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Autore: EleAB98    19/05/2020    2 recensioni
Dublino, 15 Novembre 2011
Era notte. La pioggia battente scrosciava senza tregua sulla grande finestra a muro provocando un forte rumore che somigliava vagamente al fluire ininterrotto di una cascata. I lampi penetravano attraverso la spessa tenda di cotone che la ricopriva. Sembrava quasi di assistere alla proiezione di un film al cinema, soltanto senza delle scene specifiche che ne scandissero la trama...
Genere: Drammatico, Malinconico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Dublino, 15 Novembre 2011

 

Era notte. La pioggia battente scrosciava senza tregua sulla grande finestra a muro provocando un forte rumore che somigliava vagamente al fluire ininterrotto di una cascata. I lampi penetravano attraverso la spessa tenda di cotone che la ricopriva. Sembrava quasi di assistere alla proiezione di un film al cinema, soltanto senza delle scene specifiche che ne scandissero la trama. I fasci di luce provenienti dall’esterno invadevano quasi completamente l’esigua stanzetta d’albergo, permettendo alla piccola Grace di intravedere gli oggetti familiari che la popolavano. La televisione poggiata sulla scrivania, uno zainetto da viaggio, la cassaforte nella quale riporre il denaro. Raggomitolata nel letto, la bambina appariva terribilmente spaventata e infreddolita, abbandonata a se stessa.

Dov’era finita sua madre?

D’un tratto se lo domandò, quasi scoppiando in lacrime. Sapeva benissimo che aveva paura del buio e che mal sopportava il minaccioso rumore dei tuoni accompagnato dai quei rapidi e fulminei lampi che rimbombavano di continuo nelle sue orecchie. Dove poteva essersi cacciata? Ma soprattutto, per quale razza di motivo si era allontanata da lei? Chissà, magari si era avviata nella hall per andarsi a prendere un thé caldo, dato che qualche ora prima aveva avuto un terribile mal di testa. Per un istante, Grace pensò di farsi coraggio e di uscire dalla stanza per andare a cercarla, ma subito dopo si convinse che sarebbe stato inutile. Impossibile. Impensabile. Con quale coraggio avrebbe potuto incamminarsi nel breve corridoio stretto e buio che l’avrebbe condotta a destinazione?

Aveva troppa paura per alzarsi dal letto e l’essere completamente da sola non l’aiutava affatto a compiere “l’ardua impresa”. D’un tratto, però, ripensò a suo padre. Al suo sorriso rassicurante e avvolgente, ai suoi incantevoli occhi azzurri… alla sua calma, alla sua fermezza e determinazione. Sì, suo padre Jack era il suo eroe. Il suo unico, grande eroe. E quella consapevolezza, ormai insita nelle viscere più profonde del suo cuore, prospettò nella mente della bambina lo svilupparsi di un’incalzante domanda: suo padre sarebbe stato felice di vederla rannicchiata in quel letto terribilmente smarrita e spaventata? Sicuramente no. E lei non aveva certo intenzione di deluderlo.

Così, presa da un impeto improvviso, la bambina si alzò e si avviò alla finestra, decidendo di affrontare una delle sue peggiori paure. Benché suo padre non fosse presente fisicamente in quel momento, Grace era certa che, lassù nel cielo da qualche parte, egli la stesse guardando e che stesse proteggendo lei e la mamma. Lo aveva perso solamente un anno prima a causa di un maledettissimo incidente aereo e lo shock fu talmente grande che all’inizio sua madre pensò di non poter sopravvivere senza di lui. Ma ce l’avevano fatta e in quel preciso istante, tutto quello cui la bambina riuscì a pensare fu il sorriso confortante di quell’uomo che, più di tutti, avrebbe sempre considerato come il più importante della sua vita. Suo padre Jack Nisson, valoroso comandante della marina militare di Brandeburgo.

Con insolito coraggio, Grace scostò le tende e si perse per un momento nella silente contemplazione del cielo notturno dal quale, ovviamente, non si poteva intravedere nemmeno una stella. A una prima impressione, sembrava tutto a posto. Ma i tuoni la spaventavano ancora e, non appena uno forte la colse di sorpresa, Grace si ritrasse e quasi scoppiò in un pianto disperato. Si accasciò sul pavimento e si accoccolò in un angolo buio della stanza rischiarata, di tanto in tanto, da qualche lampo improvviso che le permise di avere una visione completa dello scenario che le si prospettava dinanzi. Non sopportando la vista dello scialle di sua madre caduto a terra dall’appendiabiti, si coprì completamente il volto e immaginò che suo padre la chiamasse a gran voce e le gridasse: «Grace, non temere, ci sono io con te! Nessuno potrà farti del male!»

Nessuno potrà farti del male.

Quante volte le avevano ripetuto questa frase… E con quanta rapidità quelle parole erano state smentite. Suo padre era morto, diamine! Questo non era stato forse un male? Un male atroce di cui non avrebbe mai potuto liberarsi? Chi poteva averle fatto questo? Chi poteva aver tanto desiderato di far soffrire sua madre Nataline? Per quale motivo la sorte si era accanita proprio contro di loro?

La bambina cercò di calmarsi, ma invano. L’oscurità della notte, condita da quegli effimeri lampi di luce, non le donava affatto conforto, anzi. Le prospettava pensieri a dir poco  orribili e agghiaccianti. No, nessuno dei suoi familiari sarebbe tornato a prenderla in quella fredda stanza d’albergo. Questa volta, avrebbe dovuto cavarsela da sola aspettando silenziosamente che il male compisse l’atroce misfatto. Perché di sicuro era questo, ciò che sarebbe accaduto. Anzi no, stava già accadendo. E lei, rannicchiata in quell’angolino della stanza, non riusciva nemmeno a muovere un dito per cercare di impedire che capitasse quanto la sua mente aveva predetto.

No, non si trattava affatto di mera immaginazione, ma di pura realtà. Una realtà che ella aveva già vissuto un anno prima, un terribile déjà-vu intriso di follia e disperazione. Ed ecco che la sua giovane mente fu di nuovo preda di quelle immagini di terrore e di morte dalla cui informità poté ben presto intravedere il volto di sua madre piegato dall’orrore, dalla paura e dalla costernante sensazione che anche la sua vita sarebbe ben presto giunta al termine. D’un tratto, ecco che la ragazzina prese a chiamare suo padre a gran voce, quasi cercasse di recuperare quell’istante di serenità che poco prima l’aveva pervasa. Ma l’ultimo ritratto – quello di sua madre martoriata da un killer spietato – presentatogli da quell’intelletto che raramente Grace riusciva a controllare, aveva arrecato in lei maggiore turbamento, nonché l’esigenza di aprire finalmente gli occhi per constatare che non si fosse trattato di un incubo.

Smise di gridare. Con grande sforzo, si alzò dal pavimento e tornò a guardare fuori dalla finestra. Il violento temporale era ormai cessato e il panorama circostante rispecchiava quanto aveva appena subito a causa del maltempo: rami spezzati che campeggiavano in mezzo alla strada, buste della spazzatura trasportate dal vento ed altre abbandonate sul ciglio del marciapiede, foglie rinsecchite che continuavano a volteggiare nell’aria, e poi… l’ombra furtiva di un uomo che si apprestava a fuggire tenendo in mano un coltello. Che cosa, un coltello?

Grace sbatté più volte le palpebre, incredula. L’uomo si era improvvisamente fermato in mezzo alla strada e non vi era più alcun dubbio che tenesse in mano un trinciante alquanto affilato. Si trattava forse dell’arma del delitto con la quale avevano ucciso sua madre? Con il cuore in gola e incurante del terribile senso di paura che ancora riecheggiava dentro di lei, accese la luce della stanza e si avviò verso la porta con lo scopo di scendere nella hall. Con suo grande stupore, scoprì che era chiusa a chiave. Come diamine era possibile?

Fece un respiro profondo. Il silenzio che aleggiava in quella stanza d’albergo e che avrebbe dovuto conciliarle il sonno, si trasformò in un qualcosa di terribilmente inquietante. Eppure Grace, per la prima volta in vita sua, tentò di non lasciarsi sopraffare dal terrore di ciò che poteva essere accaduto alla sua mamma. Guardò nuovamente sul pavimento. Lo scialle di Nataline coperto di strass si trovava ancora lì e il suo colore rosso scuro richiamava proprio il colore del sangue; probabilmente lo stesso sangue impresso su quel coltello che teneva in mano lo sconosciuto che poco prima si era rivelato accidentalmente ai suoi occhi. Lo stesso colore della polvere di ematite, quel minerale che in natura si trova sottoforma di ossido ferrico.

Recentemente, suo nonno le aveva svelato che il nome del suddetto minerale deriva da una parola greca che significa proprio “sangue.” A scuola, invece, la maestra di storia le aveva spiegato che gli antichi romani solevano schiacciare l’ematite per poi strofinarne la polvere rossa sui loro corpi, credendo che questa avrebbe potuto infondere loro forza e coraggio in battaglia. Proprio ciò che, al momento, mancava a Grace. Il coraggio di credere che tutto potesse essere frutto di un terrifico malinteso, la forza di credere che il cuore di suo madre non fosse stato “frantumato” proprio come l’ematite stessa, tornando allo stesso stato di polvere dalla quale Dio aveva generato tutti gli uomini. «Polvere sei e polvere ritornerai.» Questo recitava la Genesi. Questo le avevano insegnato al catechismo. Ma che cosa rappresentava esattamente il termine “polvere” in ambito religioso?

Grace scosse la testa e smise finalmente di pensare. Con estrema lentezza, raccolse il foulard e ne inspirò il profumo. In un momento, ecco che il suo cuore si riempì di una sentita malinconia accompagnata, però, da un leggero senso di sollievo. In un certo qual modo, tramite quel gesto riusciva a sentire sua madre più vicina, a percepirne la fittizia eppur confortante presenza. Tentò persino di immaginarsi che fra meno di un minuto sarebbe tornata da lei, magari tenendo tra le mani una tazza di latte caldo con quei biscotti al cioccolato di cui era ghiotta. Oppure, con qualche piccola madeleine che le avrebbe senz’altro ricordato il profumo dei tempi perduti.

Già, sua madre le aveva persino raccontato quella strana storia. L’esistenza di un particolare biscotto che le avrebbe permesso di “viaggiare nel tempo”, immersa nei suoi ricordi, come il grande scrittore francese Marcel Proust. Sorrise. Per quanto si sforzasse, non era ancora riuscita a pronunciarne correttamente il nome, o meglio, il cognome. A volte, lo pronunciava proprio come stava scritto su quel libro di letteratura di sua madre, mentre altre volte lo recitava scambiando il dittongo “ou” con “au”.

Ma forse, quello che le sarebbe accaduto attraverso una semplice madeleine lo stava proprio sperimentando in quell’esatto momento, con quel foulard tenuto costantemente sotto il naso (in fondo, non era forse la stessa cosa?) e che richiamava nella sua mente il profumo di quei ricordi perduti, ma non sbiaditi; lontani, eppure scanditi dal breve arco temporale che aveva modificato quasi del tutto la sua esistenza. Solamente poco più di un anno fa, suo padre si trovava ancora con lei. E con la mamma… Adesso, invece?

Quale sarebbe stato il suo destino, una volta appresa la tragica notizia che di lì a poco le sarebbe stata rivelata? Avrebbe potuto continuare a vivere di quei ricordi che nemmeno la morte e il dolore avrebbero potuto cancellare? No, forse non avrebbe potuto. In fondo, la bambina era quasi sempre stata tormentata da eventuali accadimenti che avrebbero potuto scombussolarle quella vita che esisteva, aveva imparato, soltanto nelle favole.

«La vita reale non è un romanzo per bambini» le aveva detto una volta sua zia Louise, la sorella della mamma.

«Sarà, ma io credo che un romanzo si avvicini alla realtà più di quanto si possa immaginare» le aveva risposto lei, con un entusiasmo da far invidia a chiunque.

Ma adesso, a distanza di anni da quell’episodio, avrebbe potuto pensarla ancora così? Indubbiamente no. Dopo la morte di suo padre, niente era stato più come prima. Ogni cosa aveva preso una piega decisamente diversa. Tornare indietro, così come andare avanti, sarebbe stato ormai impossibile per Grace.

Sì, alla fine, suo malgrado, ci ripensò. Ripensò all’orrore della morte e d’improvviso, il tutto le apparve spaventosamente chiaro. Sua madre non sarebbe affatto tornata da lei. Distrutta, lasciò che le lacrime invadessero copiosamente il suo visino delicato ricoperto di lentiggini. Questa volta, non riuscì a prendersi il disturbo di fermarle. Riuscì soltanto a trattenersi dal proferire i singhiozzi tipici di un pianto disperato che, per la prima volta in tutta la sua giovane vita, apparivano sommessi, contrastando con il fragore del temporale che aveva ricominciato a picchiettare prepotentemente sulla finestra. Stavolta, però, non se ne spaventò. In lei si celavano ormai sentimenti ben peggiori della paura. Inoltre, avrebbe dovuto aspettarselo.

In effetti, i numerosi cumulonembi che il giorno prima popolavano il cielo avevano avvertito preventivamente tutti i cittadini di un eventuale temporale e il telegiornale della sera aveva confermato che la violenta incursione del maltempo avrebbe investito tutta la città. Inaspettatamente, un brivido di freddo le percorse la schiena e questo la spinse a tornare a letto. Con indosso anche lo scialle di sua madre. D’improvviso, era stata colta dall’amara consapevolezza che non sarebbe più riuscita a separarsene. In fondo, sarebbe stato l’unico ricordo che le sarebbe rimasto di lei.

No, nemmeno sua madre sarebbe tornata, continuava a ripetersi, stringendosi al petto il cuscino avvolto anch’esso dal sottile foulard prodotto forse dalla polvere di ematite dalla quale avevano estratto il caratteristico pigmento di color rosso bruno; colore analogo al sangue di ogni singolo essere vivente. Esatto, questo aveva immaginato la piccola Grace. E magari, quando sarebbe stata più grande, avrebbe persino scoperto che il ferro che componeva il suddetto minerale era in realtà lo stesso elemento chimico presente nel plasma umano – meno la diversa carica elettrica con la quale effettivamente si presenta in entrambe le strutture – costituito da una particolare proteina comprendente quattro subunità e al cui centro vi era, appunto, un atomo di ferro. Un semplicissimo atomo di ferro non formalmente legato all’ossigeno, a differenza dell’ematite, ma comunque in grado di congiungersi ad esso assumendosi così la gravosa – quanto essenziale – responsabilità di garantire l’esistenza di ciascuna struttura vivente.

Ebbene sì, nel prosieguo dei suoi studi, Grace avrebbe potuto scoprire il sottile e potente legame tra la vita e la morte semplicemente attraverso le lezioni che i suoi insegnanti le avrebbero impartito, maturando la personale convinzione che il sangue poteva rappresentare l’alfa e l’omega, ovvero l’inizio e la fine della vita. Due misteriose entità apparentemente in contrasto tra loro, eppure complementari, a un’analisi più approfondita.

Ma adesso che Grace si trovava di nuovo in quel letto, immersa in un fiume di lacrime, si stava progressivamente delineando in lei la medesima sensazione di quando suo padre era scomparso per sempre dal mondo terreno. Qualche ora prima della tragica notizia, infatti, la bambina non aveva fatto altro che rimanere chiusa nella sua stanza, convivendo con un sentimento intriso di una terribile inquietudine. Tutt’a un tratto, aveva pensato a cosa sarebbe accaduto se, in un giorno come un altro, l’aereo pilotato da suo padre si fosse guastato andando in avaria, provocando la sua stessa morte e quella di tutti i passeggeri in volo. Poi, quella stessa sera, quelle insolite paure si erano trasformate in certezza.

Poteva essersi trattato soltanto di una spietata coincidenza?

Grace aveva solamente sette anni ed era ancora molto piccola, ma di una cosa era certa. Non credeva nelle coincidenze. Poteva credere al fatto che forse, un bel giorno, mediante delle apparecchiature altamente sofisticate, gli asini sarebbero stati in grado di librarsi nel cielo azzurro imparando a volare come gli uccelli; ma non alle coincidenze.

Sua madre, dunque, sarebbe tornata?

Affatto, perché l’atroce delitto era ormai stato compiuto. In quella notte buia e tempestosa, fu tutto quello di cui riuscì a convincersi.

   
 
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