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Autore: Frieda B    24/05/2020    1 recensioni
Lui, freddo, cinico, spaventato da se stesso.
L'altro lui, bel sorriso, mancino, gran rompiscatole.
Due piloti, un solo aereo.
Aviazione tedesca, ai giorni d'oggi.
Genere: Guerra, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo IX
Piastrine militari
 
 
 
     Dalle sei del pomeriggio alla mezzanotte di ogni giorno, le caserme aprivano le porte ai soldati, i quali, se non avevano particolari compiti da svolgere, potevano uscire tranquillamente, a patto che tornassero per l'ora stabilita.
Così l'animo rimaneva elevato e la struttura militare non diveniva un istituto penitenziario.
Casomai qualcuno non volesse uscire, poteva usufruire della palestra o dello spaccio interno. Fumare, giocare a carte. Karl prima rimaneva spesso e, non avendo molto da fare, si allenava un po' o leggeva qualcosa.
Ma da quando Bastian era entrato nella sua scialba vita, portandosi dietro un sacco di buone iniziative e tre amici, si aveva sempre qualche cosa da fare.
Per esempio, quel giorno, decisero di andare al cinema.
     Alle 18:13 erano alla fermata dell'autobus, era la stessa che li conosceva da sempre, quella che accoglieva tutti i militari, di qualsiasi grado e generazione, giornalmente.
Accanto a loro cinque c'era solo una ragazza con una gonna rossa che reggeva le borse della spesa della nonna, una vecchietta piccola con enormi occhiali, ricurva sul bastone. Aveva i capelli bianchi, gli occhi neri e l'espressione furba.
Bastian aveva cercato più volte di stringere la mano del fidanzato, aveva cercato un contatto con lui ma non riusciva a trovarlo. Si piazzò davanti a lui e lo guardò negli occhi.
«Che hai?» chiese sottovoce.
«Niente» rispose quello corrugando la fronte. «Perché?»
«E allora, se non hai niente, perché non mi dai un bacio?»
L'autobus sarebbe passato tra tre minuti.
«Perché siamo proprio dietro la caserma.» Fece un cenno. «Non mi va che ci vedano, lo sai.»
«Sì, va be'...» lui sbuffò e ficcò le mani in tasca. Aveva dei pantaloncini grigi ed una camicia celeste con su delle minuscole palme stilizzate, bianche e blu. Le scarpe, anch'esse blu. Era abbastanza vanitoso... ed era sempre difficile farlo uscire in orario.
Si allontanò andando vicino la vecchia e la ragazza, leggermente infastidito.
Bart, Bert ed Achim si scambiarono un'occhiata.
Robert disse, per allentare la tensione: «Vi ricordate quando Bild pubblicava foto di donne in topless?»
Rispose svelto Joachim, con una specie di broncio sul volto innocente e minuto. «Assolutamente. Non potete capire quante diottrie ho perso con quella roba.» Gli altri due risero e lui continuò: «Peccato abbia smesso.»
«Già, l'8 marzo 2012.»
«Dio, Robert, sei inquietante» rise.
Bastian si era appoggiato ad un muretto lontano da tutti, ancora un po' nervoso. Tirò fuori un pacchetto e un accendino da una tasca dei pantaloncini e stava per accendersi una sigaretta, quando vide l'autobus avvicinarsi e pensò a quanto fosse stato stupido; era talmente sovrappensiero... comunque non avrebbe resistito a lungo senza fumare.
     La vecchia e la ragazza furono invitate a salire per prime sul mezzo di trasporto da quei cinque galantuomini, poi lui timbrò il biglietto e andò a cercarsi un posto tra i sedili in fondo. Sedette e ben presto concentrò l'attenzione dei suoi occhi chiari fuori dal finestrino, in silenzio.
Karl sentiva che se non avesse subito preso posto accanto a lui, la piccola freddura che si era creata non sarebbe tornata molto in fretta a temperatura ambiente. Non potendo permettersi che un estraneo occupasse il sedile, si accomodò svelto.
Rimase in silenzio per un po'. Poi sospirò via il suo, di fastidio, e rivolgendo le spalle al mondo, si voltò verso di lui.
«Mi terrai il broncio tutto il giorno perché non ti ho dato uno stupido bacio? Quanto sei immaturo.»
Bastian non rispose. Fece un cenno scocciato con la mano che poi si passò sulla coscia e sul ginocchio, distrattamente. Aveva appena deciso di stare zitto, quando le sue labbra, del tutto autonome, si schiusero e parlarono.
«Perché invece, a quasi venticinque anni, è maturo continuare a nascondersi, vero?»
L'altro rimase in silenzio per qualche secondo. La sua mente ultimamente gli giocava brutti scherzi. Gli si parò davanti l'immagine di un padre omofobo fino al midollo, un uomo di campagna anziano e bruto, con la cintura in mano e gli occhi a poco fuori dalle orbite. Tacque. Socchiuse gli occhi e poi mugugnò: «Non m'interessa quello che dici. In caserma non devono saperlo. Lo sai benissimo anche tu.»
«Ma non siamo in caserma!» sbottò lui.
«E la stessa cazzo di cosa, 'Stian.»
«Tu hai paura ovunque, Karl. Ovunque.»
«Non è affatto vero! Esageri solo perché sei arrabbiato e vuoi avere ragione.»
«Sì, certo» lo assecondò.
Dal finestrino lo sfondo scorreva a ritmi irregolari. Ora più veloce, ora più lento. Le persone per strada conversavano tra loro senza litigare e questo suscitò in lui una sorta di rabbia. Vedeva il sergente Eisner, alla sua destra, il suo fidanzato insomma, con le braccia strette al petto ed i muscoli della mascella irrigiditi. Gli piaceva l'insieme di lui in quel momento, lo trovava bello, ma non poteva dirglielo.
«Vuoi sempre aver ragione» lo sentì dire. Vide i suoi occhi scuri fissi davanti a sé, come se stesse ricordando qualcosa. Noto le dita strette intorno al braccio. Si sentì in colpa. A volte dimenticava quello che aveva passato. Cercò di sdrammatizzare e quindi di fare pace.
«Certo, perché sono un tuo superiore» mormorò e sorrise leggermente. «Dammi la tua piastrina, Eisner.»
Karl si rilassò di colpo e lo fissò senza capire.
«Allora, Unteroffizier?»  chiese sollecito l'altro.
Lui si tolse dal collo la medaglia con nome, cognome, gruppo sanguigno e matricola e la sistemò in una delle sue mani aperte. «Tieni.»
Bas la prese e se la mise anche lui al petto. Sulla propria, entrambe vicino al cuore, che splendevano un poco alla luce che filtrava dal finestrino. Soddisfatto, guardò tra i sedili, chiedendosi dove fossero gli altri tre, li scoprì dalla parte opposta dell'autobus.
«Te la ridarò quando torneremo in caserma, Eisner.»
Karl avrebbe voluto riaverla molto prima. Ma non volle ribattere per poi litigare ancora. Perciò annuì, e poi scrollò le spalle. «Se non la perdi prima» lo stuzzicò.
 
 
     Il cinematografo “Himmel und Hölle” aveva una vecchia insegna di legno dal sapore vintage. Ed un piccolo pannello rettangolare al neon. Sull'insegna, un angioletto ed un diavoletto chinati in avanti nella stessa posizione, con gli abiti dello stesso colore e la pelle anche, praticamente uguali fatta eccezione per le due piccole corna di uno e l'aureola dell'altro, reggevano il nome, scritto con l'inchiostro nero. La porta era a vetri e la maniglia rivestita in legno. All'interno, tutto ricordava altri tempi.
Quando entrarono, fu il proprietario ad accogliergli. Allisciò i baffi castani e si avvicinò a loro, calibrando bene i passi. «Miei cari signori» li salutò.
Aveva le maniche della camicia blu a righe sottili bianche tirate sui gomiti, lasciando in questo modo scoperte le braccia. Si vedeva bene uno dei suoi tatuaggi, sulla destra. Una schiera di angeli. Aveva un modo di fare paterno e affidabile. Quando continuò a parlare, nel suo tono di voce c'era una nota di dolcezza. «Da quanto tempo non vi si vede!» Sorrise. «Come state?»
Era il cinema più vicino alla caserma e quasi tutti i soldati lo frequentavano.
Philipp von Kochel ricordava i loro nomi e i loro volti. Aveva davvero un'ottima memoria. Circa quarantatré anni d'età, capelli scuri lunghi con qualche filo bianco, più sottile delle piccolissime righe della sua camicia.
I ragazzi lo adoravano, specie Bastian. «Salve!» esclamò. «Benone. Lei?»
«Oh, mio caro sergente maggiore!» gli scoccò un'occhiata furba. Non gli sfuggiva niente. Aprì le braccia imitando l'Altissimo e rispose, pacato: «Meravigliosamente.»
Sfiorò con le dita una delle bretelle blu e si avvicinò alle locandine, indicandole.
«Con quale film avete intenzione di deliziarvi quest'oggi?»
Barthold toccò con lo sguardo ogni locandina. «Bas, dillo che non vedi l'ora di... ecco, apppunto.»
Lo trovò davanti una locandina dai toni rossastri. “Planes 2: Immer im Einsatz.” Svariò gli occhi. «Sei prevedibile.»
«Lo riguardiamo? Vi prego, vi prego!»
Karl gli si affiancò ed ebbe subito da obiettare. «'Stian, no. È un film per bambini e lo abbiamo già visto. Non possiamo rivederlo ogni volta che lo rimettono in uscita. Me lo hai anche fatto rivedere in streaming! Non ci pensare neanche.»
Philipp esordì: «Nessun film è veramente solo un film per bambini.»
A Karl non piacevano le intromissioni, perciò non lo degnò neanche di uno sguardo.
Quello proseguì col suo dire: «Anzi, vi dirò: i cosiddetti “film per bambini” contengono i messaggi più profondi e belli. Ordunque, vi consiglio sentitamente questo “Planes 2.” Sempre che abbiate visto il primo, naturalmente.»
«Lo abbiamo visto e lo abbiamo trovato fantastico» mugugnò Bas. Poi volse lo sguardo verso il fidanzato. «Dai...» Cercò la sua mano e la strinse. «Dai...»
«Non farmi gli occhi dolci» brontolò l'altro.
Bastian sogghignò. Poi avvicinò le labbra al suo orecchio e disse qualcosa.
Nessuno sentì una sola parola.
Ma alla fine, Karl pareva convinto, anche se sospirava. Presero i biglietti usufruendo dello sconto che avevano in quanto militi ed attesero l'inizio del film, ma non poterono farlo comodamente seduti ai loro posti, perché in sala stavano ancora proiettando il film precedete e quindi per loro non ci sarebbe stato posto.
Nell'attesa Philipp intrattenne i suoi ospiti come il padrone di casa nel proprio salotto. Conversando cordiale e scambiando con loro chiacchiere di circostanza.
Bastian si complimentò per il tatuaggio, che a suo avviso era molto ben fatto e lui confessò che non era l'unico.
«Ho una schiera molto simile, ma di diavoli, tatuata sull'avambraccio destro; una croce sul petto e poco altro.» Sorrise. Gesticolava un poco quando parlava. Sollevò di più la manica della camicia sul braccio destro per mostrare ciò di cui parlava. Per lui i tatuaggi che aveva sulle braccia racchiudevano il mondo e, più precisamente, il dualismo bene-male insito nell'uomo fin dalle prime pagine della Sua storia. Ecco il perché del nome del cinema, Himmel und Hölle, inferno e paradiso; microcosmo e macrocosmo dell'uomo. Secoli di storia racchiusi in tre semplici parole. Dopo essersi inumidito le labbra, gli occhi nocciola saettarono sugli occhi verdi del suo giovane interlocutore. «Qualche tatuaggio?» sussurrò come se rivelasse un segreto.
Il ragazzo annuì: «vorrei. Alles, was mich entumutigt, mich zum fliegen veranlaesst. Tutto ciò che mi uccide, mi invoglia a volare. È la frase di una canzone, solo che l’ho tradotta in tedesco. Non so se tatuarmela in tedesco o in inglese. Devo ancora pensarci.»
«Che frase importante. Maestosa, oserei.» Puntò gli occhi nocciola sui suoi verdi. «E dimmi, giovanotto, credi che volare sia così semplice?»
Bastian lo guardò senza capire. «Ma certo» rispose svelto. «Io sono un pilota.» Tradì un po' della sua arroganza, Philipp ne ridacchiò. «Naturalmente, non mi riferivo alla tua carriera.»
«Ah... no?»
«No.»
«E a cosa?» Il sergente maggiore, giovanissimo, forse troppo per avere un grado così importante, esitò.
Philipp tacque un momento, con due dita scivolò sul suo petto (Karl lo fissava insistentemente), lo carezzò come se volesse rimuovere la polvere per poi prendere una delle due medagliette metalliche tra le dita. Lesse il nome. Karl Eisner.
«Bisogna avere il cuore leggero per volare.»
Bas era confuso, ma gli diede corda. «Lo so» rispose piano. «Bisogna amare il cielo. Il sole, la luna. Le stelle.»
«Se stessi- fece l'altro, lasciando andare la piastrina sottile che tintinnò sull'altra. «Bisogna amare soprattutto se stessi.»
«Certo. Non avere pensieri.»
«O avere quelli giusti.»
Il ragazzo esitò. E quasi a giustificarsi, disse: «Io sono un buon pilota, mi creda.»
Suscitò un'altra risata affettuosa nell'uomo. «Oh, ma io non lo metto in dubbio. In verità, io non parlavo di questo. Volete scusarmi?»
Sorrise paterno e si allontanò per salutare qualcun altro, una coppietta appena arrivata.
Il film sarebbe iniziato tra qualche momento e Bastian pareva sconvolto.
 
 
     Erano seduti.
Fila J, posti 12, 13, 14, 15 e 16. Le luci erano già spente, sul maxischermo erano proiettate alcune pubblicità. Bastian e Karl erano seduti vicini. Quest'ultimo mugugnò: «Siamo attorniati da bambini.» Sospirò e lasciò andare la nuca contro lo schienale.
«Non è così male» rispose Achim cercando di essere ottimista.
«Spero che i marmocchi non inizino a parlare.»
«'Stian, l'altra volta ti sei fatto rimproverare da una bambina di 4 anni e hai avuto pure il coraggio di guardarla male.»
Il sergente maggiore ridacchiò. «Era una bambina antipatica.» E appoggiò la testa alla sua spalla. Intrecciò le dita alle sue e puntò gli occhi chiari sullo schermo.
 

     Finito il film, salutarono Philipp ed uscirono dal cinema.
«Rob, torniamo in caserma a finire quella cosa?» chiese Barthold.
«Che dovete fare voi due?» insinuò Bas.
Era scesa la sera. C'era un piacevole venticello e la luna era a poco più che un terzo dal suo splendore.
Robert gli fece una smorfia e poi, insieme al coopilota, si allontanò. Ma prima chiese a Joachim che avesse intenzione di fare.
«Ah... torno con voi in caserma. Mi scoccia rompere le palle ai due piccioncini.»
Karl sorrise imbarazzato.
Bastian rise stringendosi a lui, in cerca di calore, affetto, protezione. «Guarda che abbiamo passato da tempo la fase da piccioncini.»
«Ammesso che l'abbiate mai avuta, Kluge,» fece Bart.
«Tu e Rob l'avete adesso, Riemelt?»
Qualche minuto dopo si separarono.
Bastian si voltò e baciò Karl. «Ce l’ho ancora la piastrina, hai visto? Non te l’ho persa.»
Karl gli cinse la vita e svariò gli occhi. «Mi stai stupendo,» fece ironico. Si chinò per baciarlo una seconda volta, si sentiva protetto dagli alberi alti.
Bas rise piano e gli portò le braccia al collo, lo strinse a sé e continuò a baciarlo, prolungando quell’unione. Tra i baci, sorrideva, poi lo baciava ancora, con gli occhi socchiusi, e ogni tanto gli carezzava i capelli. «Ti va se facciamo una passeggiata?»
«D’accordo.»
«E…»
«Puoi darmi la mano, sia mai che ti perdi per strada poi…»
Bastian gli diede un pugno sul braccio, ridendo. «Che stronzo!»
Dopodiché intrecciò le dita alle sue e cominciarono a camminare. Le due piastrine militari si muovevano allo stesso ritmo, sul petto di Bastian Kluge.
 
 
   
 
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