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Autore: Juliet_Stories    27/05/2020    1 recensioni
Quando l'obiettivo è la salvezza del mondo e il fallimento la sua distruzione, cosa si è disposti a rischiare? Quante vite, quanto dolore? Anche se solo all'inizio del suo viaggio, Katie deve già imparare una dura lezione di vita. Costretta a farsi carico di un ruolo, quello della Prescelta, che non ha mai voluto, dovrà lottare con le unghie e con i denti contro nemici agguerriti e anche contro sè stessa. Sorretta da compagni di viaggio alquanto insoliti, si troverà a viaggiare nel tempo, fino al Medioevo, facendosi strada in mezzo a battaglie sanguinose e trappole oscure e crudeli. Un viaggio difficile, con un'alba tinta di rosso e fosche nubi all'orizzonte.
“Stava piangendo. I fantasmi delle sue vittime lo tormentavano e non riusciva a perdonarsi il fatto di aver spento tutte quelle vite, di aver spazzato via tutte le loro speranze... Me ne andai perché non avrei saputo cosa dirgli, come consolarlo. Non avevo risposte alle sue domande. I fantasmi che lo torturavano erano gli stessi che popolavano i miei incubi, il suo tormento uguale a quello che non mi faceva dormire la notte…”
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 2
Legami traditi
 
La luce forte del mattino filtrava attraverso le tende. Katie strinse gli occhi, gemendo, e si ritirò sotto le coperte, cercando di riaddormentarsi, ma ormai era sveglia e la possibilità di riprendere sonno svanita.
Sbadigliò, stiracchiandosi. Cominciava ad avere caldo, ma il pensiero di quello che la aspettava di sotto bastava a farla rimanere a letto. Fece una smorfia al ricordo della sera prima: i suoi genitori non le avevano fatto domande, ma erano turbati e molto preoccupati e dopo aver visto che lei stava meglio sarebbero cominciate le pressioni per sapere cos’era successo. E lei come avrebbe potuto spiegarlo? Quello che era successo era talmente inverosimile che non avrebbe mai avuto il coraggio di raccontarlo, e d’altronde come avrebbero mai potuto credere ad una storia del genere?
Gemette, tornando a rintanarsi nel letto. Non sarebbe mai più uscita da quella camera, non aveva il fegato di affrontarli. Eppure...
Scosse la testa, mentre la sua mente tornava di nuovo a ciò che era successo al lago. Adesso le sembrava tutto distante e irreale, ma era successo veramente, non era stato un sogno. Quella luce era vera, ne aveva persino sentito il tocco, caldo e confortante, sulla mano. Sospirò, osservando amareggiata il cielo che riusciva ad intravedere dalla finestra. Anche quel sogno era vero, allora? L’auto che correva sulla strada ghiacciata e un’ombra che non aveva mai ricordato prima...
Strinse a sé le coperte, cercando di capire. Perché dopo tanti anni? Perché prima di quella notte non aveva mai ricordato la verità sull’incidente? Non era una cosa che avrebbe dimenticato facilmente, anche se era ancora molto piccola, le sarebbe rimasto impresso nella mente, tormentandola senza sosta. Ci sarebbe stato qualcosa, al posto del vuoto che aveva avuto per diciassette anni.
Fissò lo sguardo sul soffitto, mentre un’ipotesi si faceva strada nella sua mente: e se ci fosse stata una ragione dietro quel ricordo improvviso? E se, in qualche modo, quello che era successo al lago l’avesse influenzata tanto da costringerla a ricordare qualcosa che aveva volontariamente rimosso?
Si tormentò le mani, pensierosa. Effettivamente poteva essere una spiegazione. Dopotutto, quello che era successo quella notte era ben più strano, perchè allora non credere che i due eventi potessero essere collegati? E forse quell’orologio, che la notte prima aveva trovato così affascinante, poteva essere la risposta alle sue domande.
Sospirò, lasciando da parte quell’ipotesi per concentrarsi sui problemi più immediati. Non appena fosse scesa, infatti, sarebbe stata subissata di domande e avrebbe dovuto dare una spiegazione che fosse convincente. Raccontare la verità sarebbe stato inutile e assurdo; la fiducia dei suoi genitori era già appesa ad un filo sottile e lei non avrebbe di certo raccontato qualcosa di così inverosimile da rischiare di tranciarlo di netto. No, doveva trovare qualcosa di ordinario, qualcosa a cui avrebbero facilmente creduto.
Ci mise qualche minuto per riuscire a costruirsi una storia adatta, poi qualche altro minuto per migliorarne i dettagli; quando alla fine si sentì pronta, scese dal letto e si affrettò a cambiarsi prima che la sua determinazione svanisse.
Al piano di sotto, esattamente come aveva immaginato, Marie e Ted la stavano aspettando, seduti uno accanto all’altra sul divano, lo sguardo perso oltre la grande porta a vetri. Non appena entrò si voltarono verso di lei e Marie si alzò, attraversando la stanza per abbracciarla.
“Finalmente ti sei svegliata! Come ti senti?”
Katie sorrise, sciogliendosi dall’abbraccio e sedendosi sulla poltrona davanti ai genitori.
“Sto molto meglio, mi serviva solo una buona notte di sonno.”
Ted la fissò, lo sguardo severo fisso sul suo viso.
“Ci potresti spiegare cos’è successo esattamente? Eravamo preoccupatissimi, abbiamo chiamato praticamente tutto il vicinato e stavamo per avvertire la polizia.”
La ragazza annuì; sentiva il corpo rigido e il cuore battere a mille, ma sapeva di doversi mostrare tranquilla, addirittura rilassata. Se non fosse riuscita a mentire alla perfezione, sarebbe andato tutto a rotoli in un attimo.
“Lo so, mi dispiace tantissimo avervi fatto preoccupare, non volevo. Ieri pomeriggio sono andata alla radura a studiare un po’, ma senza volerlo mi sono addormentata e quando alla fine mi sono svegliata era già notte fonda.”
A quelle parole Marie sgranò gli occhi.
“Ti sei addormentata? Katie, è pericoloso, lo sai! Cosa sarebbe successo se un animale ti avesse attaccata?”
“Lo so mamma, ma mi sono addormentata senza nemmeno rendermene conto! La scorsa notte ero talmente concentrata a studiare che non mi sono resa conto dell’ora e sono andata a letto davvero tardi, per cui penso semplicemente di aver ceduto al sonno.”
Ted scosse la testa.
“Sei stata davvero imprudente, credevo ti avessimo insegnato a fare attenzione quando sei nel bosco. Poteva succederti di tutto, è stata davvero una fortuna che tu sia tornata a casa tutta intera. Ci hai deluso, Katie.”
La ragazza abbassò lo sguardo, mentre una stilettata di dolore le trapassava il cuore. Si era aspettata quella reazione, ma non per questo faceva meno male sentirselo dire.
“E come mai eri bagnata fradicia con quel freddo?”
“Quello è stato un incidente, sono stata una stupida. Quando mi sono resa conto di quanto fosse tardi ho cominciato a correre verso casa, ma mi sono avvicinata troppo alla riva e sono scivolata.”
Silenzio.
Katie tenne gli occhi ostinatamente bassi, rifiutandosi di incontrare lo sguardo scettico del padre o quello incredulo della madre. Stava rischiando, ne era consapevole, ma quella era l’unica spiegazione plausibile che poteva offrire ai suoi genitori; d’altronde, ben sapendo quanto lei potesse essere distratta, non avrebbero dovuto farsi troppi problemi a crederle.
“Mi stai dicendo che sei scivolata e sei caduta nel lago?”
La ragazza annuì, lanciando un’occhiata fugace al volto sempre più scettico di Ted, e cominciò a sudare freddo.
“Be’, conoscendoti non è poi così improbabile.”
Katie alzò lo sguardo verso sua madre che le sorrideva, un po’ divertita.
“Sei sempre stata con la testa tra le nuvole, Katie, ma questa volta hai davvero superato te stessa. Vorrei che tu facessi più attenzione, ma non mi dai mai retta.”
Lei sorrise a sua volta, mentre dentro di sè moriva per il senso di colpa; era davvero giusto mentirle in quel modo? Se aveva fatto la scelta migliore, perchè si sentiva così?
“Non lo faccio apposta, mamma, davvero. È che sono fatta così, almeno credo.”
Ted scosse la testa.
“In ogni caso sei stata un’irresponsabile e hai fatto preoccupare tantissimo tua madre. Hai molto su cui riflettere, signorina, e se non fosse che oggi avremo visite, saresti già chiusa in camera tua.”
“Quali visite?”
“Tua zia Sophie. Ha chiamato poco fa, avvisandoci che avrebbe fatto un salto a vedere come vanno le cose.”
A quelle parole Katie si impietrì sulla poltrona. Sophie. Non era mai riuscita a sopportare quella donna, nonostante fosse la sorella di sua madre, e quel sentimento era pienamente ricambiato; ogni volta che si incontravano, Katie non leggeva altro che odio e indifferenza in quei freddi occhi grigi.
Motivo per cui non faceva certo i salti di gioia all’idea di dover passare tutto il pomeriggio in sua compagnia, ma quella volta, oltre alla frustrazione, alla rabbia e all’impotenza, avvertì anche qualcos’altro; un sospetto. Quella visita, con un così breve preavviso, non era affatto da Sophie. Di solito li informava almeno una settimana prima, in modo da dare loro il tempo di riceverla “in modo consono alla sua posizione sociale”. Oltretutto si premurava di visitarli solo una volta all’anno, per riscuotere le rate di un vecchio prestito concesso alla sua famiglia in un momento di difficoltà. Un momento che, come Sophie non mancava mai di ricordarle con cattiveria e arroganza, coincideva con il suo arrivo.
Aggrottò la fronte, cercando di fare mente locale: se non ricordava male non era passato molto dall’ultima visita, forse solo un paio di mesi. Perché quindi arrivare così all’improvviso? Il suo primo pensiero fu che si fosse stancata di mantenere la sua facciata di donna caritatevole agli occhi degli amici altolocati di quell’aristocratico del marito e avesse deciso di richiedere indietro l’intera somma che ancora le dovevano, ma scartò presto quell’ipotesi. Nonostante avesse cercato di starle alla larga il più possibile conosceva sua zia, e soprattutto conosceva la sua vanità: non avrebbe mai rinunciato alla sua maschera, così attentamente costruita. No, doveva essere successo qualcosa in quelle ore, qualcosa che l’aveva obbligata a venire da loro, ma cosa?
Fissò, senza vederlo, il panorama fuori dalla vetrata, mentre un orribile sospetto si insinuava nella sua mente. Certo che qualcosa era successo, qualcosa di così incredibile e senza senso che lei non avrebbe mai raccontato a nessuno. Poteva essere quell’orologio il motivo per cui Sophie si stava affrettando a raggiungerli? Poteva conoscere qualcosa che nessuno sapeva a parte lei?
Chiuse gli occhi, cercando di allontanare quel pensiero assurdo, ma per quanto si sforzasse non riusciva a cacciare quell’idea dalla sua mente. Per tutto il resto della mattinata continuò ad affiorare quando meno se lo aspettava e quel sospetto continuò a crescere dentro di lei. Pensare che sua zia conoscesse il suo segreto era assurdo, ma cosa di quello che era successo quella notte non lo era?
“Katie? Katie!”
Sentendo la voce della madre chiamarla si riscosse dai suoi pensieri, scuotendo leggermente la testa per cercare di tornare alla realtà.
“Scusa mamma, ero sovrappensiero. Ti serve aiuto in soggiorno?”
“No, ormai abbiamo finito. Puoi andare ad accogliere Sophie? Mi è sembrato di sentire una macchina entrare nel vialetto.”
Con un sospiro Katie annuì, poi si incamminò verso la porta. Rimase immobile qualche secondo con la mano appoggiata sulla maniglia, pregando con tutte le sue forze che sua madre si fosse sbagliata, che non ci fosse ancora nessuno dietro quella porta. Naturalmente non era così.
“Katie! Tesoro, quanto tempo che non ci vediamo! Ma fatti guardare un po’, sei proprio cresciuta in questi mesi. Ah, la giovinezza!”
Katie si sforzò di sorridere e di ricambiare i saluti, ma nel frattempo la osservava attentamente, cercando di cogliere eventuali stranezze nel suo comportamento. Eppure sembrava tutto normale, esattamente come le altre volte. Sophie era sempre la stessa donna irritante, imprigionata per l’eternità in quegli abiti soffocanti che tanto adorava. Che le sue fossero quindi solo paranoie senza fondamento?
Con la mente in tumulto si fece da parte per farla entrare e cercò di rispondere con tutto il garbo di cui era capace alle sue domande sulla scuola, ma non si lasciò ingannare dalla sua apparenza gioviale. Era frustrante dover assistere con il sorriso a quell’incredibile dimostrazione di falsità e sfacciataggine, ma anche se il disprezzo cresceva dentro di lei, davanti ai suoi genitori non poteva mostrarsi che affabile e gentile. Il loro bene era l’unica cosa che le impediva di fuggire ogni anno da quegli interminabili incontri.
“Quanto è cresciuta! Davvero, quando ha aperto la porta per poco non la riconoscevo. Voi...”
Katie si accomodò meglio sulla poltrona, ben sapendo che la aspettava almeno un’ora di chiacchere insensate prima che Sophie rivelasse il vero motivo del suo arrivo. Così lasciò vagare la mente, cercando di estraniarsi da tutto ciò che la circondava, finchè una sola parola la riportò bruscamente alla realtà.
“...ed è un vero peccato che Lucas non si sia ancora fatto sentire. Me lo ricordo ancora quando era bambino, un vero angelo! Ho sempre invidiato quei suoi boccoli dorati. E poi facevamo delle lunghe chiacchierate e mi raccontava sempre tantissime cose interessanti! Ad esempio mi raccontava della tua radura, Katie, e di quanto ti piacesse andarci anche per ore intere. Confesso di essere sempre stata curiosa di vederla, ma purtroppo non saprei come arrivarci da sola.”
A quelle ultime parole Katie si impietrì sulla poltrona, mentre un brivido gelido le scendeva lungo la schiena. Sapeva, ne era certa. Sapeva della radura e di sicuro sapeva anche dell’orologio, nascosto sulla riva. Quel suo improvviso interesse non ne era forse la prova? E non lo era anche quel sorriso soddisfatto, come se avesse già il bottino tra le mani?
La ragazza lanciò un’occhiata disperata a Marie, cercando il suo sguardo, per farle capire che doveva rifiutare, che doveva dirle di lasciar perdere. Perchè conosceva sua madre e già sapeva come le avrebbe risposto.
“Ma non ci sono problemi! Se ti va di fare una passeggiata Katie ti può accompagnare, sono sicura che anche lei ne sarebbe felice, non è vero?”
A quelle parole il sorriso di Sophie si allargò ancora di più, mentre l’umore della ragazza sprofondava. Come aveva potuto sperare che Marie rispondesse diversamente? Lei non si era mai accorta della vera natura di sua sorella, non l’aveva mai sospettata. Quante volte si era sentita frustrata dal suo atteggiamento così spensierato e incosciente verso il mondo.
“Ah, che bello! Tra l’altro una passeggiata dopo essere stata tanto seduta sarà davvero tonificante. Katie, che ne diresti di andarci subito? Stanno arrivando dei nuvoloni scuri, sarà meglio affrettarsi se non vogliamo essere sorprese dal temporale.”
“Giusto, il temporale! Sarebbe da imprudenti andare adesso, non credi zia? Ti posso sicuramente portare la prossima volta, quando il tempo sarà migliorato.”
Sophie ridacchiò, ammiccandole amichevolmente.
“E dove sarebbe il divertimento?”
“Ma…”
“Marie, tesoro, non ti devi preoccupare di nulla. Non farei mai correre a Katie un pericolo inutile. Saremo di ritorno molto prima che inizi a piovere, hai la mia parola.”
A quelle parole Marie fissò indecisa la sorella per qualche secondo, poi le sorrise.
“Va bene allora, non credo ci siano problemi. Katie, ti prendo la giacca!”
Senza alzare lo sguardo Katie annuì, sforzandosi di celare la rabbia impotente che la divorava, mentre il suo cervello ribolliva alla ricerca di una via d’uscita da quella situazione. Continuò a pensarci mentre salutavano Ted e Marie, uscendo nell’aria pesante che precedeva il temporale. Fu solo quando Sophie le posò una mano sulla spalla che si riscosse dai suoi pensieri, e in tutto quel tempo non era riuscita a escogitare nulla di utile. La zia intanto le sorrideva malignamente, quasi avesse intuito le sue intenzioni.
“Allora, andiamo?”
Katie rabbrividì sotto quello sguardo avido, ma poi si sforzò di assumere un’espressione distaccata e annuì. Non voleva darle la soddisfazione di vedere quanto quella richiesta l’avesse punta sul vivo e non solo per la storia dell’orologio. Quella radura era sempre stata il suo santuario, il suo rifugio per i momenti di tristezza e per quelli di gioia. Quel lago traboccava di ricordi e pensare di portare Sophie laggiù la infastidiva più di quanto volesse ammettere, ma non le avevano lasciato altra scelta.
Cominciò a camminare, la sua mano sempre sulla spalla. Non ne era sorpresa, sapeva perfettamente perchè la teneva così stretta; non voleva che lei riuscisse a fuggire, nel caso in cui ne avesse avuta la possibilità. Ma Katie non l’avrebbe mai fatto, sarebbe stata una mossa inutile e che le avrebbe permesso di guadagnare soltanto pochi minuti; come avrebbe potuto spiegare a sua madre quella fuga? Senza parlare del fatto che Sophie avrebbe trovato un’altra scusa per costringerla a portarla alla radura e il tutto senza neppure troppi sforzi. No, fuggire non era la soluzione.
Digrignò i denti quando la stretta sulla sua spalla divenne più forte.
“Sai Katie, non avrei mai immaginato che ti potessi trovare coinvolta in tutto questo. A dire la verità non ho mai visto il minimo potenziale in te, ma a quanto pare mi sbagliavo. Che cosa curiosa, sembra che il destino riservi un’attenzione quasi morbosa alla nostra famiglia.”
Katie alzò lo sguardo verso di lei, mentre paura ed eccitazione si mescolavano nella sua mente.
“Che cosa intendi dire? Cosa c’entra la nostra famiglia?”
Sophie alzò un sopracciglio, scettica, poi un sorrisino comparve sul suo viso.
“Ah capisco, tu non sai nulla quindi. Immagino che abbia voluto tenerti lontana da tutto questo, ma sembra che il suo tentativo sia miseramente fallito. Peccato che lui non sia qui ad assistere alla disfatta del suo grande piano per proteggerti.”
“Di chi parli? Chi è lui?”
La zia sbuffò.
“Non crederai davvero che abbia il tempo o la voglia di rispondere. Sono qui per un motivo preciso; una volta che avrò trovato ciò che sono venuta a cercare, non avrò più bisogno del tuo aiuto.”
Katie si morse il labbro, cercando di tenere a freno l’enorme quantità di domande che quelle poche frasi avevano fatto nascere in lei. Qualcun altro della sua famiglia, oltre a lei e Sophie, era coinvolto in quegli eventi; ma chi? Qualcuno della sua famiglia adottiva? O invece si stava riferendo alla sua famiglia naturale, che lei non aveva mai conosciuto?
“E che cosa vuoi?”
Sophie ridacchiò.
“Avanti Katie, non trattarmi come un’idiota. Sappiamo entrambe cosa è successo ieri notte e che cosa c’è esattamente in quella radura.”
A quelle parole la ragazza strinse i pugni, mentre la disperazione cominciava ad erodere le sue speranze. Come temeva, sapeva tutto.
“Non l’ho raccontato a nessuno. Come hai fatto a saperlo?”
La zia scrollò le spalle.
“Ho i miei metodi e ti assicuro che sono molto affidabili. D’altronde eravamo preparati; sapevamo che era solo questione di giorni.”
“Sapevamo?”
Sophie si portò una mano alla bocca, un’espressione sorpresa in viso, ma dopo qualche secondo rise, divertita dall’espressione speranzosa che era comparsa sul viso di Katie prima che lei potesse nasconderla.
“Sei davvero un’ingenua. Cerchi ancora di carpirmi informazioni, non è così? Dovrai accumulare molta più esperienza se davvero vorrai ingannare le persone. È un’arte che va affinata per anni.”
“E tu sei senza dubbio esperta a proposito.”
“La modestia non è certo una mia dote e nell’arte dell’inganno sono una vera maestra. Nessuno ha mai sospettato di me, nessuno tranne te; dovresti esserne orgogliosa, Katie. Tu sei l’unica persona che ha mai davvero intuito che cosa ci fosse sotto questa facciata.”
“A quanto pare però non mi è servito a molto.”
Sophie rise di nuovo, rafforzando la presa sulla sua spalla.
“Non te la prendere, d’altronde non avevi altra scelta che accompagnarmi. È questo il segreto; stringere la preda in un angolo e chiuderle tutte le vie di uscita, finchè non sarà costretta a prendere la strada che hai già scelto per lei.”
Katie sospirò, mentre la rassegnazione ormai cominciava a prendere il posto della rabbia. Si rendeva conto sempre di più, con ogni minuto che passava, che Sophie aveva attentamente pianificato la sua visita, mentre lei, essendo stata colta alla sprovvista, non aveva avuto modo di sfuggirle. Davanti a lei cominciava già a scorgere la radura e quando anche gli ultimi alberi si diradarono dietro di loro fissò lo sguardo sulla riva del lago. Quanto ci avrebbe impiegato a trovare l’orologio? Qualche minuto, forse mezz’ora? Ormai non aveva dubbi che alla fine sarebbe riuscita nel suo intento. Quel piano, qualunque fosse, era stato preparato con cura; sua zia non era sola in quella missione anzi, aveva informazioni talmente precise da farle pensare che, quella notte, ci fosse stato davvero qualcuno a spiarla, tra gli alberi. Non aveva forse avvertito la sensazione di essere osservata?
“Eccoci arrivate, finalmente. Ora aspettami qui e cerca di evitare di fuggire, va bene? Ti riprenderei subito e fidati, non sarebbe affatto piacevole.”
Katie non le rispose e tenne lo sguardo fisso a terra. Non poteva fare nulla per fermarla, ma non voleva vedere il suo sorriso trionfante, non voleva vederla ghermire l’unico indizio concreto che avesse mai avuto sul suo passato. Stare lì immobile, mentre anche l’ultima speranza di ritrovare sua madre, di scoprire qualcosa sui suoi genitori improvvisamente svaniva... Le sembrava di sentirsi squarciare il petto in due. Era una sensazione insopportabile, eppure non si mosse. Sopportò in silenzio in attesa che Sophie finisse la sua ricerca, in attesa di vedere l’orologio tra le sue mani, mentre la sua mente era interamente occupata a pensare a nuovi e sempre più improbabili piani di fuga. Ma quando, dopo un quarto d’ora, la zia tornò verso di lei, le sue mani erano vuote e sul suo viso erano evidenti la rabbia e la frustrazione.
“Dov’è? L’hai nascosto a casa? O l’hai portato con te?”
Katie la fissò a bocca aperta, confusa. Non l’aveva trovato? Come era possibile? Certo, l’aveva nascosto, ma di sicuro non così bene. Di fronte al suo silenzio Sophie perse la pazienza e la afferrò per le spalle, il viso deformato dalla furia e dall’ansia.
“Rispondi! Dove l’hai nascosto??”
La ragazza cercò di indietreggiare, spaventata da quella violenza improvvisa, ma le mani della zia la stringevano talmente forte da impedirle persino di muoversi.
“Non lo so, dovrebbe essere qui! Non l’ho portato con me!”
Sophie digrignò i denti, uno scintillio metallico negli occhi grigi.
“Ora tu mi indicherai esattamente dove lo hai nascosto ieri notte. Se non lo farai o se mi mentirai, vedrai un lato di me che non hai mai sospettato e ti assicuro che non lo troverai piacevole. Ci siamo capite?”
Katie annuì, sempre più spaventata. Sotto lo sguardo furioso di Sophie si avvicinò alla riva, dove ricordava di aver nascosto l’orologio, ma quando ci arrivò si accorse con sgomento che, nello stesso punto in cui lo aveva lasciato solo la notte prima, non c’era più nulla.
Il terrore le chiuse la gola, mentre il suo cuore sembrava quasi fermarsi. Possibile che qualcuno li avesse preceduti? Possibile che qualcuno lo avesse rubato prima di Sophie?
“Non è possibile... Non c’è più.”
Katie si sentì strattonare all’indietro, fino ad avere il viso di Sophie a pochi centimetri dal suo e la fredda determinazione che vide in quegli occhi la fece rabbrividire.
“Mi stai dicendo che qualcuno è arrivato prima di noi? Mi prendi per un’idiota, è così?”
La ragazza digrignò i denti, furiosa.
“Non sto mentendo! Non l’ho preso io e non so dove sia!”
Sophie rimase immobile, gli occhi fissi nei suoi. Quello sguardo penetrante sembrava frugare nella sua anima, fin negli spazi più reconditi, ma nonostante quell’orribile sensazione Katie non riusciva a muoversi o a distogliere lo sguardo. Si sentiva come in trappola, consapevole di ciò che accadeva attorno a lei ma incapace di ribellarsi.
Quando alla fine Sophie la lasciò andare, si sentì confusa e svuotata.
“Stai dicendo la verità. Se non sei stata tu, allora significa che i nostri rivali ci hanno preceduti, ma devono essere ancora nei dintorni, ne sono sicura.”
Scrutò gli alberi attorno a loro, quasi aspettandosi di vedere qualcuno nell’ombra, poi sospirò, riportando lo sguardo su di lei.
“Puoi tornare a casa, ho finito con te. E spero sia superfluo sottolineare come niente di quello che è successo oggi dovrà uscire dalla tua bocca. Se dirai qualcosa ai tuoi genitori, lo saprò. Non posso permettere che qualcun altro si immischi; se malauguratamente invece dovesse accadere, sarò costretta a riparare all’errore.”
A quell’intimidazione neanche tanto velata Katie strinse i pugni, sempre più furiosa.
“Li stai minacciando? Stai minacciando i miei genitori?”
“Vedo che hai afferrato al volo.”
“Marie è tua sorella! Davvero arriveresti a farle del male?”
Sophie sbuffò, fissandola con quegli occhi gelidi.
“Non hai ancora capito? Tutto questo è molto più grande di me o di Marie, siamo tutti pedine sacrificabili in questo gioco. Se non avrò altra scelta, farò quello che devo.”
Katie indietreggiò di qualche passo, scioccata. Aveva sempre pensato che sua zia fosse malvagia, ma mai avrebbe immaginato che si sarebbe spinta a tanto.
“Come...”
Sophie sospirò, poi le si avvicinò, poggiandole la mano sulla spalla e sussurrandole all’orecchio.
“Vuoi un altro consiglio, Katie? Recidi ogni legame, lasciati alle spalle tutte le persone che ami. Solo in questo modo potrai essere veramente libera, perchè nessuno potrà fare presa su di te. Se invece continui a preoccuparti per gli altri, se continuerai a mantenere questi legami, non sarai altro che una preda fin troppo facile, un burattino che chiunque potrà usare a suo piacimento. Solo abbandonandoli potrai salvarti.”
E si allontanò tra gli alberi, lasciandola sola. Sopra di lei un fulmine illuminò il cielo, mentre il tuono riverberava nella radura.
La tempesta stava arrivando.
 
*
Sophie camminava in fretta, indifferente alla fitta pioggia che la raggiungeva anche sotto la copertura della foresta. Le cose si erano complicate. Come avevano fatto a precederla senza che se ne accorgesse? Non poteva essere stato Arkel, non era da lui un’azione così avventata. E se non era stato lui, rimaneva un’unica possibilità. Sorrise a quel pensiero; sapeva già a chi affidare il compito di ritrovare l’orologio, una persona che moriva dalla voglia di vendicarsi. 
Gaelen, abbiamo un problema.
Una voce annoiata le rispose nella sua testa.
Ovvio, d’altronde quando mai non ce n’è uno? Comunque so già tutto; li abbiamo davvero sottovalutati, se sono stati in grado di precederci con tutto questo anticipo.
Come lo scoviamo?
Aspettiamo.
A quell’unica parola Sophie si arrestò, la fronte corrugata.
Potrebbe approfittarne per fuggire con l’orologio.
Gaelen ridacchiò.
Non se ne andrà mai senza la ragazza, questo è certo, come non lo faremmo mai neppure noi. Quella Katie è indispensabile, senza di lei l’orologio è completamente inutile.
Potevamo approfittarne e prenderla in ostaggio già da ora, era completamente alla mia mercé.
No, prenderla adesso sarebbe stato stupido e non sarebbe servito a far uscire il nostro amico allo scoperto. Mi sa che stai perdendo colpi, Sophie.
Sophie digrignò i denti, irritata. Non era mai riuscita a sopportare quell’idiota arrogante. L’avrebbe ucciso molti anni prima, se non fosse stato uno tra i maghi più abili e potenti in circolazione. Una risorsa fastidiosa ed irritante, ma preziosa e indispensabile.
Quando credi che agirà?
Probabilmente stanotte, quando i genitori della ragazza non saranno di intralcio. Noi non dobbiamo fare altro che aspettare e lei ci condurrà dritti all’obbiettivo. Dopo di che, una volta eliminato l’ostacolo, prenderemo la ragazza e l’orologio.
Puoi mandarmi Eledier? Io devo ancora ultimare dei preparativi.
Eledier? Fossi in te non ci farei molto affidamento. Sai bene che essere accecati da un’emozione come la rabbia porta a commettere errori e noi non possiamo permettercene, non a questo punto dell’operazione.
Tu mandalo e basta, sono sicura che farà il suo dovere. L’Oscuro è già stato informato?
Lo sarà tra poco, non preoccuparti. Cerca di non sbagliare anche stavolta, Sophie. L’Oscuro potrebbe decidere che non gli sei più utile.
Sophie deglutì, un brivido freddo che le scendeva lungo la schiena. Era perfettamente consapevole di non poter fare errori, ma quella missione si stava rivelando più difficile del previsto.
Ricominciò ad inoltrarsi nel bosco, il viso cupo. Si era fatto tardi e il vento si era alzato, mentre la pioggia si era addirittura intensificata. Strinse le braccia attorno al corpo, rabbrividendo. Forse non era quel freddo a disturbarla, forse era quello che sentiva dentro di sè.
Il freddo della paura.
*
Appena la porta di casa si chiuse dietro di lei, Katie si sedette di peso su una delle poltrone più vicine. Le parole di Sophie non facevano che tornarle alla mente e quella minaccia l’aveva spaventata non poco. Sapeva che diceva sul serio, non era un bluff.
“Katie, tesoro, sei lì in soggiorno?”
La ragazza non rispose. Non si sentiva pronta a parlare con Marie, non in quel momento. Prima avrebbe preferito schiarirsi le idee e forse anche riposare un po’.
“Katie?”
Sospirò, accasciandosi ancora di più sulla poltrona.
“Sì, mamma, cosa c’è?”
“Tesoro, sai dov’è Sophie? Non era assieme a te?”
A quelle parole sul suo viso passò un’ombra.
“Sì, era con me, ma aveva degli affari da sbrigare in città e ha dovuto anticipare il ritorno. Era così di fretta che non ha avuto il tempo di passare a salutarvi, ma ha chiesto a me di farlo al posto suo.”
Marie venne a sedersi sul bracciolo accanto a lei, stringendola in un dolce abbraccio.
“Katie va tutto bene? Mi sembri strana.”
“Non è niente, sono solo un po’ stanca. Tu invece? Sei piuttosto pallida.”
La madre rise, scompigliandole i capelli.
“No, sto bene. Sono sempre stata un po’ pallida, è la mia carnagione. Ti ricordi che Lucas mi prendeva sempre in giro per questo?”
Katie distolse lo sguardo, incapace di accettare sorridendo quella menzogna. Non era vero, Marie non era stata sempre così pallida, e mai come ciò che aveva rivissuto solo il giorno prima glielo aveva ricordato con tanta precisione. Quelle guance rosate, accese…
“Lui ti manca molto, vero?”
Marie scosse la testa, cercando di sorridere e di mostrarsi tranquilla. Ben presto però il dolore per quella assenza ritornò sul suo viso e non poté più negare l’evidenza.
“Be’ è normale, è sempre triste quando un figlio se ne va, ma ormai Lucas è grande e deve essere libero di scegliere la sua strada. Non potevo tenerlo qui per sempre, non sarebbe stato giusto. Sarei stata davvero una grande egoista.”
Katie sospirò, affondando un po’ di più nella poltrona.
“Non sei tu l’egoista, ma lui. Vorrei tanto prenderlo a calci in questo momento. Si sta comportando come un vero idiota.”
Marie le sorrise, stringendole la mano.
“Sarà molto occupato, ma sono sicura che presto ci farà avere sue notizie.”
Lei fece spallucce.
“Se non lo farà mi sentirà, quando tornerà a casa. Piuttosto mamma, sei proprio sicura di stare bene? Hai una faccia stravolta… Hai freddo? Vuoi che metta altra legna o…”
Si bloccò, spaventata, quando vide la madre chiudere gli occhi e abbandonarsi stancamente contro lo schienale.
“Mamma? Mamma, stai bene? Mamma!”
Marie scosse la testa, cercando di alzarsi, ma non appena ci provò ricadde sulla poltrona, mentre il poco colore che le restava sul viso scivolava via.
“Mamma!!”
Katie si affrettò a sorreggerla, il cuore raggelato in una morsa di terrore. Si guardò freneticamente attorno in cerca di aiuto, ma Ted era andato in città, per cui erano sole. Stava sicuramente vivendo un incubo, non poteva essere vero. Non era ancora il momento, maledizione!
Deglutì, chiudendo gli occhi e cercando di ricacciare indietro le lacrime. Doveva chiamare qualcuno, qualcuno che potesse aiutarla… Ma prima che riuscisse ad aprire bocca all’improvviso la mano della madre le afferrò il braccio, facendola voltare.
“Sto bene, Katie, è tutto a posto. Sono solo un po’ stanca, ma non volevo farti spaventare.”
Katie scosse la testa, cercando di asciugare le proprie lacrime prima che la madre le vedesse.
“Non è tutto a posto, mamma. Tu stai male, dovremmo chiamare il dottore e…”
“No.”
La ragazza chiuse gli occhi, turbata. Perché, perché si ostinava così tanto a pensare che andasse tutto bene? Perché non accettava il fatto di aver bisogno di aiuto?
“No. Non voglio dottori, non voglio vedere nessuno che mi dia la falsa speranza di poter guarire. Io so che non è possibile, Katie, l’ho accettato. È così difficile per te fare la stessa cosa?”
“No, non permetterò che tu te ne vada così, non quando c’è anche solo una minima possibilità di strappare ancora altro tempo. Non sono disposta ad arrendermi così facilmente e se tu non vuoi lottare, allora lotterò io per te. Mamma, non puoi chiedermi di accettare una cosa del genere e di restare ad aspettare senza fare nulla. Non puoi.”
Marie scosse la testa, accarezzandole dolcemente il viso rigato di lacrime.
“Prima o poi dovrai farlo, piccola mia. Questa è la vita e di essa fa parte anche la morte, e non puoi negarla come non puoi sfuggirle, ma comunque adesso non c’è di che preoccuparsi. Non è successo niente, mi sono solo addormentata. Non devi avere paura, ho intenzione di restare qui a controllarti ancora per molto tempo.”
Katie cercò di sorridere, per tentare di rassicurarla, ma i suoi occhi rimasero tormentati come lo era lei in quel momento.
“Niente dottore allora, ma papà deve sapere che non sei stata bene. Questo non lo puoi evitare e non potrai fare niente per cercare di convincermi a non dirglielo.”
La madre scosse la testa, addolorata.
“Perché vuoi affliggerlo con una cosa del genere? Non sono stata male, tesoro, sono solo molto stanca. Ti prometto che andrò a riposare ma per favore, non dire nulla a tuo padre di quello che è successo. Ultimamente è già così preoccupato per i campi, per Lucas, per tante cose… Non voglio che sopporti anche questo, ti prego.”
La ragazza chiuse gli occhi, sospirando e facendo una smorfia.
“D’accordo, ma solo e unicamente se mi prometti che andrai dritta a dormire.”
Marie annuì, tentando un debole sorriso. A quella vista Katie sentì uno squarcio doloroso aprirsi dentro di sé. Notò gli occhi stanchi, la pelle tirata, pallida, e la spossatezza delle braccia appoggiate alla poltrona.  E le parole di Sophie tornarono prepotentemente nella sua mente, facendola ribollire di rabbia. Marie era debole e malata, indifesa, e lei aveva il coraggio di minacciarla con la stessa calma e indifferenza con cui si schiaccia un insetto. A quel pensiero strinse forte i pugni, i muscoli tesi, ma poi si ricordò che Marie era ancora accanto a lei e cercò di contenersi il più possibile.
“Bene, io allora vado su a riposare.”
“E la cena?”
“Non ti preoccupare, non ho fame. Ma anche se non sarò qui a controllare devi promettermi che andrai a dormire presto. Non sto scherzando.”
“Puoi andare a riposare tranquilla, tesoro. Buona notte, piccola mia.”
Katie le diede un rapido bacio sulla guancia e poi salì di corsa le scale verso la sua stanza. Lì chiuse la porta alle sue spalle, desiderando solamente rimanere immobile a fissare il buio, a pensare, ad alimentare la sua rabbia. Rivide davanti ai suoi occhi la scena del bosco, risentì come impresse a fuoco nella sua mente le parole di Sophie, il modo in cui aveva minacciato sua madre. Cominciò a tremare, le mani strette, gli occhi chiusi. Doveva calmarsi, doveva…
Incapace di resistere oltre sferrò un pugno al muro. Un forte scricchiolio accompagnò le sue imprecazioni, mentre si afferrava la mano dolorante. Borbottando cercò a tentoni l’interruttore della luce, ma un improvviso bagliore proveniente dalla finestra la bloccò dov’era. La ragazza socchiuse gli occhi, abbagliata dalla luce improvvisa; fece qualche passo verso la finestra, cercando di capire cosa stesse succedendo, quando un attimo dopo, volteggiando leggera quasi come se fosse senza peso, una splendente farfalla entrò nella stanza. La ragazza rimase immobile, scioccata. Quella farfalla era fatta completamente di luce e risplendeva con forza, volando in circolo nella stanza. Lei continuò a fissarla affascinata, finchè, spinta dal desiderio di avvicinarsi, non mosse un piccolo passo in avanti; in quello stesso momento l’apparizione cambiò improvvisamente direzione, avvicinandosi. La ragazza si immobilizzò, ma quell’essere continuò ad avvicinarsi, finchè non si posò sul dorso della sua mano. Non appena la sua pelle toccò quella luce, un’immagine comparve prepotentemente nella sua mente; Katie riconobbe in un istante un piccolo spazio aperto non molto lontano dalla sua radura e una voce echeggiò in lontananza.
“Se vuoi sapere la verità, se vuoi adempiere al tuo destino, vieni da me; io ho le risposte che cerchi.”
Subito dopo l’immagine scomparve. Katie batté più volte le palpebre, cercando di rimettere a fuoco la sua stanza; quando alla fine riuscì di nuovo a vedere bene, si accorse di essere di nuovo sola. La farfalla di luce, il cui compito sembrava essere stato quello di portarle quel messaggio, era sparita nel nulla.
Chiuse gli occhi, appoggiandosi alla parete. Pensava di sapere chi le aveva mandato quel misterioso richiamo: molto probabilmente erano i rivali di cui aveva parlato Sophie, gli stessi che avevano preso l’orologio. Ma perchè contattarla? Ormai avevano già quello che volevano.
Aggrottò la fronte, pensierosa. Forse pensavano che lei avesse qualcos’altro di simile o forse volevano avere solo delle informazioni, in ogni caso le stavano chiedendo di tornare di nuovo nel bosco a tarda notte e Katie non perse neppure tempo a prendere seriamente in considerazione l’idea.
Sospirò, decisa ad ignorare quel messaggio, almeno fino al mattino dopo, ma non appena si voltò si accorse che qualcosa brillava sulla sua mano. Nello stesso punto in cui si era posata la farfalla era apparso un marchio, che emanava un’intensa luce arancione; una spada avvolta in rami spinati.
Katie rimase ferma a fissare quel segno luminoso, sorpresa e anche un po’ spaventata; poi, quasi all’improvviso, proprio nello stesso punto cominciò ad avvertire un lieve calore, che sembrava aumentare sempre più. Sfiorò il marchio, aspettandosi di sentire quel calore, ma sotto le sue dita la pelle era fredda; come era possibile allora che si sentisse bruciare, quasi come se la mano stesse andando a fuoco?
Serrò la mascella, cercando di ignorare il dolore, ma quello cresceva, inarrestabile, e più aspettava più quel calore ustionante sembrava risalirle lungo il braccio. Che fosse una sorta di punizione per aver ignorato il messaggio?
Incapace di rimanere ancora ferma sfregò freneticamente il marchio, tentando di attenuare il dolore, ma senza successo; fu in quel momento che l’immagine dello spiazzo le riempì di nuovo la mente, insieme ad un unico perentorio ordine.
“Vieni.”
La ragazza cadde in ginocchio sul pavimento, tremante, mentre il dolore continuava ad aumentare. Il sudore le colava lungo il viso e i muscoli del braccio cominciavano ad irrigidirsi, tentando di opporre resistenza a quelle fitte ustionanti. Aveva finalmente capito: quel dolore l’avrebbe tormentata finchè non avesse obbedito e più tentava di opporsi, più avrebbe sofferto. Ancora una volta non le lasciavano altra scelta.
Faticosamente riuscì a rialzarsi, lo sguardo fisso sul bosco. Non aveva idea di come avrebbe potuto arrivarci senza essere vista dai suoi genitori. Se solo quel dolore l’avesse lasciata in pace, permettendole di riflettere, di pensare ad una soluzione... Barcollò fino alla finestra e si affacciò, cercando un po’ di refrigerio per riuscire a ritrovare la lucidità e fu allora che, inaspettatamente, davanti a lei si presentò la soluzione che stava disperatamente cercando. Proprio lì accanto si innalzava una vecchia grondaia, ricoperta quasi completamente dall’edera che nel corso del tempo aveva dato alla casa quell’aspetto rustico che tanto piaceva ai vicini. Quella grondaia poteva essere la via che stava cercando; normalmente non avrebbe mai neanche pensato ad una pazzia del genere, ma quale altra scelta aveva? Il dolore continuava ad aumentare e la sua mente era ormai occupata da un unico pensiero: fuggire.
Prese un profondo respiro e si sporse dalla finestra, esitante, e quando azzardò un’occhiata in basso le sfuggì involontariamente un gemito. Era una bella altezza per tentare una cosa del genere e dubitava che avrebbe potuto uscirne incolume se fosse caduta.
Chiuse gli occhi, il sudore freddo che le scivolava lungo la schiena. Era il caso di rischiare? Non poteva semplicemente scendere e spiegare tutto ai suoi genitori, pregandoli di farla uscire?
Gemette, stringendosi la mano al petto, quando il dolore riprese forza. No, non aveva più tempo. Non aveva altra scelta che tentare.
Rimase immobile qualche secondo, il respiro affannoso, aspettando che il dolore scemasse almeno un po’ prima di rialzarsi; dopo fu difficile convincere i suoi muscoli a muoversi e ancora più difficile fu salire sulla finestra senza cadere di sotto. Ogni cellula del suo corpo le urlava di non saltare, ma non poteva più rimandare e raccogliendo tutto il coraggio che aveva, Katie saltò.
Il tempo di un battito, un solo terrificante istante di vuoto, e poi le sue mani si strinsero forti al tubo. Ma la pioggia di quel pomeriggio aveva reso l’edera scivolosa e lentamente cominciò a perdere la presa. Il terrore prese il sopravvento mentre continuava a fissare impietrita la terra che vorticava al buio sotto di lei. Le sue mani sudate continuavano a scendere sempre più velocemente e lei sapeva solo di dover restare aggrappata ad ogni costo; se avesse perso la presa, sarebbe caduta.
Freneticamente cercò con le gambe di puntellarsi al muro e lentamente riuscì a fermare la discesa. Chiuse gli occhi, il respiro scosso dal tremore del proprio corpo. La testa continuava a girarle, come se quella caduta non si fosse mai fermata. Per il momento era salva, ma non era ancora finita. Con cautela cominciò a scendere, una mano dopo l’altra, in una discesa che le sembrò durare ore. E quando finalmente le sue gambe toccarono terra, era talmente intirizzita ed esausta che cadde non appena si allontanò dalla grondaia.
Rimase distesa qualche minuto, il respiro affannoso, aspettando che le gambe smettessero di tremare e riprendessero forza. Si sentiva stranamente leggera, come se in quel preciso momento stesse galleggiando su una soffice nuvola o in mezzo alla freschezza dell’acqua… Quasi non avvertiva più il dolore pulsante alla mano. Era un sollievo, ma era consapevole che se non si fosse sbrigata, presto sarebbe tornato anche più forte di prima.
Si sollevò lentamente, con cautela, fino a ritrovarsi seduta, non sicura che il suo corpo si fosse ripreso abbastanza da essere in grado di sostenere il suo peso. Aspettò con calma che la testa le smettesse di girare e piano piano si alzò; quando finalmente le sembrò di potersi mantenere diritta fece un passo avanti, incerta, e con un sospiro di sollievo si rese conto di essere in grado di camminare senza perdere troppo l’equilibrio.
Voltò l’angolo, decisa a raggiungere la foresta il prima possibile, e fu allora che una luce alla sua destra attirò la sua attenzione. La vetrata del soggiorno era illuminata. Katie la fissò, cercando un modo per superarla senza farsi notare, mentre il dolore alla mano continuava a tormentarla. Forse, se si fosse allontanata a sufficienza, sarebbe riuscita a nascondersi nel buio e ad evitare di essere vista. Era rischioso, ma non aveva altra scelta.
Con un sospiro si incamminò a passo svelto verso il limitare della foresta. Prima di inoltrarsi tra gli alberi, però, diede un ultimo sguardo alle sue spalle, alla finestra illuminata nell’oscurità. Avvertiva una strana sensazione dentro di sè, quasi di ineluttabilità, come se stesse guardando quella casa per l’ultima volta.
 
*
Marie era immobile, distesa sul letto. Si sentiva esausta, spossata, ma nonostante tutto non riusciva ancora a prendere sonno. Qualcosa la turbava, un’immagine che continuamente riaffiorava alla sua memoria, il ricordo di un leggero, quasi impercettibile movimento dietro la finestra del soggiorno.
Si girò su un lato, sospirando. Forse si stava solo immaginando tutto, o forse più semplicemente aveva intravisto un animale selvatico, uno dei tanti che giravano nelle vicinanze. Ma allora perché non riusciva a liberarsi di quell’inquietudine, di quell’angosciante sensazione di panico? Qualcosa di indefinito le pesava sul petto, opprimendola, e nonostante i suoi sforzi non riusciva a capire cosa la turbasse tanto. Quell’orribile sensazione le ricordava di quando, tanti anni prima, Lucas sgattaiolava fuori di casa, della preoccupazione che…
Si bloccò, raggelata. No, non poteva essere, era ridicolo anche solo il pensarlo. Katie non sarebbe mai uscita così di soppiatto, non era nel suo carattere. Non che Lucas fosse un ribelle, no di certo, era solo che la sua indole era estremamente curiosa. Con Katie era diverso, eppure quella terribile sensazione, quell’ansia, era proprio la stessa di tanti anni prima.
Marie si rigirò di nuovo nel letto, sempre più agitata. Ora stava davvero esagerando, dubitare di sua figlia! Una ragazza dolce, vivace certo, ma nonostante questo sempre ubbidiente. Come poteva all’improvviso non fidarsi più di lei? Eppure una semplice, veloce controllata non le avrebbe portato via più di qualche minuto… Si torse le mani, incerta, distesa sul letto a fissare il soffitto. Più cercava di allontanarla, più quell’idea si insinuava con forza nella sua mente. Solo una rapida occhiata, solo qualche secondo di incertezza. Quando poi avrebbe visto un piccolo, addormentato fagotto sotto le coperte, avrebbe potuto ridere delle sue inutili preoccupazioni.
Si trovò così davanti alla porta della stanza di Katie prima ancora di rendersi conto di aver preso quella decisione. Poi, un po’ tremando, la sua mano si posò sulla vecchia maniglia, abbassandola, e la porta si aprì.
Un’improvvisa folata di aria gelida la avvolse. Marie rabbrividì, sorpresa da quel freddo inaspettato, e il suo sguardo si posò sulla finestra spalancata. Il gelo che aveva ormai invaso la stanza proveniva da lì, così come da lì arrivava anche la debole luce lunare che rischiarava lievemente le figure avvolte dal buio. E in quella luce, Marie ebbe la conferma ai suoi peggiori dubbi. Il letto di Katie era vuoto, e lei era sparita.
 
   
 
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