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Autore: Sheep01    13/05/2020    1 recensioni
[IT, Principalmente Movieverse, possibili accenni a Doctor Sleep]
Ogni giorno gli sembrava andasse un po' meglio, fino a quando non si trovava di nuovo a pensare a cosa avrebbe potuto fare per impedire quell'orribile, definitivo epilogo.
Se solo quel drammatico giorno avesse interpretato in modo fulmineo quello che le luci gli avevano suggerito. Quello che aveva visto, attraverso l'infinito mistero dei Pozzi Neri. Ma Eddie lo aveva strappato al suo tragico destino troppo presto, troppo rapidamente perché potesse assorbire appieno quello che la sua coscienza sul futuro gli stava rivelando.
Genere: Dark, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Cross-over, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 1

 

 

Si era a malapena reso conto di essere stato trascinato fuori dalla macchina e caricato su un'ambulanza.

Aveva a stento compreso le domande dei paramedici, sentito le sirene della polizia o avvertito il pizzicore degli aghi e del respiratore che gli avevano applicato. Ma adesso che si stava risvegliando da quello stato confusionale, la memoria stava tornando e, con lei, l'agitazione che si era portato appresso nel momento dell'incidente.

Aveva perso il controllo dell'auto perché era convinto di aver sentito la voce di qualcuno. Qualcuno che gli era sembrato così vicino da poter essere seduto sul sedile del passeggero. La voce di una persona che doveva essere morta.

Il risveglio di coscienza fu così inaspettato e brutale che si tirò su, dal lettino del pronto soccorso, con una violenza tale da far vibrare l'asta con la flebo che aveva posizionata accanto.

«Che diavolo è tutta questa roba?» esclamò, liberandosi del respiratore, una gamba già a terra, in procinto di rimettersi in piedi.

Un corpulento infermiere gli si fece rapidamente accanto, indeciso se trattenere lui o tutti i macchinari che stavano barcollando attorno al corpo dell'uomo.

«Ma che sta facendo? Per l'amor del cielo, si calmi...»

«Sto cercando di ripassare la coreografia di Zumba. Cosa crede che stia facendo? Sto bene, devo andarmene da qui», ribadì Richie, osservando con disprezzo i cerotti che tenevano assicurato l'ago della flebo, indeciso se strapparsi da solo anche quelli o chiedere aiuto.

«Non può andarsene da qui, ha appena avuto un incidente, ricorda?»

«Ma davvero? Credevo di essere inciampato nei lacci delle scarpe», cercò di rimettersi in piedi, ma la testa prese a girare in modo vorticoso. Fu costretto a rimettersi a sedere e a limitare le sue reazioni per celare l'imbarazzo di quella rapida ricaduta.

«Signor Tozier... ha avuto un leggero trauma cranico, deve restare in osservazione per qualche ora.»

«Oh, per l'amor di Dio... crede che sia la prima volta che cado e mi spacco la testa? No. Non è la prima volta. Mi è successo da bambino e sono sopravvissuto, l'ho fatto da adulto, scivolando nel mio stesso vomito e, oh, ancora una volta, sono sopravvissuto. Non sarà uno stupido incidente d'auto a tenermi inchiodato in un cazzo di ospedale del... dove siamo? Ancora a Derry?»

«Sì, siamo all'ospedale di Derry, nel Maine.»

«So perfettamente dove si trova Derry, ci sono cresciute le mie chiappe in questo schifo di posto», si passò una mano sulla fronte, trovando un cerotto a coprire quelli che probabilmente dovevano essere dei punti. «Senta... non posso restare qui, davvero. Devo... devo...»

Le parole gli morirono in gola perché all'improvviso non era più sicuro di cosa dovesse o potesse fare una volta uscito da lì. La voce che aveva sentito in macchina poteva essere quello che credeva fosse e... quindi? Non vi era posto in cui potesse andare a cercarlo (Dio, nemmeno riusciva a formulare il suo nome, nemmeno per sbaglio, nella sua testa) se non un cumulo di macerie, risucchiate in un buco nero, uno spazio vuoto che una volta aveva ospitato la stamberga di Neibolt Street. Ma poi... l'aveva sentita davvero quella voce o era stata solo una stupida allucinazione? Di quelle alimentate da ricordi troppo vividi? In fondo stava ancora sperimentando un trauma. Un lutto.

«Crede che sia possibile contattare una persona? Ho bisogno che sappia che sono qui, che magari mi venga a prendere», si arrese, rialzando lo sguardo un po' appannato sull'infermiere dall'aria intimidatoria.

Questi sembrò lanciargli uno sguardo sospetto ma non poteva dirlo con certezza, dato che non indossava i suoi occhiali.

«Certo...», lo sentì concordare e si trovò a tirare un semi respiro di sollievo «ma lei se ne resterà tranquillo finché non sarà qui, d'accordo?»

Richie si fece una croce sul cuore: «Parola di lupetto.»

 

Mike era arrivato dopo venti minuti esatti dalla telefonata che gli infermieri gli avevano concesso.

Aveva pazientemente atteso che Richie ottenesse i fogli di rilascio dal pronto soccorso e se lo era caricato in macchina per riportarlo indietro.

«La fuga più breve della storia...» commentò Richie, osservando fuori dal finestrino dell'auto, la città che gli scorreva accanto a ritroso, un altro passo indietro da dove era partito, «sai, Mikey, è la seconda volta che cerco di andarmene da quando sono tornato qui, e la seconda volta che qualcosa mi impedisce di farlo. Buffo, no? Derry mi trattiene con i suoi tentacoli come un cazzo di creatura di Cthulhu.»

«Mi devi ancora una spiegazione su quello che è successo, Richie. Mi è preso un colpo quando mi hanno telefonato dall'ospedale.»

Richie si voltò ad osservarlo. Poteva dirlo dalla sua espressione tesa di quale impatto avesse avuto su di lui quella telefonata. Dopo quello che avevano passato negli ultimi giorni, doveva essere stata una delle ultime notizie che si sarebbe augurato di sentire.

«Mi dispiace...» mormorò in un patetico tentativo di alleviare la sua pena, «ti giuro che c'è molto più che una guida spericolata...»

«Me lo auguro», sapeva che il tono duro dell'amico non era di mero rimprovero, ma dettato dalla preoccupazione. Mike accostò la macchina al marciapiede adiacente la biblioteca e spense il motore.

«Non avevi bevuto, vero?» gli chiese. Diretto e brutale.

«Cosa... ? No! Per chi diavolo mi hai preso?»

Mike si voltò nella sua direzione.

«Scusa. È che ti ho visto in questi ultimi giorni e...»

«No, Cristo Santo, Mike, no... non avevo bevuto», scosse la testa, atterrato da quella terribile supposizione, «n-non ho bevuto, non oggi», gli sembrò appropriato specificare. Non era esattamente un mistero che negli ultimi giorni avesse ecceduto con qualche goccio di troppo. Mike si era dolorosamente reso conto di come Richie stesse affrontando quella difficile situazione. E si era preoccupato, per quanto possibile, di tenerlo lontano dall'alcool, per tutto il tempo in cui gli era stato accanto, prima che quella sua scusa per ottenebrarsi diventasse una vera e propria dipendenza.

«E allora dimmi che cosa è successo...» lo sentì domandare, pregare di concedergli una spiegazione plausibile all'incidente.

Richie sentì la bocca farsi secca, deglutire gli sembrò difficile come avesse la gola rivestita di carta vetrata. Serrò le labbra per un istante, indeciso su come iniziare il discorso senza sembrare un idiota. E Dio, sì, quanto avrebbe pagato per un goccio d'alcool, giusto per concedersi la possibilità di sciogliere la lingua.

«Promettimi di non prendermi per pazzo...» esordì. Così come era semplicissimo per uno come Boccaccia, sparare stronzate a vanvera, tanto era complicato fare un discorso serio, sopratutto se metteva a repentaglio la sua credibilità. Rilasciò un sospiro e si abbandonò sul sedile dell'auto, come a prendere la rincorsa.

«Credo di aver sentito la voce di Eddie», disse, prima di voltarsi in direzione di Mike: le sopracciglia corrucciate, l'espressione seria e valutativa dell'uomo lo spronarono a continuare.

«Prima dello schianto, la voce di Eddie che mi chiamava. Era nitida, Mike. Come se mi fosse seduto accanto. Era la voce di un uomo affaticato. Lo stesso tono...» dovette interrompersi un istante, perché il ricordo gli provocò un subitaneo mal di stomaco, «lo stesso tono che aveva prima di...» non concluse la frase ma fu chiaro per entrambi quello che voleva dire. Prima di morire. La stessa voce affaticata che Eddie aveva usato prima di morire.

«Richie...»

«Non me lo sono immaginato, okay?» si tirò su di nuovo, sulla difensiva, «credo di essere ancora in grado di distinguere le voci nella mia testa da qualcosa che sento... reale. E quella voce era reale. Come lo è la tua, in questo momento.»

L'espressione di Mike restava seria, ma Richie riusciva a leggerci dietro qualcosa che non gli piaceva per nulla.

«D'accordo, Rich...» disse, «mettiamo il caso che fosse, come dici tu, reale

«Lo era, Mike, cazzo, lo era!»

«Eddie è morto, Richie.»

A quella definitiva sentenza, Richie sentì montagli dentro una tale rabbia che faticò a trattenere.

«Grazie tanto Mike, mi serviva questo promemoria per ricordarmelo! Stupido è chi lo stupido fa, mh?» sbottò, sganciandosi la cintura di sicurezza.

«Non volevo... oh, Dio, sto solo cercando di rielaborare, va bene?»

«Non ho bisogno che tu rielabori, ho bisogno che tu mi creda!» esclamò, mentre Mike arretrava appena con il busto come sospinto all'indietro dalla violenza con cui l'uomo stava reagendo.

Richie si bloccò all'improvviso, realizzando l'irragionevolezza dei suoi gesti, delle sue azioni.

«Scusami... » bofonchiò a mezza bocca. Aprì lo sportello dell'auto e caracollò all'esterno, prendendo un'ampia boccata d'aria. Si lasciò accarezzare il viso dalla brezza fresca che preannunciava la fine dell'estate, che scivolava lentamente nell'autunno e cercò di calmare quel suo cuore in assoluto tumulto.

Sentì la portiera di Mike aprirsi e richiudersi a sua volta e di nuovo, quella sensazione di disagio e umiliazione, investirlo come uno schiaffo. Doveva calmarsi. Doveva assolutamente calmarsi.

«Io ti credo, Richie...» lo sentì pronunciare, «sarei un imbecille a non darti nemmeno il beneficio del dubbio, dopo tutto quello che abbiamo passato. Dopo... ventisette anni a cercare e rielaborare informazioni incredibili su un fatto sovrannaturale...»

Richie riaprì gli occhi ritrovandoselo di fronte. Gli occhi inchiodati nei suoi. Mike era sempre stato l'unico a poterlo fare. L'unico a raggiungerlo in altezza.

«Quello che volevo dire è che... qualsiasi cosa sia, quella voce che hai sentito, non può essere davvero Eddie. Non... non la sua forma materiale. Eddie... Eddie non è qui.»

Richie gli fece cenno di non proseguire oltre. Sapeva perfettamente come sarebbe andata a finire quella conversazione. Non c'era alcun bisogno di ribadire che Eddie non c'era più. Che se ne stava sotto una profonda ragnatela di tunnel sotterranei, probabilmente sepolto sotto le macerie. Sicuramente morto. Perché nessuno avrebbe mai potuto sopravvivere a un tale crollo. E se anche fosse davvero stato possibile, dopo tutte quelle settimane, sarebbe comunque morto in qualsiasi altra maniera.

Di stenti, gridando nel buio...

Richie scrollò la testa per liberarsi della terribile immagine.

«Però era lui, Mike. Io so che era lui.»

Mike si ritrovò ad annuire, e stavolta riuscì a leggergli addosso la consapevolezza e la volontà di credergli davvero.

«Quello che non so... quello che non so davvero Mikey, è che cosa possiamo farci con questa informazione.»

L'uomo si strinse appena nelle spalle, l'espressione che si era fatta greve e afflitta come il giorno in cui si erano rivisti. Come se i ventisette anni appena trascorsi gli si fossero abbattuti addosso di nuovo, con violenza, come il peso di un enorme macigno.

E improvvisamente Richie intuì cosa gli stesse girando nella testa: la schiacciante, drammatica consapevolezza che la fuga da Derry, sarebbe stata rimandata per entrambi, di nuovo. Mike, a un passo dalla libertà, costretto a un brusco dietro front.

«Mi dispiace, Mikey...»

«Che diavolo vai dicendo? In questa cosa ci siamo sempre stati dentro tutti insieme. Niente è diverso, ora. Niente. Capiremo che cosa hai sentito. Chi hai sentito e perché...» si preoccupò di fargli entrare in testa, costringendolo a guardarlo, per quanto fosse doloroso farlo, «e se te la senti, per prima cosa torniamo al ponte dove hai avuto l'incidente... e cerchiamo di capire se possiamo cominciare da lì.»

«Quel posto è una maledizione...» si trovò a commentare, con una risata nervosa, passandosi una mano sul viso, «forse non mi sarei dovuto fermare a salvare una cazzo di tartaruga, prima di andarmene.»

Mike sembrò improvvisamente allarmato. Gli occhi che avevano improvvisamente preso a brillare di una luce strana, vivace.

«Che cosa hai detto?»

Richie gli lanciò uno sguardo perplesso.

«... una tartaruga. Ho aiutato una tartaruga ad attraversare la strada prima di...»

«Richie...»

Lo interruppe, come a spronarlo a soffermarsi su ciò che aveva appena detto, ciò che gli aveva inconsapevolmente comunicato.

Il tono della sua voce gli sembrò improvvisamente lontano.

La tartaruga.

Come aveva fatto a non pensarci prima? C'era stata una tartaruga. C'era sempre stata... una tartaruga, sin da quando erano ragazzini. Gliene aveva parlato Bill, gliene aveva parlato Eddie.

Ma era morta, no? O così Bill aveva detto loro. Aveva loro parlato della morte della tartaruga. Della percezione di averla sentita morire.

Richie non aveva mai compreso appieno le sue parole o ciò che era andato blaterando riguardo l'essere protetti da un essere ancora più antico di IT, e a un certo punto della sua esistenza, fino a quel giorno doveva averlo rimosso per qualche oscura ragione; ma adesso, adesso tutto tornava a permeare di nuovi significati gli avvenimenti delle ultime ore.

Mike sembrò leggergli nel pensiero perché lo sgomento che percepì nei suoi occhi, rifletteva indissolubilmente il proprio.

Una tartaruga. Quella benedetta, o maledetta...

 

*

 

… tartaruga.

Il guscio sembrava risplendere di luce propria. Mentre tutto attorno era oscurità e silenzio, quel minuscolo essere che gli era comparso accanto, sembrava sprigionare una forza tutta nuova. Ultraterrena, estranea a un luogo simile.

Se ne sentì vagamente rinfrancato. La paura ancora lì, pronta a lacerarlo a morsi ad ogni tentativo di muoversi o di parlare, ma più sopportabile della disperazione che aveva preso a divorarlo solo qualche minuto, ora... giorno prima.

Non aveva coscienza del tempo trascorso, non la percezione dello spazio. Aveva cercato di concentrarsi su ciò che di concreto riusciva a mettere le mani: il suo viso, il suo ventre, le sue gambe, quella giacca che stringeva fra le dita. E poi sulle cose immateriali ma che sapeva in grado di infondergli forza interiore: il battito del proprio cuore, il sibilo del proprio respiro. Il lento, ritmato gonfiarsi e sgonfiarsi dei polmoni.

Era dunque vivo? O era solo il ricordo di come ci si sentiva a essere vivi? Non riusciva a ricordare nulla. Nemmeno come ci fosse finito in un posto simile. Ma ciò che più gli provocava turbamento era il fatto di non essere in grado di ricordare il proprio nome, né chi fosse, per quanto potesse valere una simile informazione.

Richie.

No, Richie non era il suo nome. Richie era il nome di qualcun altro. Richie era il nome che gli era brillato nella mente nel momento in cui si era accorto di stringere quella giacca fra le mani. Forse l'unico oggetto che lo manteneva ancorato a quella che era stata la sua vita, precedente a quell'incubo oscuro.

Una consapevolezza brutale ma necessaria. Necessaria a compiere il passo successivo. Non voleva restare in quel posto per sempre, non rimanere ingabbiato nell'oscurità di un luogo ignoto, per sempre, con poco meno che una manciata di ricordi.

«Sei qui per aiutarmi... ?» riuscì ad articolare, posando di nuovo lo sguardo sulla minuscola fonte di luce che era la tartaruga. Un cucciolo a giudicare dalle dimensioni, più piccola di una mano. Apparentemente fragile sotto quella corazza di osso duro.

Non seppe perché gli sembrò lecito interrogare un animale sulle sorti del proprio destino, ma seguì semplicemente il flusso suggerito dalla coscienza.

La tartaruga si limitò a osservarlo dal basso verso l'altro, con quella luminescenza del tutto irreale. Poi, come a rispondere al suo quesito, la vide battere i tacchi, voltargli inesorabilmente le spalle, e cominciare a procedere, con passo lento e vacillante, verso un qualsiasi punto nell'oscurità.

«No, a-aspetta...» si trovò a dire, mentre l'angoscia di essere rispedito nel buio prendeva di nuovo il sopravvento. Il terrore che tornava a mordergli le punte delle dita, gli zigomi, lo stomaco.

Fece forza sulle gambe in un tentativo che non aveva ancora sperimentato. Le gambe tremarono malamente prima di cedere sotto lo sforzo in modo incredibilmente scoraggiante.

«Aspetta. Aspetta!» gridò di nuovo. La tartaruga ormai solo un puntino luminoso nell'oscurità. Serrò le labbra, raggranellando i residui di energie che gli restavano. Non provava dolore, quindi perché tutta questa reticenza a rimettersi in piedi? Aveva delle gambe e aveva dei piedi. Gambe e piedi che riusciva a muovere. Gambe e piedi che sapeva potevano correre come il vento, se solo si fosse concesso la possibilità di provare. Si pizzicò i muscoli delle cosce come a risvegliare le terminazioni nervose sopite, se li schiaffeggiò con violenza, cominciando a percepire il dolore. Che poi esplose in una manifestazione d'esultanza, non appena il formicolio che prese a vibrargli dentro lo rassicurò che i muscoli si stavano finalmente risvegliando.

«Ti ho detto di aspettarmi, razza di microscopico stronzetto!», si concesse di dire, mentre si issava con le braccia e finalmente riusciva a mettersi in piedi, traballante e incerto ma pur sempre in posizione eretta.

«Ah!» esclamò, senza sapere che farsene della giacca. Indeciso se lasciarla o meno, si decise infine ad indossarla, rendendosi conto essere almeno due taglie più grosse di quanto avrebbe dovuto. Emanava un profumo familiare, un profumo che non apparteneva certo a quel posto.

Alzò lo sguardo, rendendosi conto che la tartaruga aveva interrotto la sua avanzata. Forse richiamato dai suoi coloriti epiteti.

«Non volevo davvero chiamarti stronzetto... lo sai, vero? Nemmeno microscopico. Non è stato carino» disse solo, poggiando una mano alla parete che avvertì alle sue spalle, per mantenersi dritto finché non avesse recuperato la stabilità.

Quando comprese di potersi reggere sulle gambe senza appigli, fece il primo tentativo. Il primo passo sembrò un'agonia, il secondo fu più facile. Con il terzo, gli sembrò di essere tornato un bambino che compie i suoi primi passi. Il quarto, il quinto e il sesto... non ebbe più bisogno di nessun sostegno.

Si affrettò a tenere dietro la tartaruga, che ricominciò a muoversi, precedendolo verso l'ignoto.

 

*

 

«Bill ha scritto che sarà di ritorno il prima possibile...» disse Mike, offrendo a Richie l'ennesima tazza di caffè nero. Ritornare di nuovo in quell'appartamento gli sembrava il terribile prologo di un déjà-vu.

Avevano contattato gli altri Perdenti per metterli al corrente di quello che era successo. Nessuno sembrava aver preso sottogamba la situazione e se da una parte Richie ne fu sollevato per non essere considerato solo un povero pazzo, vittima di allucinazioni, dall'altro era terrorizzato dal fatto di doversi addentrare nell'ennesimo incubo e di dover coinvolgere nuovamente tutti quanti.

«Non ho alcuna intenzione di costringere nessuno a tornare in questa trappola mortale. Dobbiamo prima capire che diavolo significa tutto questo. Solo allora, forse...»

«Cerchi tu di persuaderlo a rinunciare? Parliamo di Big Bill, sei sicuro?»

«Che cosa sarà mai?» sbottò Richie, ritrovandosi a sventolare una mano che per la foga si era imbrattato di caffè caldo. «Non ho paura di Bill. Abbiamo appurato che sono decisamente più grosso di lui. Sotto diversi punti di vista, se capisci che intendo...»

«No, non capisco che intendi. A meno che tu non ti sia divertito a sbirciare Bill nudo sotto la doccia.»

«Magari...»

«Scusa?» esalò Mike, trattenendo una risata.

Richie scrollò le spalle, apparentemente con noncuranza.

«Lo sai che vi scoperei tutti, dal primo all'ultimo, se solo non foste così pietosamente bigotti.»

«Certo, Richie... certo.»
«Non mi credi? Sapete quanto vi amo.»

«Vi amo anche io, ma non per questo credo sarei disposto a saltarvi addosso in quel modo.»

«Bigotto.»

«Beep-beep, Richie.»

Sorrise. Era da un pezzo che non veniva zittito a quella maniera e nonostante avesse sempre sostenuto di odiarlo, era ciò che più lo divertiva al mondo.

Si portò la tazza alle labbra e bevve un lungo sorso di caffè, sentendosene rinfrancato.

La breve gita al ponte dei baci non aveva portato grosse rivelazioni. A parte la macchia d'olio e l'ammaccatura nel tunnel che la macchina di Richie aveva lasciato come souvenir, dopo l'incidente. Nessuna tartaruga nei paraggi, nessuna voce a sussurrare il suo nome. Eppure, se ci pensava, poteva sentirla così nitida che gli risalivano i brividi lungo tutte le braccia.

«Sei sicuro che non ci sia proprio alcun modo per tornare in quel posto, sotto la casa di Neibolt... ?» si trovò a domandare di nuovo, ben sapendo quale sarebbe stata la risposta.

«Se anche ci fosse, Richie, non ci sarebbe alcun passaggio per arrivarci senza dover scavare... e non a mani nude, per quello che siamo riusciti a vedere.»

Rilasciò piano il fiato e socchiuse gli occhi, in parte arreso, in parte assolutamente frustrato. La parte razionale che gli diceva che non poteva essere vivo. Quella illogica che forse... forse c'era un cazzo di zombie pronto ad essere dissepolto e che comunicava con lui per via telepatica.

«Potremmo provare. Potremmo... non lo so... trovare un'escamotage per far arrivare alla polizia la notizia che Eddie è stato nascosto là sotto. In fondo lo stanno ancora cercando. Appurato che sia stato Bowers o meno...»

«E come, Rich? Come pensi di fare a dare un simile indizio alla polizia? Dopo che ci siamo accordati sul dire loro che non ne sapevamo niente?»

«Una telefonata anonima? Dio, non lo so...»

«E in ogni caso cosa speri di trovare?»

«Non lo so. Io non lo so...», si portò una mano sul viso, il mal di testa pulsante dopo l'incidente che non si era chetato per un solo istante, «il corpo di un uomo che merita una sepoltura come si deve.»

Mike gli si sedette accanto quando si rese conto che Richie aveva silenziosamente cominciato a piangere. Quella dannata bolla di dolore che aveva ripreso lentamente a sgonfiarsi, lasciando uscire quello che si era gelosamente tenuto dentro per tutto quel tempo. Si odiò per questo. Odiò la sua debolezza, il momento di vulnerabilità non richiesto. Odiò ancora di più tutta la frustrazione e il rimpianto di non essere riuscito a trascinarlo fuori da lì. Eddie sarebbe morto lo stesso ma adesso non si sarebbe trovato divorato dai dubbi e delle possibilità che non avevano esplorato.

Sentì la mano di Mike sulla schiena e per un istante fu tentato di scrollarselo di dosso, ma si trovò infine ad accettare quell'attimo di gentilezza ed affetto, forzandosi di non provare vergogna. Si era ripromesso di scacciare la paura di ciò che era, dell'intera gamma dei sentimenti che gli si rimescolavano dentro, di smetterla di indossare patetiche maschere, l'essere stato costretto a rimanere a Derry non poteva e non doveva cambiare le sue risoluzioni.

«Sei stremato, Richie. Dovresti andare a riposarti. Sono sicuro che troveremo un modo per interpretare quello che ti è successo. Ma non adesso, non con la testa così confusa...»

Richie si ritrovò ad annuire ed asciugarsi gli occhi sotto le lenti degli occhiali.

«Potevi dirlo subito che avevi sonno, Mikey-Mike. So che sei uno di quelli che vanno a letto alle nove, poco dopo cena.»

«Nove e mezza, per la precisione», gli sorrise.

«Scommetto sia questo il dettaglio sexy che ti permette di abbordare tutte le donne single di Derry.»

«Precisamente questo.»

Richie sorrise sentendosi improvvisamente esausto. Mike aveva ragione: aveva bisogno di riposare e sperare che il feroce mal di testa lo abbandonasse alla svelta, snebbiandogli i pensieri.

 

*

 

La tartaruga non faceva che proseguire inesorabile. Si ritrovò a ringraziare chiunque l'avesse dotata di zampette tanto corte per permettergli di stargli dietro. Anche se adesso riusciva a reggersi sulle gambe, non era certo di voler sfidare la sua resistenza con un passo molto più veloce di quello.

Lo scenario non era mutato di molto, nonostante gli sembrasse di camminare da ore. Non era stanco come si era atteso fosse. Gli occhi si erano vagamente abituati all'oscurità ma per qualche assurdo motivo non era sicuro di voler perlustrare visivamente i dintorni. Da un lato per paura di perdere di vista la tartaruga, anche solo distraendosi per un un rapido, tragico istante, dall'altro perché gli sembrava ci fosse qualcosa nascosto nell'oscurità che lo stava tenendo d'occhio dacché aveva cominciato il suo lento vagare. Qualcosa di inconsistente, silenzioso ma vigile. Qualcosa che aveva mille occhi e molte coscienze. E mani: dita mobili pronte ad afferrarlo se solo avesse abbassato la guardia. Qualcosa che sussurrava nell'oscurità con voce impercettibile. Una voce a cui aveva cercato di non prestare attenzione. Certo che gli ci sarebbe voluto un attimo per tornare ad essere inghiottito in quel pulsante nulla. Di tornare ad essere niente.

Non voleva tornare ad essere niente. Non ora che aveva appena scoperto di essere... qualcosa. Qualcuno.

Si strinse in quella giacca che sapeva di fumo e acqua profumata.

Qualcosa, in un angolo recondito della mente gli suggeriva: sigarette e acqua di colonia. Un altro tassello del puzzle che trovava la sua misera collocazione.

Nello stesso istante che quel qualcosa faceva click nella sua coscienza anche la tartaruga sembrò crescere di dimensioni. Prendere luce, più di quanta non ne avesse fatta fino a quel momento.

Un passo dopo l'altro, più rapida, più sicura. O era semplicemente lui stesso ad essere più rapido, più sicuro? Era davvero certo che fosse lei a guidare lui... e non viceversa? Improvvisamente aveva capito da che parte doveva proseguire, come se una bussola interiore gli indicasse esattamente la direzione.

I dintorni avevano preso a riflettere quella stessa luce e qualsiasi cosa ci fosse, nascosto nelle ombre, sembrò ritrarsi ancora di più nell'oscurità.

I suoi occhi colsero un vago balugino oltre l'animale. Il buio che andava lentamente disperdendosi, divenendo meno denso, meno opprimente. Le pareti del percorso che si allargavano, prendendo ampio respiro in quello che gli sembrò di riconoscere come un largo tunnel, finché i suoi piedi sprofondarono ad un tratto in quella che gli parve... acqua.

Acqua sui piedi, acqua fino ai polpacci, acqua ai fianchi. Acqua che emanava un nauseabondo odore di...

«Fogna?» esalò, abbassando lo sguardo sui riflessi oleosi di quella sostanza che risvegliò in lui qualcosa di familiare.

«Acque nere...» singhiozzò, trattenendo a malapena un rigurgito disgustato. Ma la sensazione di nausea fu ben presto sostituita da quella di un vago e cieco terrore, quando, tornando a guardare dritto di fronte a sé, si rese conto che la tartaruga e il suo bagliore erano svaniti.

«No...» sussurrò, senza voce, sentendo il respiro venirgli meno, «no, no no, dove sei?» esclamò, rabbrividendo al freddo dell'acqua che gli inzuppava scarpe e calzoni, al freddo che sembrava arrivare sotto forma di vento gelido da qualche parte, poco lontano da lì.

Aumentò il passo, quasi correndo, trascinandosi con foga sempre crescente, lungo il canale ricolmo d'acqua putrida che si sollevava in schizzi più o meno disgustosi ad ogni passo. Seguì l'istinto, di nuovo quella bussola, il panico di venir di nuovo retrocesso alla situazione da cui stava scappando. Tartaruga o meno sarebbe uscito da lì, percorrendo un canale putrido di acque nere, inseguendo il vento gelido.

E infine la vide, quella luce in fondo al tunnel: così come prima era avvolto dall'oscurità, adesso riusciva a percepire la luce o una parvenza di chiarore. Le gambe che adesso si muovevano con una forza che non sapeva nemmeno di possedere; incurante del fiato corto, dei polmoni che reclamavano aria, dell'acqua che sembrava volerlo trascinare di nuovo indietro ad ogni passo. Si oppose con tutto se stesso a qualsiasi cosa lo stesse richiamando al luogo in cui non vi era coscienza; si oppose al seducente sussurro delle anime che lo richiamavano a sé, all'inconsistente tocco dei loro lunghi artigli. Guadagnò l'uscita con un ultimo balzo che lo condusse fuori dal tunnel come se qualcuno o qualcosa ce lo avesse infine spinto, fuori da lì.

Atterrò a peso morto sull'erba alta, la faccia nel fango. Mosse le dita, afferrando terra e pietrisco. Se li passò fra le mani, come ad assicurarsi che fossero reali. Si concesse solo qualche istante, prima di sollevarsi sulle braccia per cercare di rimettersi in piedi.

Il suono di acque correnti nelle vicinanze, il fischio di un uccello notturno, il lontano frinire dei grilli, il vento fresco e profumato della notte.

Quando alzò lo sguardo al cielo lo vide trapuntato di stelle.

Un grido di pura gioia gli esplose dal petto in fiamme.

 

*

 

Richie si svegliò di soprassalto, sbalzato al suolo, giù dal divano letto di Mike.

Il fiato corto come avesse appena corso, la sensazione di piedi bagnati, di pericolo scampato, di vento gelido fra i capelli e un'esplosione di incontenibile ilarità nello stomaco.

Le luci.

C'era parte di ciò che aveva visto nelle luci in quel sogno.

Un tunnel, una tartaruga, acque nere. Eddie.

«I Barren», esalò in un singhiozzo che sembrava una risata.

 

 

Continua...

 

Note:

Intanto grazie a chi si è addentrato in questo mio nuovo, delirante racconto. Era da un po' che volevo scrivere questa storia, solo che dovevo capire come fare. Per chiarezza, come immagino sia già piuttosto ovvio, l'ambientazione e molte delle situazioni descritte, saranno più ispirate a quelle del film che non a quelle del romanzo di King. Mi risulta più semplice sia per determinate dinamiche fra i personaggi e più comodo come ambientazione storica (e francamente mi viene più facile storpiare un film che non il romanzo, che è perfetto così). Detto questo non mancherò di sprofondare le mie manacce anche nella mitologia del romanzo (la Tartaruga), di sviluppare determinate storie anche di quell'universo e di introdurre vergognosamente personaggi che interpellerò da altri romanzi del Re (Danny Torrence?).

Incrociamo le dita.

  
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