Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Apollonia Storie    21/05/2020    1 recensioni
Lily. Harry. Ania. Draco. Voldemort.
Gli scacchi principali di questo gioco mortale.
Ania aspettava da anni di conoscere finalmente il grande Harry Potter, eppure, da quel momento in poi una serie di eventi agitano acque pericolose.
Draco non sa cosa ci vede in quella lí, sa solo che lo scava dentro, che é fragile e pericolosa allo stesso tempo, e che a lui i giochi pericolosi sono sempre piaciuti.
E il Signore Oscuro pensa davvero di conoscere bene il suo servitore Severus? E se il piú grande segreto dell'uomo fosse una figlioccia maledetta, per cui darebbe la vita?
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Nuovo personaggio
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
0
orchidee, pic by me



 
 XXXIII
 
 
Le orchidee.
Gli piacevano le orchidee.
Non tanto il fiore in sé, ma quello che gli ricordava.
Ovvero, sua madre.
 
Il perché era semplice.
Sua madre si circondava di fiori rari, preziosi, talvolta anche velenosi, ma sempre bellissimi da praticamente sempre.
Era la sua insospettabile passione.
E tra tutti quei fiori, le orchidee erano sempre state presenti sul loro tavolo da quando lui avesse memoria.
Guai se gli elfi si fossero dimenticati di metterne un mazzo fresco ogni giorno.
 
Eppure anche quel giorno, come da una settimana a quella parte, Draco guardò l’ennesimo petalo stanco abbandonare il proprio stelo e gettarsi sul tavolo in marmo.
 
- Non hai fame? –
 
La voce di sua madre gli arrivò lontano come fosse in un’altra stanza.  Beh, quasi quasi lo era.
Erano seduti ai due opposti del lungo tavolo da pranzo, a tre metri di distanza.
 
Draco giocava con il cibo.
Aveva lo stomaco chiuso da giorni e nessuna voglia di sforzarsi ad aprirlo.
 
- Tu ne hai? –
 
Sua madre abbassò lo sguardo sul suo piatto, mezzo pieno, punta nel vivo.
 
Era bella sua madre.
Nonostante il passare degli anni c’era ancora quella superba bellezza, quell’orgoglioso fascino di una donna Purosangue e aristocratica.
E nonostante il dolore degli ultimi tempi le avesse infossato le guance e appesantito le palpebre, Draco non l’aveva vista abbassare lo sguardo nemmeno un giorno.
Era forse, tra loro tre, quella con più forza.
 
Narcissa sospirò silenziosamente, incrociando le dita davanti a sé, con aria seria.
 
- Stai per mettermi in punizione, madre? – ironizzò lui abbozzando un sorriso, ma Narcissa non rise.
- Draco…- la sua mano lasciò la forchetta, e inconsciamente prese a ticchettare sul tavolo con le unghie.
 
- Draco è da un po' che penso che… -
 
Din Don
 
Il campanello rimbombò forte tra le pareti di casa, seppellendo le parole di Narcissa sotto quel suono.
 
- Non aprite! – ordinò la padrona di casa al nulla, sicura che gli Elfi in ascolto avrebbero eseguito il suo ordine.
Narcissa ritornò a lui, guardandolo intensamente.
Nei suoi occhi Draco scorse qualcosa che raramente aveva visto nello sguardo di sua madre, soprattutto nei suoi confronti.
Apprensione.
 
- Draco, restare in questa casa non è più sicuro, per te.- sputò fuori, come se quelle parole fossero un peso di cui volesse liberarsi il prima possibile.
Draco poggiò i gomiti sul tavolo e scostò malamente il piatto mezzo vuoto per portarsi in avanti, gli occhi fissi su sua madre.
 
- E per quale assurda ragione dovrebbe esserlo per te non per me, madre. –
 
Quasi si pentì del troppo astio nel suo tono. Il loro rapporto strideva di parecchio , ultimamente, e certamente sua madre non si meritava ciò, ma non ebbe il tempo di riformulare la frase in toni migliori, e né quello di ricevere una risposta, perché il campanello suonò di nuovo, seguito da un bussare animalesco contro il portone.
 
Boom
Boom
Boom
 
- Mia signora. –
Un elfo barbuto con i piedi nudi e le guancia scavate si palesò appena dietro la sedia di Narcissa, prostrandosi ai suoi piedi.
 
- Mia signora, visite… -
- Ho chiaramente detto di non aprire, elfo, non fartelo ripetere una seconda volta. –
- Si mia signora, ma… -
- MA? – tuonò Narcissa stringendo le labbra e scattando in piedi.
- Osi tu contraddire un ordine della tua padrona? –
- Mia signora, mai, mai, potrebbe Errold ma … - L’elfo indietreggiò di qualche passò, le gambe scosse da un tremolio. – … Errold non oserebbe mai scacciare la sorella della sua padrona. –
 
L’elfo si inchinò profondamente, iniettando di servilismo e terrore quel gesto, quasi conscio della punizione che gli sarebbe toccata per aver contraddetto una seconda volta la sua padrona.
Ma tale punizione, non arrivò.
Narcissa fu scossa da un brivido e si gonfiò in petto, sbarrando gli occhi e inspirando forte.
 
- Bellatrix… - bisbigliò.
- Si, mia signora. –
- Perché è qui? – intervenne Draco osservando interdetto la scena.
 
Narcissa si voltò di scatto verso di lui, come se si fosse ricordata solo in quel momento della sua presenza lì.
 
- Draco voglio che tu vada in camera tua. –
- Cosa? –
- E che tu raccolga l’essenziale in una borsa… -
- L’essenziale? E cosa dovrebbe essere l’essenziale secondo … -
- FA COME TI DICO! –
 
Un brivido lo fece tremare sulla sedia al sentire la voce della madre rimbombare perentoria e trafiggergli le orecchie.
Come un soldatino scattò in piedi prima di rendersene conto, e lasciò la stanza velocemente, scorgendo solo il profilo di sua madre ricomporsi in una maschera di altezzosità, mentre con voce roca ordinava all’elfo di fare entrare i visitatori.
 
 
 
 
 
L’essenziale in camera sua non esisteva.
Cioè, nel senso, tutto era essenziale per lui.
Dai quattro manici di scopa che aveva appesi alla parete, alle trapunte in cashmere, ai libri proibiti della collezione di suo padre.
Esattamente cosa avrebbe dovuto prendere? E soprattutto per andare dove?
No, sua madre non doveva essere seria.
Lui non avrebbe lasciato casa sua… figurarsi!
Doveva solo fare finta di starla a sentire, per una volta, riempire la sua borsa con qualche scemenza e poi tornare a svuotarla una volta che sua madre si fosse calmata e l’avesse piantata con quegli attacchi di panico.
Anche se…
Anche se per qualche cazzo di motivo sua zia era lì?
 
E non da sola poi.
 
Eh si, c’era qualcuno con lei.
Li aveva sentiti attraversare le scale, ridacchiare ferocemente e commentare rozzamente lo splendore di quella casa.
Erano in tre, almeno, sicuro.
E dicerto non bravi giovanotti di quartiere… no.
 
Aveva riconosciuto Greyback. Aveva imparato a riconoscere la sua voce  randagia e graffiante quando suo padre era ancora lì con loro, ed era ancora una delle punte di diamante dei Mangiamorte.
Una vita fa.
Anzi, una morte fa.
Tutto quel passato era marcito sotto terra da tempo.
 
Ora nessuno vuole più accostarsi ai Malfoy, né i buoni nè i cattivi.
Era questo che farneticava sua madre davanti al camino, quando, a notte tarda, pensava di non essere vista o sentita da nessuno.
Ma lui vedeva e sentiva più di quanto lei immaginasse.
E tutto quel baccano a cui stava assistendo quel giorno, non gli piaceva per niente.
 
Tre mutande,  due maglioni, due pantaloni.
Cofanetto della bacchetta, scarpe da passeggio e pugnalo d’avorio nero.
Il libro sull’ Incarnazione Umana nei Quadri che stava leggendo da giorni, una piuma di Grifone con il suo kit di inchiostri e un paio di guanti in pelle di drago.
Per qualche motivo inconscio, questo è ciò che finì nella sua borsa dell’” essenziale”.
 
Si infilò il cappotto e inforcò lo zaino sulle spalle.
Ecco, ora era pronto… e adesso?
Rimase fermo immobile nella sua stanza calda, tentando di carpire qualche rumore, ma nulla.
Le pareti erano troppo spesse e  lui troppo lontano dalla sala da pranzo per udire un fiato.
 
Col passo felpato di un fantasma uscì dalla sua stanza.
Non avrebbe dovuto origliare, ma sentiva che aspettare sua madre come un bambino annoiato non era la cosa giusta da fare.
 
Voleva solo capire perché aveva dovuto fare ciò che aveva appena fatto ecco… insomma, di cosa aveva così paura sua madre?
Suo padre era stato imprigionato, si, ma non se la sarebbe mica presa con loro, il Signore Oscuro.
Erano Purosangue e non gli avrebbero recato mai nessun danno, non c’era motivo di sentirsi minacciati.
Eppure, Draco sentì questa certezza affievolirsi dentro di sé ad ogni passo che compieva verso la sala da pranzo, ad ogni parola che mano a mano, gli arrivava più chiara alle orecchie.
 
- … spero tu abbia pensato a quello che ti è stato detto, Narcissa. –
- Non c’era nulla a cui pensare, Antonin. –
 
Dolohov.
Antonin Dolohov.
Stupratore di Babbane.
Raccapricciante essere mezzo strabico e dalla dubbia igiene.
 
- Pessima risposta, Narcissa. -
- Oh sta zitto, Dolohov, mentecatto rimbabito. Narcissa non è stupida, sa perfettamente cosa fare . Su Cissy, chiama Draco, ne sarà entusiasta anche lui, vedrai! –
 
Draco si bloccò all’istante.
Il suo piede destro non aveva ancora toccato terra, e rimase sospeso per qualche secondo prima che il cervello gli ricordasse come si fa a camminare.
 
Zia Bella.
 
Il tono folle di sua zia gli dava i brividi. Una voce un tempo soave, distorta e distrutta da anni di squilibrio e sangue .
E ora, quella voce malefica, pronunciava il suo nome, con una sorta di dolcezza, che sapeva di veleno e che gli agghiacciò i pensieri.
 
Un rumore di passi si avvicinò alla porta e Draco si nascose dietro una tenda di velluto nel corridoio.
 
- Bellatrix! –
La voce di sua madre bloccò quella serie di passi. Draco tirò un sospiro di sollievo, subito rimpiazzato dal panico appena la sentì parlare di nuovo .
 
- Ho deciso si, ma non quello che immagini. –
 
Silenzio.
Dieci secondi di interminabile silenzio.
 
- Cissy? Cissy no, tu , tu non puoi non rispettare ciò che vuole il Signore Oscuro, no. Non si fa così, sorella… Oh si arrabbierà moltissimo, sono assolutamente allibita che tu possa anche solo pensare di non farlo. –
- Oh, io invece non lo sono per nulla. PER NULLA! I Malfoy hanno voltato le spalle al Signore Oscuro nel momento stesso in cui Lucius Malfoy ha cinguettato come un uccellino tra le gabbie di una cella... –
-  Infanga di nuovo il nome di mio marito, Greyback, e quella tua bocca putrida si ritroverà senza lingua prima di sera. Sei sotto il mio tetto, ti ricordo! –
- A meno che il tuo tetto non nasconda un esercito, Narcissa Malfoy, sono io che consiglio a te di stare zitta , prima di rendere quel bambino capriccioso di tuo figlio un povero orfanello…AH! –
 
Draco sentì Greyback imprecare di dolore e probabilmente sbattere contro una sedia.
 
- Come osi tu, uomo/ scimmia, rivolgerti in quel modo ad una Black. Uhm uhm . No, no, no c’è solo dell’incomprensione qui. Narcissa, pensa bene prima di parlare. Ricordati chi sei , onora i tuoi cognomi!–
 
A Draco parve che l’aria si fosse gelata.
Ogni parte del suo corpo era tesa, in attesa di ciò che sua madre avrebbe detto, in attesa di capire, mentre l’ansia e la paura divoravano ogni cellula del suo corpo.
 
- Si, Bella. – disse infine sua madre, voce fredda e, Draco ne era sicuro, sguardo fiero  – Ho pensato accuratamente a quello che mi hai detto. E ora, come allora, ti rispondo che mio figlio
Non è
Merce di ricatto. –
- Non c’è nessun ricatto Cissy. Draco DEVE essere Marchiato. Combatterà con noi. Sarà un esempio valido, per i suoi coetanei, e sarà premiato per ciò. Grandi onori gli sono stati promessi. Il Signore Oscuro mantiene sempre la sua parola. Onore per voi e libertà per Lucius!  –
 
Il mondo gli cadde addosso, mentre la mano scattava sulla bacchetta e la teneva ferma nonostante le mani sudate.
 
Sua zia aveva sputato il rospo.
Quello, signori, era un ricatto, e lui era la merce di scambio.
 
Draco, in cambio di Lucius.
O in un’interpretazione ancora più tetra e tristemente plausibile, Draco in cambio della vita di tutta la famiglia Malfoy.
 
Il Signore Oscuro li stava punendo.
 
- Draco non verrà, Bellatrix… -
- Il No non è una risposta gradita, Cissy. –
- … e ti prego di condurre i tuoi amici fuori di qui, sorella…. –
- …AH, non farò cadere il nome dei Black ancora più in basso. Un giorno mi ringrazierai, “sorella”… -
- Bellatrix! –
- …se non lo fai tu, lo farò io… -
- NO! –
 
Un tonfo sordo e il suono di mille vetri andati a pezzi ruppero quella quiete di piombo.
Sua madre aveva reagito, sua madre aveva attaccato, sua madre adesso, era da sola in una stanza con tre tra i più crudeli Mangiamorte della storia del Mondo Magico.
 
Draco scattò come un fulmine contro la porta della sala da pranzo.
Bacchetta alla mano, cuore in gola.
Vide sua madre guardarlo inorridita, gli sguardi di tutti puntati su di lui, ma non ci fu tempo di analizzare oltre la scena perché con un gesto veloce del braccio Antonin Dolohov afferrò la sua bacchetta, scagliando un raggio di luce azzurra verso di lui con un urlo feroce.
 
Narcissa gli si scagliò davanti, Draco sentì il tessuto del suo abito lacerarsi e il terrore gli logorò le viscide.
La afferrò per le braccia giusto prima che cadesse in terra e nel farlo le sue mani si intinsero di un sangue scuro e denso.
Non lo sapeva ancora, ma non avrebbe mai dimenticato quel momento per tutta la sua vita.
 
Reagì d’istinto.
Vide sua zia alzarsi dal pavimento, scrollarsi di dosso frammenti di legno e vetro, vide Dolohov gettarsi addosso a lui, e Greyback sfoderare anche la sua di bacchetta con un sorriso malefico e poi dal profondo del suo stomaco sentì il ruggito, rabbioso e feroce della sua rabbia trasformarsi in potere e invadergli le vene, la carne, la pelle, fino alla punta della bacchetta, fino al lampo abbagliante e violaceo che accecò i suoi avversari.
 
- ARDEMONIO-
 
Sentì il rimbombo.
Sentì il calore.
Sentì le fiamme e l’odore di carne bruciata.
E sentì lo strappo allo stomaco che lo stava trascinando via.
Via dalla sua casa adorata.
Via da quella dimora che fino a quel momento, aveva considerato il suo porto sicuro.
 
 
XXXIV
 
 
Chiuse la finestra, forse con più forza del dovuto.
Il vetro oscillò pericolosamente e nello stesso istante un piccione scappò dal loro tetto, spaventato.
 
Il cielo inglese pareva presagire una tetra giornata senza sole.
Le nuvole erano condensate in un unico fitto strato incolore, e il vento soffiava grigiore e tempesta sui tetti delle case di Spinner’s End.
 
Ma a dirla tutta, il cielo non era poi cosi funesto se paragonato ai pensieri di Ania.
 
Era chiusa in casa da due settimane, tanto per iniziare.
E la monotonia ballava un tetro valzer con il silenzio, nel suo cervello di adolescente.
Si, avete capito bene, proprio il silenzio.
Non appena aveva messo piede in casa, due settimane prima, Piton le aveva rivolto una sola, singola occhiata velenosa.
 
- In camera tua!
 
Le aveva detto.
E quella era stata l’ultima volta che Piton le aveva rivolto la parola.
Oltre che a sentirlo poco o nulla, lo vedeva piuttosto raramente.
 
Il più delle volte si chiudeva nel suo studio o lasciava la casa per giorni, senza dare alcuna informazione di dove andasse o cosa facesse.
Beh, nulla di nuovo comunque.
Ania sapeva ben poco degli affari del suo tutore, e nonostante la noia, tutto quel tempo in completa solitudine aveva iniziato a starle piuttosto bene.
Aveva a disposizione una casa intera, e soprattutto, aveva a disposizione lo studio di Piton, con annessa biblioteca privata.
Ah, che sogno la biblioteca di Severus.
Il reparto proibito di Hogwarts era una saga di fumetti per bambini, a confronto.
 
Il suo tutore aveva, nel corso degli anni, collezionato libri così occulti e così preziosi da non essere presenti in nessun catalogo di nessuna libreria del mondo.
Altri libri invece, erano così pericolosi da essere addirittura vietati dal Reparto Cultura e Apprendimento del Ministero della Magia.
 
Ed era proprio da quella miniera d’oro che Ania aveva “rubacchiato” quel sottilissimo e logoro libricino che ora teneva sul davanzale.
Una matita appuntita fungeva da segnalibro, separando le poche pagine che ancora le restavano da leggere.
 
Finalmente!
 
Le ci era voluta un’eternità per arrivare a quel punto, nonostante quel libricino contasse appena sessantasette pagine.
Anzi, per essere più precisi, sessantasei pagine e sei righe.
666
La sigla del diavolo.
Un dettaglio particolarmente intrigante, no? A questo andava aggiunto il fatto che solo il sei per cento dei lettori riusciva a completarne la lettura. Sempre se si aveva la fortuna di trovarselo tra le mani, essendo quello una delle pochissime copie ancora in circolazione.
La Granger avrebbe pianto a trovarsi un libro così tra le mani.
Ma non era per puro interesse culturale che Ania l’aveva sottratto a Piton, quel libro.
Magari fosse stato così.
 
In quel caso sarebbe stata solo un’impavida secchiona, e invece, c’era ben altro nella sua testolina, in quei giorni.
Giorni addietro, imbottita di emarginazione ed amarezza, una notte, aveva sognato il mare.
Non un mare qualsiasi.
Non una costa bella da morire.
Ma anzi un mare freddo e denso come il sangue.
E aveva sentito forte la necessità di recarsi proprio lì, a vedere quel mare.
 
Chiuse il libricino logoro e fece per nasconderlo scrupolosamente tra le divise scolastiche quando un ombra la fece sbandare di colpo.
 
- Severus! Mi hai spaventata… –
- Oh, desolato di girare per i corridoi di casa mia senza annunciarmi. Ti sto aspettando giù. Muoviti! –
- Cosa, perché?  –
- Per fare quello che si fa normalmente alle otto di sera, Ania. Mangiare. –
- Oh – si riscosse Ania, completamente dimentica dell’orario.
- Arrivo subito, finisco di sistemare e… - ma non riuscì a terminare la frase, poiché Piton le aveva già voltato le spalle ed era scomparso nella densa penombra del piano inferiore.
 
 
 
 
Il rumore di sedie spostate e il tintinnio delle posate sui piatti.
I passi striscianti del vecchio elfo di casa e lo schiocco dei piatti sporchi che sparivano dalla tavola.
Ma nessuna parola.
Anzi.
Ania credette di non aver nemmeno respirato per tutta la durata del pasto.
Arrosto di tacchino in agrodolce.
Insalata di patate e fagiolini.
Torta di melassa con prugne.
Succo di zucca.
Ottimo cibo, pessima conversazione.
 
Quando si furono alzati, pieni e sazi, come di consueto, Piton afferrò la Gazzetta del Profeta, e si sedette sulla sua solita poltrona in pelle bucherellata.
Il suo volto pallido venne illuminato delle calde fiamme scoppiettanti nel focolare e il suo profilo si proiettò sulle pareti antiche del soggiorno.
 
Quella era l’immagine che Ania più aveva a cuore di lui.
Chiariamo, non facevano nulla di speciale, semplicemente coesistevano in una stessa stanza, ognuno a farsi i fatti proprio, chiacchierando di rado e guardandosi appena.
Ma in quei momenti Piton, si svestiva di tutte le sue corazze (si, molto più di una) che indossava nel resto della giornata, ed era solo un uomo, con una figlioccia e un giornale tra le mani, il volto stanco e rilassato al tempo stesso.
 
Come detto, Ania adorava quell’immagine di lui e si spinse le unghie nelle mani, sapendo che da lì a poco l’avrebbe irrimediabilmente rovinata.
 
- Stavo pensando ad una cosa… - iniziò.
Piton non alzò lo sguardo, ma un sorrisetto beffardo gli spuntò sulle labbra.
 
- Mi rincuora sapere che tu riesca ancora a farlo.- bofonchiò sarcastico, sfogliando pigramente il giornale.
- Si, ehm, io… -
 
Avanti Ania.
E’ facile
 
- …stavo pensando di…-
 
Sputa fuori il rospo.
Ti sentirai meglio poi.
 
- …di non tornare ad Hogwarts. Mai più. –
 
Piton alzò lo sguardo, un sopracciglio alzato che tradiva la sua sorpresa, e poi, dopo qualche secondo, la sua approvazione.
 
- Sono sicuro che non ne sentirai la mancanza… -
 - E… -
- E? –
- Voglio vedere mia madre. –
 
Tutta l’approvazione e la mal celata contentezza di Piton svanì con di colpo.
Abbassò il giornale con un gesto secco e scrutò Ania in volto, con uno sguardo che avrebbe fatto tremare il settanta per cento degli studenti di Hogwarts, ma a cui Ania era ormai abituata da anni.
E che per la prima volta fece tremare anche le sue, di gambe.
 
- Impossibile. –
- Tra tre giorni Azkaban sarà aperta per le visite semestrali, sono più di cinque anni che non la vedo. –
- E farlo nel bel mezzo di una Guerra sanguinaria, con Azkaban pieno di Mangiamorte e Dissenatori ti sembra certamente una buona idea, immagino. Hai passato anni nella totale indifferenza verso… -
- Indifferenza? Io non… -
- SI indifferenza al suo stato più puro. Noncuranza se preferisci. Hai avuto la possibilità di incontrare  tua madre anni fa  e le hai voltato le spalle… -
- Avevo tredici anni, ero piena di rabbia! –
- E ora piena di scelleratezza!  - il suo tono autoritario rimbombò tra le pareti legnose, fin su nella canna fumaria, facendo tremolare anche le fiamme di spavento.
 
- Ti avevo avvisato riguardo Potter... –
- Cosa c’entra Harry con… -
- …Ti avevo avvisato dal primo istante, e ti avviso anche ora Ania. Resta al tuo posto. –
 
Con lo sguardo duro e la mascella tesa, Severus le rivolse un’ultima terribile occhiata, prima di rifugiarsi dietro le pagine inchiostrate di quel stupido giornale mentitore.
La discussione era finita.
Piton aveva recuperato una delle sue tante corazze, e per la prima volta da anni, ora la stava usando proprio con lei.
 
Ania lo sapeva, non era un ingrata.
Lui voleva solo proteggerla, dai pericoli, dalle insidie, dalle delusioni.
Eppure, adesso, la situazione era ben diversa, e ben più pericolosa.
Severus la stava proteggendo dalla verità.
 
 
 
 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Apollonia Storie