Capitolo terzo
Do you enjoy it? (Yes I do)
Fighting fire and gravity
It's painful to see
So why
Would you set to self-destruct?
Aim to annihilate
You are burning
You are burning…
(“Burning bridges” – Delain)
Bucky non sapeva dove
stesse andando, sapeva solo che qualcosa era andato storto, o forse che Steve
stesso aveva scelto di non tornare indietro per salvare Natasha o Tony o chissà
per quale altra ragione, e lui voleva solo andarsene da quel boschetto, allontanarsi
il più possibile dagli altri Avengers e da quel mondo a cui, ormai, non
apparteneva più.
Ma, prima che potesse
uscire dalla cerchia degli alberi, si ritrovò davanti Stephen Strange che, a
braccia incrociate, lo fissava in silenzio.
“Ecco, in effetti ci
mancavi solo tu” fece, brusco, il giovane. “Tu sai dov’è Steve, vero? Anzi,
magari lo sapevi fin da prima che partisse, solo che ti sei ben guardato dal
riferirlo.”
“Sai bene che non
posso rivelare niente di ciò che so, altrimenti non si avvererà” rispose calmo
lo stregone.
“E con un bel
risultato davvero!” reagì Bucky, esasperato. “Magari, se avessi detto qualcosa,
Steve sarebbe tornato indietro!”
“Io ho detto al
Capitano tutto ciò che doveva sapere” replicò enigmatico Strange.
Quel suo modo di fare
zen faceva venire a Bucky una gran
voglia di assestargli un pugno in faccia, non avrebbe risolto niente ma si
sarebbe sentito già meglio.
“Volevo essere qui
per vedere con i miei occhi quale sarebbe stata la scelta di Rogers, una volta
entrato nel regno quantico” continuò il Dottor Strange, senza badare alla più
che evidente rabbia di Bucky.
“E da qui la vedi, la
scelta di Rogers?” ribatté caustico Barnes, con il tono di chi avrebbe voluto
dire La vedi la vastità del cazzo che me
ne frega delle tue frasi sagge e dei tuoi enigmi?
“Il Capitano aveva
alcune scelte a disposizione” continuò Strange, ignorando il sarcasmo del suo
interlocutore. “Avrebbe potuto tentare di tornare indietro nel tempo per
salvare i suoi amici, dopo aver rimesso al loro posto tutte le Gemme
dell’Infinito. Ma, vedi, se avesse fatto questa scelta, magari sacrificando la
vita in cambio di quella di Stark o della Romanoff, adesso noi non saremmo qui,
l’unico scenario di vittoria possibile sarebbe stato distrutto e Thanos avrebbe
eliminato l’umanità.”
“Bene, dunque, visto
che siamo ancora tutti vivi e Thanos non è più tra noi, possiamo arguire che
Steve non ha fatto quelle scelte” commentò Bucky.
“Esattamente” replicò
lo stregone, scegliendo di ignorare le provocazioni del giovane. “Però c’era
anche un’altra scelta che Rogers avrebbe potuto fare…”
“Insomma, la vuoi
smettere di parlare per enigmi e dirmi una buona volta quale stramaledetta scelta ha fatto Steve?”
esclamò Bucky, avendo ormai esaurito ogni scorta di pazienza.
“Come auspicavo,
Rogers ha fatto la scelta giusta” concluse Strange, “perché, se avesse optato
per la possibilità che avevo intravisto io, tu ora non saresti qui davanti a me
e forse non ci sarebbero nemmeno gli altri Avengers.”
“Io non ci sto
capendo più niente!” sbottò il giovane. “Si può sapere di che possibilità stai
parlando? Che cosa ha scelto Steve e che cosa non avrebbe dovuto scegliere? E,
cosa molto più importante, dove accidenti è adesso?”
“Esattamente dietro
di te, Buck” rispose Steve in persona, mentre Strange guardava entrambi con un
sorriso compiaciuto. Ancora una volta gli Avengers non lo avevano deluso e
avevano compiuto la scelta che avrebbe preservato l’umanità.
“Steve…” mormorò
Bucky, totalmente annichilito. Fino a quel momento erano state l’adrenalina e
la rabbia disperata a impedirgli di crollare ma adesso, trovandosi davanti il
suo Capitano, tutte le forze parvero dissiparsi. Non aveva più energia per fare
domande, per rimproverare Steve, per chiedergli perché ci avesse messo tanto a
tornare…
“Sono qui, Buck, non
preoccuparti più, va tutto bene, te l’avevo detto che sarebbe andato tutto
bene” gli disse Steve, abbracciandolo e stringendolo forte a sé come se, in
effetti, fossero passati secoli dall’ultima volta in cui l’aveva visto. E,
chissà, forse per Steve era stato proprio così.
I due rimasero
abbracciati per un tempo infinito, mentre Strange, che aveva compiuto ancora
una volta il suo dovere, era misteriosamente sparito.
Poco lontano, Banner
e Pietro stavano rimettendo a posto i macchinari che erano serviti per il
viaggio nel regno quantico.
“Insomma, Sam,
potresti anche darci una mano, no?” lo chiamò Pietro.
“Veramente io… volevo
andare a chiedere a Steve come mai ci avesse messo tanto” rispose Sam, ancora
turbato per il ritardo del Capitano nel ritornare al presente.
“C’è un sacco di roba
da riportare al furgone e due braccia in più ci farebbero comodo” insisté
Pietro.
“Scherzi, vero?
Quell’omone verde potrebbe fare anche tutto da solo, non avete bisogno di me”
ribatté Sam, ancora poco convinto.
“Sam, forse non hai
capito” intervenne Bruce, paziente. “Quello che Pietro voleva dirti è che quei
due vogliono stare da soli, hanno tante cose da dirsi e tu potrai chiedere a
Steve quello che vorrai… solo, in un altro momento.”
“Ben detto, Doc!”
approvò Pietro, con un’amichevole pacca sulla spalla e uno sguardo ammirato che
diceva molto di più. “Accidenti, da quando sei diventato così esperto di certe cose? Forse ti ha fatto bene
riunirti a Hulk, mi sa che lui è più sveglio di te in questi casi.”
Fu molto strano
vedere il faccione verde del buon dottor Banner assumere una strana tonalità
rossa… e Sam si decise a dar retta agli amici e ad aiutarli, lasciando in pace
Steve e Bucky.
Rimasti soli, i due
si staccarono lentamente l’uno dall’altro. Nonostante quel lungo momento di
intensità, rimanevano ancora cose non dette, dubbi, esitazioni, segreti non
svelati.
“Torniamo a casa,
Buck” disse Steve, circondando le spalle del compagno con un braccio.
Camminarono per un
po’ in silenzio, sempre in un’atmosfera carica di tensione.
“Perché ci hai messo
così tanto, Steve? Banner aveva detto che ci sarebbero voluti cinque secondi o
poco più, ma sono trascorsi minuti” domandò alla fine Bucky, incapace di
trattenersi oltre.
Steve sospirò.
Avrebbe voluto che quella domanda non arrivasse mai, o perlomeno che Bucky
aspettasse di essere giunti a casa per fargliela, ma sapeva che era
inevitabile. Lui non era stato completamente sincero con il suo compagno e
adesso gli doveva una spiegazione. Anzi, più di una, a dirla tutta.
Salirono in auto e fu
Steve a mettersi alla guida, consapevole che, con ciò che aveva da raccontare,
era meglio che non fosse Bucky a guidare…
“Ho perso più tempo
del previsto principalmente perché… beh, perché ho cercato di convincere
Teschio Rosso a ridare la vita a Natasha in cambio della Gemma dell’Anima”
iniziò a dire.
Bucky lo fissò torvo.
“Mi prendi in giro?
Non avevi detto che avresti evitato di fare stupidaggini simili? E poi che
accidenti c’entra Teschio Rosso in questa faccenda? Mi vorresti far credere che
la Gemma dell’Anima è gestita dall’Hydra?” sbottò, infastidito dal fatto che Steve
volesse inventarsi una storia assurda per giustificare la sua incoscienza.
“Ti giuro che è così.
Non c’entra niente l’Hydra e non ho idea del motivo per cui sia proprio Teschio Rosso a custodire quella Gemma,
forse è apparso così a me perché è stato il nostro nemico durante la guerra, non
lo so. Quello che so è che ho cercato di contrattare con lui, spiegandogli che,
visto che avevo restituito la Gemma, il sacrificio di Natasha non era più
indispensabile” replicò Steve. “Lui, però, ha rifiutato, affermando che il
sacrificio era già stato offerto e che è irreversibile. Natasha è morta e non
ho potuto riportarla indietro.”
“Oh, beh, immagino
che, anche se non fosse stato vero, Teschio Rosso ti avrebbe detto così tanto
per non darti soddisfazione” commentò caustico Bucky. Era ancora arrabbiato
perché Steve aveva rischiato veramente la sua vita per salvare la Romanoff,
proprio come aveva temuto lui.
“Te l’ho detto, quell’entità
era solo il custode della Gemma dell’Anima ed è anche possibile che sia io ad
averlo visto come Teschio Rosso. Non era veramente
lui” ripeté Steve.
“Comunque sia, hai
fatto proprio quello che sia io sia il Dottor Strange ti avevamo detto più
volte di non fare: hai messo a
repentaglio la tua vita per salvare quella di un’amica” riprese Bucky. “Chissà,
magari ti sarai anche offerto di prendere il suo posto… ci scommetto!”
“Bucky, io non mento
mai e spero che, dopo tutti questi anni insieme, tu lo abbia capito” reagì
Steve. La sfiducia del compagno lo addolorava, soprattutto perché si rendeva
conto che, in parte, se l’era anche meritata. “Non ho assolutamente pensato a
questo, sapevo bene che se avessi dato la mia vita in cambio di quella di Natasha
avrei potuto causare un disastro, che il presente sarebbe cambiato e che Thanos
avrebbe vinto.”
Nel frattempo erano
arrivati nei pressi del loro appartamento di Brooklyn.
“Ah, bene, dunque hai
scelto di non sacrificarti per Natasha solo per salvare l’universo” esclamò
Bucky. “Grazie tante, mi fa piacere sapere che non hai pensato a come ci sarei
rimasto io nemmeno per un istante!”
Mentre Steve ancora
parcheggiava l’auto, Bucky scese dal veicolo e sbatté la portiera,
incamminandosi poi verso l’appartamento.
“Buck, aspetta, no,
non è stato solo per quello… Vuoi aspettarmi, dannazione? Prima mi chiedi di
spiegarti e poi non mi ascolti” disse Steve, scendendo anche lui dall’auto e
inseguendo il compagno.
Per fortuna, almeno
questa volta, Bucky aspettò di essere entrato in casa e di aver chiuso la porta
prima di esplodere.
“Mi sembra di aver
già ascoltato abbastanza, no? Tu avresti fatto tranquillamente l’eroe della situazione senza pensare a chi ti stava aspettando nel presente” lo
aggredì, “e se non l’hai fatto è stato solo perché Strange ti aveva spiegato
che avresti creato il caos invece di salvare il mondo!”
Steve era stanco, non
solo fisicamente ma anche mentalmente. Il viaggio nel regno quantico era stato
più difficile del previsto e lui aveva dovuto prendere in fretta decisioni
importantissime, adesso non se la sentiva proprio di affrontare anche una
discussione animata con Bucky.
Afferrò il giovane
per le spalle e lo guardò bene in faccia.
“Ascoltami bene una
volta per tutte: io non sono andato indietro nel tempo per fare l’eroe, come dici tu, ma solo per rimettere a posto le Gemme
dell’Infinito e sistemare le cose una volta per tutte” gli disse. “Ho cercato
di ottenere la vita di Natasha solo perché ho visto l’occasione per farlo,
tutto qui, ma non ho pensato di sacrificarmi per lei o cose del genere. E non è
stato solo per quello che ha detto Strange! Cristo, Buck, se solo sapessi che
sono tornato indietro esclusivamente per te, perché non volevo lasciarti…”
Davanti agli occhi
sbarrati di Bucky, Steve comprese che non era quello il modo migliore di affrontare
quell’argomento così spinoso.
“Che cosa stai
dicendo, Steve? Avevi deciso di non tornare indietro? E perché?” domandò il
giovane, ma tutta la sua bellicosità si era spenta. Le domande che aveva
rivolto a Steve non erano più rabbiose e aggressive, stile interrogatorio del Soldato d’Inverno, erano piuttosto richieste d’aiuto.
Con quelle domande era come se Bucky avesse chiesto a Steve Perché non volevi tornare da me?
“Bucky, siediti, ti
spiegherò tutto, ma ci vorrà un po’ e quindi…”
“Non voglio sedermi!
Voglio sapere!” lo interruppe Barnes, ancora una volta il suo tono era più
disperato che aggressivo e pareva farsi forza per non piangere.
Tra tutte le angosce
e preoccupazioni che aveva avuto durante il viaggio di Steve nel regno
quantico, non aveva proprio contemplato quella: la possibilità che fosse lo
stesso Steve a non voler tornare. Steve aveva consapevolmente pensato di non
tornare da lui e di lasciarlo da solo in quel mondo che gli era ancora così
estraneo.
“Come vuoi, però io
mi siedo” disse Steve, mettendosi comodo sul divano. Era chiaro che sarebbe
stato un lungo discorso e che, nonostante fosse quasi ora di pranzo, per quel
giorno di mangiare non se ne sarebbe neanche parlato.
Rassegnato, Bucky si
sedette di fronte a lui.
“Allora, spiegami,
avanti” ripeté. “Perché non volevi tornare?”
Lo sguardo di Steve
si fece malinconico, lontano.
“Dopo aver rimesso a
posto tutte le Gemme e aver avuto la certezza che non sarei riuscito a riportare
indietro Natasha, ho avuto un pensiero, un pensiero che per un lungo momento mi
ha tentato” raccontò a bassa voce. “Avrei potuto non dirti niente e tenermelo
per me, ma ritengo sia giusto che tu lo sappia… anche se non avrei voluto che
lo sapessi così. Ad ogni modo, ho sentito ancora più forte la consapevolezza
che due delle persone a cui ero più legato nel presente, Tony e Natasha, erano
morte e che non le avrei riviste mai più.”
E
io? avrebbe voluto obiettare Bucky, ma si trattenne.
“Ho sentito che,
ancora una volta, avevo fallito. Sai come la penso su questo punto, no? Sono
stato Captain America per anni, ma non sono mai riuscito a salvare le persone
che amavo. Sono stato un eroe per gli altri, eppure ho sempre perduto i miei
cari” continuò Steve, in tono amaro. “Ho avuto per un lungo istante la
sensazione che tutta la mia esistenza fosse stata una sconfitta, che non ero
degno del mio ruolo, che forse avrei fatto meglio a… a tornare al luogo e al
tempo al quale appartenevo veramente, senza più velleità di fare l’eroe, come
dici tu.”
“Cosa vorresti dire?
A quale tempo e luogo apparterresti?” domandò Bucky, ma la sua voce si udì
appena. Non voleva ascoltare la risposta, non voleva sentire quale fosse quel
tempo e quel luogo perché, in qualche modo, temeva di saperlo già.
“Ho avuto la
tentazione di usare l’ultima fialetta di particelle Pym per tornare nel 1948,
ritrovare Peggy, sposarla e avere una vita e una famiglia normale insieme a lei”
fu la risposta del Capitano.
Quelle parole
sembrarono calare sul cuore di Bucky come altrettante palate di terra su una
bara.
Fine capitolo terzo