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Autore: Crudelia 2_0    17/05/2020    6 recensioni
«Ginny» iniziò tormentandosi le mani e senza avere il coraggio di guardare l’amica «non metterò quell’abito, è troppo piccolo».
«Ma che dici, Hermione? Abbiamo la stessa taglia» Ginny la guardava con le sopracciglia corrugate, uno strano presentimento aveva iniziato a farsi strada nella sua mente.
«C’è un motivo se ho scelto di non frequentare Hogwarts il prossimo anno e dare soltanto gli esami».
«Lo so. Non mi hai ancora voluto dire di cosa si tratta, ma so che c’è un motivo» sussurrò Ginny. All’improvviso sostenere quella conversazione ad alta voce era diventato troppo difficile.
«A villa Malfoy, dopo che Bellatrix aveva finito con me, mi ha dato in mano a Greyback » disse Hermione con tono incolore.
«Sì» rispose Ginny con la bocca asciutta. Incrociò lo sguardo dell’amica e sentì gli occhi riempirsi di lacrime: non aveva finito, ma già aveva capito.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Hermione Granger, Nuovo personaggio, Severus Piton | Coppie: Hermione/Severus
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da Epilogo alternativo
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Note: ed eccoci qui! Nuovo capitolo, stessa fatica, ma spero vi piacerà tanto quanto quello scorso. A proposito, un grazie enorme a tutti voi: siete fantastici e senza il vostro costante supporto questa storia sarebbe probabilmente arenata.  
Un abbraccio,
Crudelia

 
 
 
 
La (quasi) fine dei problemi
 
 
 


C'era odore di pioggia, di terra bagnata. Kathleen lo sentiva anche dal suo angolino, accucciata con le ginocchia al petto e contro il muro.
Suo padre - ma no, no! non voleva più chiamarlo così - se n'era andato. Se fosse stata più coraggiosa, come lo era stata la mamma nelle avventure che le raccontava, sarebbe scappata. Ma aveva troppa paura.
Paura di restare sola, paura del buio del bosco, paura di perdersi. Soprattutto, paura di trovarsi quell'uomo davanti appena avrebbe aperto la porta, ghignante con il suo sorriso tutto denti aguzzi e terrore.
Quindi si rannicchiò un po' di più, le mani a stringere le caviglie e il viso affondato tra le gambe. Aveva fame, sete e freddo. E voleva andare a casa. Voleva la mamma, i suoi abbracci caldi e profumati come le torte della domenica. Voleva il suo peluche, le storie della buonanotte e il bacio del buongiorno.
Ma non solo quello. Si sarebbe accontentata anche delle cose brutte, pur di riavere la sua mamma: la spazzola che si incastrava nei capelli al mattino, gli sguardi di disapprovazione che non avevano bisogno di essere accompagnati da parole, le punizioni quando faceva qualcosa di sbagliato.
Anche quello andava bene, ma voleva andare a casa. E voleva la mamma e Severus e zio Harry e zia Ginny e Teddy e zio Ron e sì, anche Victorine andava bene. Solo, non voleva più essere sola.
No, proprio non voleva.
 
 
 
Si muoveva furtivo. Strisciava, quasi. Come un topo.
Severus sentì un moto di disgusto scuotergli lo stomaco. Ricordava, fin troppo bene, i giorni (gli anni!) in cui era stato costretto a stretto contatto con quella sottospecie di essere umano. Sadico e senza scrupoli parevano quasi complimenti per uno come lui, capace di mordere bambini, gioire di una morte e macchiarsi di peccati tanto orrendi quanto impronunciabili.
Ricordava fin troppo bene ciò che aveva detto ad Hermione, che l'aveva ammirato. Oh, ma quanti anni aveva quando un uomo poteva suscitare la sua stima per il solo semplice fatto che non si vergognava per ciò che era?
Sedici, probabilmente. L'età in cui era stato più stupido.
Proprio un coglione, a dir la verità, suonò strascicata la voce di Lucius nella sua mente, pronta a correggerlo sempre in peggio.
Ma era vero, comunque, dovette ammettere.
In quel momento, però, vedendo Greyback ridotto a poco più di un animale affamato, non ricordò nulla degli antichi sentimenti. Solo disgusto, appunto.
Greyback fece ancora qualche lungo passo, portandosi in prossimità del centro della radura, e si fermò, il viso in aria come se volesse annusare il vento.
Severus allungò alla cieca un braccio verso Potter. Agguantò la prima porzione di corpo che riuscì ad afferrare e lo spinse giù, verso l'umida terra fredda. Potter emise un morbido gemito, e Severus strinse ancora di più le dita sulla carne del giovane che si trovava contro il palmo.
Era una fortuna, per loro, che il cielo fosse pronto a scaricare in una notte sulla terra tutta l'acqua che aveva raccolto durante quei caldi mesi estivi. Le nuvole, nere come un fumo tossico, oscuravano luna e stelle.
Anche quella mancanza di luce, pensò Severus, era pura fortuna. Se fosse stato solo, immaginò, non sarebbe mai successo, ma era con Potter. E Potter era Potter, il Ragazzo Sopravvissuto Perché Ho Una Fortuna Sfacciata Ad Ogni Occasione Della Mia Vita.
Sentì il forte desiderio di sbuffare crescere nel petto, quasi isterico. Si schiacciò un po' di più contro la terra, sentendo l'umidità penetrare la camicia e infondergli nel petto e sull'addome una spiacevole sensazione di viscido freddo.
Passarono attimi immobili, poi Greyback ricominciò a camminare. Lentamente, come se al posto degli alberi fosse circondato da una folla di ammiratori urlanti, si avvicinò alla catapecchia. Tronfio, con un gesto inopportunamente esagerato, aprì la porta. Poi entrò.
 
 
 
«Tieni, cara, bevi un po'»
Molly poso l'ennesima tazza di the sul tavolo della cucina. Ginny alzò gli occhi al cielo, ma non commentò: l'idea inglese che il the avrebbe potuto risolvere tutti i mali del mondo si era un po' radicata anche in lei, in fondo.
Hermione prese la tazza tra le mani, per scaldarsi le dita, ma non l'avvicinò alla bocca. La tempesta di emozioni che aveva provato da quel pomeriggio l'aveva lasciata stanca, spossata. Non arresa, quello mai, ma anche l'angoscia che dormiva come un gatto pigro nel suo stomaco appariva ora offuscata.
«Grazie, Molly» biascicò, probabilmente troppo in ritardo. Ottenne comunque in cambio un sorriso smorto, appena un alzarsi degli angoli delle labbra.
«Vedrai che la troveranno. Sono in gamba, i nostri ragazzi» tentò di rassicurarla Arthur, arrivato e messo a correre della situazione per ultimo.
Hermione stirò le labbra in quello che nessuno mai avrebbe riconosciuto come sorriso, ma che tutti accettarono come risposta. Il problema non erano i ragazzi, come li aveva chiamati Arthur, ma la presenza di Severus. O meglio, la sua non presenza al suo fianco.
Era un uomo d'azione, e lo sapeva, eppure una parte di lei non poteva che desiderare che lui fosse rimasto al suo fianco, a rassicurarla sul fatto che gli Auror avrebbero fatto il loro lavoro e le avrebbero riportato sua figlia tutt'intera. Era egoista, come pensiero, ma non poteva evitarselo.
«Ho bisogno di una boccata d'aria» disse d'un tratto, un pensiero improvviso fattosi parole quasi a sua insaputa.
Uscì sulla veranda lasciando il the intoccato a raffreddarsi sul tavolo. Alzò gli occhi al cielo, sulle grosse nuvole nere, e iniziò ad aspettare la pioggia.
 
 
 
Harry aveva inviato il silenzioso segnale alle altre coppie di Auror, e sperò che arrivasse abbastanza in fretta da permettergli di non fare irruzione con Piton. Che, per inciso, non era affatto autorizzato a partecipare ad un'azione del genere. Se solo avesse perso il controllo, anche solo sferrato un pugno, avrebbe subito un processo.
Lasciò che lo sguardo vagasse nella sua direzione, e ancora una volta di pentì di aver permesso la sua presenza. Piton, pur mantenendo un contegno degno di nota, era chiaramente impaziente. La bacchetta era stretta saldamente in una mano e gli occhi fissi sulla porta. Se gli sguardi avessero il potere di bruciare l'intera casupola sarebbe già stata in fiamme.
«Ancora un attimo» sussurrò, come se dovesse giustificarsi davanti ad un uomo che neanche doveva essere lì.
Piton sbuffò, sprezzante. «Ho fatto irruzione anch'io in una casa, Potter. Non ci va così tanto»
Harry non rispose, poteva immaginare in quali frangenti l'uomo aveva invaso una proprietà altrui, ma lui rappresentava l'autorità e non poteva certo comportarsi come un pazzo.
«Un minuto» disse ancora, parlando a sé stesso. Se entro un minuto non li avessero raggiunti sarebbero intervenuti. Lui sarebbe intervenuto.
Rimase a fissare la lancetta dei secondi che si muoveva lenta verso la fine del tempo, poi si alzò.
«Ora»
 
 
Severus guardò Harry prendere fiato. Aveva dato la sua parola che non avrebbe preso iniziative, ma non era tanto sicuro di poterla mantenere.
Sfondare la porta, in ogni caso, risultava compromettente fin da subito anche per lui, per questo si limitò ad aspettare con le spalle al muro Potter che raccogliesse l'energia nelle cosce e nell'addome. Avrebbe potuto lanciare un incantesimo, ma il ragazzo (che evidentemente aveva imparato qualcosa durante il suo percorso di Auror) sapeva che se ci fosse stato un incantesimo protettivo sulla casa sarebbe stato respinto indietro e scoperto. Il Mondo Magico, e le sue difese, ancora non prendevano in considerazione gli attacchi perpetrati nel modo Babbano.
Gli occhi di Harry saettarono nella sua direzione, fece un breve cenno con la testa e colpì la porta che cedette con sorprendente facilità. Le vecchie assi di legno caddero sul pavimento con un tonfo sordo e polveroso, e i due uomini entrarono pestandole senza cura.
Severus si sarebbe aspettato un ambiente buio e fetido, ma la sua intuizione era giusta per metà. L'odore di muffa e alcol stantio era quasi nauseante, ma una piccola luce fioca illuminava la sola ed unica stanza. Era posata su un tavolo, apparentemente l'unico addobbo della casa, e gettava una luce inquietante sull'uomo chinato ad esaminare le carte sparse sulla superficie di legno.
Al suono della porta divelta l'uomo alzò lo sguardo, la sua espressione passò in pochi secondi da aggressiva a sarcastica, e Severus si ritrovò davanti agli occhi quel disgustoso sorriso capace di riportarlo indietro nel tempo, quando sulle sue spalle gravava non solo il mantello da Mangiamorte ma anche il fardello di spia.
«Ah, Harry Potter» sospirò Greyback allargando le braccia in segno di benvenuto e riuscendo a suonare deliziato. «E Severus, che piacere. È sempre bello ricevere visite da vecchi... amici»
Se anche fosse stato spaventato non l'avrebbe mai dato a vedere. Severus conosceva così bene il suo modo d'agire che non si preoccupò di rispondere e iniziò a frugare con lo sguardo la stanza. Era buia, sì, ma contava di vederla.
«Non fingere, Greyback. Sappiamo che la bambina è qui» disse Harry, parlando con tono alto e sicuro e senza distogliere gli occhi dal lupo mannaro. La bacchetta, stretta forte nelle sue dita, era scattata all'altezza del petto non appena aveva scorto la sua presenza.
Un altro punto per Potter, pensò sarcastica la sua mente nell'unico angolo non impegnato a seguire Grayback e cercare in ogni anfratto al contempo.
Greyback latrò quella che doveva essere una risata, e Severus si sentì nascere dei brividi al fondo della schiena. «Fingere? Non vedevo l'ora di vedervi» scoprì i denti aguzzi, una vomitevole minaccia.
Perché Kathleen non era ancora in vista? Non era forse lì, possibile che si fosse sbagliato?
«Basta con i giochetti, Fenrir, vogliamo la bambina» disse Severus con la voce dura.
C'era stato un tempo in cui il lupo mannaro era intimorito dal braccio destro di Voldemort, e al suono di quella voce un'eco di quel timore tornò a trillare nella sua mente. Fu lesto a nasconderlo dietro un sorriso.
«Ah, Severus, sempre così di fretta...» si leccò le labbra come un gatto e Severus capì ancor prima di sentire le sue parole che aveva sbagliato: un suo intervento era tutto quello che Fenrir aspettava.
«Non vuoi sentire la storia di come è stata messa al mondo? Mi sembra ancora di sentire l'odore della pelle di sua madre» chiuse gli occhi, evocativo. Anche la voce aveva assunto una particolare sfumatura: un uomo che si appresta a raccontare gli splendori passati.
Severus si impedì con violenza di rispondere, stringendo la mascella fino a farsi male.
«La bambina, Greyback. Dicci se è qui o puoi anche iniziare a sentire l'odore di Azkaban» lo riportò alla realtà Harry con voce dura. Lo teneva ancora sotto tiro con la bacchetta, ma non poteva essere più evidente che Greyback si curava di lui tanto quanto di un moscerino.
«No? Che peccato» un lampo malizioso passò nei suoi occhi, fissi in quelli di Severus. «Avrei condiviso con te l'immagine delle cosce di sua madre. A me le ha fatte vedere, tu puoi dire lo stesso?» E scoppiò a ridere, nel suo modo tanto simile ad un latrato, capace di mettere i brividi.
Severus distolse lo sguardo. Se non l'avesse fatto l'avrebbe colpito, lo sapeva. Il solo pensare ad Hermione, alla sua pelle (che lui aveva tanto accuratamente cercato di evitare per non impazzire) sotto le unghie luride di quel mezzo animale gli mandava il sangue al cervello, accecandolo di una rabbia troppo potente.
Harry disse qualcosa che interruppe a metà la risata sguaiata di Greyback, ma Severus non colse le parole: proprio in quel momento, l'aveva vista. Se ne stava accucciata in un angolo, le ginocchia strette al petto e gli occhi rossi di pianto. Era lontana, ancora più piccola di quanto apparisse normalmente, ma Severus vide con chiarezza la sua morbida bocca da bambina muoversi a formare il suo nome.
Senza distogliere gli occhi dai suoi, neri tanto come quelli del padre ma infinitamente più belli, alzò la bacchetta. Fu quasi un sussurro, una dolce promessa pronunciata con amore.
Con le orecchie piene del suono delle gocce che iniziavano a cadere, disse la parola che era al contempo una liberazione e una condanna.
«Stupeficium»
 
 
Harry vide il lampo rosso e l'uomo cadere con un crescente senso di orrore che gli cresceva nel petto. Non era dispiacere per la persona che era appena stata colpita, ma chi aveva lanciato l'incantesimo.
Come se vivesse una scena al rallentatore, si voltò verso Piton. «Che cosa le è saltato in mente? Non sa ch-» le sue parole vennero sommerse dall'arrivo di una Strillettera proveniente dal Ministero che iniziò ad elencare tutte le leggi e restrizioni che Severus aveva appena infranto con il suo gesto. Nello stesso momento, diversi pop che indicavano maghi appena materializzati circondò l'aria.
Harry, però, non colse niente di tutto quello. Con gli occhi sgranati, assisteva all'unica scena che mai avrebbe pensato di poter vedere in vita sua. Kathleen era spuntata all'improvviso dietro un angolo del tavolo, di corsa, le braccia tese e le guance bagnate di lacrime. Se Harry fu sorpreso dal vederla dirigersi verso Piton lo rimase ancora di più quando vide l'uomo abbassarsi su un ginocchio, aprire le braccia ed accogliere in un abbraccio la bambina.
Kathleen si strinse al suo collo afferrando con le mani pallide e tremanti il primo angolo di camicia che riuscisse ad afferrare. Affondò il viso nell'incavo tra il suo collo e la sua spalla, erompendo in un acuto singhiozzo di liberazione.
Severus si sollevò tenendola stretta contro il suo petto. Se la sistemò meglio facendola sedere su un avambraccio, poi alzò una mano ad accarezzarle i capelli. Harry lo vide chinare la bocca verso Kathleen e iniziare a sussurrarle qualcosa all'orecchio. Quelle furono le uniche parole che continuò a pronunciare. Ciò che disse a lui e agli altri Auror fu soltanto «Devo portarla da sua madre»
 
 
 
Hermione era rientrata quando il freddo della pioggia si era fatto intollerabile, ma non era più riuscita a stare ferma. Continuava a passeggiare irrequieta nello spazio tra il camino e il divano, camminando tanto che avrebbe potuto consumare il parquet.
Quando sentì aprirsi la porta era nell'angolo più lontano dalla porta, ma appena vide chi la stava varcando riempì in due rapidi passi lo spazio che mancava. Non ebbe bisogno di fare ulteriore strada, perché Severus si era abbassato e aveva permesso a Kathleen di correre tra le sue braccia.
«Mamma!» Gridò Kathleen, poi si schiacciò contro Hermione nello stesso modo in cui aveva fatto nella catapecchia, le stesse lacrime a rigarle le guance pallide.
«Mamma, non lo faccio più. Te lo prometto, non vado più via, davvero, mamma. Non voglio più stare da sola, non lo faccio più, veramente» singhiozzò contro il suo collo.
Hermione strinse la figlia al petto con tanta forza da farle male, ma non riuscì a lasciarla andare. Sentì crescere nel petto quell'amore violento che aveva sentito la prima volta che l'aveva stretta tra le braccia, tanto forte da farle venire le lacrime agli occhi.
Per la prima volta da quel pomeriggio si permise di lasciarle scorrere, preoccupandosi solo di stringerla ancora di più. Affondò il naso nei suoi capelli sottili, felice di sentire il suo caratteristico profumo di bambina sotto l'odore di sudore e polvere. Se la schiacciò al petto, come se dovesse far tornare il cuore al suo posto, inglobare una parte di sé che per troppo era stata distante, separata, amputata.
«Sono qui, amore. Sono qui» sussurrò sotto i singhiozzi di sua figlia. Ci sarebbe stato tempo per altro, dopo, ora voleva solo abbracciarla fino a ricordarsi ogni dettaglio che non aveva potuto avere sotto gli occhi in quelle lunghe, dannate ore.
Dopo un tempo che le parve infinito ma che avrebbe comunque prolungato, dopo che i singhiozzi di Kathleen si furono placati e la stretta delle sue mani passò da disperatamente angosciata a possessivamente affettuosa, alzò gli occhi, e ci mise un attimo a trovarlo.
Poco distante da loro, ma separato da tutti gli altri, le guardava con occhi così intensi da far male. Non si stava preoccupando di nascondere la preoccupazione che aveva provato e l'amore che ora lo stava invadendo alla vista di madre e figlia riunite. Hermione sentì l'amore che nutriva nei suoi confronti, mai concreto come in quel momento, scorrerle sotto pelle come un'onda che nasceva nel suo stomaco e si infrangeva nel suo sorriso. Provò affetto per la sua camicia macchiata di terra, per i suoi capelli visibilmente bagnati dalla pioggia, per i sottili angoli della bocca alzati in un lieve sorriso.
Provò l'irrefrenabile desiderio di baciarlo. Lì, davanti a tutti, con Kathleen stretta tra le braccia in prossimità di addormentarsi.
Avrebbe dovuto ringraziare Harry, Ron e probabilmente anche tutta quella squadra di Auror che aveva invaso il giardino, ma in fondo lo sapeva che il merito era suo.
Facendo forza sulla ginocchia, Kathleen ben salda fra le braccia e appoggiata al bacino, si alzò. Lui non distolse mai gli occhi dai suoi, scaldandola con la luce che scaturiva da quei pozzi neri, ed Hermione gli si avvicinò fino a sfiorarlo. Avrebbe voluto parlare, chiedere di andare a casa, ma sentiva la gola stretta in un morso doloroso e soffocante.
Senza sapere se era stata lei a cercarlo o lui ad andarle incontro, trovò la sua mano a metà strada. Severus intrecciò le sue dita calde e le strinse forte il palmo, infondendole la sua forza.
Stanca ed esausta, pur sapendo che qualcosa che avrebbe dovuto sapere era successo e non avrebbe portato a nulla di buono, Hermione sorrise. Con il corpo caldo di sua figlia premuto contro e la mano dell'uomo che amava stretta con la sua, si sentì, per la prima volta dopo molto tempo, completa.
   
 
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