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Autore: BabaYagaIsBack    20/05/2020    0 recensioni
● Book II ●
In una notte Aralyn ha compiuto nuovamente l'impossibile, mettendo in ginocchio l'intero clan Menalcan. Ha visto ogni cosa intorno a sé macchiarsi del colore del sangue e andare distrutto - forse per sempre. Così, in fuga dai sensi di colpa e dal dolore che le schiaccia il petto, si ritrova a essere ancora una volta l'eroina del suo branco e il mastino al servizio del Duca, ma anche il nemico più odiato dai lupi del vecchio Douglas e l'oggetto di maggior interesse per il Concilio che, conscio di quale pericolo possano ora rappresentare i seguaci di Arwen, è intenzionato a fargliela pagare.
Ma qualcuno, tra i Purosangue, è disposto a tutto pur d'impedire che la giovane Aralyn Calhum venga punita; anche mettere a punto un "Colpo di Stato".
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
Capitoli:
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11. For you

Il dolore era ancora presente, seppur meno violento. Stilettate sottili che arrivavano senza preavviso, facendole storcere la bocca e digrignare i denti avevano fatto la loro comparsa la prima mattina di Luna Crescente e, all'alba dell'ultima notte di quella Morente, Aralyn era scesa a patti sia con loro, sia con sé stessa - l'unica persona ancora da coinvolgere, ora, era Arwen.

Così si era vestita con ciò che Killian le aveva procurato: un abito lungo sia di gonna che di manica, morbido sul corpo per evitare che i punti rimasti nella carne dessero fastidio, una giacchetta a coprirla dalla frescura marzolina e un paio di stivaletti col tacco basso che dubitava avrebbero giovato ai suoi arti ancora indolenziti. Il padrone di casa aveva pensato a tutto, anche a procurarle del make-up con cui coprire i vaghi aloni della fatica - ma quello doveva essere stata la parte meno difficoltosa, viste le scorte di kajal, mascara, ombretti e smalti scuri che quel tipo teneva nascosti in bagno - e lei si era concessa, per la prima volta dopo settimane, il lusso di farsi carina.

Guardandosi ancora una volta nello specchio, Aralyn fece quasi fatica a riconoscersi. Della cosetta malandata e sfatta che era stata per giorni pareva non esserci alcuna traccia e, seppur con l'amaro in bocca, si ricordò dell'ultima occasione in cui si era agghindata come una vera signorina. Era stata la cerimonia per Joseph, il giorno in cui aveva iniziato a realizzare cosa fossero quelle strane sensazioni che le si agitavano dentro - un desiderio che si era accresciuto fino a portarla sul baratro della tragedia e da cui, ora, doveva assolutamente allontanarsi. In fin dei conti, con la imminente condanna che le gravava addosso, quante possibilità aveva di rivederlo? Nessuna, si disse, mentre una stretta prese a stritolarle il cuore.

Involontariamente prese a mordersi le labbra. Quanto avrebbe voluto guardarsi indietro senza avvertire ogni volta tutta quella malinconia, l'assenza e quella vaga rabbia che in sordina era sempre rimasta lì, accanto a lei.

Avrebbe potuto dirmelo, pensò con amarezza. Già, perché poco le importava se era il figlio di Douglas, ciò che davvero la faceva star male era il fatto che le avesse mentito persino dopo averle confessato il proprio interesse, dopo averla baciata ed esserci andato a letto. Avrebbe dovuto dirglielo. In qualche modo, un qualsiasi modo, avrebbe dovuto dirle di non essere colui di cui le aveva raccontato.

I dettagli, forse, le sarebbe importato poco scoprirli.

D'un tratto, a ridestarla da quei pensieri e dalla tristezza sempre più opprimente, le arrivò alle orecchie un toc-toc inaspettato.

La giovane alzò lo sguardo verso la porta spalancata e, lì, incrociò il viso beato del fratello. Arwen se ne stava immobile a fissarla da cima a fondo, abbandonato sullo stipite in sua attesa.

«Ti sei fatta tanto bella per me?» l'apostrofò con un sorriso, pizzicandosi subito dopo il labbro con gli incisivi, saggiando un'immagine di lei solo sua.
Aralyn avrebbe voluto sentirsi lusingata da quel complimento velato, le sarebbe piaciuto arrossire come un pomodoro esattamente come succedeva prima, ma tutto ciò che avvertì fu un mero piacere, il fantasma di qualcosa che si faceva sempre più labile. L'amore che un tempo aveva creduto essere il suo tutto, ora era poco più del niente, ma per Arwen era ancora qualcosa di inestimabile valore - e lei, seppur non avesse ben chiaro il motivo, sentiva di avere un debito nei suoi confronti.

Con una sorta di giravolta gli si fece vicina, mostrandosi in tutto il suo ritrovato splendore: «Nessuna fanciulla vorrebbe sfigurare, accanto a te!» Il suo tono, così come il sorriso, le apparvero più civettuoli del solito - un riflesso incondizionato dato dai desideri che faticava a confessare. L'amore di quell'uomo, il loro dipendere l'uno dall'altra le avrebbe permesso di non sentire il vuoto di Joseph, l'eco della sua assenza. Avrebbe ovattato ogni sensazione legata a lui, anche se in cambio le avrebbe chiesto un prezzo fin troppo alto. Ma cosa importa?, si domandò ravvivandosi una ciocca; dopotutto ogni giorno avrebbe avuto il sapore dell'ultimo da quel momento in poi e, sapendo ciò a cui stava andando incontro, non voleva assolutamente restare sola. Essere mangiata viva dai rimorsi, dai ricordi velenosi, da un sentimento cresciuto lentamente e poi esploso in un unico istante non le andava affatto: le poche settimane, o giorni che le fossero rimasti, voleva viverli meglio di così.

Il fratello sorrise, ignaro di tutti quei pensieri e, porgendole la mano, l'invitò a seguirlo. Fuori da quella dimora li attendevano i bolognini delle strade di Mont Saint-Michel, i tiepidi raggi di fine mese, la brezza della primavera e, soprattutto, la promessa di qualche prelibatezza.
Aralyn aveva programmato per la sua prima uscita una giornata di totale tranquillità che, sapeva bene, avrebbe messo a rischio con un'unica richiesta, ma pregò che anche il suo Alpha, sotto sotto, non desiderasse altro che tornare a casa - sempre se un luogo a cui tornare vi fosse stato. Così, armata di un insolito buonumore, lasciò che la mano di Arwen si stringesse intorno alla sua. Era forse la prima volta che le loro dita s'intrecciavano a quel modo, che si concedevano il lusso di una simile tenerezza in pieno giorno.

Essere un Alpha implicava tante cose, una tra tutte era la necessità di farsi vedere sempre inarrivabile, autorevole. La dolcezza era qualcosa che doveva rimanere intima, segreta come lo era stata la loro infatuazione - ma in quel momento non c'era nessun branco a vederli, nessuna malalingua pronta a condannarli, solo qualche truce occhiata di Killian che, appena li vide scendere dalle scale, mano nella mano, non poté evitarsi di storcere la bocca.

In fin dei conti lui sapeva, conosceva i veri sentimenti della giovane Calhum e, perciò, non avrebbe mai smesso di guardarla a quel modo; o quantomeno non fino al momento in cui lei non avrebbe messo fine alla farsa.

La ragazza gli passò di fronte concedendosi un momento di esitazione. Lo sguardo scuro dell'uomo sembrò quasi agganciarsi a lei, trattenendola. Per un solo e breve istante Aralyn si domandò quanto fosse giusto ciò che stava facendo, ma appena oltrepassata la soglia, quel pensiero svanì, bruciando come un vampiro alla luce del sole.

Arwen la condusse per strade a lei sconosciute fino a quel momento, la fece confondere tra una via e quella successiva finché, d'un tratto, non si ritrovarono in mezzo al vociferare concitato di altre decine di persone. I turisti salivano e scendevano per le vie scoscese, si radunavano accanto ai pochi negozietti presenti e alzavano le teste in direzione dell'enorme cattedrale posta sul cucuzzolo di quel luogo. Ignari di qualsiasi cosa che non fosse il loro quieto vivere, gli umani si concedevano momenti di pacifica serenità, la stessa che dopo lungo tempo anche la lupa sentì propria.

Stretta tra le falangi di suo fratello, la giovane si fece trasportare dall'ammirazione verso cotanta tranquillità e, con un sorriso, mosse i propri passi tra la gente. Le era mancato il caos, la vita. Le era mancato il muoversi in mezzo a così tante persone, sentire le orecchie piene di frasi e discorsi a metà e avvertire il calore della quotidianità - dopotutto, gli ultimi momenti felici che ricordava risalivano a prima della partenza per Novigrad.

Si ritrovò commossa, ebbra di tutte le emozioni che le stavano stringendo il cuore e, inaspettatamente, dovette asciugarsi l'angolo di un occhio. Non ricordava alcuna occasione in cui avesse desiderato così tanto sentirsi parte del marasma, essere schiacciata dalla quantità eccessiva di parole - e glielo avrebbe detto. Appena fosse stata pronta, e sicura di non mandare in pezzi il sogno di Arwen, gli avrebbe confessato il desiderio di voler tornare a casa, tra i loro confratelli. Gli avrebbe chiesto di concederle ancora qualche mera illusione: il sogno di non essere condannata e di non aver mai incontrato e perso il lupo a cui era destinata.

***

Gli sarebbe piaciuto sfiorarla, lì davanti a tutti. Gli sarebbe piaciuto abbandonare la propria sedia per raggiungerla sul divanetto da cui, persa, Aralyn guardava fuori dalla finestra, mentre con una mano girava sovrappensiero la cannuccia nel frullato. Ancora faticava a credere di averla quasi persa, di aver stretto il suo corpo morente tra le proprie braccia e invocato il nome di Arianrhod Arawn per concederle un alito di vita, eppure era successo. Quasi due settimane prima l'aveva vista scivolargli via dalle dita, ma era comunque riuscito ad acciuffarla e riportarla a sé - in che modo però, restava ancora un punto di domanda.

Sicuramente sua sorella era viva, al suo fianco e pronta ad affrontare nuovamente il mondo che li attendeva oltre le mura di Mont Saint Michel, ma non avrebbe saputo dire se il suo cuore fosse altrettanto presente o perso a miglia di distanza, tra i corridoi di un edificio che era divenuto, anche solo per una notte, un campo di battaglia tanto violento d'aver fatto tremare i loro animi guerrieri. 
Arwen se lo chiese con insistenza, mentre con gli occhi percorreva il profilo crudo e sgraziato di lei - ennesimo lascito di un padre che troppo presto li aveva trasformati in orfani.

Chissà se i pochi baci che erano riusciti a scambiarsi durante quella convalescenza erano stati paragonati a quelli altrui, se Joseph Menalcan ossessionava la mente di lei quanto la sua - perché quel fetido cagnaccio era lì, sempre presente in mezzo ai suoi pensieri. Era l'ombra che vedeva passare nello sguardo di Aralyn, i tremori che le increspavano la pelle. Era l'uomo che l'aveva avuta, sia nel corpo che nell'animo, il compagno che la loro essenza soprannaturale aveva scelto di legare a lei per sempre e indissolubilmente - mentre lui era riuscito a malapena a sfiorarla, era stato un misero frangente, un'infatuazione troppo presto dissoltasi.

«A cosa pensi?»

Lei parve riscuotersi da un sogno. Più volte batté le palpebre in direzione del proprio riflesso, poi con un timido sorriso tornò a fissare l'Alpha: «Al fatto che sono qui».
«E ti fa piacere?» in cuor suo, Arwen scongiurò di sentirle dire "sì". Aveva bisogno di essere rassicurato, di sapere che non lo avrebbe più lasciato. Sentiva l'urgenza di avvertirla vicina, stabile; di avere la conferma che non sarebbe più tornata dal nemico, ma sarebbe stata sua per il tempo che le restava.

«In parte» lo sguardo della ragazza si abbassò sulla coppa di frullato piena a metà, quasi andando a nascondersi. Temeva forse di potergli svelare qualcosa di indesiderato, lasciando il proprio viso alla sua mercé? 
Inaspettatamente, lo stomaco dell'uomo parve chiudersi, dissipando la gola che lo aveva spinto sino a quel locale. Forse avrebbe davvero dovuto temere il fantasma di quel Puro, forse avrebbe davvero dovuto rinunciare a sua sorella senza nemmeno poter concedere a ciò che li aveva legati un'opportunità.
«Non fraintendermi, Arwen. Stare qui, lontano da ogni cosa, con Killian e te...» con la coda dell'occhio, in concomitanza con quell'ultima parola, l'albino scorse un tremore smuovere la mano di lei. Un gesto lieve, fugace, un tentativo abortito di allungare le dita verso le sue: «mi pare quasi un sogno» le sentì sussurrare in un tono che non gli piacque affatto e, allora, intervenì prima che potesse essere lei a infrangere l'idillio di quel momento.

«Ma come per ogni bel sogno arriva il momento del risveglio, giusto?»

Aralyn annuì, mordendosi il labbro.
Pareva dispiaciuta, sofferente, eppure ciò non le impedì di proseguire: «Voglio tornare al Clan, Arwen. Ho bisogno della mia famiglia, di rivedere ognuno dei nostri fratelli» finalmente, con una decisione che per giorni era stata assente in lei, la ragazza alzò nuovamente i propri occhi dorati su di lui, dimostrandogli quanto ci tenesse. Dopo quasi un quarto di secolo passato insieme, Arwen aveva in parte imparato a leggerle il volto come una mappa: ogni ruga d'espressione era una montagna di preoccupazione da scalare, il rossore delle guance un mare di imbarazzo bollente da attraversare, mentre le fossette ai lati della bocca caverne di gioia in cui rifugiarsi. Ma la determinazione di sua sorella, a differenza di altre occasioni, in quel momento ebbe un sapore amaro.

Tornare a casa comportava molte più cose di quante, era certo, lei avesse considerato.

«E' troppo pericoloso» decretò dopo alcuni istanti di riflessione in cui, con la sua solita freddezza, aveva elencato la moltitudine di conseguenze che una simile decisione avrebbe portato.

«Sono la nostra famiglia, Arwen! E' il tuo branco, come puoi star loro lontano?» il tono lamentoso di Aralyn salì di qualche nota, arrivandogli alle orecchie come una sorta di accusa. Gli stava rimproverando la scelta di averla messa prima di ogni cosa o persona, di non voler vedere un mucchio di spocchiosi purosangue decretare la loro separazione - come poteva? Non era forse cosa scontata sacrificare tutto per colei che si amava? Non era forse stata lei, tra loro, la prima a seguirlo in un massacro pur di impedire la morte di quel verme? Perché avrebbe potuto raccontargli qualsiasi fandonia, ma ormai Arwen sapeva, era certo che qualsiasi cosa sua sorella avesse fatto dal momento in cui Fernando l'aveva riportata alla Tana era stata per Joseph - per questo lo aveva risparmiato; per questo stupido motivo aveva messo da parte la propria personale vendetta e salvaguardato quel cuore che ancora bramava.

«Perché ho te, a cui pensare!» gli sfuggì dalle labbra, a metà tra un ringhio e un sussurro. 
Non aveva alcun diritto di rinfacciargli quella decisione, non se in gioco c'era stata la sua vita.

Gli occhi di lei si fecero grandi di sorpresa, mentre le labbra secche si schiusero, lasciandola sospesa in uno stato di confusione che lo fece pentire di essersi lasciato incalzare dalle emozioni.

L'Alpha si morse la lingua, afferrandosi il setto tra indice e pollice: «Tu vieni e verrai sempre prima di qualunque cosa, Ara. Credi che menta, quando ti dico che sei tutto ciò di cui mi importa veramente?» Stranamente, così lontani da casa e da simili che potessero puntargli contro le dita, Arwen non si fece frenare né dagli altri presenti, né dai loro ruoli all'interno di quella società così ingiusta: «Tornare vuol dire metterti alla mercé del Concilio, venir nuovamente separati dalle loro imposizioni. E a me non sta bene, non dopo quello che è accaduto».

«Ma tu sei un capoclan, il branco ha bisogno di te, della tua guida...» per la prima volta, da quando si erano accomodati al tavolo, Aralyn afferrò la mano di lui, quasi aggrappandosi in cerca di sostegno: «e io ho bisogno di non sentirmi sola. Fuggire dal Concilio è impossibile, lo sai. Tu ed io non passeremo mai inosservati se decidessimo di abbandonare ogni cosa».
«Posso proteggerti, prendermi cura di te, l'ho sempre fat-»
Scuotendo la testa, in parte sorda ai tentativi dell'uomo di dissuaderla, la giovane lo interruppe: «Non voglio vivere un'esistenza in fuga, lo capisci?»

No, non lo capiva - e non perché non ne fosse in grado, ma semplicemente perché non voleva farlo. Smettere di nascondersi l'avrebbe fatta diventare un bersaglio fin troppo semplice da centrare, e lui non voleva essere l'arco da cui sarebbe scoccata la freccia della sua fine.

«Non voglio dover rinunciare ad ogni cosa per aver cercato di mettere fine all'egemonia di Douglas o aiutare te. Se mi devono giudicare, che lo facciano, mi farò trovare pronta, ma almeno concedimi l'illusione della pace prima della tempesta, fammi stare con coloro che mi hanno voluto bene ancora per un po'» lo supplicò, stringendo sempre più la presa sulle sue falangi.

Arwen guardò le loro dita intrecciarsi, diventare un unico pezzo. Si domandò se, a farsi trovare preparato, lui ne sarebbe stato in grado, oppure se alla fine i sensi di colpa lo avrebbero mangiato vivo - aveva già saggiato il sapore amaro dell'assenza di lei, quel tentativo da parte del Dio della Morte di portarsela via, ma ancora non sapeva se sarebbe riuscito ad affrontare quel retrogusto amaro per il resto della vita che lo attendeva. 
In cuor suo, l'albino aveva sempre creduto che sarebbe stato lui il primo a perire, quello che le fauci del mondo si sarebbero mangiate con atroce avidità, invece eccolo ancora lì, storpio e ferito nell'orgoglio, certo, ma vivo e con un futuro ad attenderlo, mentre sua sorella non avrebbe potuto dire altrettanto.

«Stai rinunciando a tutto, Ara».
«E' okay. A me va bene così. Chiedimi ciò che vuoi, Arwen, lo avrai, però concedimi di scegliere da sola come aspettare la chiamata del Concilio».

Quando i loro occhi tornarono a incrociarsi, l'uomo non poté fare a meno di mordersi la lingua.
Masochista, pensò scrutandone ogni connotato, cercando di vedere in lei anche solo un vago spiraglio in cui insinuarsi e convincerla a non arrendersi; eppure sul suo viso non vi fu alcun cedimento.

Egoista, si lasciò sfuggire tra i pensieri insieme a un sospiro. Sua sorella stava totalmente ignorando quanto una simile decisione potesse scavare negli animi collettivi, soprattutto il suo, però, in quella richiesta, Aralyn gli stava lasciando modo di manovrare in silenzio i fili di ciò che si sarebbe frapposto tra quel momento e la sentenza dei Nobili: «Qualsiasi cosa, lo hai detto» sibilò infine, portandosi il dorso della mano di lei alle labbra e baciandone la pelle, quasi a suggellare una sorta di accordo.

L'avrebbe protetta, lo giurò tra sé e sé. Avrebbe impedito a quella sciocca di lasciarlo solo in qualunque modo e, per farlo, avrebbe usato le sue stesse promesse.


 
   
 
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