05/2020    0 recensioni
● Book II ●
In una notte Aralyn ha compiuto nuovamente l'impossibile, mettendo in ginocchio l'intero clan Menalcan. Ha visto ogni cosa intorno a sé macchiarsi del colore del sangue e andare distrutto - forse per sempre. Così, in fuga dai sensi di colpa e dal dolore che le schiaccia il petto, si ritrova a essere ancora una volta l'eroina del suo branco e il mastino al servizio del Duca, ma anche il nemico più odiato dai lupi del vecchio Douglas e l'oggetto di maggior interesse per il Concilio che, conscio di quale pericolo possano ora rappresentare i seguaci di Arwen, è intenzionato a fargliela pagare.
Ma qualcuno, tra i Purosangue, è disposto a tutto pur d'impedire che la giovane Aralyn Calhum venga punita; anche mettere a punto un "Colpo di Stato".
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
Capitoli:
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10. The end of the truce

Un cappio, ecco cosa era la cravatta che stava allacciando intorno al proprio collo. Joseph non aveva dubbi riguardo a quanto quel completo scuro, commissionato a uno dei sarti più rinomati di Scozia, fosse una sorta di camicia di forza per il suo corpo, costringendolo a reprimere qualcosa che ancora non sapeva ben definire. Più si rimirava nello specchio nel tentativo di fare un nodo perfetto, più in quel riflesso faceva fatica a riconoscersi - eppure era ancora lui, lo stesso di sempre. O quantomeno lo era in apparenza. Già, perché nei suoi occhi la scintilla di vita era sopita, sul suo viso la linea dura delle labbra non riusciva più a inarcarsi per tendere un sorriso; era stanco, ma soprattutto turbato da tutto ciò che il fato gli stava riservando.

Così, con uno sbuffo, non poté impedirsi di volgere il capo verso il letto che lo aveva accolto per lunghissimo tempo e che, a distanza di tre anni, ora lo rivedeva tra i suoi cuscini. Anche quella notte, Morfeo non era stato affatto clemente con lui e le sfumature violacee intorno alle palpebre ne erano la prova.
Ogni volta che si coricava, la mente prendeva a giocargli brutti scherzi: dal suono del collo spezzato di Kyle, a quello del corpo di Aralyn che si accasciava a terra. E poi, a urtare ancora di più il suo riposo, c'era l'immagine della schiena di lei, curva di fronte a un pubblico di sette Nobili pronti a punirla per una colpa che, in realtà, non era poi così diversa da altre.

Gabriel però aveva giocato d'astuzia, per una volta, l'unica in trent'un anni di vita e, a dire il vero, avrebbe anche potuto risparmiare al suo povero neurone tutta quella fatica visto l'esito di tale sforzo. Certo non si poteva dire che la sua fosse stata una mossa stupida, anzi, seppur fosse il primo da quasi quattro decadi a ricorrere al Concilio per un simile affronto, la sua era stata la decisione più ponderata che Joseph gli avesse mai visto prendere; sapendo di attaccare senza certezza di vittoria, aveva preferito una vendetta più sottile.

Il fatto che a subirne le conseguenze fossero lui e la sua amata invece, solo un tragico dettaglio dall'importanza fondamentale.

E ancora una volta, dalle labbra di Joseph si levò un sospiro. Quale soluzione avrebbe potuto escogitare per salvarla? Non ne aveva idea e, al momento, non disponeva nemmeno dei rarissimi libri su cui le leggi dei licantropi erano state scritte - Douglas doveva certamente possederne una copia, il problema era capire dove li avesse nascosti e, soprattutto, trovare un modo per impossessarsene; dopotutto dubitava che gli uomini di suo fratello non lo stessero tenendo d'occhio.

Finalmente, a differenza della giornata, il nodo alla cravatta parve prendere la giusta piega. E quello fu la conferma del fatto che fosse ufficialmente pronto per andare a dare l'ultimo saluto all'Alpha che lo aveva preceduto.

La Luna Piena avrebbe svettato nel cielo notturno quella sera, segnando i dieci giorni che erano intercorsi dall'attacco a Villa Menalcan e dalla fine di ogni cosa. Dieci lunghissimi giorni che avevano preso il sapore dell'eternità, di una prigione senza alcuna via d'uscita - eppure, quasi in sordina, uno spiraglio si era fatto strada fin lì, facendogli realizzare come, l'era del minaccioso Douglas Menalcan fosse finita, mentre quella di uno dei suoi figli fosse invece in procinto d'iniziare.

Con riluttanza il ragazzo si guardò nuovamente allo specchio, studiando minuziosamente il proprio aspetto. Fu strano osservarsi con così tanta intensità, cercare quasi ossessivamente qualcosa fuori posto - solo una volta gli era capitato di comportarsi a quel modo ed era stato il giorno in cui aveva giurato fedeltà ad Arwen, aprendosi le porte verso un clan che ora avrebbe tanto voluto chiamar proprio. Come allora, ciò che si stava supplicando di fare era fingere, mettere in scena la farsa perfetta e sopravvivere, ma, a differenza di quell'occasione, stavolta aveva una motivazione ben più seria per portare a termine quella commedia. Doveva ingannare tutti, accaparrarsi qualche nuovo sostegno da parte dei confratelli e consolidare la simpatia che altri provavano nei suoi confronti, oltre che risultare una fastidiosissima spina nel fianco di Gabe.
Così, facendosi coraggio mosse il primo passo all'indietro, poi un altro e, infine, imboccò la strada verso il giardino, lì dove il branco stava iniziando a radunarsi per la cerimonia. Nel percorrere i corridoi, in cui ancora riusciva a intravedere i fantasmi dei lupi che li avevano riempiti, il silenzio parve farsi denso e appiccicoso. Se lo sentì addosso, fastidiosamente attaccato alle spalle larghe, aumentando il suo desiderio di levarsi di dosso qualsiasi cosa che non fosse la propria pelle.

Per un momento gli parve di essere tornato indietro nel tempo, a quando aveva poco meno della maggiore età - dopo che sua madre era "saltata" giù dal balcone della propria stanza, spezzandosi il collo, e prima che lui, come una furia nera, si fosse scagliato addosso al fratello di Aralyn, recidendogli i muscoli della coscia e invalidandolo per sempre. Gli sembrò di provare per la propria casa, famiglia e branco il medesimo disprezzo di allora e, come a quei tempi, si trovò a non saper che fare.

Passo dopo passo, ricordo fastidioso dopo ricordo fastidioso, Joseph riuscì finalmente a raggiungere l'atrio dell'immensa magione nonostante la moltitudine di pensieri che mai sembrava abbandonarlo e lì, del tutto colto alla sprovvista, andò a sbattere contro qualcosa. Sentì una sorta di impedimento all'altezza dell'ombelico, seguito subito dopo da un guaito fin troppo estraneo che lo riportò brutalmente al presente, facendogli abbassare lo sguardo e domandare chi, tra tutti i licantropi presenti quel giorno, potesse mai aver deciso di ostacolare la sua avanzata verso l'esterno della Villa - ciò che si sarebbe aspettato di incontrare, ad ogni modo, era tutto tranne che un visetto paffuto contornato da folti capelli scuri.

Stava forse sognando? Possibile che le sue paranoie avessero generato quella stravagante allucinazione?

Per quello che parve un lunghissimo lasso di tempo, il bambino rimase immobile a fissarlo, visibilmente impaurito dalla figura che, almeno per una settantina di centimetri, lo sovrastava con una certa imponenza; dopotutto, seppur Joseph apparisse meno minaccioso del padre o del fratello, vestito a quel modo e con quell'espressione corrucciata in viso non dava affatto l'impressione di essere innocuo.

Da quando c'erano cuccioli, nel clan? Si ritrovò a chiedersi, ogni istante sempre più confuso. A nessuna femmina gravida, né moccioso, era permesso risiedere all'interno di quell'edificio - le une a causa dei problemi ormonali e del pericolo a cui andavano incontro stando lì, gli altri per via del fastidio che avrebbero potuto causare agli uomini della famiglia. Quindi da dove spuntava quel fagottino malamente vestito da uomo d'affari?

Poi, da un angolo non molto lontano, un richiamo tuonò nelle orecchie del licantropo, avvertendolo dell'imminente arrivo di Gabriel - avrebbe riconosciuto la sua voce in mezzo a mille, ma sarebbe stata l'unica a procurargli tanto ribrezzo. 
«Oscar!» Appellò furioso il piccino che, in risposta, si ritrovò a sussultare per lo spavento, aggrappandosi involontariamente alla giacca dello zio. Già, perché quel nome, associato alla capigliatura arruffata e scura poteva appartenere solo al figlio bastardo del maggiore tra i fratelli Menalcan.

Avanzando come una furia, l'uomo raggiunse i due consanguinei, lanciando a entrambi occhiate tutt'altro che amichevoli - se da un lato l'odio per Joseph era innegabile e risaputo, dall'altro non si poteva ignorare il fatto che provasse una sorta di repulsione anche per il frutto del proprio seme, risultato di un invaghimento carnale durato un po' troppi anni per una compagna di università.

«Cosa ci fa lui qui?» la domanda fu accompagnata da un'espressione tagliente, forse persino scocciata. Quella giornata era l'occasione peggiore per portare un Impuro nelle terre del clan, eppure Gabe sembrava ignorare completamente la gravità della situazione - non solo era una mancanza di rispetto nei confronti del defunto padre, che avrebbe soffocato entrambi i cuccioli del figlio prima che qualcuno ne scoprisse l'esistenza, ma era anche un velato affronto al branco che, per colpa di quella razza, aveva subìto la perdita di un Alpha, insieme a quelle di molti altri compagni. Possibile che suo fratello non se ne fosse reso conto?

L'altro grugnì: «Vallo a chiedere a sua madre. Li ha portati entrambi dicendo che dopotutto era loro nonno».
«Un nonno che ha cercato di ucciderli...»

«Ma ha fallito» sottolineò con un certo astio l'omone, fulminando il fratellino. Anche se non li avrebbe mai realmente accettati come eredi, l'indole ferina di Gabriel non poteva impedirsi di sentire quelle due creature come proprie - portavano addosso il suo odore, avevano i suoi tratti e, in futuro, sarebbero persino potuti diventare degli arrivisti del suo stesso calibro. Erano suoi e di nessun altro, anche se avrebbe evidentemente preferito che fossero nati da un grembo animale.

«C'è andato molto vicino, e più di una volta» lo sguardo di Joseph calò sul bambino ancora aggrappato a lui e, incrociandone lo sguardo, non riuscì a vietare al proprio cuore di stringersi. Non aveva mai desiderato conoscere né Oscar, né la sorella maggiore, considerandoli solo degli sbagli di percorso fatti da un cervello troppo succube del testosterone, nonché la possibile fotocopia di un uomo la cui esistenza non faceva altro che infastidirlo, eppure ora eccoli lì, entrambi in mezzo al branco - e, nel loro essere lupi a metà in un mondo ingiusto, gli ricordarono coloro che aveva perso. Seppur così esteticamente simili a colui che li aveva generati, quei due potevano essere paragonati ai fratelli Calhum, ai gemelli Vogel, a Garrel, Fernando e persino Marion. Se ne stavano a metà di due esistenze, appartenendo un po' a una e un po' all'altra, ma nonostante questo erano respinti e schifati da entrambe - ma a prescindere da ciò, desiderosi di trovare il proprio posto. Chissà se mai, in futuro, un branco come quello di Arwen avrebbe potuto accettare quei bimbi.

«Beh, ora non può più nemmeno provarci, quindi cuciti la bocca» con la mano protesa verso il figlio, Gabe lo riportò malamente alla realtà, invitando il moccioso a staccarsi dallo zio e seguirlo. Questi però non volle dargli retta, agguantando sempre più la stoffa del completo in cui aveva trovato sostegno perché, con grande probabilità, doveva aver sviluppato nei confronti del padre un certo timore, forse simile a quello che Douglas aveva instillato in loro durante l'infanzia - dopotutto, si ricordò il giovane, il primogenito di casa Menalcan era anche il più simile al capobranco quando si parlava di temperamento.

Vedendo la riluttanza del cucciolo a seguirlo, l'uomo si protese verso di lui affiancando il fratello e, afferrandogli il braccino, gli fece storcere l'espressione in una smorfia di dolore. «Sei sordo forse?» gli domandò digrignando i denti e strappandolo dal completo di Joseph. L'impazienza stava visibilmente avendo la meglio su di lui, facendogli sfuggire dalle labbra cattiverie che avrebbe fatto meglio a risparmiarsi: «Non comportarti come la bestia ignorante che sei! Possibile che voi Impuri non siate altro che muli?» 
E, a quelle parole, il desiderio di sferrargli un pugno dritto sullo zigomo si fece impellente, Joseph sentì i palmi formicolare dal desiderio di colpirlo.

Lui non aveva alcun diritto di sentirsi superiore a nessuno.

Lui non era altro che un avido gradasso incapace di vedere al di là del proprio naso; era privo di un qualsivoglia ideale che potesse essere vagamente definito "nobile" - tra lui e gli Impuri, la vera bestia era proprio colui che non si definiva tale.

Fatto stava però, che non potesse ancora alzare le mani sul quel tizio. Il corpo dell'Alpha non era stato seppellito e, di conseguenza, l'obbligo di non-violenza era ancora vigente e lo sarebbe stato fino alla fine di quella notte. Così dovette resistere all'istinto d'aggredirlo.

Stringendo i pugni nelle tasche, Joseph s'impose di non intervenire, né a difesa del piccolo Oscar, né in quella dei licantropi come lui - dopotutto, suo fratello avrebbe benissimo potuto usare ogni sua azione o commento contro di lui il giorno in cui avrebbero dovuto scegliere il nuovo Alpha; un giorno sempre più vicino, se il Concilio non si fosse messo in mezzo.

«Ad ogni modo, tieniti stretto il tuo moccioso» sbottò infine, cercando di guardare ovunque tranne che sulla testolina ancora tra loro: «E dì a Theresa di portarli via subito dopo la cerimonia. Gli altri potrebbero non gradire la loro presenza qui».

«Sono il loro futuro Alpha, ciò che vogliono è un mio ordine» Gabe, seppur ovviamente conscio del pericolo in cui stava cacciando i figli e l'umana con loro, non sembrava affatto propenso ad accettare consigli dal momentaneo acerrimo nemico - e anche se fosse stato d'accordo con lui, non lo avrebbe mai ammesso. O quantomeno non in un simile contesto.
L'altro allungò un angolo della bocca, divertito: «Fino a prova contraria sei solo il figlio di Douglas, esattamente come Leah e me, non confiderei troppo in un'autorità che ancora non hai» e così dicendo, riprese a camminare verso l'uscita, lì dove il silenzio era totale.

«Che vorresti dire?» sentì sbraitare ironicamente alle proprie spalle: «Siamo nella stessa barca Joseph, solo che io non sono un traditore».

E per un solo istante, un frangente quasi impercettibile, il suo passo rallentò. 
Traditore.
Che suono stridulo che aveva quella parola. Che sapore amaro aveva sulla lingua. Che fastidiosa verità era, quell'appellativo associato alla sua persona. Sin dal principio, il secondo figlio dell'Alpha non era stato altro che quello: un impostore. Aveva tradito tutti, nessuno escluso, eppure colui che era stato seppellito con tale epitaffio altri non era che Kyle, l'unico uomo che non aveva mai osato voltargli le spalle.

Aveva mentito e ingannato ogni persona che gli era legata, persino le poche che lui aveva amato veramente - ma ancora non poteva smettere, nonostante sapesse che fosse la cosa giusta da fare, l'unica per trovare redenzione. Se avesse scelto una verità e l'avesse seguita fino in fondo, regalandosi liberazione e felicità, sapeva avrebbe riscattato il sacrificio del proprio migliore amico, peccato che non potesse ancora concedersi un simile lusso: prima doveva distruggere ciò che lo aveva condotto sin lì e svestire Aralyn delle colpe che era stato lui stesso a farle indossare.
 


 
   
 
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