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Autore: amirarcieri    16/05/2020    0 recensioni
Verso la rotta del Nuovo Mondo, ma distante abbastanza da distanziarsene, si trova un'isola che prende il nome di Fourteenth Mark.
Qui alberga una leggenda che l'ha resa famosa e sopratutto meta della maggior parte delle flotte di pirati in cerca di rari tesori: si racconta che vent'anni prima a sopraggiungervi fu un pirata fuggiasco e che questo seppellì in qualche angolo occulto dell'isola uno tra i più potenti frutti del mare esistenti.
Ma quanto di vero c'è in questa storia? Di che frutto del mare si tratta?
E se qualcuno l'avesse già trovato e lo tenesse tutto per se? E perché ai possessori dei frutti del mare è vietato mettere piede sull'isola?
Ace e la sui ciurma dei Pirati di Picche approderanno qui durante una delle loro tante traversate verso il Nuovo Mondo. Riusciranno a trovare il leggendario frutto del mare? Cosa ne faranno? Ma, se forse, magari invece di un frutto del mare aggiungeranno solamente un nuovo membro al loro equipaggio?
Genere: Avventura, Commedia, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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PERFECTLY BLUE

 

Capitolo Quattro

 

Mio caro amico – fratello”.

 

 

 

 

La modesta comitiva di pirati – alla gita erano andati dieci dei venti di loro – si lasciò trasportare e istruire dalle parole accurate della loro guida come se fossero turisti di un’altra nazione.
Ayako amava fare quel lavoro nei suoi ritagli svuotati di impegni della giornata.
Gli dava il senso di una pienezza benefattrice che gli faceva credere di poter migliorare questo mondo anche solo con un sorriso luminescente.
«Perché l’isola si chiama Fourteenth Mark, se le località di ceto sono solo quattro?» gli domandò ad un certo punto Mihar arci interessato a quel secondo mistero. E anche gli altri erano affetti da un'inarrestabile prurito alla testa per scoprirne il significato nascosto.
«L’isola come avete fatto presente è divisa in quattro località di ceto diverso: ricca, benestante, abusiva e povera. Ma fu chiamata fin dai tempi antichi “Fourteenth Mark” per via del quinto stato» Ayako introdusse così la sua delucidazione storica.
«Quinto stato?» fece Mihar centuplicando i suoi interrogativi.
«Si, quattordici. Quattro più uno cinque. Quest’isola aspetta da secoli che avvenga la fusione dei quattro ceti divenendo un quinto unico stato. Compatto. Corretto. Omogeneo. Dove non conta più la razza, il titolo nobiliare o da che parte provieni. Quest’isola sogna uno stato fondato sull’uguaglianza, ma da secoli a questa parte, questo sogno tarda a figurarsi. Lo vedete anche voi stessi, no? Ogni contea è accessibile all’altra, ma è inusuale vedere un ricco che va a trovare il ceto povero se non giusto perché ha sperperato tutti i suoi averi. Viceversa il povero può tentare la fortuna ai casinò signorili e se la sorte gli arride può sistemarsi in una casa confortevole nel ceto benestante. I cittadini di ogni fazione si sforzano di andare d’accordo, ignorandosi per la maggior parte del tempo, e se non lo fanno la puzza sotto al naso è palpabile.

Gli abusivi vengono guardati storti. I ricchi pretendono un rispetto reverenziale. I poveri sono dimenticati. E i benestanti ingaggiano costantemente rovesciamenti del potere per usurpare degli agi dei nobili» argomentò indottrinata dall’esperienza personale.
«La vita qui sembra spassosa. Non ci si deve annoiare proprio mai» volle dedurre Skull giocoso. La principessina del gruppo – correntemente intenta a camminare con i suoi blasonati piedini al fianco della sorella – scrollò disattentamente le spalle.
«A volte non succede niente, altre si. Ma quello dipende anche dalle notizie che trapelano dalla giornata precedente» le due sorelle si fissarono come se avessero afferrato nell'aria la medesima idea e si stessero compiacendo della loro pazzesca genialità.
Ad un coinciso segnale segreto di un sorriso connivente, le due partirono con uno scioglilingua intervallato che si capiva bene fosse uscito dalle loro innovative menti.
«Verde per le notizie rigogliose»
«Gialle per quelle eclatanti»
«Rosse le violente»
«Nere le misteriose»
«Bianche le pacifiche»
«E infine grigie le neutrali» lo chiusero sprizzanti di energia.
«Oggi però sembra che l’intera isola stia ancora dormendo» quel giorno sembrava davvero che le male lingue fossero state sedate con una medicina tranquillante.
Nel realizzarlo, Ayako si voltò presa da un’inspiegabile frenesia e passeggiò all'indietro mostrando un gigantesco sorriso da otto carati di brillantezza.
Ed eccoli li. Ad Ace sembrò di ricevere un pugno in pieno stomaco come quelli che gli era ormai impossibile incassare data la mutazione genetica che il suo corpo aveva subito.
Il sorriso di lei dopotutto carezzevolmente gentile, ma compiangente della mimetizzazione di un dolore malinconico e raccapricciante, fece contorcere i sensi sviluppati di Ace, perché per lui fu come guardare la sua parte antitetica allo specchio.
Si sentì altamente frantumabile nel modo in cui si sentiva ogni maledetta volta che udiva il nome del padre o permetteva ai suoi complessi intimi di sciupargli l’anima con il loro fracassante rumore.
Ayako, lesse il turbamento negli occhi del ragazzo e il suo sorriso scemò immediatamente.
«Che stupida. Gli sarò sembrata troppo audace e inopportuna. È stato sciocco da parte mia. Non devo lasciarmi trasportare dal momento solamente perché questi ragazzi mi fanno sentire a mio agio nell'identico modo in cui lo faceva Akira»
E depositati i suoi pensieri, a occhi bassi, Ayako gli ridiede le spalle, dimenticando l’insignificante circostanza in cui si era ritrovata.
«Forza, che la strada è lunga» disse riassumendo l’atteggiamento efficiente di guida turistica.
La gita si fece passo per passo appetibile grazie alla parlantina giovanile e forbita di Ayako
Ogni mezz'ora Deuce chiedeva a quest'ultima se fosse stanca o le ferite le dolessero, ma lei sollevava il pollice con un sorriso angelico guizzante sulle labbra, rispondendogli “Tutto a meraviglia”.
Fatto un altro pendio pianeggiante, si ritrovano davanti ad un sentiero che si estendeva a perdita d’occhio nell'oceano equidistante.
A scoscenderlo erano due lati disparati per lunghezza e contenuto: a destra, pecore dalle fattezze dubitabili – piccole ali salmone da canarino, code lunghe come giaguari - brulicavano l’erba nelle vicinanze di alberi dalle policrome gamme che offrivano deliziosi quanto succosi frutti.
La sinistra, appariva più remota poiché ad assieparla erano ruderi di grosse torri che sembravano essere state affettate dal grande spadaccino in persona “Drakul Mihawk”. Altresì chiamato “Occhi di falco”.
«Adesso ci immergiamo nel vivo della parte storica dell’isola. Pronti?» disse Ayako innamorata di quel paesaggio dall'età di otto anni.
Aveva voluto mettere appositamente dell’abbondante aspettativa nelle menti dei suoi esclusivi villeggianti. Così da rendere quella gita approvata ed elettrizzata.
«Avanti! Marche!» fece da risonanza la sorellina, alzando un pugno in aria.
Seguendo la loro gioviale guida, quando i pirati furono per passare dalle parti dei ruderi del castello e gli alberi policromi, si permisero di offrirgli delle domande da turisti eruditi.
«Nessuno lo sa con precisione» diede risposta questa, tirando fuori dal piccolo zaino da viaggio un tomo blu corallo che sulla copertina esponeva la scritta argento “Chi eravamo e chi siamo diventati: storia e racconti di Fourteenth Mark”.
«Nei libri della biblioteca secolare che vi accennavo poco fa, dicono che in precedenza questa è stata una splendida città guidata da un re ambizioso e onesto, ma durante una congiura di ribelli venuti da altre parti dell’oceano, lui e la sua discendenza sono stati massacrati. Quindi di conseguenza, voi capite bene, l’ordine irreprensibile della monarchia è stato annullato. Da qui poi, ovviamente, è anche nata la divisione delle quattro classi sociali che vedete adesso» Ayako fece scorrere le pagine del tomo creandone un effetto ventaglio.
«Molte altre enciclopedie invece narrano che essendo il re dell’isola cronicamente ambizioso, cercò spontaneamente un scontro epocale con il re dei pirati Gold Roger.» menzionò questa fermandosi per stabilire una sosta al centro del sentiero.
Deuce lanciò un’occhiata eloquente al suo capitano mortalmente serio come ogni volta che veniva citato il nome del leggendario padre.
«Ma è una cosa che non ha fondamento perché quando il re dei pirati è approdato qui, il castello si trovava già in queste deteriorate condizioni» continuò la ragazza.
«Però sapete? I popolani lo fanno sopratutto per i bambini. A loro piace che si favoleggi sulle cose per avere un esempio da imitare e su cui giocare» Ayako sollevò il tomo per mostrare una pagina del tomo ai suoi turisti.
«Comunque questo era l’antico splendore del castello» i pirati si ammassarono davanti a quello strumento quadrato di carta focalizzando una fortezza regale del colore del cielo con un mastio, due torrette collegate dalla tonalità dei lingotti d’oro più un muro di cinta intorno dalla merlatura guelfa e un barbacane atto a rafforzarne la tutela.
«Effettivamente le torri sono quelle» fischiò Mihar notevolmente impressionato.
Il loro cammino riprese e questo gli chiese di poter sbirciare tra le pagine del tomo di cui era padrona. Ayako glielo prestò volentieri.
Nel leggerlo, di tanto in tanto Mihar chiedeva consulto a lei su dove si trovasse tale posto o cosa ne pensasse lei di una determinata rovina antica.
La sorellina invece, passava di uomo in uomo. Per un breve tratto si mise in groppa a Deuce, poi passò a Mihar e infine a Ace al quale chiese di sollevarla su una spalla per fargli ammirare meticolosamente il paesaggio tinto da cromature tiepide.
Mezz'ora dopo, arrivarono ai margini di una battigia dove a pochi tratti di lì, alla sua estremità sinistra, si poteva osservare una stupefacente grotta dalla struttura peculiare.
Esternamente appariva come un ponte asimmetrico di calcare scisso da due parti mastodontiche uguali, internamente era quello che più fascino si potesse contemplare: la muraglia calcarea appariva come un guscio di drago di un oro perlaceo menzognero dell’illusione di esserne quasi ricoperto fino all’ultimo strato.
A sinistra, destra e sulla sua volta, si elevavano tre aperture scavate dalle temperie del tempo.
Quella sulla volta era la più stupefacente poiché se veniva inondata dalla luce solare, generava un fascio di luce dalla specifica forma a cono che ti dava la disarmante sensazione di essere il prescelto per sentire i cori degli angelici cherubini.
I pirati seguirono la loro guida con il naso all'insù e gli occhi ben aperti ad osservarne quel prodigio favoloso partorito dalla natura.
«Pensi che fosse il luogo in cui aveva intenzione di nascondere il tesoro?» Skull fece l’azzardo di fare quella domanda tabù quando Ayako li portò davanti a dei scarabocchi inconsueti affrescati sulla parete frontale.
«Ne dubito» negò Ayako piegandosi sulle ginocchia per poggiare la mano su quei segni.
«Penso che sia più il tempo di permanenza che si è dato per stare nell'isola. Sapeva che prima o poi l’avrebbero acciuffato quindi doveva architettare un piano di fuga perfetto» esplicò facendo scorrere le dita nel primo punto segnato con una X rossa.
«Queste qui potrebbero essere le gallerie scavate per non farsi beccare e le X le vie d’uscita provate e perciò sicure» la mano di Ayako scartò nel cerchio irregolare vuoto.
«Questo invece penso che avrebbe dovuto essere il momento della sua fuga, ma non ha avuto il modo di segnarlo perché è il giorno in cui è stato catturato» i pirati restarono in silenzio incantati dalla sua vivace intellettualità.
C’era chi si aggirava intorno alla parete calcarea della grotta esplorandone le curve manco fossero degli archeologi capaci di comprendere quei graffiti indecifrabili, mentre nella testa di altri faceva da eco la stessa domanda “Dov’era il tesoro?”
Notando che nessuno aveva nessuna domanda da fare, Ayako aspetto altri due minuti poi proclamò.
«Riprendiamo il cammino» La loro seconda – e penultima meta - fu la scalinata del poeta bandito.
Adornata dalla bellezza suggestiva di cinquanta gradini di marmo latteo, la scalinata si affacciava ad abbracciare l’immensità incalcolabile dell’oceano, assicurandoti una visuale che ti avrebbe tolto il fiato. In ogni senso plausibile.
Se stendevi le braccia e chiudevi gli occhi a metà altezza, avevi l’effetto chimerico di sorvolarne la vastità d’acqua con il vento che ti scombussolava i capelli amalgamato al profumo di salsedine che ti inondava le narici.
«Le persone raccontano che il pirata si metteva a sedere qui per ore in cerca d’ispirazione, trovandola. Voci narrano che abbia scritto un romanzo dedicato a se stesso e le sue strabilianti avventure piratesche» Ayako descrisse i lati portentosi del rinomato pirata dell’isola fermandosi a metà salita così da avvalersi di dieci minuti di riposo e godersi la pazzesca vista dell’oceano che la scalinata gli offriva.
Un quarto della ciurma aveva deciso di emulare i compagni assiepandosi in angoli sparsi dei gradini, approfittando anche per frangiare acqua e viveri. Il resto forse per non rammollirsi, forse per preferenza, era bello che alzato.
Il resto come ad esempio Ace, situato ad un metro da Ayako, però volto nella direzione opposta, stava a fissarsi il cappello sul capo, lasciandosi scombinare la chioma corvina dalla brezza marina.
Sul suo volto e le iridi si riverberava il sentimento inconfondibile della nostalgia poiché contemplare a bocca chiusa il panorama oceanico di fronte a lui gli faceva fatalmente rimembrare le giornate dell’infanzia in cui l’aveva fatto con i suoi due fratelli.
«Che fine ha fatto quel manoscritto?» la interrogò Deuce seduto tre scalini più in alto alla postazione di Ayako
«Molti dicono che l’ha portato con se e gli è stato confiscato dalla marina perché contenente pensieri e segreti non condivisibili, altri che sia stato seppellito insieme al frutto così che il cercatore prescelto lo possa proseguire al suo posto» dettagliò coinvolta da quel discorso. Era uno dei suoi preferiti.
«Sarebbe interessante poterlo leggere e avere l’onore di proseguire la sua missione, non trovi?» le chiese confidenzialmente Deuce, ingolosito da quella verosimile cronaca.
«Si, sarebbe il massimo» confermò lei emettendo un sorriso impiastricciato dall’omologata sorpresa di essersi trovata in perfetta linea con il filo logico del suo ragionamento.
Era l’identico pensiero che aveva generato lei una volta venuta a conoscenza dell’esistenza di quel manoscritto.
«Mi trovate totalmente d’accordo» si intromise Mihar innamorato pazzo dei libri e la scrittura come loro. Ayako gli restituì l’equivalente sorriso. Poi la sua espressione si fece progressivamente severa e riflessiva come un pirata al quale era stata fatta fuori la sua ciurma, ma che incrollabile, proseguiva il suo itinerario sconosciuto per i mari, in cerca di quelle risposte che valevano più di un bottino nemico.
«Li» disse impastando la voce di cemento.
«C’è il dirupo della memoria» rivelò indicando la sua ubicazione a ore tredici con l’indice.
Tutti i pirati si voltarono per osservare il precipizio che si stagliava a pochi metri da loro, sospeso a un centinaio di metri dal terreno sottostante terroso e roccioso.
Gli immediati pensieri furono “Quindi è li che è avvenuta la spiacevole disgrazia? e “Caspita, ha fatto un bel volo il ragazzino” o dei persistenti Chissà se si trova li il tesoro”
Dopo aver gettato un'abbondante dose di sudore e virilità, la comitiva si ritrovò ai margini di una foresta tratteggiata alla sua destra da un sentiero segnaletico di paletti di legno che li proiettarono dinanzi al dirupo della memoria.
Lo spiazzo si presentava come una spianata dal selciato di terra polveroso ricavato naturalmente. Nei vari punti cardinali massi dalla grandezza sconcertante arredavano quel luogo estremamente spoglio insieme alla sezione centrale dove spiccava l'unico elemento contemplativo sede di attrazione dei vari turisti: una tomba color sabbia dalla forma geometrica rettangolare posizionata verticalmente, riportava il nome, la data di nascita, quella di morte e una piccola dedica da parte dei suoi più cari affetti “A chi sperando ha dato speranza”.
Al lato, nel posto dove ci sarebbe dovuto essere un vaso riempito di fiori, c’era invece una boccia di vetro per pesci con dentro una trentina di piccoli passerotti di carta colorata fatti nello stile origami.
«La storia del dirupo della memoria è una storia realmente accaduta proprio come quella del pirata latitante. E come quella del pirata latitante presenta della parti romanzate. La morte di Akira Watanabe è stata talmente sede di scandalo e notizia che ancora oggi se ne parla per le vie dell’isola» Ayako si avvicinò alla tomba contemplandola con la maschera di un volto incavato da una calma piatta.
«Tutto avvenne quella notte di sei anni fa. Si racconta che lui e la sua più cara amica piaceva giocare agli esploratori, che cercassero il frutto, e che arrivati ad un punto cruciale di quella loro insussistente ricerca, cominciò a piovere così violentemente, da non riuscire neanche a tenere gli occhi aperti. L’amica ha provato in tutti i modi ad impedire l’irreparabile, lei, avrebbe voluto essere più forte, forte come un gigante, ma….non ci è stato niente da fare. Il temporale ha impedito il suo salvataggio facendolo schiantare dal dirupo e morire sul colpo. Quando il corpo fu recuperato, a decisione unanime, fu deciso di commemorare la sua memoria in questo luogo anziché nel cimitero principale dell’isola» recitò e quelle sue parole suonarono ridondanti e vuote come il discorso prefissato di un sindaco consapevole del suo significato e del perché lo stesse tenendo.
Il ritrovarsi li, davanti alla sua tomba, il cercare un ricorrente appuntamento con il luogo dove Akira aveva perso la sua irriproducibile vita, la soggiogarono, inghiottendola nell’irrequieta aspirale di ricordi da lei coattivamente soppressi.


[«Ayako» il ragazzo aveva pronunciato il nome dell’amica con della tenera arresa.
«Non parlare, Akira. Tieniti stretto alla mia mano. Io..non ti lascerò. Non lo farò mai. Costi quel che costi, ti tirerò su» lo interruppe lei invasa da una prostrata rabbia.
Il temporale imperversava dannoso nell'aria che li attorniava.
Lampi e fulmini si succedevano in una macabra composizione musicale che gli faceva vibrare l’intera cassa toracica e massacrava i timpani.
Il corpo di entrambi assoggettato ad uno strazio inammissibile, urlava al contatto con ogni singola goccia di pioggia, che doleva sulla pelle allo stesso modo di violenti quanto ripetitivi colpi di frusta.
«Ayako» il ragazzo ripeté il suo nome come se fosse il titolo del suo romanzo preferito.
«No, non voglio sentirti» gli aveva gridato la ragazza scuotendo convulsamente la testa. Pioggia e lacrime si erano amalgamante sul suo bel visino candido - ora rubizzo - e privo di sfregi. Gli occhi ambra, ridotti a due fessure per lo sforzo fisico al quale era sottoposta, la chioma mora appiccicata alla tempia, gli donavano la tipica aria di chi aveva il folle eroismo di preferire precipitare giù dallo strapiombo con il proprio amico anziché lasciarne la presa della mano.
«Ayako per favore, lo sai che devi farlo. Devi lasciarmi andare» insistette il ragazzo con le gambe a penzoloni e la mano stretta all'amica sul punto di scivolare nel vuoto.
«No, ti prego, non lasciarmi» si agitò lei in preda ad un attacco madornale di nervi.
«Io non so come, come fare senza di te. Tu, sei...tu sei..» balbettò, e il resto delle altre parole gli rimasero incagliate in gola, senza avere possibilità di poter essere soffiate con della sentimentale dolcezza.
Il ragazzo sorrise per dirgli che non aveva bisogno di dirgli nient’altro perché lui conosceva dettagliatamente ogni angolo del suo dedalo di cuore. Perfino che tipo di melodia irresistibile producesse la sua incantevole voce o addirittura quanti battiti al secondo emettesse.
«Lo sai Ayako. Sei più forte di chiunque altro» “]



«Lo sai Ayako. Sei più forte di chiunque altro»
Non lo era, non lo era affatto.
«Non lo sono, Akira. Non lo sono mai stata»”.
Se lo fosse stata, Akira sarebbe stato li con lei. Se lo fosse stata non avrebbe mai collezionato tutte quelle orripilanti cicatrici sulla pelle, segno e promemoria delle innumerevoli sconfitte della donna guerriera che rappresentava.
Lei aveva solo orgoglio e temerarietà, ma non la forza.
«Vorrei tanto averla». Come avrebbe tanto voluto averla. E sapeva che esisteva un modo per ottenerla, per ottenere quella forza invincibile e inarrivabile, tuttavia, sapeva anche che così facendo avrebbe tradito la promessa di sei anni fa, fatta all'amico.
Ayako però ricordò anche di essere nel bel mezzo di un itinerario turistico quindi la loro guida addossata dal dovere di intrattenere i suoi turisti mediante una fantasiosa parlantina.
Perciò, ridestatasi dalle sue infauste memorie, tornò a fare permanere la sua voce un suono privo di tremore ed emozioni.
«Nell’isola corre la diceria che a spingerlo sia stata la sua cara amica e che avessero avuto un diverbio per accaparrarsi il frutto del mare. Ma sono solo calunnie infondate» riprese mantenendosi distaccata dalle sue cronache come se lei non avesse mai fatto parte di quelle dolorose vicende.
In intermezzo al suo itinerario culturale, regnò un silenzio religioso alla stessa maniera di una tempesta catastrofica che una volta cessata, lasciava solo terrore e disperazione dietro al suo passaggio.
I dieci pirati di Picche, con le labbra immobili quanto incapaci di dire una qualunque inaccettabile frase di conforto, stesero muti ad ascoltare l’incessante canto del mare e farsi alitare in faccia dalla leggiadra brezza marina.
«Allora? Non avete domande da farmi?» li istigò lei rimanendo di spalle, accorgendosene.
Sul suo viso si marchiò l’ombra di un sorriso che sapeva di aspro come un frutto acerbo.
«E’ così strano. Di solito arrivati a questo punto le persone accantonano la buona creanza, cominciano a chiedermi cose come “E’ vero che lo hai ucciso tu per avere tutto per te il frutto del mare?” o “Dov’è che lo nascondi?” per poi concludere con “Riesci a dormire la notte dopo aver fatto una cosa così tanto meschina?”» Ayako si voltò verso di loro, stavolta, con un sorriso malinconicamente genuino.
«Ma voi siete diversi. La vostra comprensione e deferenza mi colpiscono» non fu necessario aggiungere il “Grazie” finale, perché i pirati l’aveva bello che percepito nell'eloquenza delle parole appena esposte dalla ragazza.
Proprio allora, Ace si decise a muovere dei passi affiancandola accanto alla tomba dell’amico.
Al che si piegò sulle ginocchia, abbassando il capello sulle spalle, per onorarlo come si deve.
Ace però, meditava anche su ciò che aveva sentito e interpretato.
Ne riconosceva tutti i segni, ogni minima emozione trasparita dalla ragazza perché viaggiavano praticamente in parallelo ai suoi stessi sentimenti.
Non aveva bisogno di interagirci, o guardarla dritta negli occhi, perché poteva avvertire nettamente l’odio, il rimorso, il senso di colpa, il diniego e l’abnegazione di cui ne era stata caricata ogni lettera, ormai consumata nell'insussistenza dell’aria.
Anche lui come lei, avrebbe voluto fare di più per suo fratello Sabo.
Avrebbe voluto esserci al momento della sua partenza per salutarlo e per rinnovare la promessa di ritrovarsi in quelle acque mutevolmente infinite.
Avrebbe voluto esserci nell’istante in cui era accaduto il colposo incidente per poterlo portare in salvo l'annegamento certo.
Perché in quel periodo della sua vita, Ace aveva appreso che esistessero persone in grado di amarlo e accettarlo per ciò che era e non pensassero che la sua nascita stessa fosse un abominio per la razza umana.
In quel periodo il fardello che Ace portava nel cuore era divenuto inspiegabilmente meno lacerante, ma più sostenibile.
E quando aveva letto la lettera scritta da suo fratello prima che partisse, quel suo pianto era stato un grido di scuse che aveva squarciato il cielo per dei secondi che erano somigliati a secoli.
In ogni caso quel ciclo della sua infanzia sarebbe rimasto l’ennesimo oscillante capitolo della sua involuta vita.
Dopo essere stati degli altri minuti in raccoglimento, Ayako gli chiese se potessero concedergli del tempo per stare sola.
Comprendendo il suo bisogno di rimanere in privato con la tomba dell’amico, i pirati la seguirono la piccola principessa in fila disordinata.
«Hey ciao» Ayako salutò l’amico defunto mettendo il novecentesimo passerotto di carta azzurra.
«Qui è dura senza di te, sai Akira?» proseguì a parlargli in piedi, convinta che in qualche modo trascendentale, lo spirito di lui potesse sentirla.
«So che dovrei andare avanti, e lo sto facendo, mese per mese, attimo dopo attimo, ma portandoti sempre nel mio cuore.» Ayako poggiò la mano sinistra al centro del petto.
«Perché se tu non ci sei qui, la mia volontà cessa di esistere. E ti giuro che manterrò la promessa che ti ho fatto, concluderò la nostra missione e serberò in me il nostro segreto anche a costo della mia vita» rinnovò il suo giuramento come ogni giorno che riusciva fieramente a rimanerne fedele.
«A proposito...sai?» discorse. E di colpo, lo strato di pelle intorno alla cicatrice della guancia destra incerottata, da indurito, si distese in un sorriso emozionato.
«Nell’isola è arrivata una ciurma di pirat...» Ayako stava per raccontargli della squinternata ciurma conosciuta da poco e quanto fosse sicura che quei cordiali bricconi gli sarebbero piaciuti, ma un rumore di foglie smosse da un corpo umano la interruppe.
«Si, scusatemi, avete ragione, arriv...» disse voltandosi verso dove era giunto il rumore scoprendo che la figura dietro di se fosse.
«Oh, ma guardo un po’ che colpo di fortuna. Ti stavo cercando e ti trovo davanti alla tomba di mio figlio» prese a provocarla per incentivare la sua rabbia ad accrescere rapidamente. Il tenente indossava quella divisa candida che faceva a cazzotti con la sua personalità deviata. Al fianco sinistro portava la sua inseparabile, bestiale frusta, ma stavolta al fianco destro, si era premurato di portare anche una malfida arma da fuoco.
«Hai una guarigione veloce. Devo sospettare qualcosa?» portò avanti la sua tattica contraffatta. Il suo ghigno da rettile fece accaponare la pelle di Ayako, che affondò le unghie nei palmi per la scossa di rabbia avuta.
«E’ inutile che mi provochi, tanto io non ti temo» sbottò lei a denti stretti. Ma non era affatto così. Ayako era cosciente che nonostante la cicatrizzazione delle ferite non fosse ancora pronta per un sanguinario scontro fisico. E il meglio sul quale poteva destreggiarsi risultava la dialettica.
«Ora vattene!» gli intimò con tonalità arida. Il tenente non mosse alcuna falcata intimidatoria in avanti o rese ancor più enfatico il suo ghigno.
«Sono venuto a sapere da alcune persone che avete dato alloggio gratis ai pirati di Picche. Cos’è, adesso simpatizzate anche per i fuori legge?»
«Sono affari e ospiti nostri» ribatté e quando vide la minuscola figura della sorella nascosta dietro il tronco di un albero per spiarli, gli zompò il cuore in gola.
Per sua fortuna, Ayako, sapeva misurare le reazioni quindi fece un’impercettibile gesto dell'indice e medio uniti e messe in orizzontale – il loro segno di allarme segreto – dicendo alla sorellina di scappare, nascondersi, perfino chiamare aiuto.
Quello che preferiva, l’importante era che il nemico non l’avesse scoperta.
«Affari e ospiti vostri? Sapete che cosa comporta questo vostro atteggiamento negligente? Ospitare dei possessori del frutto del mare comporta non solo un aumento delle tasse, ma vi denuncia automaticamente come cospiratori. E come se non bastasse, adesso ti vedo qui a visitare la tomba di mio figlio come se niente fosse» straparlò il Marine.
«Io ho dato la degna sepoltura al figlio di cui tu non ti sei mai curato di riempire di attenzioni e affetto» «Si, gli hai dato un luogo dove riposare in pace dopo averlo ammazzato. Cosa credi basti questo per redimerti?» la accusò stando attento di fargli arrivare quella sua avvelenata frustata morale.
«Io non avrei mai fatto una cosa simile. Akira, era...importante per me» Akira era la sua altra metà del cuore, il suo pilastro, la sua ragione per crescere e, e, amare in ogni senso compiuto e totale della parola.
«E ora non lo ripeterò più. Vai via di qui perché altrimenti non risponderò più di me stessa» gli ruggì addosso. Il Marine di tutta risposta spalancò un occhio e ridusse ad una fessura il corrispondente. L'avvertimento della ragazza aveva avuto per lui lo stesso effetto di un colpo di pistola sparato a salve.
«Se c’è qualcuno che deve stare alla larga da quella tomba sei proprio tu»
«Tu non hai rispetto per la memoria di tuo figlio, perché allora dovrei averla io per te? Anche Akira, sapeva che genere di uomo meschino e riprovevole sei, per questo passava più tempo con la mia famiglia che con sua»
«Akira, non ha mai capito che genere di uomo sarebbe potuto diventare. Sei stata tu ad incantarlo e abbindolarlo con i tuoi stupidi sogni da pirata»
«No, tu lo tiranneggiavi. Volevi muovere i fili del suo destino, tentavi di corrompere la sua anima per renderlo come te. Ma lui era troppo intelligente e puro per cadere in simili macchinazioni» se ne avventò lei surriscaldandosi la lingua. Ciò, mandò fuori dai gangheri la pazienza inesistente dell’imbarstadito Marine.
«Adesso basta ragazzina, mi hai stufato. È arrivato il momento di regolare i conti una volta per tutte»
«Per un volta, siamo d’accordo su una cosa» Ayako, si slanciò verso di lui con il pugno sinistro proteso a mirarne alla mascella, ma quel rapidissimo movimento, gli paralizzò gli arti.
«Maledizione! Il mio corpo non è ancora pronto a uno corpo a corpo. Ne ero certa. Cosa faccio adesso? Pensa Ayako. Ignora il dolore e pensa. Pensa»
Il tenente della marina, intanto, da vigliacco e opportunista che era, approfittò di quel suo impedimento fisico, per imprigionarla nella spira della sua “invertebrata” corporatura: un braccio la stritolava accanito per spalle, l’altro pressava strategicamente sul costato.
«Mi hai stufato, sciocca e stupida, donna» gli sibilò all’orecchio deprezzandone il sesso a cui apparteneva. Poi mollando la presa dal costato frugò nella tasca interna della giacca bianca di Marine, estraendone una boccetta ripiena di un contenuto verde sciroppo che gli passò sotto il naso al modo di un pendolo ipnotico.
Ayako perse i sensi qualche secondo dopo e il Marine se la caricò di peso sulla spalla come se fosse un mero sacco di merce da vendere ad un’acquirente.
Mantenendo una camminata placida, sparì nel fitto della foresta attento a non lasciare alcuna traccia di se nel suo cammino.
La piccola principessina della comitiva, nel contempo, correva a perdifiato in mezzo alla selva disseminata di trappole naturali, rischiando anche di capitombolare a terra.
Per proverbiale combinazione però, la sua sconsiderata corsa fu priva di intoppi.
Le scarpinate con la sorella gli erano servite a rassodare i muscoli e l’equilibrio.
Arrivata in cima alla scalinata, la piccolina non si fermò, ma proseguì a rotta di collo fino a metà, dove si trovava ad aspettarli l’originale ciurma di pirati di Picche.
«Ragazzi, vi prego» ansimò svuotata di respiro. Con le codine che gli dondolavano sul collo sudato e le manine fissate sulle ginocchia non ci mise molto ad allertare i dieci pirati.
«Aya, che è successo?» chiese Deuce sgomento.
«Dov’è tua sorella?» si accorse della sua assenza Ace.
«Lei...il Tenente della Marina l’ha trovata e...» disse tra una pausa e l'altra la piccoletta.
«Vi prego dovete impedirgli di arrivare ad uno scontro. In quelle condizioni non è in grado di sostenere un lotta fisica. Questa volta lei potrebbe….» la bambina prese a singhiozzare incontrollata.
Davanti a quel grido d’aiuto fattogli da una bambina, Ace ci calcò il capello sulla fronte con lo sguardo ardimentoso di un capitano che si accingeva punire il membro della sua ciurma che aveva volato i codici essenziali della pirateria.
La combriccola si mosse in un unico blocco rincorrendo le gambette agili della piccoletta ancora in lacrime, quando poi sopraggiunsero sul luogo però, ormai non c’era più nessuno da tramortire a suon di cazzotti o in pericolo di vita da mettere in salvo.
I pirati rimasero quindi a farsi frazionare la chioma dalla delicata brezza marina e contemplare la tomba del giovane ragazzo, che se pur la sua anima avesse assistito a cosa fosse avvenuto, non sarebbe mai stata più in grado di comunicargli la verità.

 

NOTE AUTRICE: Oh, ma è un miraggio o sono io? E bene si. Sono imperdonabile aggiorno ora dopo mesi, mesi e mesi. E vi chiedo perdono per questo. E per farmi perdonare ho aggiornato la fan fiction. Tadan!
Ecco a voi il quarto capitolo. Allora? Che ne pensate? Ayako vi sta piacendo come personaggio? Il suo passato? La vorreste ad esempio nella ciurma di Picche? ;P
Comunque sia che ne pensate invece delle similitudini che ha con Ace? E il frutto i vostri sospetti si sono incentivati sul fatto che lei sappia dov’è o addirittura che è in suo possesso? E secondo voi qual è la missione e segreto che deve portare a termine a nome di Akira? E che cosa avrà in mente di fare il Marine con Ayako?
Beh, ditemi pure. Io leggerò con piacere.
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Al solito ringrazio chi mi ha aggiunto alle preferite, seguite e ricordate e chi legge silenziosamente o recensirà.
Thanks di cuore di tutto. Alla prossima.

   
 
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