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Autore: Enchalott    19/05/2020    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Testa a testa
 
Phylana rincorse i tre delegati Rhevia lungo il corridoio dipinto d’ocra vivace, che conduceva alle stanze loro destinate all’interno del palazzo di Erinna.
“Ehi… Anshar!” esclamò “Fermati! Ho bisogno di un’informazione!”.
Il bailye si arrestò, lievemente sorpreso dai modi spicci della giovanissima donna che l’aveva apostrofato con tanta concitazione. La osservò con maggiore scrupolo, indugiando con genuino stupore sugli abiti nettamente maschili che indossava e sull’arco, indubitabilmente Aethalas, che portava di traverso. Teneva i lunghi capelli neri raccolti dietro la nuca con una spilla color diaspro, forse per evitare che le intralciassero il tiro, e gli occhi scuri bruciavano di una fretta contenuta a stento.
“Nessuno ti ha insegnato l’educazione, ragazzina?” sbottò uno degli altri due giovani, seccato “Ti pare il modo di rivolgerti al portavoce di una tribù?”.
Lei sospirò, fissando la fascia rossa e oro che ornava la chioma dai caldi riflessi cannella del giovane, realizzando in ritardo la propria eccessiva irruenza. Suo padre l’avrebbe rimproverata aspramente e così avrebbe fatto anche… i due colori si mischiarono confusamente nelle lacrime che ricacciò orgogliosamente indietro.
“Lascia, Daara…” mormorò Anshar, tenendo indietro l’amico con un gesto fermo e misurato, scorgendo un reale turbamento nello sguardo dell’interlocutrice.
“S-scusami…” borbottò lei nel dialetto del deserto, omettendo comunque la dovuta forma onorifica “Quando ho udito che hai incontrato gli Anskelisia, io non… ti prego, dimmi se con essi c’era anche Laras!”.
Il secondo Rhevia mugugnò qualcosa tra i denti, più contro i reietti che contro di lei.
Il bailye scosse la testa, rattristato, e le sue iridi striate di giada luccicarono intense.
“No, non l’ho visto. In nessuna delle due occasioni che mi sono spettate in sorte”.
Qualcosa nell’atteggiamento del ragazzo colpì profondamente Phylana, che tuttavia si limitò a stringere la corda dell’arco nella mano e a esalare il fiato con stizza.
“Tu devi essere la figlia di Varsya” proseguì Anshar con un sorriso gentile “Tuo padre sarà confortato nel sapere che stai bene. Desideri che aggiunga parole tue per lui nel messaggio che invierò questa notte a Zerf?”.
Lei lo guardò meravigliata e arrossì, a disagio. Fece un veloce cenno di diniego.
“Mi basta sapere che è ancora vivo, andrà bene così anche per lui”.
Il capotribù dei Rhevia aggrottò la fronte abbronzata, leggermente contrariato.
“Non sarà felice di sapere che intendi combattere” disse, indicando l’arma di legno ricurvo “Credo ti abbia inviata qui alla capitale per garantire la tua sicurezza, non solo come garanzia dalla sua buonafede. Tantopiù che adesso il reggente è libero”.
“Non m’importa!” esclamò lei, furente “Mio padre non capirebbe mai! Nessuno capirebbe! Ho un conto in sospeso con Laras! Quella maledetta bestia è cosa mia, non rinuncerò alla vendetta! Lo stanerò e lo ucciderò, fosse l’ultima cosa che faccio!”.
Anshar ascoltò il suo sfogo con partecipazione, stringendo spasmodicamente i pugni. Poi si rilassò e tornò a guardarla con riguadagnata tranquillità.
“Non è questo il momento per le rivalse personali” restituì pacato “Dobbiamo restare uniti e rinunciare agli individualismi, soprattutto ora che conosciamo la vera identità dei nostri avversari. Laras non è che un loro strumento, uno dei tanti…”.
“Parli così perché non conosci le mie motivazioni! Tu non sai nulla di me! Gli Angeli non ti hanno fatto a pezzi il cuore, non sei stato costretto a lasciar morire qualcuno che amavi al posto tuo! Non accetto la tua morale dall’alto! Non me ne faccio nulla!”.
Il portavoce non replicò, ma sul suo viso transitò un dolore ineffabile.
“Ti conviene tacere, sciocca ragazzina!” gridò invece il giovane rimasto in disparte sino a quel momento “Dei Rhevia non rimaniamo che noi e pochi altri! Gli Anskelisia ci hanno massacrati senza misericordia… Anshar ha perso tutta la sua famiglia!! È vivo perché le sue sorelle si sono sacrificate per lui!!”.
“Neyosh…” lo ammonì questi.
“No… lasciami parlare, bailye!” ringhiò il ragazzo, adirato “E se questo non ti pare sufficiente per portargli il rispetto di cui è degno, sappi che è stato lui l’unico a opporsi alla seduzione del Daimar che abbiamo catturato rischiando la morte! C’è riuscito perché ha rinunciato alla propria sofferenza personale a favore del bene comune!”.
Sbatté con violenza il pugno sulla parete, ricacciando indietro le lacrime di rabbia.
“Perciò non osare rinfacciarci che non capiamo! O che solo tu sei in lutto!”.
Phylana ascoltò quell’esplosione di furore a bocca aperta, sconvolta dalla tragica narrazione dei fatti. Osservò con rammarico la pena insita nello sguardo del giovane e serrò le labbra, incapace di replicare, con un nodo soffocante alla gola.
“Precedimi nei nostri alloggi, Neyosh, sii cortese” comandò Anshar con fermezza “Anche tu, Daara. Andate… desidero restare da solo con lei”.
Attese che i compagni svoltassero l’angolo e poi si rivolse alla fanciulla Aethalas.
“Mi risulta che Narsas sia ancora vivo…” disse, accennando un sorriso.
“C-cosa? Tu come fai a…?”.
“L’ultimo strik che avete spedito a Zerf con notizie dal Nord ha restituito la speranza a Varsya” spiegò lui “A tutti noi che siamo responsabili della sorte delle nostre genti, in verità. Ma non è ciò che chiedevi, ritengo”.
Lei distolse lo sguardo, in preda all’angoscia e a una vergogna insopportabile. Osservò l’abrasione obliqua che campeggiava tra le collane sul petto del ragazzo, riconoscendo l’indubitabile impronta delle fruste degli Anskelisia. Rabbrividì.
“Tutti conoscono la vicenda di tuo fratello e ne parlano con estrema deferenza” proseguì lui “Nessuno ti biasima, Phylana, e nessuno oserà mai farlo se l’amore che ti ha donato Narsas non andrà sprecato. Puoi vestirti da maschio e combattere in sua vece come un guerriero della tua tribù, ma non gettare al vento la tua vita, poiché sarebbe un’ingiuria a lui oltre che a te stessa. Forse non sopravviveremo all’apocalisse che ho intravisto, ma la priorità deve sempre rimanere la salvaguardia dei nostri cari, non la brama di vendetta. O diverremmo identici agli Angeli”.
Lei esitò per un istante e poi annuì, afflitta, rivolgendo gli occhi scuri e lucidi in quelli del ragazzo, che faticava a trattenere la commozione di cui la sua voce cortese era profondamente impregnata.
“Ti domando perdono, bailye, ma io… io…” sussurrò, sinceramente amareggiata e imbarazzata per il proprio comportamento scostante.
“Anshar andrà benissimo” sorrise lui “Non sono abituato ai titoli e poi non sono essi e creare la persona cui vengono attribuiti”.
La ragazza rimase impietrita a quell’affermazione.
“Lo diceva… lo dice sempre anche Narsas…” balbettò confusa.
“Davvero?” si sorprese il giovane “Io l’ho appreso dalla saggezza di mio padre. Vorrei aver conosciuto di persona tuo fratello, ma posso sempre farlo attraverso di te”.
Phylana incassò l’ulteriore esortazione sottintesa e abbassò il viso, turbata.
“Sarò alla torre degli strik ogni sera dopo il desinare” continuò lui, accomiatandosi con un cenno garbato “Se cambierai idea e vorrai mandare tue nuove a Varsya…”.
La giovane Aethalas lo guardò allontanarsi lungo il corridoio. Il portavoce dei Rhevia era all’incirca suo coetaneo, ma pareva che tra loro ci fosse un abisso. I suoi compagni avevano ragione: lei era soltanto una sciocca ragazzina piena di sterile rancore, mentre Anshar, nell’anima e nel cuore, era un vero uomo.
 

 
Le nuvole violacee erano striate di rosso cupo e avevano assunto una forma spiraliforme e vorticante: parevano voler risucchiare il cielo e la terra in quel gorgo turbinante, che richiamava alla memoria i pericolosi vortici dell’oceano. Ma era come acqua solida e tinta di sanguigno, più spaventosa, più maligna che mai.
Adara fissò il fenomeno a occhi sbarrati, ancora arroccata in sella a Illtyd, che non si era fermato finché non aveva raggiunto il cortile della fortezza di Jarlath, così come gli era stato ordinato dal suo padrone.
“È la fine del mondo…” mormorò esterrefatta, aggrappandosi al mantello fradicio dell’arciere, che la tratteneva saldamente per la vita “Dei pietosi… Anthos…”.
Narsas smontò rapido, gettando un’occhiata angustiata alla manifestazione sicuramente sovrannaturale che incombeva con tetra invadenza e la aiutò a fare altrettanto. Lasciò le redini nelle mani degli stallieri, che osservavano stupefatti sia il destriero bianco privo del reggente sia i cumuli lividi all’orizzonte.
“Torniamo indietro!” esclamò la principessa, riscuotendosi “Torniamo subito là!”.
“Non posso consentirlo” ribatté duro l’Aethalas “Il principe ti ha affidata a me e, a giudicare da quanto ciò debba essergli costato in fatto d’orgoglio, ne deduco che dovesse essere realmente preoccupato per la tua incolumità”.
“Màrsali e Kesthar sono rimasti laggiù!” fece lei con la voce che tremava “Non possiamo abbandonarli in mezzo a quel pandemonio!”.
Il guerriero spalancò gli occhi bruni, frustrato, ma poi scosse il capo.
“Mi dispiace…” mormorò, prendendola sotto braccio con fermezza.
“Ti arrendi così?!” gridò lei, divincolandosi “Lasciando due vite in pericolo?”.
“No! No che non mi arrendo!” rispose l’arciere con pari enfasi “Che cosa vorresti fare per loro? Dimmelo, Adara, e ti appoggerò! Come sempre!”.
La ragazza scrutò nelle sue iridi nere e brucianti, prive di paura e colme di dolore. Non trovò in sé risposte da fornirgli, solo lacrime amare e inutili.
“Non siamo abbastanza forti” continuò Narsas, abbracciandola con dolcezza “Né tu né io. Il reggente probabilmente lo è. Non lo ritengo tanto stolto da rischiare la pelle senza vantare qualcosa in serbo… o tanto generoso da sacrificarsi per gli altri”.
Lei tremò nell’udire la seconda parte dell’affermazione. Poi annuì, rassegnata.
Salirono la scalinata bagnata che portava all’ingresso del palazzo reale, dirigendosi successivamente verso la porta di Leu-Mòr.
“Lassù sarai al sicuro” disse l’Aethalas, indicando l’accesso a lui interdetto “Le difese magiche della Torre sono inviolabili”.
“Non lasciarmi sola, ti prego” mormorò la principessa, appoggiando la mano sull’uscio di legno chiaro “Sali con me…”.
Narsas aggrottò la fronte, indeciso e per nulla certo che la Dimora della Luna lo avrebbe accettato come ospite senza il consenso del reggente.
“Non credo sia una buona idea” disse “Mancherei di rispetto al principe, che mi ha già chiarito il concetto e le conseguenze più di una volta”.
“Me ne assumo piena responsabilità” asserì Adara, aprendo agevolmente la pesante porta chiara “Inoltre, potrebbe adirarsi perché non mi hai controllata da vicino”.
“Già” sospirò Narsas, sconfitto dall’impasse “Non so come tu faccia a comprendere che cosa desidera davvero”.
“Non penso di esserne capace”.
Il guerriero del deserto sorrise senza farsi notare e si decise ad attraversare la luminescenza verdognola che emanava dall’ingresso misterioso e arcano.
Non venne respinto.
 
Kesthar riprese faticosamente la padronanza di sé, ancora avvolto dall’abbraccio amorevole di Màrsali, mettendo a fuoco la situazione drammatica.
Il deamhan che li aveva attaccati stranamente indugiava, furente e famelico difronte a loro, tuttavia apparentemente distratto e concentrato su qualcosa di più urgente.
L’ombra aumentò d’intensità, ma non per effetto del tramonto: era qualcosa di innaturale e di tangibile, come immergersi con un’apnea forzata in un inchiostro denso e vischioso.
La creatura chiamata Showa iniziò incredibilmente a indietreggiare e così fecero i suoi simili, mimetizzandosi lenti nel buio artificiale e privo di rumori appena insorto.
“Dobbiamo allontanarci subito!” lo incitò la veggente, pallida come un cencio “Avverto la stessa presenza che ha sfidato il principe nei sotterranei della fortezza! Presto!”.
“C-come?”.
Il custode si guardò intorno con angoscia, ancora compreso nello stordimento di poco prima, scorgendo la desolazione generale e vagliando poi la via di fuga già imboccata dalla principessa come la più opportuna. Ma non distinse altro.
“Il Nemico…” sussurrò lei, quasi timorosa di farsi udire dall’insorgere della tenebra.
Strinse il marito con maggiore forza, attraversata da quella sorta di premonizione che le incanalava, pulsando, un orrore ineffabile nella mente attraverso i dehalbh azzurri tracciati sulla pelle candida.
“Vieni!” decise repentinamente Haffgan, sollevando la scure a due lame.
Si caricò la moglie sulle spalle e corse via, gettando un’ultima occhiata stranita al reggente, che lo ignorò, attendendo impavido la sorte.
 
Lo sguardo algido di Anthos si soffermò in un punto preciso e la collera esplose intensa nelle sue iridi d’ambra. Non dovette attendere oltre.
Il Nemico si materializzò, sottile e fumoso, vestito della lunga tunica bruna che lambiva il suolo fangoso e del pesante mantello nero. Il Diadema del Sud, con le tre Pietre allineate e baluginanti tra i capelli castano ramato del corpo che era stato Shion, era l’unico punto di luce che lo contraddistingueva.
Sogghignò, strafottente, e il triangolo bluastro sotto le sue labbra si contorse. Sollevò la spessa stoffa che gli pendeva sulle spalle e liberò le braccia, pronto all’attacco.
“Hai qualche problema, reggente di Iomhar?” modulò sarcastico, indicando il Medaglione con uno sbrigativo cenno del mento.
“Non direi” ribatté questi, altrettanto aspro, stringendo nel palmo l’amuleto “Tu piuttosto… hai richiamato tutti i tuoi tirapiedi dalla lingua insopportabilmente lunga?”.
“Perché mai? Si sono solo fatti indietro per lasciare spazio a me”.
“Buono a sapersi” commentò il principe, sprezzante.
La catena d’oro bianco che tratteneva il gioiello del Nord si sganciò di colpo e l’oggetto scivolò via dal collo del giovane, che abbassò la mano lungo il fianco.
Ishkur inarcò un sopracciglio, dubbioso, ma non si mosse.
“E con questo che cosa spereresti di dimostrare?” sferzò.
Anthos non rispose. Inspirò e socchiuse le palpebre.
La luce che emanò da lui aveva il colore dell’oro arroventato e bruciava senza calore, impossibile da guardare e da arrestare. Deflagrò come un’onda concentrica, facendo tremare l’aria, rivoltando la terra, annientando le ombre, espandendosi fino all’orizzonte in una vibrazione di una potenza inaudita e terrificante. Come una nuova alba, che prometteva però fine e non principio.
Il Nemico si riparò il volto con una manica, strizzando i perfidi occhi borgogna e arretrò di qualche passo a causa del vento aggressivo scatenato dal potere del rivale, ma non subì apparentemente danno alcuno. Aspettò che il bagliore irreale scemasse e si raddrizzò, fissando l’avversario con una serietà e un’ira mai esibite prima.
“Ma guarda…” commentò tra i denti, consapevole, schiumando di furia repressa.
“Ora siamo solo io e te… finalmente” mormorò il principe, sarcastico.
La creatura oscura sghignazzò, tutt’altro che dispiaciuta per la fine ingloriosa dei suoi fidi deamhan e per nulla intimorita dalla prova di forza appena constatata.
“No, amico mio” ringhiò maligno “Io sono in ottima compagnia, a differenza tua. Finché indosserò questo Diadema, tu non potrai prevalere. Hai solo gettato la maschera, te ne do atto…  ma non sei più pericoloso di prima. Almeno così morirai con un’impensabile parvenza d’onore”.
Anthos sorrise, tagliente come un coltello, e non si spostò. La luminescenza chiara scaturita dal suo io creava un alone inumano intorno al suo corpo rilassato, ammantandolo ancora nel suo fulgore aureo.
Una seconda, violenta scarica scaturì da lui come puro atto di volontà, priva di movimento fisico, cogliendo in pieno l’antagonista che lo squadrava con astio crescente. Come la prima volta, l’essere maligno rimase in piedi mentre il gioiello del Sud risplendeva come un baluardo sulla sua fronte accigliata, difendendolo da quell’attacco devastante.
“Puoi scagliare la tua potenza contro di me tutte le volte che vuoi!” ruggì, liberandosi del manto ridotto a brandelli “Non sarà certo la tua vana ostinazione a sconfiggermi!”.
“Così come la tua viltà non riuscirà mai ad avere ragione di me” ribatté il principe “Sei vissuto nascondendoti sotto le gonne di tua sorella, Ishkur… ora stai facendo lo stesso con quel gioiello. Non sei mai tu a giocare in prima persona, finisci sempre per interpretare il ruolo dell’eterno secondo. Ami così tanto strisciare nella melma?”.
Il sedicente dio del Nulla reagì alla provocazione scatenando un’energia terrificante, che gli brillò tra le dita, tese verso il rivale, con un riverbero rossastro e cupo. Si espanse con una modulazione brutale e devastante, che raggiunse il reggente in meno di un respiro, stracciandogli le vesti e costringendolo a ripararsi con una sorta di scudo traslucido, che funzionò solo in parte.
“Arrenditi!” ordinò il Nemico “Lascia che io ponga fine alle tue sofferenze! Questo mondo diverrà mio, stai solo ritardando l’ineluttabile!”.
“È così” mormorò Anthos, strappandosi dal petto i lembi penzolanti della casacca di seta azzurra “Il potere cui fai ricorso non proviene da te. Non possiedi la capacità di evocarlo dall’io profondo, ne sei privo sin dall’inizio del tempo. Yfrenn-ammri e il Diadema sono il tuo unico ossigeno: sarà sufficiente privartene e l’involucro mortale in cui ti sei incarnato si dissolverà. Farai ritorno al pantheon da sconfitto e, forse, là qualcuno si occuperà finalmente di te”.
“Sta’ zitto!” esplose la divinità, esacerbata “Non osare rivolgerti a me, tu che sei fatto di debole carne umana! Quale diritto credi di poter accampare? Ti strapperò ciò di cui vai tanto fiero e di te non rimarrà neppure la cenere! Solo questo ti spetta!”
“Un dio che si macera nell’invidia è qualcosa di aberrante” rimandò il reggente “Per quanto questi possa essere inferiore nella scala gerarchica degli immortali, è un sentimento perverso, dannoso… così spregevolmente umano!”.
Il Nemico attaccò per la seconda volta, attingendo a tutta la propria rabbia e alle facoltà straordinarie che vantava in quella forma. I deamhan che lo componevano come un’essenza vitale si rivoltarono soffiando come rettili, fornendogli il loro supporto e bruciandogli le ossa. Il Diadema convogliò l’assalto, risplendendo nell’ombra, implacabile.
Le difese di Anthos si frantumarono e la marea malvagia inviatagli contro lo colpì, bruciandogli la pelle e strinandogli i capelli. Non si arrese e rispose all’offensiva, scatenando nuovamente le proprie doti in un testa a testa all’ultimo respiro.
Sopra di loro le nuvole si tinsero di sangue e un cono buio s’innalzò dalla terra verso il firmamento, come se volesse inghiottire persino gli dei. L’intero cosmo tremò a quello scontro senza vincitori, che strappò parte della realtà e la scaraventò in una cicatrice composta di inesistenza.
Il principe osservò il fenomeno, contraendo i pugni e realizzando che, se quel duello fosse proseguito, il creato sarebbe andato distrutto: Ishkur avrebbe vinto anche in caso di parità. Il Nulla avrebbe ottenuto il nulla, come nei suoi biasimevoli intenti. Non poteva semplicemente fermarlo o ricacciarlo tra le ombre, avrebbe dovuto eliminarlo; ma anche senza il Medaglione al collo la sua energia sembrava non essere sufficiente a tale scopo. Indirizzarne il flusso verso il Diadema non aveva sortito il risultato sperato. Eppure l’amuleto di Elestorya non poteva essere così forte, così prevalente… neppure se a indossarlo era una divinità armata di puro male.
Avanzò in direzione dell’avversario, deciso a saggiarne le difese, nonostante le bruciature sull’epidermide e gli stracci che lo ricoprivano a malapena. Era in grado di guarirsi, ma lo avrebbe fatto dopo. Mostrarsi in difficoltà faceva parte della sua strategia: lasciare che il Nemico lo credesse sull’orlo del tracollo.
Questi lo fissò come se fosse uscito di senno, facendo un passo in senso opposto e preparandosi a ricevere un’ulteriore scossa.
“Non indietreggiare, se possiedi anche solo un millesimo di valore, Ishkur!” sogghignò il principe, sfidante “Affrontami da pari, se ti ritieni tale!”.
“Mi reputo migliore!” sputò l’essere nero “Fatto di un’eccellenza che tu non conosci!”.
Smise di ritrarsi e si mosse a sua volta, fronteggiando il rivale con rabbia. Aprì le braccia e richiamò l’energia maligna, pronto a scagliarla alla massima potenza.
Nello stesso istante Anthos schizzò in avanti, rapido come il pensiero, circondato dalla propria aura dorata. Si concentrò sull’obiettivo e riuscì quasi a sfiorarlo con la mano, cogliendo l’espressione di momentanea sorpresa del Nemico.
Qualcosa lo respinse, scaraventandolo all’indietro, e manifestando lo stesso effetto anche sull’avversario, che si raddrizzò barcollando qualche metro più in là, fiaccato dalla furia devastante che gli si era scaricata addosso.
Entrambi ansimavano, spossati e feriti, increduli e incapaci di fornire una ragione plausibile a quanto era appena successo.
“Come hai fatto, maledetto!?” ringhiò Ishkur, sputando sangue e portando una mano al petto glabro e ustionato, che si sollevava e si abbassava con foga.
Il reggente inarcò un sopracciglio, faticando a controllare il respiro e il dolore che quella manifestazione inaspettata gli aveva provocato. Non era stato lui a emanare quella sorta di corrente, che tuttavia gli aveva ricordato qualcosa. Si risolse in fretta.
“Se lo desideri, posso regalartene un altro per farti meglio comprendere” bluffò con astuzia “Arrenditi, prima che io ti disintegri definitivamente!”.
Il Nemico gridò di collera, rintronando l’aria con un boato agghiacciante, e iniziò a mimetizzarsi con il crepuscolo morente, emanando una negatività rivoltante.
“Non finisce qui!” sibilò tra i denti mentre spariva dalla realtà contingente “Verrò presto a cercarti e non ti ucciderò, non temere. Non subito. Prima farò evaporare tutto ciò che ti è caro e divorerò l’universo intero… non riuscirai a fermare deamhan, potrai solo piangere la tua presunzione. Pregherai di morire, Anthos di Iomhar!”.
L’etere ebbe una contrazione, come se si stesse auto fagocitando, e il Nulla implose, riducendosi a un grumo scuro e fluttuante, che si esaurì nell’immediato.
I nembi violacei si divisero, dilagando in tutte le direzioni in un rincorrersi disordinato di colori foschi e lividi. L’aria tornò immota e si stabilizzò.
Il reggente crollò sulle ginocchia, fissando il cielo con un’espressione dura e avvilita.
“Dannazione…” imprecò, stringendo il Medaglione nel palmo della mano.
Non era riuscito a battere Ishkur. Non era stato in grado neppure di avvicinarglisi e aveva subito un attacco particolarmente violento, nonostante fosse al massimo dei suoi poteri. Essi non avevano raggiunto la pienezza che era aspettato: evidentemente non era quello il modo in cui andavano usati. Il Nemico sarebbe tornato presto, più agguerrito e vendicativo che mai. Avrebbe dovuto comprendere come averne ragione, prima che lui riuscisse a fare altrettanto.
Si concentrò, socchiudendo gli occhi ambrati e regolarizzando il proprio respiro: le bruciature si sanarono immediatamente e nuovi vestiti di seta turchese tornarono ad avvolgergli le membra nude.
Strinse i denti. Indossare il gioiello del Nord, ora completo, avrebbe significato ridursi alla stregua di un uomo comune. Non portarlo, invece, sarebbe stato un azzardo altrettanto rischioso. Osservò il baluginio delle Tre Pietre, focalizzandosi su quella del Cielo: era stata la falsa Gemma a consentirgli di attingere ai propri poteri anche con quell’amuleto al collo. A renderlo l’indiscusso e temuto sovrano del Nord. A fargli credere di poter pianificare il futuro senza attirare su di sé l’attenzione degli altri. A portarlo a intraprendere la via alternativa che aveva studiato con tanta lucidità. A farlo sperare in una possibilità diversa e in ragione di ciò, da ultimo, a fargli incontrare Adara. A mandare poi all’aria tutto ciò che era diventato.
Non poteva crederlo. Era impensabile che qualcuno avesse tentato di aiutarlo.
 
 
Irkalla percorse nervosamente per la terza volta lo spazio angusto della piega sovrannaturale che aveva prodotto, serrando le braccia sul petto.
“Elkira!” gridò, furibondo “Ti conviene comparire davanti a me… immediatamente!”.
Il dio del Buio si manifestò dopo pochi secondi, parimenti seccato.
“Si può sapere che ti prende!?” sbottò, passandosi le dita affusolate tra i capelli corvini “Non sono certo ai tuoi ordini, sebbene abbia deciso di aiutarti…”.
“Proprio su questo avrei parecchio da ridire!” saettò il Distruttore.
Gli occhi violetti dell’altro ebbero un’esitazione dispiaciuta, ma non si lasciò accusare gratuitamente, qualunque fossero le motivazioni dell’interlocutore.
“Allora spiegati, anziché gridare” ribatté più pacato, abbassando il cappuccio del mantello nero nella familiarità della notte appena discesa.
Gli orecchini d’onice levigata ai suoi lobi mandarono un riflesso morbido.
Yfrenn-ammri” proseguì Irkalla, un po’ meno aggressivo “Non è forse affar tuo?”.
“Grazie all’eccelso sovrano, no” sospirò Elkira, scrutandolo con una certa indulgenza.
“Stai dicendo che controllare il pozzo delle ombre non rientra nelle mansioni del dio del Buio? Mi prendi per un imbecille?”.
“Affatto” rispose pazientemente il primo “Quello è un compito che spetta a noi tutti, visto che il divino Almaktti non se ne occupa da eoni. Comprendo la tua perplessità, ma deamhan non corrisponde all’oscurità naturale e benigna di cui sono tutore… è la densa tenebra del male allo stato puro e possiede tutt’altra essenza. Non posso governarla, se questo è il tuo dilemma”.
Irkalla imprecò a fior di labbra, scostandosi i capelli dal viso e riflettendo sentitamente sulle parole del compagno.
“È possibile secondo te sigillare quel ricettacolo di vermi abietti?” domandò poi “Che il mio vecchio amico Ishkur vi si sia tuffato a capofitto e continui a imperversare, minacciando con inaudita alterigia di annientarci tutti, mi disturba non poco. Interferisce con i miei progetti… e con i miei doveri”.
“Già” borbottò Elkira, aggiustandosi sull’avambraccio le spire del prezioso a forma di serpente “L’ho fatto presente, ma temo che chi di dovere stia sottovalutando il problema. Il più forte tra tutti noi sei tu, Irkalla, nonostante la forma umana. Io non posso neppure sperare di avvicinarmi a quel folle e, come me, tanti altri. Sicuramente un modo per tappare la falla c’è, ma in merito al come…”.
Scosse la testa, visibilmente rattristato.
“Riusciresti a scoprirlo?” domandò il Distruttore, conciliante.
“Certo. Ma desidero conoscere la tua motivazione”.
“Tsk! Ti hanno mai detto che sei un impudente?” borbottò Irkalla, conficcando le iridi brucianti in quelle d’ametista del compagno.
“Sempre” ridacchiò questi, allargando le braccia con simulata innocenza.
“Vendetta” sentenziò il primo dopo un breve silenzio.
“Irkalla…” rimbrottò amichevolmente il dio del Buio “Tenti di convincermi del fatto che rinunceresti a combattere direttamente contro colui che è causa primaria della maledizione che ti pesa sulla testa, a favore di una strategia più sottile e meno ridondante? Non trattarmi da stupido…”.
“È quanto. Sarebbe un vantaggio per tutti, no?”.
“Di primo acchito sì” ammise Elkira “Tuttavia non è proprio da te. Devo supporre che tu abbia mutato i tuoi propositi originari?”.
Il dio della Distruzione rise piano, ma senza alcuna allegria.
“Non ho detto che non annienterò il creato” specificò “Voglio soltanto realizzarlo in tutta calma e nei termini che mi sono prefissato. Non tollero intromissioni di sorta, ma non mi sporcherò le mani con Ishkur… non voglio abbassarmi al suo infimo livello”.
“Ci rinuncio” borbottò il Buio, accomodandosi su un masso poco distante “In fondo, disintegrare è il tuo lavoro. Farò ciò che mi hai chiesto. Non ti assicuro la velocità del riscontro… anche da noi ci sono dei problemi, come puoi intuire”.
“In che senso?” si incuriosì il Distruttore.
“Il principe Kalemi sta rivoltando l’intero pantheon, è stanco dell’atteggiamento lungamente disinteressato che ha imputato a molti dei Superiori. È molto giovane, ma ben diverso da suo padre”.
Irkalla sorrise benevolo al pensiero del suo scaltro pupillo.
“Inoltre” continuò l’altro con un’esitazione “Ha trovato Amathira…”.
“Me l’ha detto” ribatté il primo con gelida indifferenza.
“Al momento non ha preso alcuna decisione in merito a quanto accaduto tra voi…”.
“Non mi interessa”.
Elkira si passò una mano sui pantaloni di pelle nera, abbassando lo sguardo, chiaramente a disagio.
“Dovrebbe, Irkalla…” mormorò con sincera partecipazione “Dovrebbe”.
“Perché?”.
“Il celeste Kalemi vorrebbe che te ne occupassi tu, quando tornerai da noi…”
“Cosa!?” sbottò lui, sentitamente adirato “Non scherziamo!”.
“Reshkigal” ultimò il dio del Buio con impiccio “È Reshkigal che la protegge”.
Il Distruttore sbarrò gli occhi terrificanti, incredulo.
   
 
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