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Autore: _Agrifoglio_    13/05/2020    14 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Piramidi-2
 
La grande testa che si erge sulla sabbia
 
I bambini correvano da una parte all’altra del ponte, inspirando a pieni polmoni l’aria salmastra che aveva reso ispidi e stopposi i loro capelli agitati dal vento.
La loro delicata carnagione nordeuropea si era coperta di centinaia di efelidi alla prolungata esposizione del sole che, rifrangendosi sulle acque dell’alto mare, moltiplicava la sua forza e Mademoiselle Saint Pierre e Mademoiselle Du Lac avevano avuto il loro bel da fare a cospargere di oli e di unguenti le varie scottature che l’avevano oltraggiata.
Nulla, però, pareva fermarli o scoraggiarli e la loro acerba vivacità divideva i marinai, alcuni dei quali erano infastiditi da tutto quell’insolito clamore mentre altri sentivano il cuore stringersi in petto, rimpiangendo, in quei giovani cuccioli d’uomo, i figli lasciati a casa.
La più ribelle di tutti era Antigone, che era diventata il nuovo terrore dei mari: se c’era un barile in vista, si poteva stare certi che lei avrebbe tentato di aprirlo e non si contavano le volte che aveva provato ad arrampicarsi sull’albero maestro. Aveva profanato la stiva, la cambusa e, con alti strepiti del cuoco, la cucina e, un giorno che aveva osato varcare i sacri confini della cabina del Capitano, era stata riconsegnata ai genitori con ignominia. “Compatisco il Vostro futuro sposo, Madamigella”, le aveva detto il vecchio lupo di mare, col viso severo e lo sguardo offeso. “Compatisco Voi che pensate che mi sposerò”, gli aveva risposto lei, per nulla intimorita. In un’occasione, era riuscita a distrarre un marinaio e a rubare la cima di una fune che aveva srotolato per tutta la lunghezza del ponte, come un gatto con il gomitolo, provocando la caduta di alcuni fra quelli che erano accorsi a riprendersi il mal tolto.
Honoré e Bernadette, invece, seppur eccitati dal viaggio e al culmine della curiosità, si erano dimostrati molto più tranquilli, passando le ore della traversata immersi nelle letture o intenti a disegnare gli scorci della nave o il mare aperto.
– Mi chiedo se non sia stato un azzardo portarli con noi – disse André, guardandoli pensieroso.
– Ormai, lo avevamo promesso, non potevamo deluderli e la loro presenza ci è indispensabile per sostenere la tesi del viaggio formativo – rispose Oscar – Devono temprarsi, non possono vivere sempre alla placida ombra delle colonne e dei giardini di Palazzo Jarjayes.
Il sole iniziava a picchiare, alle dieci e mezza dei primi di luglio mentre le onde del mare si infrangevano contro la prua, ora con un tonfo sordo e schizzi di schiuma, ora con ritmico sciabordio, per, poi, dividersi e scivolare lungo i fianchi della nave a babordo e a tribordo.
– Signorini, ritirateVi sotto coperta! – li richiamò Mademoiselle Saint Pierre – Il sole comincia a essere forte!
Antigone, però, si era affacciata al parapetto e chiamava, a sua volta, i compagni, eccitata dallo spettacolo che le si offriva dinanzi agli occhi.
– I delfini! I delfini! – gridava, ridendo, la bambina, tutta presa dall’apparire e dallo scomparire a pelo d’acqua dei cetacei grigio argentei e dal loro nuotare ondeggiante e sinuoso.
Honoré e Bernadette la raggiunsero in un baleno e si posero a fianco a lei, uno a destra e l’altra a sinistra. In quel momento, alcuni delfini incominciarono a saltare, con eleganti evoluzioni e schizzi d’acqua e i bambini si misero a esultare e a saltare anche loro e ogni tentativo di riportarli al coperto fu vano.
Dopo qualche minuto, il gruppo dei delfini si allontanò e l’attenzione dei giovani viaggiatori fu catturata da uno stormo di gabbiani che proveniva da sud est. Poco dopo, alcune grandi foglie di palma si andarono a impigliare sulla prua della nave, fra i flutti e gli schizzi. Indugiarono un poco lì e, poi, scivolarono lungo le fiancate.
La vedetta, appollaiata su uno degli alberi, urlò:
– Terra in vista!
E i bambini si arrampicarono sulla prua, fra gli strepiti di raccapriccio delle loro governanti, perché ognuno di loro voleva essere il primo a scrutare, all’orizzonte, le coste di Alessandria.
 
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Giunti ad Alessandria, furono ospitati nel palazzo dell'Ambasciatore francese in Egitto, un anziano diplomatico serio e affidabile, molto fedele al suo paese e alla corona.
La città era stata presa da Napoleone il primo luglio e le strade erano piene di guarnigioni francesi. Gli indigeni, come tutti gli orientali, essendo abituati, da secoli, alla sottomissione e alla dissimulazione, apparivano ossequiosi con i loro nuovi padroni anche se non si riusciva a comprendere cosa si agitasse dietro quegli sguardi perennemente abbassati e quei sorrisi tutti uguali.
L'Ambasciatore aveva messo la sua guardia personale a disposizione di Oscar per gli spostamenti dell’intera famiglia.
Fecero lunghe passeggiate in riva al mare, in spiagge rigogliose di palme cariche di datteri, di opunzie, di cespugli e di macchie di vegetazione mediterranea. La sabbia sottile e dorata scorreva granulosa sui loro piedi nudi e delle grandi conchiglie di forma strana, bianche o perlacee, erano, di tanto in tanto, portate dalle onde.
Il mare era diverso da quello della Normandia. Era più calmo, verde e trasparente. Riuscivano a vedere il fondale a molti metri di distanza dalla costa, tanto l’acqua era cristallina.
Anche il cielo era differente da quello francese. Era più azzurro e luminoso, sembrava addirittura più sconfinato e, nel punto in cui incontrava il mare, lungo la linea dell’orizzonte, i due elementi sembravano un tutt’uno.
I colori erano più accesi e definiti che in Francia e il caldo, intenso, ma secco, era piacevole in riva al mare, soprattutto se accompagnato dalla brezza del vento del nord.
Visitarono il porto, chiassoso e affollato, col suo andirivieni di navi militari e commerciali.
Ammirarono la colonna di Pompeo di granito rosso di Assuan che si stagliava maestosa contro il cielo di zaffiro. Era sorvegliata da due sfingi di dimensioni ridotte, ma, pur sempre, ieratiche: due corpi di leone solennemente seduti, sormontati da teste umane ricoperte dal nemes, con l’ureo in fronte.
Varie volte attraversarono il delta del Nilo a bordo di leggere feluche, agili e svelte col loro corpo sottile e allungato e le enormi vele triangolari, color corda. L’acqua scorreva placida, quasi immobile, in un panorama che non subiva alterazioni da millenni.
Campi d’orzo, di grano e di lino si scorgevano oltre la costa. Vicino alle sponde del fiume e accanto agli isolotti del delta, spuntavano papiri, canne, eleganti calle e, lungo la sponda, acacie, sicomori, fichi e tamarischi crescevano maestosi e, talvolta, erano così vicini alla riva che i loro rami nodosi lambivano le acque. Gazzelle, antilopi, giraffe, daini, asini selvatici, struzzi, uri e mufloni correvano lungo le rive, si abbeveravano al fiume oppure riposavano all’ombra degli alberi.
Fra le ninfee e le canne, spuntavano, di tanto in tanto, dei macigni grigio verdi. Erano, in realtà, dei coccodrilli, all’apparenza sonnacchiosi e lenti, ma, all’occorrenza, rapidi e inesorabili, coi loro denti acuminati e le code dispensatrici di morte. Di quando in quando, fra una feluca e l’altra, scorrevano in acqua dei lunghi tronchi scuri. Erano gli ippopotami, gli enormi e pesanti cavalli del fiume, anch’essi apparentemente placidi e lenti, ma molto aggressivi e pericolosi. Ibis, gru e trampolieri volavano in cielo o pescavano lungo le rive.
Antigone mirava tutte queste cose, ma serbava nell’anima una certa amarezza. Si era attesa di vedere il palazzo reale di Cleopatra, le tombe della Regina e del Generale Marco Antonio, la grande biblioteca di Alessandria e il celebre faro e cocente era stata la delusione quando aveva appreso che, di tutte queste meraviglie, non restavano che dei ruderi, per giunta sommersi in fondo al mare o sepolti sotto la sabbia. La mente di bambina, ancora poco avvezza ad assorbire le delusioni, non le aveva consentito di compensare l’assenza di quanto si era aspettata con le indubbie bellezze che quelle terre millenarie le stavano offrendo, lasciandole in cuore un’ombra di rimpianto.
 
Coccodrillo-nascosto
 
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Decisero, un giorno, di visitare il suk cittadino, accompagnati, per maggior sicurezza, da Alain e dalla scorta personale dell'Ambasciatore.
Quel mercato orientale era il caos in terra, un microcosmo umano risuonante di voci e brulicante di individui in cerca, non soltanto del buon affare, ma anche del gusto della trattativa. Suoni, colori e odori si susseguivano e si sovrapponevano, amplificati dal caldo. I bambini, però, potevano soltanto immaginare gli aromi ad essi associati, dato che i genitori avevano tassativamente vietato loro, per una questione di igiene, di portare alla bocca qualsiasi cosa e Mademoiselle Saint Pierre e Mademoiselle Du Lac vigilavano come due cerberi. Datteri, fichi, banane e melagrane, gamberi e pesci, spezie e forme di pane erano, per loro, soltanto un insieme di immagini, di colori e di odori proibiti ai loro palati.
Mentre si avvicinarono a una delle tante bancarelle di legno, coperte da tende variopinte, André si accorse che un quartetto di uomini, dal viso furbo e dallo sguardo infido, stava guardando verso di loro. D’istinto si spostò, frapponendosi tra Oscar e la traiettoria di quegli sguardi insistenti.
– A cosa pensi Mohamed? – sussurrò, in arabo, uno di quelli.
– Bella, giovane, bionda, occhi di cielo – rispose Mohamed, un ometto basso, dal volto scavato da furetto e due baffoni scuri – Una vera perla per l’harem del Sultano!
I quattro si accostarono al gruppo degli europei e tre di loro iniziarono a richiamare l’attenzione di Oscar, André e Alain con schiamazzi e gesticolii. Mentre André era intento ad allontanare le mani di quegli importuni dalla moglie, un quarto uomo, lo stesso Mohamed, calò una gerla di vimini su Antigone, ricoprendola per tutta l’altezza.
Richiamati dal grido soffocato della bambina, gli adulti si voltarono di scatto, all’unisono e la zuffa iniziò. Alain, a momenti, gongolava, perché si trovava nell’elemento a lui congeniale e quasi gli sembrava di essere tornato ai vecchi tempi, quando ancora combattevano tutti insieme. Mademoiselle Saint Pierre e Mademoiselle Du Lac si allontanarono con Bernadette e Honoré mentre Oscar, André, Alain e gli uomini dell'Ambasciatore sguainarono le spade. I quattro balordi, a loro volta, tirarono fuori i pugnali dalla fascia che cingeva loro i pantaloni e si ingobbirono leggermente. Alcuni compari vennero a dar loro manforte, spuntando dalla folla.
La lotta fu alquanto singolare, perché i contendenti erano male assortiti e le armi differenti e, presto, andò a finire a pugni e a calci. Mentre la baraonda infuriava, Mohamed tentò di defilarsi con la preziosa gerla, ma Oscar se ne accorse e gli fece lo sgambetto. L’uomo cadde pesantemente al suolo mentre la gerla rotolò lontano da lui. Tentò, con uno scatto, di alzarsi e raggiungerla, ma Oscar fu più rapida e, dopo avere dato un calcio al pugnale e averlo fatto volare lontano, afferrò l’uomo dalla casacca, scaraventandolo nella direzione opposta, su una bancarella di datteri che, al contatto col predone, si fracassò miseramente. Gli altri balordi ancora vivi si diedero alla fuga.
Disarmato e dolorante, Mohamed si mise in ginocchio, levò le braccia al cielo e iniziò una sequela di inchini, accompagnati da acute lamentazioni incomprendibili e stonate.
Antigone, intanto, era stata recuperata dalle governanti mentre Oscar si apprestava a ordinare alla scorta di mettere ai ferri l’uomo e di consegnarlo all’autorità. André, però, la precedette e, prima che lei aprisse bocca, sollevò l’egiziano per un braccio e, rimessolo in piedi, gli disse:
– Puoi andare! Hai capito? Puoi andare! – accompagnando le parole coi gesti e le occhiate.
Mohamed non credette alla sua fortuna, si profuse in una serie di lesti e abborracciati inchini, effettuati mentre indietreggiava e, poi, si voltò di scatto e fuggì via, sparendo fra la folla che continuava a camminare e contrattare come se nulla fosse avvenuto.
– André, ma sei impazzito? – lo apostrofò Oscar – Voleva rapire nostra figlia e, se ci fosse riuscito, noi, forse, non l’avremmo più rivista!
– Ma non ci è riuscito, Oscar. E’ un povero diavolo, oppresso dalla miseria e, se andasse in carcere, i figli ne seguirebbero le orme e le figlie finirebbero per strada. Stai tranquilla, non ci riproverà più.
 
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Bonaparte non fu affatto contento della loro presenza in Egitto. Era troppo intelligente per credere alla storia del viaggio formativo e troppo sospettoso per non vedere in quell’arrivo un tentativo, da parte di Oscar, di appropriarsi della gloria che soltanto a lui spettava di diritto.
Li considerava come rivali, Oscar nel comando e André nelle attenzioni di Joséphine de Beauharnais. Oscar non aveva mai mostrato alcun segno di cedimento né si era mai trovata a disagio al cospetto di lui, come spesso accadeva alle persone che lo frequentavano. André, dati i trascorsi, il bell’aspetto e i modi raffinati, aveva tutta l’aria di uno che fa carriera in un boudoir e, se avesse deciso di prendersi Madame de Beauharnais per qualche suo secondo fine, malgrado i quindici anni in più, con la maggiore avvenenza, un titolo nobiliare e la prossimità alla Regina che Joséphine voleva a tutti i costi avvicinare, lo avrebbe, probabilmente, sconfitto.
Numerose voci gli stavano giungendo dalla Francia sulle infedeltà della donna amata e la gelosia lo dilaniava. Le indirizzava quotidianamente lettere appassionate, roventi, cariche di ossessione amorosa, spesso esagerate e spinte, per ricevere in cambio qualche missiva sporadica molto più tiepida e visibilmente motivata dalla convenienza.
In questa situazione, il ricordo dell’evidente attrazione che Madame de Beauharnais aveva manifestato nei confronti di André non faceva che rendergli l’uomo ogni giorno più odioso. Rivederselo ad Alessandria, insieme a quell’intrigante della moglie, aveva peggiorato le cose e aveva fatto di lui il bersaglio di tutto l’odio e la frustrazione che aveva in cuore.
Parallelamente, Napoleone stava pianificando il prosieguo dell’invasione dell’Egitto. Voleva conquistare anche Il Cairo, Menfi, Tebe, Luxor e, poi, aprirsi un varco verso la rotta asiatica. Il possesso dell’Egitto avrebbe, infatti, garantito alla Francia il controllo del Mediterraneo orientale e del Mar Rosso e avrebbe costretto gli inglesi a circumnavigare l’Africa per raggiungere le colonie indiane. Dall’Egitto, poi, avrebbe potuto sferrare un attacco diretto ai territori britannici in India.
Si era portato dietro, oltre a un nutrito gruppo di studiosi che avrebbero scoperto, catalogato e, possibilmente, portato via le antichità locali, anche una commissione di tecnici per verificare la fattibilità di un canale artificiale che collegasse il Mediterraneo al Mar Rosso.
La tensione che lo pervadeva era enorme, perché sapeva che il Governatore dell’Egitto, Murād Bey, non se ne sarebbe restato con le mani in mano, ma avrebbe fatto di tutto, con i suoi neo Mamelucchi, per contrastarlo e riprendersi Alessandria. Mentre i soldati semplici e finanche gli ufficiali favoleggiavano sulla gloria e sui tesori che l’Egitto avrebbe offerto loro, egli era più cauto, ben sapendo che il tragitto da Alessandria a Il Cairo sarebbe stato tutt’altro che agevole e che avrebbe dovuto aspettarsi molti assalti proditori da parte dei neo Mamelucchi, sconfitti ad Alessandria, ma ancora padroni del territorio e dei segreti e delle insidie che esso celava.
Alla vigilia della partenza da Alessandria, Bonaparte incontrò Oscar e André che gli comunicarono l’intenzione di accodarsi alla spedizione, perché i figli volevano vedere la sfinge e le piramidi e, possibilmente, i templi di Tebe, di Karnak e di Luxor.
– Una marcia dal Basso all’Alto Egitto non è esattamente un giro d’ispezione nei corridoi e nei giardini di Versailles, Generale de Jarjayes – disse Napoleone mentre guardava Oscar con malcelata ostilità oltre che con sufficienza – Non è affare per donne e bambini.
– Noi e i nostri figli ci sposteremo in barca, Generale Bonaparte – rispose Oscar, per nulla intimorita o offesa – Non temete, essi non disturberanno le Vostre truppe.
– Fate come preferite, Generale de Jarjayes, ma badate: non mi assumo la responsabilità della sicurezza di alcuno di Voi.
– Mia moglie e io sappiamo badare a noi stessi e ai nostri figli – si inserì André.
– Perfetto – concluse Napoleone, irritato per quell’intromissione – Seguitemi, se Vi fa piacere, così potrete continuare a spiarmi.
 
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Come aveva previsto Napoleone, risalire il Nilo fu tutt’altro che agevole per le truppe.
Il caldo opprimente, la scarsità di viveri e di acqua, le zanzare, i tafani e altri fastidiosi insetti tormentavano i soldati mentre i neo Mamelucchi, di quando in quando, tendevano loro delle imboscate o facevano delle rapide sortite. La terra dei faraoni era piene di insidie per quegli inesperti europei e i sogni di gloria e di ricchezza si stavano infrangendo contro le sciabole dei nemici, gli stomaci vuoti, le gole riarse, i denti dei serpenti e le code degli scorpioni.
Per trovare refrigerio e anche per incauta baldanza, gli uomini facevano spesso il bagno nel Nilo mentre nuotavano i coccodrilli, ma quei “mostri”, per fortuna, non li attaccarono.
Il viaggio dei de Jarjayes et de Lille fu, invece, molto più confortevole anche se non scevro di rinunce e di fatiche che Oscar si augurava avrebbero temprato i bambini.
Avevano quattro barche a loro disposizione, leggere e agili, adatte a risalire il Nilo. Su una, viaggiava la famiglia insieme a Mademoiselle Saint Pierre, a Mademoiselle du Lac, ai precettori dei bambini e ad alcuni servitori, francesi e locali. Sulla seconda, erano stipati scorte di viveri e di acqua e alcuni uomini di fatica. Sulla terza, c’erano alcuni soldati che l'Ambasciatore aveva messo a loro disposizione per la scorta. La quarta trasportava un’altra parte di viveri e serviva di riserva, qualora una delle altre tre avesse subito gravi danni.
Il paesaggio costeggiante il Re dei Fiumi era verde, allegro, a tratti lussureggiante e faceva dimenticare che, soltanto qualche centinaio di passi più in là, regnava il deserto.
Acacie, palmeti, fichi e sicomori si alternavano a campi di frumento, di orzo e di lino, dove i nativi lavoravano con l’indolenza tipica degli orientali. Grandi fiori tropicali dai colori accesi e dal profumo intenso spuntavano dai cespugli mentre le ninfee galleggiavano nell’acqua. Antilopi, giraffe, scimmie e gazzelle si abbeveravano o sedevano all’ombra degli alberi mentre gli ibis, le cicogne, le gru, i fenicotteri e altri trampolieri volavano sopra le imbarcazioni.
Gli occupanti delle barche dormivano in letti circondati da fitti veli per ripararsi dagli insetti mentre, di giorno, si cospargevano la pelle di unguenti che servivano a respingerli. Il caldo e l’afa, spesso, li opprimevano, ma il vento si avvertiva molto di più sulle barche e alcuni giovani egiziani li sventolavano con grossi ventagli. Questi servitori, poco più che bambini, non consideravano degradante offrire refrigerio ai ricchi stranieri, ma erano ben felici di impiegare il loro tempo in mansioni da svolgere comodamente al chiuso, in cambio di una buona ricompensa.
Spesso, Honoré, Antigone e Bernadette si affacciavano ai bordi della barca e vedevano passare gli ippopotami e i coccodrilli verso i quali non provavano più paura, ma tanta curiosità. Di frequente, capitava che un uccello di posasse sul ponte o sul parapetto, per riposare e guardarsi intorno in cerca di cibo e prendesse il volo subito dopo, al sopraggiungere dei bambini.
A volte, quando l’esercito sostava, Oscar e André permettevano che i figli e Bernadette scendessero a riva, ma senza farli avvicinare alle truppe, per mantenere la parola data a Bonaparte e per evitare che i bambini, ancora piccoli, intralciassero le operazioni militari, contraessero qualche infezione o subissero molestie dai soldati più spregevoli. L’incontro fatto con uno scorpione delle sabbie, grosso dieci volte i suoi simili europei e giallo come la rena, li aveva, del resto, dissuasi dall’allontanarsi troppo dalla comitiva. Avevano visto la sabbia ondeggiare e aprirsi a vortice verso il basso e da un buco fuoriuscire lo scorpione, ricoperto dai granelli che gli scivolavano addosso. Avevano cacciato delle grida, quello si era rintanato e l’avventura si era conclusa in pareggio.
Oscar, invece, visitava spesso le truppe, conversava con ufficiali e soldati semplici, cercava di parlare frequentemente con Alain e, quando le era possibile, con lo stesso Bonaparte, per raccogliere informazioni e carpire l’essenza del genio di quel condottiero.
Il 13 luglio 1798, avvenne il primo scontro fra le truppe francesi e i neo Mamelucchi di Murād Bey, nei pressi di Shubra Khit, un villaggio sulla riva sinistra del Nilo.
Murād Bey attaccò frontalmente l’armata francese, ma l’assalto si infranse contro la formazione a quadrato delle truppe napoleoniche. I neo Mamelucchi tentarono di aggirare il quadrato, ma incapparono nelle divisioni di riserva, sbandarono e furono sconfitti.
Da una collinetta posta lì vicino, Oscar, insieme ad André, osservò la battaglia, prese mentalmente degli appunti e imparò molto.
Qualche giorno dopo, giunsero nei pressi di Giza.
 
Nilo
 
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Quando i militari erano accampati nelle vicinanze di Giza, Oscar e André si recarono, come sempre, a fare visita ai membri della spedizione.
Si intrattennero con Alain e con altri soldati, con gli studiosi delle antichità e con gli ingegneri chiamati a valutare la fattibilità del canale artificiale.
Giunti davanti alla tenda di Napoleone, si accorsero che il Generale era intento a dettare contemporaneamente ben sette missive diverse e ne rimasero stupefatti.
Mentre André conversava con Alain, Oscar tese le orecchie, udì che una delle lettere era indirizzata al Duca d’Orléans e ne rimase ancora più stupefatta.
 
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Luglio, alla reggia di Versailles, era caldo e afoso, ma non infuocato e luminosissimo come a Giza.
Il Generale de Jarjayes e il Generale de Girodel passeggiavano nei giardini del palazzo, scambiandosi informazioni e stando attenti a non essere uditi.
– Avete notizie di Vostra figlia, Signore?
– Ricevo lettere periodiche, sebbene a distanza di settimane dalla spedizione di esse. Oscar sorveglia Bonaparte con attenzione, ma non credo che nutra ancora i nostri sospetti.
– Se il Comandante ignora ciò che noi abbiamo scoperto, potrebbe correre dei rischi….
– Mia figlia è arguta, esperta, abilissima, sta sempre in guardia e, con lei, c’è André….
– Il Duca d’Orléans non fa che stupire…. E’ riuscito ad agganciare persino Bonaparte…. – mormorò Girodel.
– Si vede che, fra ambiziosi, hanno trovato un’intesa…. – chiosò il Generale de Jarjayes – Le mie spie hanno carpito conversazioni sussurrate nei corridoi e parlato con servitori e non solo…. Il Duca d’Orléans tiene il piede in due staffe. Sobilla falsità all’orecchio di Re Giorgio III, promette appoggi a Bonaparte e, intanto, li aizza l’uno contro l’altro e mette tutti contro la Regina.
– Se soltanto trovassimo dei documenti atti a suffragare tutto ciò….
– Diamo tempo al tempo, Generale Girodel.
I due uomini smisero di parlare e si incamminarono verso la reggia.
 
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Ieratica, imponente, colossale, la grande testa si ergeva sulla sabbia, contemplando con maestoso distacco i piccoli uomini giunti, da tanto lontano, a omaggiarla.
I raggi del sole del mattino, indugiando su quell’enigmatico volto calcareo, creavano un gioco di chiaroscuri accentuato dai grandi occhi infossati e dall’ampio nemes triangolare che richiamava la linea delle retrostanti piramidi. La guardiana leonina, scolpita da mano antica, percossa dai venti, sommersa dalla sabbia e immobile nell’eternità, resisteva a dispetto dei millenni e pareva trarre, ogni giorno, nuova vita dalla potenza del dio Ra.
Era interrata fino alle spalle nella sabbia che ne celava il corpo felino eppure, malgrado fosse così imprigionata, sembrava pronta a prendere vita e a scattare in qualsiasi istante a difesa delle piramidi che doveva custodire. Queste si ergevano dietro di lei, uguali a lei per colore e imponenza, pietrose e aguzze vette che dominavano la sabbia.
Si avvicinarono alla statua in groppa ai dromedari e, giunti davanti ad essa, smontarono stupefatti da tanta magnificenza mentre Alain, partito con loro per scortarli, tirava un fischio. Antigone fu la prima a tendere la mano e a sfiorare il torace della custode millenaria di segreti ancestrali e di tesori sepolti chi sa dove e tutti pensarono che quella divina guardiana compendiava in sé millenni di gloria e di oblio, dal quale sarebbe stata presto risvegliata. Schiere di studiosi si sarebbero avvicendate, operai nerboruti avrebbero dissepolto il colosso, frotte di viaggiatori sarebbero giunte da ogni dove a calpestare quelle dune e l’antico complesso di calcare e di sabbia avrebbe perso il plurimillenario isolamento, ma non l’eterno mistero.
Stettero lì per il tempo necessario ad ammirare e a riposare e, poi, rimontarono sui dromedari, dirigendosi verso le piramidi. Solcarono le sabbie infinite, tiepide sotto gli zoccoli degli animali e gialle fino all’orizzonte, dove incontravano l’azzurro intenso del cielo. Il piacevole vento del mattino carezzava i loro volti e sollevava alcuni granelli di sabbia che sfioravano le zampe degli animali e andavano a posarsi più in là, modificando, di continuo, la struttura delle dune e la fisionomia del paesaggio. Dovevano sbrigarsi, perché, presto, il caldo sarebbe aumentato e quelle sabbie, lontane dalle acque ristoratrici, si sarebbero infuocate.
Alcune piramidi erano enormi mentre altre avevano dimensioni più ridotte, ma, viste da vicino, erano tutte molto più grandi di un normale palazzo. Non erano lisce come si sarebbe potuto pensare guardandole da lontano, ma avevano una superficie irregolare e, in alcuni punti, erano franate o in rovina.
Giunti ai piedi della grande piramide, scesero dai dromedari.
Si sentivano infinitesimali di fronte a tanta maestà che soverchiava quella di Versailles e di tutti i monumenti da loro conosciuti.
Mentre i tre bambini, richiamati di continuo dalle governanti, tentavano di scalare i blocchi e Alain li osservava e rideva, burlandosi bonariamente dei loro goffi tentativi di domare il gigante del deserto, Oscar riferì ad André ciò che aveva udito fuori della tenda di Bonaparte.
– Certo che il Duca d’Orléans è proprio onnipresente! – esclamò André – Come ha conosciuto Bonaparte? Cosa ha da spartire con lui? Perché si scrivono in segreto?
– Dobbiamo scoprirlo, André. Mi intrufolerò nella tenda di Napoleone e ne verrò a capo!
– Più facile a dirsi che a farsi…. – rispose André – Quella tenda sarà sorvegliata da molti uomini….
– Stiamo per arrivare a Il Cairo, André e le truppe di Murād Bey attaccheranno, è solo questione di tempo. Quando ciò accadrà, approfittando della confusione della battaglia, mi intrufolerò in quella tenda.
– No, Oscar, tu sei troppo in vista. Bonaparte ti fa sorvegliare, me ne sono accorto e, poi, perché privarti del piacere di osservare la battaglia? Mentre assisterai allo scontro e gli uomini di Bonaparte sorveglieranno te, io mi intrufolerò nella tenda.
Raggiunto l’accordo, chiamarono i bambini e andarono a riprendere i dromedari per tornare alle barche.
Voltatisi indietro, videro, in lontananza, un uomo a cavallo, a pochi passi dalla sfinge. L’enigmatica guardiana millenaria e il futuro conquistatore dell’Europa si stavano scrutando vicendevolmente, lei con lo sguardo di pietra e lui con gli occhi di acciaio, nel mattino di un infuocato giorno di luglio.
 
Napoleone-e-la-sfinge

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Come aveva previsto Oscar, il 21 luglio 1798, Murād Bey attaccò ed ebbe luogo quella che sarebbe passata alla storia come la Battaglia delle Piramidi.
Non avendo titolo per parteciparvi, Oscar la osservò da un’altura vicina, apprendendo molto e stupendosi di come bastasse del genio per rovesciare le sorti di uno scontro iniziato con una forte inferiorità numerica.
I francesi erano, infatti, venticinquemila mentre gli egiziani erano quasi settantacinquemila, tutti ferocemente agguerriti. Erano, però, equipaggiati in modo antiquato, con sciabole, archi, cotte di maglia e vecchi moschetti mentre gli avversari avevano armi molto più moderne.
Napoleone comprese che, di tutte le forze nemiche schierate, la cavalleria era l’unica che avrebbe potuto costituire un pericolo. Questa circostanza, unita all’inferiorità numerica, indusse il Generale ad adottare una strategia improntata sulla difensiva, consistente nella tecnica del quadrato, già utilizzata nella battaglia di Shubra Khit.
Bonaparte schierò il suo esercito in modo da formare dei quadrati, al centro dei quali erano  posizionate la cavalleria e l’artiglieria. Ai lati dei quadrati, erano schierate delle file di soldati di fanteria che, con le armi da fuoco, dispersero le cariche della cavalleria mamelucca. A un certo punto, Napoleone sferrò un attacco a sorpresa nei pressi del villaggio di Embebeh e l’esercito egiziano, incapace di organizzarsi, fu disperso.
Oscar non perse una sola mossa, molto capì e molto imparò. Erano le prime vere battaglie alle quali assisteva, molto diverse dalle operazioni militari a cui aveva preso parte fino ad allora e il cuore di lei era carico di ardimento mentre la mente era in preda all’esaltazione. Avrebbe voluto essere su quel campo, dare ordini, sperimentare. Le pareva di sentire l’odore della polvere da sparo e di respirare il fumo dei fucili e delle baionette. Sapeva, dentro di sé, che, alla fine, l’ora di combattere sarebbe arrivata anche per lei.
Quando la battaglia infuriava, André entrò nell’accampamento francese, con l’aria indifferente e bonaria di chi nulla ha da fare. Si era portato dietro alcuni bambini egiziani al loro servizio nelle barche, con l’incarico di distrarre i soldati per permettergli di entrare indisturbato nella tenda del Generale Bonaparte. Questi avevano accettato di buon grado, sedotti dalla lauta ricompensa e desiderosi di giocare un tiro agli invasori.
Mentre i monelli tenevano occupati i pochi soldati di guardia, André entrò nella tenda e iniziò a rovistarla. Nel muoversi, rovesciò inavvertitamente una sedia. Il rumore richiamò l’attenzione di un soldato e André si appiattì a terra. I piccoli egiziani, però, riuscirono a distrarre il militare con un diversivo e André ebbe salve la missione e la vita.
Scovò, infine, uno scrigno chiuso a chiave che aprì con un passepartout, trovandovi dentro un mucchietto di lettere provenienti dal Duca d’Orléans e dal Conte di Compiègne. Le nascose in una tasca interna del giustacuore e uscì dalla tenda con circospezione, dirigendosi fuori dell’accampamento con aria noncurante e distesa. Dopo un paio di minuti, anche i bambini egiziani lo seguirono.
Quando stava andando via, un attendente di Napoleone lo vide passare, intuì che arrivava dalla zona dove era ubicata la tenda del superiore e si ripropose di parlargliene.
 
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Oscar e André si guardavano con stupore mentre stringevano nelle mani le lettere trovare nello scrigno di Napoleone Bonaparte.
– Il Duca d’Orléans è la persona più intrigante che abbia mai conosciuto, André! Gioca su due tavoli e, mentre si professa amico di Re Giorgio III, tende una mano a Bonaparte e lo aiuta a  prendere l’Egitto per tagliare le gambe all’Inghilterra e fiaccarne il dominio commerciale!
– E’ una figura squallida, infida e squallida! – le fece eco André.
– Leggi qui, André! E’ stato il Duca d’Orléans a instillare nella mente di Re Giorgio III il sospetto che Talleyrand si fosse recato in Inghilterra come spia! Ed è stato il Conte di Compiègne a commissionare le lettere false che hanno gettato un’ombra sull’operato della Regina e di Talleyrand e che hanno inchiodato il Conte di Canterbury a responsabilità che non aveva! Ora, egli è confinato nelle sue proprietà e sono stati quei due traditori a incastrarlo!
– Grandissime canaglie!
– Non pago di tutto ciò, il Duca d’Orléans fa il doppio gioco, strizzando l’occhio a Bonaparte! Chiunque risulterà vincitore, lui gli si accoderà!!
– Cosa intendi fare, Oscar?
– L’Ambasciatore deve avere queste lettere e recapitarle alla Regina. Partirò immediatamente per Alessandria e gliele porterò!
– No, Oscar, tu devi sorvegliare Bonaparte per conto della Regina Maria Antonietta, ricordi? Andrò io ad Alessandria, utilizzando la quarta barca e portandomi dietro alcuni uomini della scorta. La mia assenza darà meno nell’occhio.
– Potremmo dire che sei stato colto dalle febbri maligne e che sei andato ad Alessandria per farti curare dal medico dell’Ambasciatore.
– Sì, diremo questo – le rispose André con un sorriso.
– André…. Mi raccomando…. Stai attento….
– Non temere, Oscar, sono una vecchia pellaccia! – e scoppiò a ridere come faceva sin da quando era ragazzino.
 
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– Sei sicuro di quello che hai visto? – domandò, furioso, al suo attendente, Napoleone Bonaparte.
– Più che sicuro, Generale! – rispose il giovane, ripetendo, per la decima volta, di avere visto André camminare vicino alla tenda di lui – Devo dare disposizioni per l’arresto del Conte di Lille e del Generale de Jarjayes, Generale?
– Niente affatto, sciocco! Quella donna è vicina alla Regina e, per ora, è intoccabile! Per ora….
– Cosa devo fare, Generale?
– Quell’uomo deve morire! So che è andato ad Alessandria e, se è veramente malato, io sono circasso…. Vai ad Alessandria, ingaggia dei sicari e fallo ammazzare! I sicari dovranno essere egiziani e non francesi! Tutti penseranno che è caduto vittima di delinquenti locali…. E che mi riconsegnino le lettere!

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Giunto ad Alessandria in tre giorni di velocissima navigazione, André, dopo essersi reso presentabile, scese a terra, deciso a raggiungere quanto prima il palazzo dell’Ambasciatore.
Purtroppo per lui, anche l’attendente di Napoleone Bonaparte aveva usato una barca, più piccola e, quindi, più leggera e veloce, recuperando le poche ore di vantaggio dell’inseguito.
Mentre camminava per i vicoli di Alessandria, sull’imbrunire, l’uomo vide delle ombre allungarsi e, col suo istinto infallibile, affinato in anni di avventure, capì che il pericolo era in agguato. Mise mano all’elsa della spada e, quando udì i primi rumori sospetti, la sguainò. L’assalto iniziò pochi secondi dopo e, presto, André capì di essere circondato da una decina di malviventi, tanto rozzi nel combattere quanto determinati nell’uccidere.
– Chi vi ha pagati? Rispondetemi! Sono ricco, posso darvi il doppio!
Quelli, però, non capivano il francese e continuarono ad aggredirlo.
Uno di loro si gettò a testa bassa contro di lui, ma André lo disarmò con un fendente e lo allontanò con un calcio. Mentre la gamba di lui era ancora sospesa, un assalitore gli fece lo sgambetto e lo fece cadere, ma egli si rialzò di scatto e, con un montante, lo disarmò.
Mai, come in quei momenti, benedisse gli insegnamenti del Generale de Jarjayes e gli allenamenti quasi quotidiani con Oscar. Le tenebre, però, purtroppo, avevano avvolto il vicolo e quegli uomini, originari del posto, godevano, rispetto a lui, di un vantaggio incommensurabile.
Si difese come un leone per un numero interminabile di minuti, ma, a un certo punto, fu atterrato da un colpo sulla nuca e perse i sensi.
– Era ora! Hai la pelle dura, amico, ma la tua fine è giunta lo stesso! – disse il capo di quegli uomini.
Subito dopo, estrasse dalla cinta un corto pugnale e tirò su la testa inerte di André dai capelli. Mentre stava per tagliargli la gola, la torcia accesa da uno dei compari rischiarò i lineamenti del prigioniero e l’assassino ebbe un sussulto.
– Cosa c’è, Mohamed? Vuoi che lo uccida io?
– No – rispose l’uomo dal volto scavato da furetto e i baffoni neri – Nessuno lo ucciderà! Lo venderemo allo Sfregiato del Mediterraneo!
– Lo Sfregiato del Mediterraneo? Il contrabbandiere?
– Sì, proprio lui! Così prenderemo soldi da entrambe le parti e chi ci ha ordinato di ucciderlo non lo saprà mai! Lo Sfregiato del Mediterraneo salperà questa notte dal porto con la sua merce di contrabbando. Questo riccone vale un mucchio di soldi, ce lo comprerà sicuramente, per, poi, chiedere il triplo o il quadruplo di riscatto! Avanti, sollevatelo!
Fu così che André, grazie al gesto di misericordia di qualche settimana prima, scampò la morte, barattando lo scomodo ruolo di cadavere con quello, un po’ meno scomodo, di prigioniero di un feroce contrabbandiere. Conservò anche il possesso delle lettere, perché le aveva ben celate, cucendole sotto la fodera del giustacuore e gli uomini che lo avevano attaccato, non conoscendo una sola parola di francese, avevano capito a mala pena chi dovevano uccidere, ma nulla avevano inteso della faccenda delle missive.
   
 
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