Il
progetto migliore di sempre
“Ho
fame” disse il ragazzo dopo quella che a tutti e due era
sembrata un’eternità.
Non avevano ancora finito.
“Hai
ragione. Anch’io ho fame.”
Allison
sbadigliò e prese il cellulare. “Ordiniamo una
pizza?” Quando lui annuì inviò
la chiamata e poco dopo gli richiese: “Peperoni,
Joe?” Lui annuì ancora,
guardando lo schermo del computer e girandosi poi di scatto di verso di
lei.
“Che
c’è? Se non ti piacciono i peperoni, puoi dire di
no” disse, alzando le spalle.
“No,
è che… Mi hai chiamato… Niente, lascia
stare…” Allison finì la chiamata e
tornò
a sedersi sul tappeto, vicino a lui. Ormai si erano accampati, lui
aveva le
maniche della camicia tirate su e si era tolto le scarpe da un bel
po’.
“Non
è male, sai? È bello questo gioco di colori che
hai fatto qui…” disse,
indicando lo schermo.
“Hai
detto di non usare il fucsia…” Joe alzò
le spalle. Allison annuì.
Si
toccò la fronte e capì che la febbre stava
salendo di nuovo. “Sì, a loro non
piace… Speriamo che venga il vecchio, venerdì. Il
figlio dell’amministratore è
uno schifoso, mi guarda sempre il culo…”
Joe
le lanciò un’occhiata di sottecchi e disse:
“È perché ha buon gusto”, e
tornò a
guardare lo schermo.
“Non
ho la forza di ribattere a un commento sessista, Parker, mi sta salendo
la febbre”
brontolò, sedendosi sul divano un po’ pesantemente
e sentì da sola di avere un
po’ trascinato le parole.
“Perché
non dormi un po’? Ti sveglio quando arriva la pizza. Comunque
era un
complimento…” Si girò verso di lei, ma
ad Allison si erano chiusi gli occhi e
non riuscì a rispondere.
***
La
pizza giaceva fredda ormai da un po’ e due tazze di
caffè erano posate sul
tavolino, appoggiate sopra a foglietti e al cartone della pizzeria,
lasciando
cerchi olimpici qua e là.
“No,
no. Spostalo di più. Oppure… Aspetta, mettilo in
un’altra slide.”
“Non
saranno troppe?”
“No,
vanno bene. Sostituisci quell’immagine con quella della
bambina con il cane.
No, l’altra.”
“L’altra
c’è già tre slide più
indietro, non possiamo metterla doppia.”
“Sicuro?
Non mi sembra che… Oh, hai ragione…”
Allison sbatté gli occhi quando si accorse
che faceva fatica a mettere a fuoco. Anche Joe aveva il viso stanco.
Buttò
un’occhiata all’orologio.
“Dovremmo
fare una pausa…”
“Se
apro la finestra posso fumare?” le chiese il ragazzo. Allison
sorrise: le era
piaciuto che lui le avesse chiesto il permesso. Annuì e lui
si alzò, prese la
sua giacca dalla sedia vicino al tavolo dove si era seduto a mangiare
quasi un
giorno prima e prese le sigarette, dirigendosi verso la finestra del
salottino.
Tirò fuori il cellulare e iniziò a smanettare sul
display. La ragazza distolse
lo sguardo e guardò il proprio cellulare: niente. Nessuno le
aveva mandato
niente. Solo sua madre, all’ora di cena, le aveva chiesto
come stava e lei le
aveva risposto. Niente notifiche dai social, non notifiche importanti,
comunque. Vabbé.
Alzò
le spalle, si sedette al pc e Joe la sgridò:
“Avevamo detto di fare una pausa”.
La
ragazza alzò le spalle. “Mi sto addormentando
nonostante il caffè… Pensavo di
cercare un po’ di musica. Così… Da
svegliarmi…” Era brutto dire che si era
sentita sola, quando lui si era messo a messaggiare con… Con
chi si stava
scrivendo? La sua ragazza?
Joe
si avvicinò a lei dopo aver spento la sigaretta e le
consigliò qualche brano da
cercare. Allison si meravigliò: aveva buon gusto. Quando
partì, nel random di
una playlist, una canzone un po’ vecchia ma che le piaceva
particolarmente,
alzò il volume e si tirò su dalla sedia dicendo:
“Questa la ballavo al
college!”
Joe
rise e disse che la conosceva anche lui e ballò con lei sul
tappeto del
salotto. Cantarono quasi a squarciagola, finché non
sentirono delle voci sotto
il pavimento e dei rumori inconfondibili: il vicino stava picchiando la
scopa
contro il soffitto e stava gridando loro che era notte e voleva dormire.
Joe
e Allison scoppiarono a ridere e lui si avvicinò al pc per
abbassare il volume
della canzone. Lei lo raggiunse e, ancora ridacchiando, gli chiese
quanti anni
avesse: ventiquattro. Oh, solo due meno di lei. Pensava fosse
più giovane, così
lo squadrò, per capire se le stesse mentendo.
Cavolo,
non lo aveva mai guardato bene, ma quel ragazzo era veramente carino! I
suoi
occhi, che ora stavano controllando lo schermo del pc per riprendere il
lavoro,
erano stanchi, ma di un colore chiaro bellissimo, fra il grigio e
l’azzurro, e
con la camicia celeste risaltavano in modo fantastico.
Abbassò gli occhi quando
lui volse lo sguardo verso di lei e continuò a osservarlo:
la camicia era
stropicciata e aperta sotto il collo, con le maniche tirate su, non era
per niente
elegante come in ufficio, ma Allison sentì un brivido mentre
correva con lo
sguardo lungo il collo, le spalle e le braccia. Si morse
l’interno della
guancia mentre si immaginava di toccare con la punta delle dite
ciò che stava
vedendo, sentendo il calore sotto la pelle come se lo stesse facendo
davvero.
Quando
lui disse qualcosa, si sentì beccata sul fatto e
tornò a guardarlo in viso:
altro errore! Lei non riusciva a togliere lo sguardo dalla sua bocca,
mentre
lui si passava la mano sulla guancia e sul mento. Aveva un lieve
accenno di
barba, come era? Era ruvida? O le avrebbe solleticato la pelle se ci
avesse
posato sopra le labbra?
“Come?
Cosa hai detto?” chiese, ma senza
convinzione, mentre continuava a salire con lo sguardo lungo la linea
del viso,
oltre le guance e
fermandosi sui corti
capelli castani. Beh, non erano proprio cortissimi. Ed erano anche
spettinati:
dei ciuffi gli cadevano qua e là, senza un ordine preciso e
lei dovette frenare
il desiderio di allungare le mani per sistemarglieli. E non solo.
“Scusa,
ora lo metto via.”
Come?
Allison tornò con i piedi per terra prima di allungare le
mani verso la testa
del ragazzo. “Cosa metti via?”
“Il
cellulare. So che odi la gente che lavora con il cellulare sotto il
naso…
Volevo solo tranquillizzare mia madre e…” Il
ragazzo stava ancora messaggiando
Oh.
Cavolo. Quindi si stava scrivendo con sua madre?
Beh, non era così terribile, allora. Non dopo
quello che aveva pensato. “Non odio la gente… E
scusami tu. Certo che puoi
scrivere a tua madre. Non mi sognerei mai di…”
Venne interrotta dalla
vibrazione del cellulare del ragazzo per una chiamata in arrivo.
‘Elaine’
diceva il display. Tolse lo sguardo dal telefono, in imbarazzo e quando
lui
disse che doveva rispondere, lei si avviò verso il bagno.
L’ultima cosa che
voleva fare era ascoltare la conversazione e il suo appartamento non
era molto
grande. Di sicuro non era sua madre che gli stava telefonando a
quell’ora. E
poi le avrebbe fatto bene sciacquarsi il viso con l’acqua.
Acqua fredda. Molta
acqua fredda.
Quando
uscì dal bagno lui era girato verso la finestra e non la
vide arrivare.
“Smettila,
Linnie. Non è divertente…”
Sentì che parlava al telefono con la tale Elaine,
che però aveva chiamato con un nomignolo affettuoso. Storse
il naso. Non le
piacevano i nomignoli. Non i nomignoli degli altri, comunque. E poi,
cosa non
era divertente? Stare lì con lei? “No. No. Ti ho
detto che…” Il ragazzo si
interruppe e sbuffò rumorosamente, girandosi appena. Allison
lo vide
chiaramente alzare gli occhi al soffitto. “Non è
come pensi, stiamo lavorando
davvero!”. Quando la mano di Joe passò fra i suoi
capelli, Allison capì che era
imbarazzato. Probabilmente fare tardi a casa sua lo aveva messo nei
guai con la
sua... ragazza? Sì, ancora più probabile.
Quando
terminò la chiamata, si girò verso di lei.
“È il caso che tu vada” gli disse.
Lo sguardo del ragazzo si rabbuiò quando capì che
lei aveva sentito parte della
conversazione.
“Mi
spiace. Hai sentito? Io non…” si interruppe e si
passò di nuovo la mano fra i
capelli. Allison alzò le spalle.
“Spiace
a me. Avrei dovuto lasciarti andare prima…”
“Come?”
Lo sguardo di Joe era strano e poi annuì, come se da solo
fosse arrivato a
chissà quale conclusione. “Ah. Pensavi
che… Non hai sentito… Ok…”
Cosa
stava blaterando? Comunque erano stanchi tutti e due ed era molto
tardi. Ormai
sragionava anche lei. “Io non origlio. Ma non voglio che
litighi con la tua
ragazza. La Sunfun non se lo merita. Posso finire io
o…”
“Non
ho una ragazza. Era Elaine, mia sorella. Lei… Mi prende in
giro… Ricordi quanto
ho detto che ho due sorelle maggiori?” Joe si mise le mani in
tasca,
visibilmente imbarazzato. Allison capì velocemente: anche
lei aveva una sorella
più grande. Sorrise.
“Le
tue sorelle ti prendono in giro?” Non riuscì a
trattenere una risatina.
“Sono
il più piccolo… Non finirà mai, mi
sa…”
Allison
rise forte. “Vero. Anche mia sorella mi prende in giro ancora
adesso. Penso che
se i tuoi fratelli maggiori non ti hanno mai preso in giro, non fanno
parte
veramente della tua famiglia” disse, ridacchiando.
“Scusami… Sono stanca e dico
cose senza senso…”
Ma
anche Joe rise. “No, ho capito benissimo”. Si
guardò intorno e si avvicinò alla
giacca, posata ordinatamente tempo prima. “Torno domani
mattina” disse, prima
di chinarsi per prendere le scarpe.
“Mmm…
Veramente è già domani
mattina…” disse Allison, guardando
l’orologio.
Joe
sorrise e disse: “Torno fra sei ore. Così puoi
dormire e io…”
“E
tu?”
“Io
ho bisogno di farmi una doccia e di cambiarmi” disse, con una
smorfia, guardandosi
la camicia appiccicata al torace. Allison annuì e distolse
lo sguardo, prima di
farsi venire altri pensieri peccaminosi, visto che non era per niente
convinta
che lui fosse così terribile da guardare.
“E
magari dimostrerò a mia madre che sono ancora in
vita…” La sua smorfia
divertita fece sorridere la ragazza, che lo aiutò a prendere
le sue cose.
“Abiti
con i tuoi?”
“Sì.
Con mia madre e una delle mie sorelle… Ma se il progetto che
presenteremo
venerdì andrà bene sarà assunto in
modo permanente e potrò trasferirmi. Ho già
visto un posto…” Joe si bloccò quando
si rese conto di parlare troppo e ad
Allison fece tanta tenerezza mista a tristezza.
“Ecco
perché è così importante per te,
questo progetto…” disse, sovrappensiero. Ecco
perché aveva fatto tutte quelle cose, mica perché
fosse interessato a lei…
Allison si sentì un po’ stupida. C’erano
stati momenti in cui le attenzioni che
aveva avuto lui nei suoi confronti l’avevano sì
messa in imbarazzo, ma erano
state… Ecco, sì, piacevoli.
Invece
lui voleva solo che andasse bene per poter andarsene di casa e poter
vivere da
solo. Vabbé…
Joe
uscì dall’appartamento e Allison decise di farsi
anche lei la doccia.
Annusandosi sentiva l’odore di quella notte e non era niente
di buono,
probabilmente anche per tutte le medicine che stava prendendo per stare
su, non
l’aiutavano affatto in quel frangente.
Si
fece la doccia e si mise a letto, ma puntò la sveglia
mezz’ora prima dell’ora
in cui Joe sarebbe arrivato: non voleva farsi trovare di nuovo mezza
addormentata.
***
Il
suono del campanello, questa volta, non la colse di sorpresa e Allison
aprì la
porta a un Joe sorridente, che teneva in mano un sacchetto di croissant
e due
caffè d’asporto.
Fecero
colazione insieme, sempre davanti al pc, dove Joe ormai aveva preso
possesso, e
lavorarono di buona sorta tutta la mattina.
“Niente,
37.5” dichiarò Allison all’ultima prova
della temperatura.
“Beh,
proprio niente no…”
“Oh,
voi uomini fate un melodramma appena si sfiora i 37. Io ieri ho
lavorato con
quasi 39 di febbre, ero uno straccio ambulante e non ho fatto una
piega!” Joe
alzò un sopracciglio ridendo e Allison gli tirò
uno dei cuscini del divano.
“Non ridere! Ho lavorato davvero!”
“Lo
so, lo so, non ridevo per quello…”
“E
per cosa ridevi?” chiese, stupita.
Joe
si passò una mano fra i capelli, visibilmente in imbarazzo.
“Ma niente…”Allison
sbuffò e si alzò per riporre il termometro in
cucina. “Comunque devi stare
attenta, domani potrebbe tornarti la febbre…”
“Domani
presentiamo il progetto alla Sunfun e io devo stare bene. Al massimo
tornerò a
casa subito dopo” disse ancora.
“Subito
dopo aver passato la febbre a tutti?” chiese Joe, alzando,
questa volta, tutte
e due le sopracciglia.
“Spiritoso.
Starò lontano da tutti. Ma voglio proprio vedere la loro
reazione. Penso sia la
campagna più bella che realizzeremo per loro.”
“Dici?”
domandò il ragazzo entusiasta.
“Sì, dico dico” confermò lei, avvicinandosi a lui e accarezzandogli i capelli. Quando si accorse di quello che stava facendo, si bloccò e tolse subito la mano. “Dai, guardiamo le cornici, ormai dovremmo aver finito”.
-
-
-