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Autore: QueenOfEvil    16/05/2020    1 recensioni
Prima che Aa perdesse due dei suoi tre occhi. Prima dell'ultimo verobuio. Prima della Profezia.
Mia era senza alcun dubbio "una ragazza con una storia da raccontare".
Ma, vedete, gentili amici, quella definizione poteva benissimo valere anche per i suoi genitori.
"Julius non aveva mai visto qualcuno morire quando, a sei anni non ancora compiuti, Atticus aveva deciso che era il momento per lui di assistere al suo primo venatus magnii. Non conosceva l’odore ferroso del sangue, né il modo in cui la sabbia cambiava colore, mentre dai corpi caduti sbocciavano fiori vermigli. Non conosceva le urla estasiate della folla adorante, né tantomeno quelle agonizzanti degli schiavi che trovavano la morte per l’altrui divertimento.
Dopo averli conosciuti, non era riuscito a dormire per settimane.
La seconda volta, quando di anni ne aveva otto, era andata meglio: si era limitato a rimettere il suo ultimopasto, l’illuminotte seguente.
La terza, l’unica reazione che quello spettacolo gli aveva procurato era stata uno sbadiglio."
Genere: Avventura, Fantasy, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash | Personaggi: Alinne Corvere, Altri, Julius Scaeva, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Neh diis lus'a, lus diis'a'
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Apertis verbis






 

No bene. Più strofinare. Ancora”
Julius si lasciò sfuggire un sospiro esasperato e tornò a concentrarsi sul vaso che gli era stato affidato. Era quasi un’ora che andava avanti a lucidare, ma sembrava che nessuno dei pezzi d’argenteria davanti a lui fossero stati usati -o toccati- da Aa sapeva quando. E se Bert, che in quel momento stava lavando il pavimento della sala e supervisionando il suo lavoro allo stesso tempo, non gli avesse detto quanto più chiaramente poteva che essi erano oggetti di valore, lui di certo non li avrebbe degnati di uno sguardo.
E dire che, quando aveva saputo che sua zia gli aveva assegnato quello come compito per la giornata, aveva pensato di potersela cavare con poco.
Chiuse gli occhi, lasciando che le mani continuassero il loro lavoro meccanico per conto loro, e appoggiò la schiena al muro contro cui era seduto. 
Nelle tre settimane seguenti al suo incontro con Oonan, le sue quattro ore di sonno erano in breve diventate poco meno di tre. Il medico pretendeva, infatti, continui aggiornamenti sugli sviluppi delle sue abilità, ma, non essendo mai venuto a contatto con un tenebris lui stesso, aveva ben poca idea di cosa Julius potesse realmente fare e, pertanto, non era di alcun aiuto nel guidarlo nella direzione giusta. E Julius, ancora più disorientato di lui, era stato costretto a sperimentare nei ritagli di tempo, quando sapeva -sperava- che nessuno poteva vederlo.
All’inizio, Oonan si era accontentato dell’osservarlo mentre muoveva le ombre -attività, in cui, a forza di esercizio, poteva dire di avere acquistato un discreto controllo-. Le allungava, le rimpiccioliva e le faceva torcere a suo piacimento: era rilassante, oltre che utile.
Ma, da qualche cambio, il dottore aveva iniziato a dare segni di insofferenza. Non aveva ancora detto nulla, ma prestava sempre meno attenzione agli spettacoli che gli venivano offerti a fine cambio, prima di coricarsi, e sembrava sempre sul punto di fare un commento dal quale, però, ancora desisteva.
Julius sapeva esattamente cosa avrebbe detto, una volta persa definitivamente la pazienza.
Tutto qui?
E non poteva permettersi che accadesse.
Perché quando Oonan si fosse stancato di lui, la sua permanenza in quella casa sarebbe giunta a un termine.
L’accordo tra loro era molto semplice -semplice per il medico, molto meno semplice per lui-: Julius “si lasciava studiare” e l’altro in cambio si preoccupava di mantenere nascosta la sua vera natura alla padrona di casa. Ad Hëloise, che, preoccupata e sospettosa, si era affrettata a chiedere il motivo dello svenimento del ragazzino proprio davanti all’altare del Semprevigile, Oonan aveva raccontato che spesso i miscredenti hanno reazioni simili in presenza di oggetti adorati dai veri devoti. Una condizione che poteva essere curata, se avvicinati lentamente alla fede. La spiegazione mancava di credibilità, ma l’acume della padrona non era dei migliori -l’unica cosa, aveva pensato Julius, che ella aveva in comune con suo padre- e, più della superstizione, avevano potuto le lusinghe e l’adulazione.
E così, dato che in ogni caso avere una persona come Julius in casa era inaccettabile, aveva aggiunto alle sue incombenze anche una seduta di preghiera lunga circa un’ora, presieduta dal suo sacerdote personale1 con il compito di controllare il comportamento del nipote, che aveva luogo immancabilmente prima dell’inizio del cambio.
Le prime volte erano state una tortura, perché Julius non conosceva neanche una delle preghiere che il religioso voleva che pronunciasse -e sapeva che solo il rispetto nei confronti di Hëloise impediva a quell’uomo di colpirlo con il suo lungo bastone da passeggio-, ma gli esercizi di memoria non erano mai stati un problema per lui2 e in breve era diventato in grado di recitare quelle litanie infinite in modo meccanico. Lingua occupata, mente libera di pensare alle cose realmente importanti.
Malgrado la sua posizione materiale non fosse affatto cambiata -e quella della sua familia era con tutta probabilità solo peggiorata- la scoperta dei suoi poteri, per quanto sconvolgente e, in un primo tempo, preoccupante, gli aveva dato infine qualcosa su cui lavorare. Non sapeva ancora con esattezza come li avrebbe utilizzati per togliersi da quella situazione, e doveva stare molto attento non fare passi falsi. Se avesse colto l’occasione giusta, però…
Venne riscosso dai suoi pensieri da un lieve tocco sulla spalla sinistra.
Alzò lo sguardo e vide Bert, schiena china e fronte aggrottata che lo guardava in modo interrogativo.
“Tu bene?”
Julius scosse il capo in un gesto affermativo, poi aggiunse: “Caldo”
Bert annuì, come se lo sapesse già -effettivamente, Julius doveva ammetterlo, era lì da poche ore e aveva già gli abiti tutti inzuppati di sudore- e gli porse un bicchiere d’acqua con la mano destra. Lui lo prese, grato perché sentiva al tatto che era fresca e non bollente, e lo vuotò tutto d’un fiato: “Grazie,” disse poi, in Liisiano.
Bert gli sorrise e gli passò una mano tra i capelli -più corti, da quando aveva trovato delle forbici da cucina qualche illuminotte prima-, prima di rimettersi al lavoro. 
Era quasi due mesi che si conoscevano.
Incredibile come il tempo fosse passato in fretta,
Anche Julius fece per imitarlo -non potendo fare a meno di pensare che era spaventosamente indietro- quando sentì un passo frettoloso nel corridoio -un passo che aveva imparato a conoscere molto bene- e un attimo dopo la faccia lentigginosa di Lucius fece capolino dalla porta, spostando lo sguardo da una parte all’altra: quando i suoi occhi incrociarono quelli di Julius, il ragazzino sorrise.
“Ti ho cercato dappertutto! Dai, vieni: papà mi ha mandato a prendere delle cose al mercato e mi ha dato il permesso di farmi aiutare da te”
Julius esitò.
L’idea di rimanere ancora più indietro con i lavori non lo entusiasmava affatto, ma era anche vero che non usciva da quella casa da troppo tempo. E poi, anche se qualcuno lo avesse rimproverato, poteva contare sulla protezione di Oonan, che godeva di tutta la considerazione di Hëloise. Non sarebbe finito nei guai in ogni caso. Così, salutò frettolosamente Bert, che quasi non ebbe il tempo di replicare, e raggiunse il suo compagno nel corridoio.
“Devo solo passare da papà a prendere la lista della spesa e poi possiamo andare”
Per una questione di orari e di compiti, Julius si era trovato a passare molti cambi in sua compagnia e poteva dire, con una reticenza nata dalla circospezione, che essa gli era meno sgradita di quella della maggior parte della gente conosciuta ad Elai.
A ‘Grave non aveva mai avuto modo di fare conoscenza approfondita con altri ragazzi della sua età, a parte per alcuni incontri nei rari ricevimenti a cui erano invitati, e la sua esperienza gli diceva che essi non erano altro che uno scomodo prolungamento dei loro genitori, esattamente come lui lo era stato per Atticus.
Lucius, invece, anche lui poco abituato ad avere qualcuno con cui parlare, lo aveva preso subito in simpatia -da quella volta sulla nave, gli aveva detto qualche cambio dopo il loro secondo incontro- e aveva trovato molteplici occasioni di fargli compagnia: la sua voglia di chiacchierare sembrava inesauribile, almeno quanto il suo buon umore. Julius si chiedeva com’era possibile che un ragazzino di dodici anni coltivasse ancora tutto quell’ottimismo.
La porta dello studio del padre era spalancata e ancor prima di vederlo sentirono la sua voce, e quella di un altro uomo, parlare in Liisiano talmente stretto che anche Lucius, che era pratico della lingua, ammise di non riuscirne a capire più di qualche parola.
Si affacciarono sull’uscio, aspettando il momento opportuno per chiedere quello per cui erano venuti, e Julius vide Oonan, lievemente chinato sul lavandino troppo basso, dare la schiena ad un uomo alto e muscoloso, che lo osservava con impazienza mentre finiva di lavarsi le mani. La figura era imponente, e una volta che i due si trovarono di nuovo uno di fronte all’altro, fu chiaro che egli superava in altezza il padre di Lucius di almeno una spanna. Era di carnagione olivastra e quello, unito agli occhi e ai capelli neri e all’accento con cui parlava rendevano ovvia la sua cittadinanza liisiana. Aveva anche dei tatuaggi sugli avambracci, impressi sulla pelle con un inchiostro rosso e blu, ma la maglia che indossava li copriva per metà, impendendo ai due ragazzini di capire cosa fossero.
Lucius si fece avanti lentamente, un po’ intimidito dalla presenza estranea, per domandare a suo padre la lista, mentre Julius si mise nell’ombra della porta e fece di tutto per non frasi notare, temendo che Oonan potesse scegliere quello come momento per chiedergli qualcos’altro. Il figlio non sapeva della sua vera natura, né del patto che c’era tra loro due, questo era vero -tendeva, anzi, ad un’adorazione sconfinata per la figura paterna-, ma era anche vero che non si sentiva abbastanza sicuro per rischiare.
E fu proprio per questo, per questo suo disperato tentativo di distogliere l’attenzione altrui da se stesso, che la sua venne catturata da una persona in fondo allo stanzino, la cui presenza era stata in un primo tempo occultata dietro quella, di gran lunga più massiccia, dell’uomo. Era una figura bassa ed esile, più esile di quanto fosse Julius stesso all’epoca, ed era a piedi nudi sul marmo caldo.  Anche se dava le spalle a tutti i presenti, braccia incrociate sul davanzale del balcone e sguardo perso davanti a sé, era piuttosto chiaro che era una bambina. I suoi capelli, neri quanto quelli dell’uomo che accompagnava, erano lunghi e folti e le arrivavano fino in vita ed erano, malgrado l’abbigliamento di pessima qualità, raccolti stretti in una treccia ordinata, che sembrava conferire un po’ più di dignità al povero insieme.
Julius ne fu incuriosito, anche se solo in modo distratto.
Nel frattempo, Oonan stava facendo delle frettolose presentazioni.
“Questo è mio figlio, Lucius. Lucius, questo è dominus Næsmann, un mio… cliente molto affezionato” Julius notò la piccola pausa prima che il medico pronunciasse la parola “cliente” e si chiese se anche l’altro avesse fatto lo stesso. Improbabile.
“È un… un vero piacere signore.” Næsmann non rispose a quel saluto che con un cenno del capo. Dopo un breve istante di imbarazzo, l’altro quindi si rivolse nuovamente a suo padre: “Mi spiace se vi ho disturbato mentre discutevate, ma mi sono accorto che non ho la lista delle cose da procurare uscendo…” 
Julius credette di vedere un lampo di irritazione negli occhi del padre, ma egli per contrasto sfoderò il suo sorriso più amabile e si diete una finta manata sulla fronte, come per ridere della sua dimenticanza, per poi tirare fuori un pezzo di carta dalla tasca dei pantaloni: “Tu e il nipote della padrona non siete ancora andati, dunque?” Lanciò poi uno sguardo verso la porta, nel punto preciso dove Julius era rimasto per tutto il tempo, nella vana speranza di essere invisibile, e gli rivolse un’occhiata ammiccante: dopo quello, il ragazzino fu certo che si fosse scordato l’elenco di proposito per potergli dare un silente avvertimento.
Vedi di darmi qualcosa di nuovo, quest’illuminotte.
Il suo pensiero andò al simbolo di Aa, ancora affisso alla parete della biblioteca, e il suo stomaco fece una capriola per la nausea.
“State attenti, là fuori, e tornate il prima possibile!”
“Stai tranquillo, pa’: il mercato e vicino ed è molto frequentato. Ci metteremo pochissimo!”
A quelle parole, la ragazzina, che sembrava non aver prestato affatto attenzione alla conversazione, si voltò di scatto: “Andate al mercato? Vengo con voi. Qui mi annoio”
Aveva lo sguardo fissato su Lucius e suo padre, entrambi presi in contropiede da quell’affermazione, e quasi non si accorse della figura di Julius, seminascosto nella penombra della porta. Egli, invece, la vedeva bene e sgranò gli occhi per la sorpresa quando riconobbe in lei la ladra che aveva derubato quel ricco assessore, il giorno del suo arrivo ad Elai.
E dire che quel cambio aveva pensato che vivesse per strada…
Quello che doveva essere il padre le lanciò un’occhiata torva e i due ebbero una breve discussione in Liisiano, prima che questi scuotesse la testa con disapprovazione e chiedesse, suo malgrado, a Oonan il permesso di mandarla al loro seguito: “Alinne mi ha giurato che non causerà problemi di alcun genere” E poi, più a bassa voce, un’altra frase nel medesimo dialetto incomprensibile con cui avevano fino ad allora condotto la loro conversazione.
Il medico sembrò convinto dalle sue argomentazioni, quali che esse fossero, perché annuì e si rivolse un’ultima volta al figlio: “Non fare tardi, mi raccomando”, anche l’altro uomo fece una raccomandazione simile alla ragazzina: poi, tutti e tre insieme, si avviarono per il corridoio.
Julius poteva quasi sentire Lucius fremere dall’eccitazione per il fatto di avere non uno, ma due accompagnatori della sua età e ancora prima di essere usciti dalla casa aveva già presentato entrambi. Poi, tese la mano verso Alinne, che lo guardò a lungo, ma si astenne dallo stringergliela. Non diede più di un’occhiata a Julius, invece, che da quel disinteresse potè desumere di non essere stato riconosciuto: il fatto gli fece piacere. Meno persone si fossero ricordate di lui in relazione al suo soggiorno in quella casa, meglio sarebbe stato.
“L’unico motivo per cui ho deciso di accompagnarvi era che non avevo intenzione di rimanere lì dentro un momento di più, specialmente oggi che è una così bella giornata,” replicò lei, socchiudendo gli occhi per abituarli alla luce dei soli che inondava le strade polverose di Elai “Quando mio fratello inizia a parlare di affari con chiunque diventa insopportabile”
Suo fratello, dunque. Non suo padre.
“Che lavoro fa?”
“Trasporta merci via nave, da qui a ‘Grave e viceversa”
Alla menzione del mare, gli occhi di Lucius si illuminarono: “Oh, che bello! Quindi viaggia molto! E qual è la sua imbarcazione? È attraccata in porto adesso?”
Alinne finse di non aver sentito la domanda: “Quello è tuo padre, invece, giusto? Jonnen mi aveva parlato di lui. Viene spesso qui a contrattare con lui, ma non mi aveva portato” Sorrise, come se trovasse la cosa molto divertente “Non credo si fidi più a lasciarmi sola in casa troppo a lungo”
Julius ebbe l’impressione che ella volesse che uno dei due le chiedesse il perché di quell’ultima affermazione, ma Lucius era stato preso in contropiede e tentennava e lui non aveva alcuna intenzione di accontentarla, specialmente perché -se la sua piccola operazione di borseggio non aveva costituito un caso isolato- credeva di sapere già la risposta.
Gli interessava di più sapere come mai un sedicente mercante avesse tanta cura di non venire ascoltato da chicchessia nelle sue conversazioni con un medico, ma sospettava che non avrebbe ricevuto una risposta, se anche avesse chiesto.
Era pieno pomeriggio, e le strade erano affollate: con un po’ di attenzione e di buona volontà, passeggiando per le strade di Elai per qualche minuto potevi ricostruire in modo piuttosto accurato la piramide sociale che caratterizzava la società Itreyana. Dai mendicanti che chiedevano la carità ai commercianti che li ignoravano, dalle dominae che contrattavano per dei pezzi di stoffa ai burocrati che lanciavano loro occhiate -e occasionalmente fischi- di apprezzamento, era sorprendente pensare come anche la provincia della Repubblica obbedisse alle medesime regole di ‘Grave. Sorprendente, ma non particolarmente rincuorante. Il mercato si trovava vicino al molo -come Julius aveva notato il suo primo cambio ad Elai-, nella piazza più grande della città che era anche, per colpa di un architetto molto incompetente o con un sadico senso dell’umorismo, accessibile solo attraverso vie molto strette.
Si trovarono presto in coda, riuscendo a stento a respirare in mezzo all’afa e al sudore dei corpi pressati per raggiungere le bancarelle, stretti tra un venditore di cristallerie e un uomo con un turbante improbabile sul capo. Julius pensò che, con nessuno a prestargli attenzione -Lucius che tentava ancora di fare conversazione con Alinne parlandole di non sapeva più cosa e il resto della gente troppo assorta nei loro affari-, quello poteva essere un momento eccellente per testare i suoi poteri al di fuori della villa. Aveva notato che la luce e il caldo sembravano influire negativamente sulle sue capacità -e forse avrebbero dovuto aspettarselo, in effetti- e, se voleva svilupparle al meglio, doveva cogliere ogni opportunità che gli si presentasse.
Lasciò le braccia distese lungo i fianchi e iniziò a muovere le dita, sperimentando quella sensazione, sempre più familiare mano a mano che il tempo passava, di controllo su una materia nuova e sconosciuta. Una materia che stava iniziando a rispondere ai suoi richiami e che a sua volta lo chiamava.
All’inizio ne era terrorizzato.
Ora, faticava a farne a meno.
Solleticò le ombre sotto la punta delle sue dita, concentrandosi sulla loro essenza -più sfuggevole che dentro casa- e cercando di rafforzare la sua presa: fino a quel momento si era sempre esercitato con oggetti inanimati, usando forme e contorni per verificare quanto effettivamente riuscisse a mantenere il controllo. Troppo difficile e troppo pericoloso provare qualcosa di simile con i servitori della zia, che avrebbero potuto accorgersene e farsi delle domande. Ma lì, in mezzo alla folla, senza nessuno che gli prestasse attenzione…
Concentrò lo sguardo sull’ombra di un uomo tarchiato lì davanti a lui e ne saggiò la consistenza con un invisibile tocco di mano. La fece muovere appena, così come aveva sempre fatto, prima di essere colto da un’ispirazione: se avesse provato a mantenerla ferma quando l’uomo avesse cercato di spostarsi, cosa sarebbe accaduto? Qualcosa di simile al cambio in cui aveva fatto cadere quel bambino, un anno prima? Lo osservò, aspettando che davanti a lui si liberasse uno spazio sufficiente per camminare e, quando sentiva che questo stava per avvenire…
“E tu invece? Non hai detto una parola per tutto questo tempo. Sei muto o semplicemente timido?”
Le sue dita scivolarono e perse la presa. Un attimo dopo, il suo bersaglio diede due gomitate ai suoi vicini e sparì tra la folla.
Meraviglioso.
“Magari non ho semplicemente nulla da dire” le rispose quindi, vagamente infastidito. E di certo non ho nulla da dire a te. Qualsiasi simpatia avesse potuto provare per lei il cambio in cui l’aveva vista derubare quell’uomo stava svanendo alla stessa velocità con cui un kraken delle sabbie divora la sua preda3.
“Julius non parla molto,” aggiunse Lucius, desideroso di portare avanti la conversazione “Anche quando ci siamo visti per la prima volta, un paio di mesi fa, mi ha appena rivolto la parola”
Julius lo aveva ringraziato, qualche cambio dopo aver fatto conoscenza con suo padre, per i braccialetti contro il mal di mare ed aveva visto il suo viso illuminarsi. Aveva avuto l’impulso di domandargli -ma non lo aveva fatto- come facesse ad essere felice per qualcosa di tanto banale. 
“Vi conoscente da così poco tempo?” 
“Oh, sì! Ci siamo incontrarti su una nave partita da ‘Grave: io stavo raggiungendo mio padre qui e lui stava venendo a lavorare per la padrona di casa, ma non sapevamo che avremmo vissuto nella stessa casa. È stata una bella sorpresa quando ci siamo rivisti”
Julius fu sul punto di dire che avrebbe esitato a definire con l’aggettivo “bella” l’occasione in cui aveva incontrato di nuovo Lucius, ma si trattenne.
“Sì, mi sembrava di capire dal tuo accento che non fossi originario di queste parti. Certo, il cambiamento da ‘Grave ad Elai non è cosa da poco… Che fanno i tuoi? Anche loro mercanti?”
Avrebbe probabilmente detto una bugia -parlare della sua familia era l’ultima cosa di cui aveva voglia, perché si sentiva già abbastanza in colpa per non poter fare nulla per suo padre e in ansia per quello che gli sarebbe potuto capitare se la situazione non fosse cambiata a breve-, ma Lucius sapeva la verità e, vista la sua assoluta mancanza di malizia, lo avrebbe subito interrogato a proposito.
Non aveva intenzione di rendersi ancora più ridicolo di quanto già si sentisse.
“Mia madre è morta” disse quindi, in tono neutro “Mio padre… mio padre è un senatore”
“Un senatore?” Alinne alzò un sopracciglio “Non ci credo”
“Credi a quel che vuoi. È comunque la verità” Julius era conscio di non somigliare affatto al figlio di un midollano da tempo ormai e sapeva scegliere le proprie battaglie. Quella non era una che valesse la pena di essere combattuta. Come se gli interessasse l’opinione di una piccola ladra liisiana.
Piccola ladra liisiana che era interessata a lui molto più di prima.
“Insomma, quello che voglio dire è che è strano, no? I tuoi vestiti non sono di buona qualità, i tuoi capelli sembrano tagliati -senza offesa, eh- con delle forbici da cucina arrugginite4, hai l’aria deperita di chi non mangia bene da Aa sa quanto tempo -credimi, ne so qualcosa- e, ‘bisso e sangue, fai il domestico! O stai mentendo, o tuo padre è particolarmente incompetente nel suo lavoro”
A sentire quelle parole, qualcosa si incrinò in Julius.
Era stato il primo a criticare Atticus e avrebbe continuato a farlo.
Ma nessuno poteva insultare lui o la sua familia.
Nessuno.
“Rimangiatelo”
Lo aveva detto con un tono talmente strano che sia Alinne che Lucius lo guardarono, sorpresi: “Cosa?”
“Rimangiati quello che hai detto su mio padre. Immediatamente”
Una persona qualunque avrebbe notato che era stato toccato un nervo scoperto e si sarebbe comportata di conseguenza, scusandosi.
Alinne, come credo che voi, gentili amici, sappiate già, non era una persona qualunque.
E la sua ostinazione era pari solo al suo orgoglio.
Perciò, gli occhi che lampeggiavano, alzò il mento e replicò con sicurezza: “Perché dovrei rimangiarmelo, se è vero? Perché è vero, no? Quale altra ragione un padre potrebbe avere per praticamente vendere suo figlio al migliore offerente? Avanti, provami che mi sbaglio”
Per un attimo, tutta la rabbia che Julius aveva represso in quei cambi lo sopraffece e fu sul punto di buttarla per terra.
Ma, dopo quello che gli aveva detto, voleva ferirla. E gli era sempre stato insegnato che le parole erano un’arma più efficace di una lama di necrosso, in occasione come quelle.
Perciò si mise di fronte a lei, spingendo di lato un Lucius sempre più confuso, e le sussurrò, in modo che solo la diretta interessata potesse sentirlo, con un sibilò che ricordò molto quello di un serpente: “Almeno io non mi sono ridotto a mendicare per strada fingendo di essere una deliziante
Provò un freddo piacere nell’osservare la sua espressione tremare. I suoi occhi erano più grandi, adesso, due pozze nere come i suoi, e il collo era rigido, muscoli tesi come se l’avessero schiaffeggiata. Quando una scintilla di comprensione passò nel suo sguardo, fu sicuro di essere stato riconosciuto così come lui aveva riconosciuto lei dal primo momento in cui l’aveva rivista. Ne fu felice.
Quello di cui fu un po’ meno felice, fu il pugno che lo colpì in faccia subito dopo.
Sentì un dolore lancinante nascere dalla sua guancia destra -quindi è mancina- e diffondersi in pochi secondi in tutta la testa: la visione gli divenne sfocata e sentì una sostanza calda e viscosa scendergli dal naso e bagnargli le labbra con un sapore metallico. Barcollò all’indietro, cercando di recuperare l’equilibrio e di calmare il dolore, sordo alle domande preoccupate di Lucius, che non aveva ben capito cosa fosse successo ma voleva comunque dare una mano.
E fu così che, senza accorgersene, finì addosso all’uomo di fianco a lui con più forza di quanto avesse creduto.
“Ehi, ragazzino, guarda dove vai e levati dai piedi!” Julius alzò gli occhi e potè intravedere, attraverso le lacrime che ancora gli offuscavano lo sguardo, l’individuo a cui aveva pestato i piedi e che lo stava osservando di rimando con ben poca benevolenza.
Iniziò a scusarsi, lottando con la sua gola ancora stretta per la sorpresa, ma l’altro aveva già perso interesse per lui e si stava concentrando su un punto subito dietro le sue spalle.
“Ma… ma io ti conosco! Tu sei la puttanella che mi ha fregato il sacchetto di monete non so più quanti cambi fa!”
Perché sì. 
Lì, in quella folla di centinaia -forse migliaia- di persone, si erano ritrovati di fianco a quello stesso funzionario che Alinne aveva derubato due mesi prima.
Quando vi ho detto che il destino ama prenderci per il culo, gentili amici, dovete credermi: non stavo affatto scherzando.
Prima di avere il tempo di reagire, Julius si sentì spingere di lato dall'uomo e rovinò per terra, sul suolo polveroso e sporco della strada. Da quella posizione, potè vedere Alinne cercare di farsi strada tra la folla con quella stessa flessuosità che lui aveva osservato -ed ammirato- nella precedente occasione. 
Ma aveva perso secondi preziosi per la sorpresa.
E questa volta, l’altro fu più veloce.
Con un movimento rapido della mano, infatti, egli le afferrò la lunga treccia e la strattonò forte, facendole emettere un grido di dolore e tirandola a sé.
Attorno, intanto, la gente iniziava a rendersi conto che stava succedendo qualcosa.
“Cosa ne hai fatto dei miei soldi, eh? Cosa ne hai fatto?”
Alinne si dibatteva dalla presa dell’uomo come fosse stata posseduta da un Senzafuoco, scalciando e imprecando, ma il funzionario non ne sembrava affatto infastidito.
“Cosa dovrei fare con te? Darti ai Luminatii qui vicino? Sono sicuro che saprebbero come trattare una come te” Un braccio era attorno alla sua gola, mentre l’altra mano le accarezzava la testa “Ma… ma perché dovrei essere l’unico a rimetterci, in tutta questa storia? Perché non potrei divertirmi un po’ anche io?”
Nessuno sembrava prestare attenzione a Julius, il cui primo impulso fu quello di prendere per il polso Lucius e trascinare entrambi fuori di lì il più in fretta possibile.
Aveva già abbastanza problemi così come stavano le cose, e Alinne non era affare suo.
Eppure, eppure.
Eppure suo fratello era ancora alla casa di sua zia, e non sarebbe stato affatto felice di sapere che l’avevano persa per strada. E avrebbe potuto fare domande scomode. Ed Hëloise avrebbe potuto non gradire.
Eppure, se Alinne fosse stata arrestata, avrebbe probabilmente fatto i loro nomi per vendicarsi di essere stata lasciata indietro -lui lo sapeva, perché avrebbe fatto lo stesso senza esitazione-. Certo, loro non avevano fatto nulla di male, ma la giustizia non funzionava in quel modo.
Eppure, per quanta poca simpatia provasse per quella ragazzina, ne provava ancora di meno l’uomo che la stava trattenendo. Gli ricordava fin troppo certa gente disgustosa che vedeva tutti i cambi per le strade di ‘Grave. 
Era ancora seduto sul selciato e, tastando il terreno con le mani, incontrò quello che si rivelò essere un sasso piuttosto grosso, forse lasciato cadere da un carretto. Dapprima pensò di mirare alla testa del funzionario, ma si rese conto che, vista la ressa, era infattibile.
Poi, però, vide il venditore di cristallerie proprio di fianco a loro, ed ebbe un’idea.
“Alinne” gridò per attirare la sua attenzione e poi, sperando che avesse capito e che avesse la prontezza di chiudere gli occhi, lanciò il sasso.
Si udì uno schianto sonoro e, subito dopo, un grido: come Julius aveva sperato, l’uomo, troppo vicino al carretto e troppo lento nel realizzare cosa stesse succedendo, si era procurato diversi tagli al viso per via delle schegge di vetro e stava urlando di dolore.
Alinne non perse tempo: divincolatasi quanto bastava per avere un braccio libero, morse forte la mano che la teneva ferma e, con quello e una pestata di piedi piuttosto decisa, riuscì a liberarsi dalla stretta. 
Prima che qualcuno avesse il tempo di realizzare cosa stava accadendo, e prima che l’uomo si togliesse i pezzi di vetro dal viso, era già scomparsa tra la folla, con Julius e un disorientato Lucius che la seguivano quanto più in fretta potevano.
L’unico problema era che lei sapeva dove stava andando e loro no.
La persero di vista quasi subito e, come se non bastasse, sentirono al contempo i passi pesanti dell’uomo che si faceva strada tra clienti e mercanti confusi, emettendo un suono che poteva essere un rantolo così come una risata5.
“Sta arrivando! Sta arrivando! Oh Figlie, mio padre mi ucciderà una volta arrivato a casa” Lucius sembrava sul punto di scoppiare a piangere e non aveva evidentemente compreso l’effettiva gravità della situazione: avevano appena aiutato una ladra a scappare dalle grinfie di qualcuno di molto più potente di loro. Oonan era l’ultimo dei loro problemi.
Julius si volse indietro e notò con disperazione che la sagoma dell’uomo si faceva sempre più vicina, mentre loro faticavano a muoversi -un po’ perché Lucius fungeva da peso morto, un po’ perché nessuno sembrava particolarmente voglioso di farsi da parte per lasciare passare due mocciosi-. In più, tutto quel trambusto aveva attirato troppa attenzione: più di una persona iniziava a guardarli, sospettosa ed incuriosita.
Di male in peggio.
Se solo fosse riuscito a distrarre l’attenzione e a rallentarlo…
E poi, la vide.
La sagoma scura del loro inseguitore, sul terreno, aggrovigliata tra quelle della moltitudine attorno, ma chiaramente distinguibile.
Non sapeva se avrebbe funzionato, ma doveva tentare.
Poteva percepire le altre ombre tremare attorno a lui, riflettendo la sua ansia ed eccitazione, tanto che gli sembrò che l’intero mercato fosse lì, a portata di mano, sotto le sue dita, e che qualcosa stesse per rispondere alla sua chiamata6, ma scacciò quelle sensazione scrollando il capo. 
Invece, fece appello a tutta la sua concentrazione, fissò lo sguardo sul suo obiettivo, ormai vicinissimo a lui… e serrò i pugni, inchiodando la sua ombra al suolo.
Si sentì un’imprecazione.
Un tonfo.
E qualcosa che aveva tutta l’aria di essere rumore di ossa rotte.
Julius non perse tempo a sincerarsi di quello che era avvenuto: gli sguardi di tutti erano rivolti altrove, adesso, e tanto doveva bastare. Una scarica di piacere gli percorse il corpo, suo malgrado, pensando a quello che era appena successo.
Ce l’aveva fatta.
Aveva imparato qualcosa di nuovo.
Sempre con la mano stretta attorno al polso di Lucius, che aveva smesso di lamentarsi e lo seguiva docilmente, ricominciò a muoversi tra la folla.
Quando le grida dell’uomo smisero di essere di dolore e iniziarono ad articolare delle frasi coerenti -sono stati loro, quei mocciosi, prendeteli!- tutti e tre erano già scomparsi.


 

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Ritrovarono Alinne in un vicolo poco distante da lì, intenta a controllarsi il viso in una pozza d’acqua per accertarsi di non avere schegge di vetro nella pelle.
Non sembrò particolarmente turbata dall’accaduto.
“Mi è capitato di peggio” commentò, con una scrollata di spalle, quando Lucius le si accasciò accanto, occhi serrati e testa tra le mani “Una volta ho provato ad entrare nella casa di un tipo che pareva pieno di preti, ma ho dimenticato di verificare che non avesse animali domestici. Il suo cane mi ha morsa tre volte. Una alla coscia, una al braccio sinistro e una appena sopra la clavicola. Quando sono tornata a casa sembravo un colabrodo. Mio fratello non voleva neanche farmi entrare” Sorrise e Julius fu sul punto di sorridere di rimando.
Quasi.
“Mi devi ancora delle scuse” replicò invece “E dei ringraziamenti, se non ti spiace. E anche se ti spiace”
“E perché mai, di grazia?”
“Per quello che hai detto su mio padre e per il fatto che non fosse stato per me saresti ancora nelle mani di quel tipo, mi sembra ovvio”
“E perché ci hai lasciati lì!” si aggiunse Lucius, tremante “Perché ci hai lasciati lì e potevamo essere presi al posto tuo e non è giusto!”
Alinne gli lanciò un’occhiata che poteva dire tutto e nulla, ma non replicò.
“Non intendo scusarmi per le cose che ho detto sulla tua familia, dato che sono vere. E poi, non mi sembra che anche tu ti sia sprecato con i complimenti”
“Neanche io ho mentito”
“Io non ti ho chiesto di scusarti, infatti”
“Mi hai tirato un pugno!”
“Te lo meritavi. Ti sei comportato da coglione. Oh, tra parentesi, hai ancora il labbro superiore tutto sporco di sangue”
Julius se lo toccò e realizzò che era vero: il dolore della botta era stato subito anestetizzato dall’adrenalina, e adesso che essa iniziava a scemare sentiva che il contraccolpo sarebbe stato tutt’altro che piacevole. Non gli sembrava di essersi rotto nulla, perlomeno.
“D’accordo. Niente scuse. Accetto di buon grado i ringraziamenti, però”
“Ringraziamenti? Quali ringraziamenti? Se non gli fossi finito addosso quell’uomo non si sarebbe accorto di nulla: è colpa tua se sono finita in quella situazione, per come la vedo io.”
Julius scosse la testa, incredulo: quella ragazzina era incredibile.
“E poi, sarei stata perfettamente in grado di cavarmela da sola”
“E come? Piangendo e urlando? Ti ho vista, sai, eri pallidissima. Ammettilo: avevi paura”
Il viso di Alinne si indurì all’improvviso, come se le parole di Julius l’avessero pugnalata allo stomaco: “Io non ho mai paura”
“Ah no? Ma che strano, eppure mi sembravi terrorizzata…”
“Avere paura è per i deboli. Per loro, oppure per quelli che hanno troppo da perdere” Strinse le labbra “Io non solo debole. E non riesco a pensare a qualcosa che ho e che mi potrebbe venire portato via. Tu, per contro, devi sapere molto bene cosa sia, la paura, vista la tua aria da midollano saccente” Scrollò le spalle “Certo, un midollano saccente con molti pochi soldi e un padre incapace di occuparsi di lui, ma sempre un midollano saccente”
Stava cercando di trascinarlo in un’altra lite, questo era chiaro, ma Julius ne aveva abbastanza.
Era stanco, era sporco, e aveva ancora una pila di argenteria che lo aspettava, alla villa.
“Lucius, credo che sia ora di andare”
Il ragazzino alzò appena la testa dalla posizione in cui si era accasciato: “Ma… ma non abbiamo comprato nulla… papà sarà arrabbiato…”
“Gli diremo che c’era troppa coda e quando siamo arrivati ai banchetti non c’erano più le cose che voleva” gli prese la mano e lo aiutò a tirarsi in piedi “Sarà un’occasione per tornare al mercato, domani” Poi si rivolse ad Alinne, in un tono che si sforzò di far sembrare neutro “Noi andiamo, tu fa’ quel che ti pare, non mi interessa”
Lei, però, non aveva intenzione di mollare “Il gatto ti ha mangiato la lingua, Julius? Oppure semplicemente ti sei reso conto che io avevo ragione e tu torto?”
“Basta così, Alinne, davvero” le rispose lui, a denti stretti “Non lo ripeterò un’altra volta”
“Se no cosa fai? Vai a dirlo a tuo padre? Cosa credi che potrebbe farmi, anche se gli importasse qualcosa?”
Niente.
Quella era la verità.
Atticus non avrebbe potuto fare nulla, rinchiuso com’era nella Pietra Filosofale.
E, anche avesse potuto, Julius non avrebbe stentato a credere che non si sarebbe interessato alla questione.
Tutt’al più, gli avrebbe detto che era stato uno stupido per lasciarsi insultare così da una ragazza.
Alinne non sapeva, eppure sembrava sempre colpire nel punto giusto. Perché ci provasse così tanto gusto, lui non lo sapeva. Non voleva neanche saperlo.
Si sentì di nuovo arrabbiato. Arrabbiato e stanco insieme.
“Ho detto basta
Non si accorse di avere i pugni chiusi, stretti così forte che le unghie gli si erano conficcate nel palmo, fino a che non guardò per terra.
Le ombre danzavano, di nuovo, e con un’energia particolarmente violenta, tanto da farle sembrare tante fiammelle di fuoco nero. Il vicolo, su cui pure splendevano i due occhi del Semprevigile, sembrò tutt’a un tratto molto più scuro.
Ancora una volta, gli sembrò che qualcosa lo chiamasse, ma non riusciva a capire cosa.
Alinne si era bloccata sul posto, lo sguardo che andava dal suo viso al terreno sotto di loro.
Aveva visto.
Quello era un problema.
“‘Bisso e sangue…”
Forse era meglio fare finta di nulla, soprattutto visto che Lucius, invece, sembrava troppo distrutto per notare alcunché.
“Che c’è?” le chiese quindi, con finta noncuranza, riprendendo a camminare “Rimorsi di coscienza?”
Lei non gli rispose. Non disse una parola per tutto il loro viaggio di ritorno, in realtà.
Ma Julius capì, con preoccupazione e soddisfazione insieme, che ella evitava accuratamente di camminargli troppo vicino


 

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Le ore successive si svolsero all’incirca come programmato.
Lui e Lucius salutarono Alinne alla porta -o meglio, Lucius salutò Alinne, lui si limitò a fissarla negli occhi fino a che lei non fu costretta a distogliere lo sguardo- e poi diedero delle spiegazioni sommarie a Oonan che si arrabbiò molto meno del previsto.
Julius era quasi sicuro che la loro uscita fosse stata solo un modo per distrarre Lucius in modo tale da poter fare i propri comodi con il fratello di Alinne, ma non disse nulla, né al padre né al figlio, che lo ringraziò sommessamente per averlo tirato fuori dai guai.
“Spero che avremo modo di uscire più spesso insieme, senza che accadano altri disastri” disse solo, con un sorriso appena accennato, prima che ognuno tornasse alle sue occupazioni.
Anche Julius, in fondo, lo sperava, ma replicò con un cenno del capo.
Non ci fu tempo per la sua solita performance da Oonan quel cambio: era rimasto troppo indietro con le argenterie e dovette rimanere alzato per finirle ben oltre il coprifuoco. L’uomo sembrò scocciato dal contrattempo, ma dovette accettarlo: per quanto poco gli facesse piacere ricordarlo, quel ragazzino non era di sua proprietà, ma della donna per cui lavorava. Poteva sfruttarlo solo nei ritagli di tempo.
Julius, invece, ne fu felice, perché non ardeva dal desiderio all’aspettativa di dovergli confidare la nuova scoperta fatta al mercato.
Quanti più assi nella manica avesse potuto avere, meglio si sarebbe trovato preparato.
Al momento in cui potè finalmente andare a letto, gli rimanevano meno di due ore prima dell’inizio del cambio seguente e si sentiva esausto.
Si gettò sul letto senza neanche togliersi i vestiti e stava per addormentarsi -già pregustando un intervallo di incoscienza, per quanto breve- quando colse con la coda dell’occhio un movimento che lo fece destare di nuovo.
Era come se una macchia scura -un’ombra?- si fosse spostata da una parte all’altra della camera.
Si guardò attorno con circospezione e resistette alla tentazione di tirare le tende per far entrare la luce dei soli e vedere meglio. Se davvero era un’ombra, quella che aveva visto, l’oscurità era il suo habitat naturale.
Per un po’ non vide nient’altro e iniziava a pensare di esserselo sognato -sto dormendo davvero troppo poco-, quando, di nuovo, la macchia ricomparve, questa volta fermandosi proprio al centro della stanza.
Era un’ombra, non c’era alcun dubbio, e si spostava in maniera rapida e zigzagante, diversa da qualsiasi altra cosa che Julius avesse mai visto. Provò a controllarla, a torcerla, ma sembrava che essa differisse da tutte le altre sue compagne, perché rimase ferma immobile nonostante il resto della stanza pulsasse ritmicamente.
Eppure, e Julius su questo non ebbe il minimo dubbio, anche se non aveva idea di come lui facesse a saperlo, la cosa si stava divertendo.
“Vieni qui” disse allora lui picchiando le nocche delle dita sul tavolo di legno “Non ti farò del male”
E poi, come si può fare del male a qualcosa che non ha consistenza?
La cosa sembrava ancora indecisa, così Julius fece danzare le ombre attorno a sé.
Malgrado non potesse esserne controllata, sembrava che i suoi poteri avessero comunque un qualche effetto su di lei, perché la chiazza scura si avvicinò alla sua posizione, con un movimento sinuoso e lento che gli ricordò molto l’immagine della vipera che era solito guardare nel suo libro illustrato. L’analogia sembrava quasi troppo calzante.
L’ombra, però, non salì immediatamente sull’asse di legno.
Invece, si rintanò sotto il letto, in una posizione tale che Julius, anche sporgendosi oltre il bordo, non riusciva ad identificarla.
Ma sapeva che c’era.
La sentiva.
Decise di aspettare.
E poi, non seppe mai dire dopo quanto tempo -potevano essere passati pochi minuti o più di un’ora- la cosa uscì dal suo rifugio e si pose davanti a lui.
Non era più una chiazza scura, però. Quello che Julius aveva davanti, invece, era un serpente, identico in tutto alla figura del bestiario tranne che per il fatto che era completamente nero, privo perfino di occhi. O meglio, di occhi distinguibili.
Perché, a dispetto dell’apparenza, Julius era sicuro che quell’essere -no, non cosa- lo vedesse. 
Lo sentisse.
Lo capisse.
Esso rimase immobile per qualche secondo, poi ruotò su se stesso una, due volte, come a volersi sistemare meglio sul lenzuolo, e riprese a fissarlo con i suoi non-occhi.
Forse avrebbe dovuto avere paura, ma si sentì solo felice.
Felice come non gli capitava da mesi.
“Ciao” gli disse quindi, un sorriso sottile sulle labbra.
… Ciao…”, venne la replica, sibilata ed appena udibile.
Dovette reprimere un grido.
Dunque sapeva anche parlare…
“Tu chi sei?”
Nessuna risposta.
“Io sono Julius”
… Julius…
“Sì!” annuì “Tu ce l’hai un nome?”
L’ombra inclinò un poco la testa di rettile, e rifletté per qualche secondo, poi fece un cenno di diniego.
“Tutti dovrebbero avere un nome” Julius osservò bene lo strano soggetto che aveva davanti, e che lo ricambiava con la medesima attenzione e aspettativa. Era un serpente. Un serpente veloce e dalla voce sottile e frusciante. Il suo sorriso si allargò.

“Che ne dici di Sussurro?”







 

[1] L’usanza di pagare sacerdoti e chierici personali perché si occupassero della salute spirituale di una familia si era diffusa già ai tempi della monarchia tra gli uomini della corte di Francesco XI, per poi diffondersi tra tutti i nobili con il tempo e la successiva instaurazione della Repubblica.
Secondo le cronache, il motivo per questa sovrabbondanza di religiosi era la riforma di costumi e moralità che il re aveva portato avanti sin da quando era salito al trono: tanto fulgido era il suo esempio e tanto splendide le sue idee, che molti si erano convertiti a quello stile di vita sano e pio.
Secondo fonti… meno ufficiali, il motivo era molto più prosaico: nell’ultimo periodo della sua vita, Francesco XI aveva iniziato a soffrire di manie di persecuzione -forse anche giustificate, visto che venne assassinato dal suo stesso figlio-. Vedeva complotti ovunque, e giustiziava i cosiddetti colpevoli con la stessa facilità.
Quindi, vedete, avere il tuo sacerdote personale che ti confessava a richiesta era molto pratico: dopotutto, non potevi mai sapere quale cambio sarebbe stato l’ultimo.
[2]Qualcuno aveva detto che la sua memoria era affilata come un pugnale. Incredibile, nevvero, come certi epiteti passino di padre in figlio?
[3] Molto, molto in fretta. Certo, la digestione di quelle bestie è un altro discorso, ma non siamo qui per fare una lezione di zoologia.
[4] Perspicace la ragazza.
[5] In mia difesa, uomini come loro non sono avari solo di denaro: usano anche lo stesso tipo di grugnito per varie occasioni.
[6] Qualcosa udì. Qualcosa rispose.

 



Nota finale: ed eccoci qui! Questo capitolo è, come credo avrete notato, più lungo degli altri e anche abbastanza ricco di avvenimenti: spero che non vi abbia annoiato e che abbiate trovato le interazioni tra i personaggi quantomeno plausibili, sia per quanto riguarda Alinne sia, alla fine, la conoscenza di Julius e Sussurro. Del rapporto tra l'ombravipera e Scaeva nel canon non sappiamo quasi nulla, in realtà, il che mi ha lasciato abbastanza libera di inventare (e mi auguro che l'invenzione si dimostri verosimile). Come ho detto, spero che anche questa nuova parte vi piaccia e che continuerete a seguire anche nei prossimi sabati (io, da parte mia, sono andata avanti e ho terminato l'undicesimo capitolo).
Alla prossima e grazie come sempre anche solo a chi legge!
QueenOfEvil
 
   
 
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