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Autore: EvilHel24    20/05/2020    2 recensioni
Jane Rizzoli dopo un anno di distanza dal terribile caso de "il Chirurgo" si trova davanti ad un nuovo caso molto simile a quelli dell'uomo che le ha segnato la vita. Jane indagando su questo caso si trova a lavorare con il miglio medico legale di Boston, Maura Isles.
Tra loro però c'è qualcosa di più, ancora da percepire, ancora da scoprire.
Genere: Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Jane Rizzoli, Maura Isles
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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Parcheggio davanti al grande edificio e prima di scendere faccio un lungo respiro. So che magari sarà stata la mia folle immaginazione a percepire cose strane. Cerco di riacquistare il contegno che contraddistingue i detective e una volta montata su la mia armatura e la mia maschera, che permette di proteggere ciò che sono da ferite troppo profonde, scendo dall’auto. Mentre cammino verso l’edificio mi rendo conto che ormai non posso più fare a meno di indossarla, la mia maschera “dell’ironia”, in quanto è l’unica cosa che non permette alla vera me di uscire e di essere ferita. Mi fermo prima di entrare e mi giro a guardare il cielo completamente buio. Qualche anno fa il buio era confortante per me, era quel qualcosa che non riesci a spiegare. Quante volte d’estate sul balcone della mia camera mi sedevo a terra, spalle al muro, con la mia birra a guardare il cielo. Mi rilassava. Adesso invece assomiglia ad un uomo in nero che sfodera la sua arma per puntarla contro di me. Tutto il suo odio, tutta la sua rabbia. Il suo bisturi… I miei occhi scendono in picchiata sule mie mani tremanti e ferite. Quelle ferite sono rimarginate da mesi ormai… quelle cicatrici che rimangono lì a ricordarmi che solo io posso fare qualcosa affinché il buio torni ad essere il mio posto nel mondo. Decisa, e dopo aver fatto l’ennesimo respiro, entro nel palazzo. I poliziotti in servizio mi riconoscono tutti e salutandoli mi dirigo verso l’ascensore. Premendo il pulsante per scendere in obitorio spero con tutta me stessa che la mia maschera regga a ciò che accadrà questa notte. Arrivo davanti all’ufficio del medico legale e busso. M: “Entri pure, detective” sento dire da una voce magnetica nel sacro silenzio di quel luogo. Mentre entro nel suo ufficio la vedo infilarsi di fretta il camice, sistemarlo e spostare a sua volta i capelli rimasti incastrati sotto il colletto del camice. Quella scena mi ha come catturata e non riuscivo neanche più a parlare. Dannazione! Una semplice mossa, un semplice gesto e la mia maschera accenna ad andare in frantumi. Respira Jane! J: “le ho portato il caffè” le dico abbassando lo sguardo. Ma che diavolo mi esce dalla bocca. M: “Grazie davvero, ne avevo proprio bisogno”. Dice avvicinandosi a me. Le porgo il bicchiere con il caffè e le sorrido. J: “ha avuto modo di iniziare l’autopsia?” le chiedo nervosa. M: “no aspettavo lei, a dire il vero” dice mentre si avvicina alla scrivania. Sono nervosa e non posso continuare così. La tensione si percepisce. J: “Dottoressa Isles?” le dico mentre a poco a poco faccio dei passi verso di lei. M: “Mi dica detective” chiede mentre beve un sorso di caffè. Indecisa su cosa dire o fare, continuo ad avvicinarmi a lei fino a che non riesco a sentire il suo profumo, che in un ambiente come questo, con la totale sterilità di ogni singolo oggetto presente, stranamente risalta ancora di più. Le mie narici si dilatano e i miei polmoni respirano profondamente. Guardo la donna davanti a me e sorridendo le dico “Iniziamo allora”. Ricambia il mio sorriso e mentre si gira per poggiare il caffè mi dice qualcosa che mi lascia un po’ interdetta. M: “So che magari si starà chiedendo come mai abbia reagito in quel modo sulla scena del delitto, è strano ma la sua carriera e la sua forza mi hanno sempre colpito.” Si gira verso di me, facendo un passo e trovandosi davvero vicino a me, e continua a parlare “la sua storia mi ha colpito a tal punto che ho deciso di lavorare qui a boston, volevo conoscere la poliziotta che, con la sua forza, ha catturato l’attenzione della donna di ghiaccio che sono”. Abbasso lo sguardo e non capisco perché sono così imbarazzata. “ Si fidi dottoressa lei non mi conosce affatto” dico puntando i miei occhi su di lei. “la poliziotta che lei stima non sono io” dico sicura di me. La dottoressa sorridendomi alza il sopracciglio destro. “Non ne sarei cosi convinta” dice fissandomi negli occhi. Rimango sorpresa. “andiamo abbiamo un’autopsia da fare” continua mentre si dirige verso una porta alla sinistra della sua scrivania. Dopo due ore di autopsia e diversi sguardi da parte di entrambe, rientriamo nel suo ufficio. M: “Le manderò i risultati delle analisi domani mattina. Mi metterò a lavoro subito lei vada a dormire” J: “Non credo di riuscire a dormire in questo momento” dico strofinandomi lei mani, nervosa. La dottoressa si avvicina a me con calma e in silenzio. M: “ So che è una domanda personale ma…” fa una pausa mentre il mio sguardo finisce sui suoi occhi. “mi farebbe vedere le sue mani?” chiede titubante. Le mie mani si muovo ancor prima che io possa anche solo pensare di risponderle in modo poco educato. M: “le fanno male?” dice mentre posiziona le sue mani sotto le mie senza sfiorarle ne toccarle. J: “Solo quando cambia il tempo o mangio troppe schifezze” dico ironizzando mentre lei guarda le mie mani con… tristezza negli occhi. M: “Odio davvero le cicatrici, odio il ricordo che rappresentano” dice sfiorando le mie mani con le sue. Il mio battito aumenta e il suo profumo continua a destabilizzarmi. Il contatto con le sue mani si fa sempre più concreto fino a quando le mie mani sono poggiate sulle sue. I miei occhi cercano i suoi e nel preciso momento in cui si incontrano lei dice “lei ha qualcosa di raro”. Rimango in silenzio e penso che una donna del genere non può assolutamente essere attratta da una come me. J: “Sono soltanto una donna determinata a catturare questo dannato assassino” dico mentre mi giro verso la grande vetrata che da sul tavolo operatorio. M: “è una donna bellissima” dice osservandomi. Le nostre mani sono ancora le una sopra le altre. J: “Grazie” dico imbarazzata “Anche lei è bellissima”. L’imbarazzo che si percepisce nell’aria è solo proveniente da me, la dottoressa in tutta tranquillità mi sorride. È normale lei sarà abituata ai complimenti di uomini galanti e perfetti. J: “Credo sia meglio che vada” dico mentre ritiro le mie mani da sopra le sue. La mancanza di quel contatto la leggo negli occhi della dottoressa. Allora è il momento. “penso che sarei di più a mio agio se evitasse di darmi del lei” dico facendole l’occhiolino. Sorridendomi dice “D’accordo Jane, va a dormire tranquilla, domattina avrai tutto. Solo se mi chiami Maura”. J: “D’accordo Maura, io vado ma ti lascio il mio numero e per qualsiasi cosa anche la più piccola particella che ci porti a qualcosa devi chiamarmi” le dico avvicinando il mio biglietto da visita. M: “Va benissimo Jane, ora però devi riposare” J: “ti preoccupi per me? Ci conosciamo appena e ti preoccupi” dico M: “mi preoccupo si, ti conosco appena si, penso che tu sia attraente, si” dice guardandomi negli occhi “allora?” continua. J: “Allora ci vediamo domani, dottoressa” dico avvicinandomi e lasciandole un semplice bacio sulla guancia. E spostando lo sguardo su di lei noto compiaciuta che non mi ha mentito. Mi incammino verso la porta per uscire quando sento dei tacchi camminare verso di me. “Jane?” sento dire. “Si?” le dico girandomi. Passano un bel po’ di secondi di silenzio e la vedo torturarsi le mani. M: “Buonanotte” mi dice guardandomi negli occhi. I suoi stanotte risplendono. “Buonanotte, Maur” dico per poi andarmene. Esco dall’edificio completamente in trans e una volta entrata in auto il mio telefono vibra. Lo prendo al volo mentre le chiavi della macchina mi sfuggono e finiscono a terra. Mentre mi chino a raccoglierle leggo il messaggio. Cosa? E’ davvero una persona carina a comportarsi così nei miei confronti. È assurdo il fatto che sia soprannominata la regina dei morti. È intrigante, bella e sincera. Non riesco a capirla e questa cosa stuzzica il mio istinto da detective. Il cellulare mi squilla di nuovo. . Oh maura. Fidati che la tua compagnia farebbe del bene a tutti ma so che se mi lascio andare con te finirò con il ferirmi. . Invio il messaggio e mi dirigo verso casa. Entro in casa e lanciando i vestiti a caso, mi dirigo verso la mia camera buttandomi sul letto e crollando per la stanchezza. Mi sveglio qualche ora dopo sudata e in tachicardia. Sono le 4 del mattino. Dannazione! Questi dannati incubi! Prendo il telefono e noto il messaggio di risposta di Maura al mio ultimo messaggio. . Sorrido e decido di uscire a correre. Mi rilassa troppo correre così inizio a correre senza meta. Il vento freddo mi colpisce le guance fino a quando non mi fermo per riprendere fiato e voltandomi noto una grande casa con una grande terrazza, dove una donna nel buio della notte sorseggiava caffè. Mi avvicino a quella casa e noto sempre più particolari. Cavolo è Maura… Quando lei mi nota scende i pochi gradini della sua abitazione e guardandomi dice “Che ci fai qui?” J: “Non lo so” dico mentre lei continua ad avvicinarsi a me. Una di fronte all’altra, io con il fiatone e lei con il suo caffè in mano, sempre perfettamente in tiro, con un’eleganza da far paura alle 5 del mattino. Nessuna parola, solo i nostri occhi incatenati.
   
 
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