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Autore: Crudelia 2_0    13/05/2020    5 recensioni
«Ginny» iniziò tormentandosi le mani e senza avere il coraggio di guardare l’amica «non metterò quell’abito, è troppo piccolo».
«Ma che dici, Hermione? Abbiamo la stessa taglia» Ginny la guardava con le sopracciglia corrugate, uno strano presentimento aveva iniziato a farsi strada nella sua mente.
«C’è un motivo se ho scelto di non frequentare Hogwarts il prossimo anno e dare soltanto gli esami».
«Lo so. Non mi hai ancora voluto dire di cosa si tratta, ma so che c’è un motivo» sussurrò Ginny. All’improvviso sostenere quella conversazione ad alta voce era diventato troppo difficile.
«A villa Malfoy, dopo che Bellatrix aveva finito con me, mi ha dato in mano a Greyback » disse Hermione con tono incolore.
«Sì» rispose Ginny con la bocca asciutta. Incrociò lo sguardo dell’amica e sentì gli occhi riempirsi di lacrime: non aveva finito, ma già aveva capito.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Hermione Granger, Nuovo personaggio, Severus Piton | Coppie: Hermione/Severus
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da Epilogo alternativo
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Note: eccomi tornata! Chiedo scusa a tutti per questa lunga attesa, ma il capitolo proprio non ne voleva sapere di uscire. Ho cercato di forzarlo, ma aggiornare due volte a settimana senza avere i capitoli pronti mi stava prosciugando; non era più un piacere per la creazione e condivisione della storia, ma si stava trasformando in un dovere. Quindi, piuttosto che sfornare un capitolo oggettivamente brutto come l’ultimo, ho preferito aspettare.
Sono soddisfatta di questo? No, ma è il meglio che sono riuscita ad ottenere.
Spero che a voi possa piacere di più, ma in caso contrario non esitate a armi notare i miei errori.
Vi rubo ancora un momento per ringraziarvi, tutti, da chi legge a chi recensisce. E un grazie speciale a chi si è preoccupato scrivendomi messaggi privati, questo capitolo è per voi.
 
Un abbraccio,
Crudelia
 
 
 
 
 
 
Avvistamento
 
 
 
 
 
Harry e Severus arrivarono pochi minuti dopo, stropicciati dal vento che scendeva impietoso dalle nuvole grigie e con l'espressione di chi avrebbe preferito trovarsi con chiunque tranne che la persona affianco.
Nonostante la piega contrariata della bocca, appena Severus scorse Hermione gli occhi si ammorbidirono assumendo una sfumatura preoccupata che a malapena fu nascosta dalla solita espressione imperturbabile.
Molly, così sensibile ai cambiamenti d'animo altrui, percepì subito quello sguardo, e si stupì nel sentirsene commossa. Ginny, attenta quanto la madre, notò anche l'espressione di Hermione: non era solo sollievo, era la gioia disperata di un uomo rimasto in prigionia che per la prima volta apre gli occhi ad un cielo luminoso, nonostante il sole bruci le retine fino alle lacrime. Ron, appena tornato da mesi a stretto contatto con un essere umano della portata di Luna Lovegood, si accorse di entrambe le cose e si stupì di tutte e due, ma, più di tutto, scoprì che per la prima volta vedere l'amore di Hermione palesemente indirizzato verso qualcun altro non lo ferì in profondità. Dentro di sé, se ne rallegrò, ripensando che poche ore prima aveva salutato una lunga chioma bionda con la stessa luce negli occhi.
 
 
 
Se quella bambina non avesse smesso di piangere avrebbe fatto in modo che smettesse personalmente. Odiava i piagnistei, ma ancor di più odiava vedere come i suoi geni, il frutto dei suoi lombi, la sua eredità, fosse così debole.
L'aveva scrollata, poco prima, e l'unica risposta che aveva ottenuto era stato un singhiozzo acuto e dei segni rossastri sul suo braccio pateticamente magro.
Avrebbe dovuto morderla, sperava soltanto che sarebbe sopravvissuta. Quell'esserino era l'unica possibilità di riscatto che aveva: di quei tempi muoversi per avere nuova carne fresca era troppo pericoloso. Un passo falso e si sarebbe trovato le bacchette degli Auror puntate in posti che avrebbe preferito tenere ben lontani da punte acuminate.
A proposito di bacchette, avrebbe dovuto procurarsene una nuova.
In attesa che il suo contatto si facesse sentire, avrebbe agito. La bambina sarebbe rimasta nella catapecchia, era troppo pericolosa e inesperta riguardo le sottili arti del muoversi con circospezione prima di un furto.
Uscì senza curarsi di spiegarle nulla e sbattendo la porta, il suo unico accorgimento fu quello di gettare un incantesimo affinché la figlia non uscisse e non venisse scoperta.
 
 
 
Hermione alzò la testa al suono della porta che si apriva. Sapeva che sarebbe stato lui grazie allo stesso istinto che le faceva capire che la figlia era troppo lontana da lei.
Si alzò di scatto, inciampandosi. Braccia pallide e accompagnate da capelli rossi la strinsero, ma non si curò di sapere chi fosse. Si precipitò nella sua direzione e un fianco colpì l'alto schienale di una poltrona, ma questa volta c'erano le sue braccia a prenderla.
Affondò il viso nel suo petto stringendo la camicia tra le dita, accorgendosi solo marginalmente di graffiarlo. Mormorò il suo nome, ma la voce fu soffocata dalla stoffa fresca che profumava di pozioni e di pioggia.
Sentì le sue mani - calde, sempre calde - sfiorarle i gomiti. Tremavano, e in quella sottile esitazione Hermione capì che desiderava stringerla tanto quanto lei: incurante dei graffi, incurante del dolore.
Le dita strinsero con più decisione i bicipiti e la scostò dolcemente dal suo corpo. Chinò leggermente la testa per incontrare i suoi occhi ed Hermione si perse nel suo sguardo come un annegato che smette di lottare perdendosi nella beatitudine dei flutti.
«Hermione» disse, e il tono sicuro non tradì l'apprensione che gli occhi urlavano.
Lei prese fiato, ma dalla bocca non uscì una risposta. Cosa avrebbe potuto dire, poi?
Sorprendersi che era arrivato? L'avevano chiamato, era ovvio che sarebbe venuto.
Strinse ancora le mani ai suoi fianchi, stringendo tra i pugni la camicia, desiderosa soltanto di sprofondare nuovamente nel suo abbraccio e di trovare a qualche giorno prima, quando lui la salutava con la bramosia negli occhi e sua figlia era al sicuro nel suo letto.
Il labbro inferiore le tremò, ma ancora non trovò la forza di dire nulla. Qualcosa, negli occhi di lui, la dissuase dal dare sfogo a tutta la sofferenza che sentiva al posto del cuore, un peso ancorato al diaframma che le impediva di respirare.
«Devo andare a cercarla» esalò, la supplica di una madre che fa male, che fa breccia anche nel cuore più duro.
Lui non rispose, inclinò leggermente la testa da un lato, studiandola. Gli occhi indugiarono sulla bocca, sul labbro che lei aveva morso nervosamente nelle ore precedenti fino a sentire il sapore del sangue sulla lingua. Con un gesto lento, quasi si muovesse contro i suoi pensieri razionali, alzò la mano fino a posarla sulla sua guancia. Il pollice accarezzò il labbro martoriato, e anche in un tocco così leggero Hermione riuscì a cogliere tutta la profonda voglia che aveva di lei.
«Lo sappiamo entrambi chi è stato» sussurrò Severus, la misera soluzione confessata come una colpa. Aveva gli occhi socchiusi, come se il vederla meno potesse fungere da barriera al dolore che sentiva di infliggerle con quella notizia.
Se non avesse avuto le sue mani addosso, probabilmente Hermione avrebbe accusato il colpo come uno schiaffo in pieno viso. Si accasciò un poco, sentendo tutta l'aria abbandonare i polmoni.
Si sentiva compressa: una mano che le stringeva la gola per non farla respirare e non le rendeva possibile pensare.
Avrebbe dovuto pensarci, si disse con rabbia. Perché lo sapeva, che correva quel rischio, eppure si era distratta. E ora si ritrovava così sconvolta da non riuscire a mettere in atto un piano ed essere concretamente utile alla ricerca di sua figlia.
Ma Kathleen era la parte migliore di lei, la bambina che aveva visto nascere, che aveva sentito crescere prima dentro di lei e poi l'aveva vista stentare i primi passi, i primi sorrisi. Aveva gioito per il primo dentino, passato notti insonni a massaggiarle la pancia e si era commossa fino alle lacrime la prima volta che si era sentita chiamare mamma e aveva ricevuto in regalo un disegno, anche se aveva comportato il divano macchiato e un tappeto rovinato.
Poteva essere solo una bambina, ma Kathleen era la sua vita e poteva forse un essere umano, una donna, vivere senza il suo cuore?
Non poteva perderla. Perderla avrebbe significato perdere se stessa, tutto ciò per cui aveva lottato, i desideri e i sogni e le idee per il futuro.
Sentì il desiderio di arretrare, sottrarsi alle mani calde che erano tornare a stringerle gli avambracci per sostenerla. Vedeva stampata sulle retine l'immagine ghignante di Greyback come lo era stato nel momento in cui si era liberato dentro di lei, piantando il suo seme in profondità e in modo ineluttabile. Ghignava soddisfatto, perché finalmente aveva ottenuto ciò che voleva. Non gli era bastato rovinarle la vita, era tornato per prendere Kathleen, con cui disgraziatamente condivideva il sangue.
Hermione sentì un verso strozzato, da animale braccato, risalirle la gola, ma lo soffocò insieme alle lacrime che sentiva pesanti negli occhi. Non avrebbe pianto.
Sentì rumori attorno a sé e tornò ad alzare lo sguardo, annebbiato.
«Lasciami andare, Hermione» disse Severus, guardandola con espressione attenta.
Hermione si accorse di star stringendo la sua camicia con tanta forza da avere le nocche bianche, ma non riuscì a rilassare le dita.
«Non posso perderla» disse, stranamente calma. La sua voce, alta e tranquilla, suonò così estranea da penetrare il caos che stava invadendo la stanza. Il silenzio calò e lei lo sentì amplificato come se fosse sola in mezzo alle dune. O forse era solo la calma piatta che era scesa nella sua mente a farle percepire ogni cosa distante.
«Non succederà, la troveremo» intervenne Harry.
Hermione si mosse lentamente, convalescente, girando il volto verso di lui. Dallo stato in cui vide i suoi capelli immaginò ci avesse passato le mani molte volte nel corso delle ultime ore.
«Io la devo trovare» rispose, il tono ancora distante, metallico, robotizzato. Aveva messo da parte i sentimenti per ragionare in modo lucido, ma si sentiva vuota, sfinita. Non poteva più sopportare tutta quell'angoscia, ma quella distanza non faceva che acuire il suo senso di colpa, come se rinnegare il dolore equivalesse a nascondere sotto il tappeto l'amore doloroso che sentiva nei confronti della figlia.
«No»
Hermione si voltò di scatto, gli occhi sgranati.
«Non ci sarai di nessun aiuto in questo stato»
Si scostò da Severus come se l'avesse colpita. Il suo tono duro la fece tornare ad essere la bambina spaventata che lo guardava tremante dietro un banco più pesante di lei.
«Non ti permettere. È mia figlia e-»
«E proprio perché è tua figlia che starai qui. Sei troppo emotiva e i tuoi sentimenti sono pericolosi» sancì interrompendola. Distolse lo sguardo e fece un cenno con la testa ad Harry, poi fece un passo indietro, pronto a voltarsi e andarsene.
Harry ricambiò il cenno, poi si voltò verso Ginny. Condivise con lei uno di quegli sguardi capaci di far nascere invidia a chiunque, da cui trasparivano amore e comprensione e totale fiducia.
Severus aveva già superato la porta, ma quando Hermione allungò la mano trovò subito il suo corpo. Lui si voltò per metà, guardandola da sopra una spalla con un'angolazione che metteva in risalto il suo naso aquilino.
«Riportamela, Severus» mormorò Hermione. Non c’era resa, nella sua preghiera, né rassegnazione. Era pura e semplice fiducia.
Gli occhi di lui si ammorbidirono, mostrando per un attimo la cruda preoccupazione e l'amore selvaggio che nutriva nei suoi confronti.
Annuì soltanto, ma per Hermione fu il gesto più carico di significato che avesse mai potuto fare.
 
 
 
Severus odiava il Ministero.
Non era un sentimento astratto, una generica mancanza di fiducia, era un odio viscerale, che sentiva nascere dai suoi ricordi. Era costretto a tornarci per ottenere il permesso per i suoi viaggi, saltuariamente accompagnava Lucius per quegli stupidi controlli a cui lo sottoponevano, ma ogni volta si tratteneva lo stretto necessario.
Ora, nella sezione Auror, alle calcagna di Potter e Weasley, si sentiva riportato indietro di anni, quando era costretto a fare da balia a quei due ragazzini troppo poco svegli per tenersi fuori dai guai.
Si appoggiò ad una scrivania, le braccia incrociate, mentre i due ragazzi frugavano tra documenti apparentemente mai messi in ordine.
«Miseriaccia, Harry, dovresti far ordinare l'archivio più spesso. È un inferno qua dentro!» si lamentò Ron scostandosi con una mano una ciocca di capelli troppo lunghi dalla fronte. Indossava ancora gli abiti con cui era tornato, e sembrava estraneo e fuori posto in un ambiente asettico come il Ministero.
«Non posso fare tutto io, Ron» rispose seccato Harry, la fronte corrucciata.
«Pensavo fossi il capo del Dipartimento» insisté il rosso, allargando le braccia esasperato.
La risposta fu un verso scocciato, più un tentativo di obbligarsi a non strozzarlo. «Guarda in quello scaffale, dovrebbe esserci una testimonianza di un ultimo avvistamento»
Ros si avvicinò senza commentare oltre verso i documenti che l'amico stava indicando, ma fu interrotto dalla voce lenta di Severus.
«Che sarà completamente inutile, Potter. Perfino un idiota come Greyback sa che deve tenersi ben lontano dal luogo in cui è stato visto»
Harry si voltò nella sua direzione con rabbia, negli occhi la stessa espressione di quando gli venivano tolti ingiustamente dei punti.
«Oh, e dove dovrebbe nascondersi allora?» Chiese sarcastico. Aveva l'impressione che l'uomo cercasse di fargli perdere tempo, ed era l'ultima cosa di cui avevano bisogno.
«Dove l'ha sempre fatto: nei rifugi dei Ghermidori» rispose serafico Piton, alzando un sopracciglio con ovvietà.
«Li hanno già controllati tutti» intervenne Ron, lo sguardo che oscillava tra l'amico e l'ex professore, quasi volesse indossare il ruolo di pacificatore.
«Tutti quelli che avete scoperto, Weasley» fu la risposta.
Harry gettò i fogli per terra e si diresse a grandi passi verso l'uscita, costringendo tutti a muoversi in gran fretta.
 
 
 
«Avremmo dovuto pensarci prima» sussurrò Harry. Aveva la schiena appoggiata ad un tronco e la bacchetta in mano, lo sguardo fisso sulla casetta fatiscente in mezzo al verde che avevano davanti.
«Chiedere ai Mangiamorte di collaborare nelle indagini, intendo» continuò, non avendo ricevuto risposta. Lanciò un'occhiata al professore, poco distante, ma la sua espressione non tradiva emozioni.
«L'avevo capito, Potter» rispose secco, un bisbigliò che quasi poteva essere scambiato per il rompersi di un rametto.
Ron era dall'altra parte della radura, la prima squadra che avrebbe avvistato Greyback avrebbe mandato un segnale agli altri.
«Peccato l'insignificante problema che non possiamo intervenire con nessun incantesimo» continuò Severus. Il tono era acido, ma non c'era la rabbia a cui Harry era abituato.
Ad essere onesto, erano anni che non sentiva più quel disprezzo rivolto nei suoi confronti. Ginny amava prenderlo in giro dicendo che aveva iniziato a venerare l'ex professore, ma la verità era che sentiva una profonda ammirazione per quell'uomo. Lui stesso, pur essendo stato definito Ragazzo Prodigio e Salvatore del Mondo Magico, non sapeva se avrebbe avuto lo stesso coraggio necessario per sostenere per anni la maschera di spia.
«Io sono felice per lei e Hermione, sa?» Confessò a mezza voce, con un sorriso. Quella frase ebbe il potere di attirare la sua attenzione: Severus gli concesse una lunga occhiata, lanciata con aria guardinga. Ma non era necessario essere un esperto di cinesica per interpretare il sorriso aperto e sincero di Harry. Da tempo aveva capito che l'amica non avrebbe condiviso la sua vita con un uomo chiunque: bisognava essere speciali, per conquistare il cuore di Hermione.
«Penso davvero che-»
«Risparmiami il sermone, Potter» lo interruppe brusco, ma c'era un velo di imbarazzo nel modo in cui distolse lo sguardo per riportarlo alla catapecchia.
Harry aprì nuovamente la bocca. Iniziava a divertirsi, e avrebbe voluto insistere un pochino, ma ancora una volta fu zittito da un gesto brusco.
Bastò un cenno della mano di Piton perché svanisse il sorriso, quando vide ciò che l'uomo stava indicando sentì la tensione tornare a raccogliersi nelle spalle: Greyback, infagottato in un cappotto lacero, si stava facendo strada tra i cespugli.
   
 
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