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Autore: girasole1197    27/05/2020    2 recensioni
''Una volta da qualche parte ho letto che i piccoli momenti che hanno cambiato la tua vita finiscono per sommarsi e stratificarsi fino a formare una massa informe di intensità . Non ho mai trovato parole migliori per definire questa storia e sono certa neanche tu''
Come è iniziato tutto? Forse così:
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Maggio 2016
Respiro  profondamente controllando l’orario sul mio cercapersone. Le 16 del pomeriggio: più di ventiquattro ore di turno in ospedale. ‘’Da quanto tempo non vado in bagno? Cazzo saranno almeno cinque ore’’ , pensavo con la testa poggiata al cuscino della sala medici. Fissavo un punto indefinito della stanza alla ricerca di un caffè o della forza per prepararmelo.
Soffocavo dal caldo in quell’ospedale a maggio,a Los Angeles.
Stella entra nella stanza tirando un leggero calcio alla porta e mi fa un segno di saluto accasciandosi sulla sedia.
‘’Stremata anche tu?’’
‘’Tu che dici babe?’’ le rispondo massaggiandomi il collo
‘’Hai fatto pronto soccorso?’’ mi chiede con aria distratta mentre addenta una mela.
‘’Mh-mh, in realtà sono qui per prendermi  cinque minuti di pausa prima di andare a controllare il paziente al letto 23’’
‘’Oh buona fortuna’’
‘’Me ne servirà’’ rispondo sarcastica tirandomi su controvoglia. Mi trascino in bagno chiudendomi la porta alle spalle. Mi sciacquo il viso con dell’acqua gelida e mi guardo allo specchio pensando ‘’sono fatta per il 70% di occhiaie, fanculo’’. Mi slego i capelli e li ravvivo con la mano: tentativo disperato. Sono solo ricci rossi senza una precisa forma. Ripenso alle mani di mia nonna , in Italia, che me li tira per intrecciarli  e quel pensiero mi basta per uscire della stanza.
Mi sento chiamare un secondo dopo essere tornata in corsia. E’ Lee, la mia caposala.
‘’Dottoressa la paziente della 16 chiede se può mettersi in piedi per un po’’
La guardo un attimo e rispondo ‘’dica alla paziente che può fare una piccola passeggiata di dieci minuti in corridoio. La controlli e non la faccia affaticare’’
Penso di essere strato troppo scontrosa e le faccio un flebile sorriso di incoraggiamento.
Mi passa una cartella clinica da firmare, un piccola sigla e gliela ripasso. Le mani mi tremano un po’ per la stanchezza.
Chiedo ‘’dove cazzo è Greg quando serve?’’riferendomi al mio collega sempre in ritardo per il cambio di turno.
Stanza 23, metto i guanti e la mascherina prima di entrare.La signora Richard mi accoglie con un gran sorriso beffardo. Non lo ammetterei mai ad alta voce ma è la mia paziente preferita: vecchia, burbera ma con una forza dirompente ed assoluta.
‘’Come stiamo oggi?’’ le chiedo controllando i suoi valori
Lei mi guarda in cagnesco come al solito e poi risponde ‘’come sempre meglio di lei! Almeno io dormo a differenza sua’’
‘’Signora Richard vorrei poterle rispondere che stanotte ho riposato ma non è così..Ora, faccia un respiro profondo e dica trentatrè’’
‘’Quando mi cambiate il compagno di stanza? Praticamente è muto’’ sogghigna lei guardando il letto accanto al suo
‘’Deve solo dire trentatrè , non le ho chiesto un commento sul suo compagno di gite in ospedale’’ le rispondo piccata abbassandole la maglietta.
‘’cosa fa stasera dottoressa?’’ mi chiede adagiandosi di nuovo sul letto
‘’quello che faccio tutte le sere dopo 24 ore di lavoro signora: bevo un paio di bicchieri di vino rosso sperando che abbiano poteri rigeneranti e vado a dormire’’ le rispondo annuendo all’infermiera per confermarle che va tutto bene.
Mentre mi sistemo il fonendo sul collo mi scopro incredibilmente in ansia per quella donna: lo sguardo stanco, le mani rovinate dalle flebo continue, quel letto anonimo in una stanza di ospedale. Penso che potrebbe morire da un giorno all’altro sotto i miei occhi e che al suo capezzale non ci sarebbe nessuno. Fino a che punto può spingersi l’indipendenza di una donna? Fino a che punto si può preferire la solitudine ad una comoda compagnia?
Pensavo quelle cose e mille altre mentre risistemavo le coperte della signora Richard.
Ed è stato allora che è successo , come una cazzo di scena di un film. E’ stato allora che lei ha detto ‘’forse questa sera no, non può saperlo’’. Poi si è rigirata su un fianco e ha chiuso gli occhi per porre fine a quella conversazione. Ricordo di essermi allontanata dal suo letto leggermente innervosita da quella supposizione invadente ma più i minuti passavano più sentivo montare dentro di me la sensazione irrazionale che quelle parole potessero avere un significato.
Nemmeno quattro passi fuori dalla stanza e il mio cercapersone inizia a vibrare con insistenza. Controllo il numero di stanza dal quale stanno chiamando: è la 13/.
Greg mi guarda ‘’è una delle stanze dei medici’’ sussurra e gli sento la voce leggermente rotta.
‘’se iniziamo a sentirci male anche noi questo ospedale va in pezzi. Andiamo’’ gli dico avviandomi verso la 13/.
Camminando lungo i corridoi mi rendo immediatamente conto che qualcosa non stesse andando per il verso giusto: quell’ospedale era casa mia e riconoscevo i piccoli cambiamenti nell’ambiente anche dai singoli gesti delle infermiere. C’era qualcosa di grosso in ballo.
Le penso tutte: incidente aereo, scontro a fuoco, paziente infartuato durante il lavoro, malattia rara appena manifestata. Mentre cammino velocemente con Greg al mio fianco sento insistentemente squillare il telefono. Non rispondo quasi mai quando sono  di turno in pronto soccorso perché non vi è possibilità di distrazione. Lo esco dalla tasca del camice per silenziarlo e mi rendo conto che mi stavano chiamando dalla direzione dell’ospedale. Sbuffo costretta a rispondere.
Dall’altra parte la voce del direttore in persona.
‘’Vittoria abbiamo un paziente in pronto soccorso’’
‘’ci sto andando proprio ora anche se mi stanno facendo andare nella 13/. Chi di noi sta male?’’
‘’Nessuno di noi, sarebbe molto più semplice’’
‘’James mi dici cosa cazzo succede? perché vorrei prepararmi se devo occuparmene nell’immediato’’
‘’Ti chiedo solo di restare concentrata. Non si possono fare errori’’ mi dice serio. Inizio a preoccuparmi.
Mentre mi avvicino all’area dell’ospedale riservata al personale medico mi rendo conto che due figure mai viste sono ferme di fronte alla porta della stanza 13/. Una donna con una telefono in mano fa avanti e indietro dalla stanza con aria concitata, nel frattempo uno dei miei infermieri esce dalla stanza con sguardo funereo.
‘’senti James qui la situazione mi sembra leggermente agitata . Cerca un medico più lucido perché lavoro da più di ventiquattro ore e forse in quella stanza c’è Obama’’ scherzo guardando fuori dal finestrone del corridoio. C’era un cielo così terso e sereno da far paura quel giorno.
  Mi hai sempre detto che dietro a tutte le cose c’è un preciso significato ed io non ti ho mai creduto perché troppo presa dalla mia ossessiva razionalità.
Una volta ti ho detto ‘’non avevi scelta quel giorno, ti avrebbero comunque portato nell’ospedale più vicino’’ e tu hai fatto di sì come la testa come se stessi parlando con una povera pazza che cerca di convincersi. Poi mi hai passato la sigaretta e sei rientrato in casa mormorando ‘’non sempre le cose seguono degli schemi precisi, te lo assicuro’’
‘’Vic, non mi serve un medico qualsiasi e non mi serve il sarcasmo. Mi servi tu.’’ Mi risponde sbrigativo e poi chiude la telefonata. Guardo Greg per un attimo e gli dico di entrare con un cenno del capo.
Non ho capito subito che si trattasse di te perché la prima cosa che ho notato entrando nella stanza era l’eccessivo numero di persone vicino al letto dove eri sdraiato. Era una cosa che mi aveva insegnato papà, mi diceva ‘’quando entri in una stanza di ospedale e ci sono troppe persone le cose sono due: o il paziente è un criminale o è così tanto amato che nessuno vorrà mollarlo un attimo .In nessuno dei due casi devi farti intimorire. Tu sei il medico, falli uscire perché tu hai bisogno di aria. ‘’
Fu Jude ad avvicinarsi per primo, uno degli infermieri ‘’dottoressa abbiamo..’’. Non riuscì a finire di parlare perché una voce si sovrappose alla sua. Un uomo alto, sui sessant’anni e dai capelli brizzolati  mi si parò di fronte ‘’lei è la dottoressa Sky? Abbiamo chiesto di lei. ‘’
Ero in quella stanza da circa tre minuti e non avevo ancora visto il paziente. Mi stavo innervosendo. Mi sentivo chiamare da tutte le parti.
‘’Per cortesia signori, vi chiedo di uscire per farmi lavorare’’
Il tono risoluto di mio padre attraverso le mie corde vocali. Quella frase bastò per far uscire tutti dalla stanza.Fu allora che ti vidi: steso, addormentato, con un paio di occhiali da sole.
Ti ho riconosciuto subito, il tuo volto è sempre stato inconfondibile. C’era sangue ovunque e i tuoi collaboratori erano totalmente nel panico.
Feci segno a Jude di avvicinarsi con un cenno della mano. Ricordo che pensai con chiarezza che avresti certamente perso il dito ma che non mi sarei arresa.
‘’che cosa abbiamo?’’ mormoro fingendo innocenza verso la tua identità
 
‘’il signor Depp ha una ferita lacero-contusa al dito medio della mano dx. E’ sedato’’
‘’Lo abbiamo sedato noi?’’
‘’E’ già arrivato addormentato’’ sussurra Jude  sapendo che avrei reagito male a quella notizia.
‘’Mi dite chi ha avuto la straordinaria idea di sedare un paziente prima di arrivare in ospedale?’’
Una voce maschile dietro di me ‘’gli abbiamo dato dei sonniferi’’
‘’e nessuno ha pensato di svegliarlo?’’ chiedo avvicinandomi alla tua mano. Ti mancava un pezzo di dito.
Porca puttana, pensai osservandoti la mano.
‘’Avete trovato la parte restante della falange?’’
‘’sì dottoressa’’
‘’portatela in laboratorio perché va trattata prima del reimpianto. Io devo svegliare il paziente’’
Jerry sospirò dietro di me ‘’sentirà molto dolore?’’
‘’Lei che dice?’’ risposi piccata
Ti ho tolto gli occhiali da sole per controllarti il viso. Il colorito non mi piaceva. La mia mente registra :‘’ematoma sull’occhio dx, indubbiamente c’è stato scontro fisico’’
‘’signor Depp, signor Depp mi sente? Deve svegliarsi’’ mi viene fuori una voce stridula,stento a riconoscerla. Penso ‘’se sbaglio questo caso la mia carriera è finita’’
Nella stanza tutto era immobile. Aspettavamo solo un cenno da te. E per cinque lunghi secondi in cui tu non hai dato segni di vita ho pregato che non fossi in overdose. Papà mi aveva insegnato a contare i secondi picchiettando la lingua sul palato, mi aiutava a controllare la tensione mentre agivo.
Uno
Ti pizzico leggermente il piede nudo per cercare una reazione.
Due
‘’che cosa avete dato al signor Depp?’’ mormoro tra i denti
Tre
Ricordo di aver avuto un attimo di esitazione prima di darti un buffetto sulla guancia. Non volevo infliggerti altro dolore.
Una voce femminile, una delle tue assistenti ‘’sonnifero, qualcosa per il dolore’’ biascica
Quattro
‘’Il signor Depp era sotto effetti stupefacenti quando lo avete trovato?’’ chiedo continuando a scuoterti per farti svegliare.”
Cinque
Porca troia Depp, svegliati
Hai tossito leggermente e hai aperto gli occhi. Hai urlato subito dopo. ‘’Bene’’ pensavo ‘’ottimo modo per conoscere una star’’
‘’facciamo 50cc di morfina al signor Depp’’ grido all’infermiera fuori dalla porta ‘’e portatemi un cuscino per alzargli la testa immediatamente’’
Tu mi guardi e in un attimo so che già mi odi. Perché  i pazienti fanno così: riflettono il dolore sulla prima persona che vedono. E quella tendenzialmente sono io. Quel giorno ero io.
‘’Signor Depp sa dove si trova?’’ chiedo guardandoti negli occhi per controllarti i riflessi
‘’probabilmente all’inferno’’
Le prime parole che mi hai detto, avevi già il potere di farmi sorridere
‘’sa che giorno è oggi?..mi guardi un attimo e segua il mio dito’’
‘’Jerry, Jerry. Dove cazzo è Amber?’’
‘’Signor Depp deve rispondere a me. Si tranquillizzi ora e faccia respiri profondi. La morfina le sta per fare effetto.’’
‘’ tu chi sei? Il diavolo?’’ gridasti
 ‘’mi sa dire che giorno è oggi?’’ ti chiesi come se non riuscissi a sentire ciò che mi urlavi contro
‘’forse il giorno del giudizio’’ sussurrasti tu
‘’senta signor Depp sono domande che mi servono a capire se è lucido o ci sono altri traumi di cui devo venire a conoscenza’’
‘’tu mi puoi sistemare il dito? E mi puoi dire dove cazzo è il mio staff?’’
Respirai profondamente. Mi era già capitato di avere a che fare con pazienti particolarmente complessi in dieci anni di carriera ma oggi posso liberamente affermare che tu sei stato tra i più ingestibili.
‘’Io posso fare ciò che mi ha chiesto ma deve darmi una mano’’
‘’è successo un macello, sta andando tutto a puttane’’. All’epoca non sapevo assolutamente nulla di te che non fosse collegato alla tua carriera di attore. Tutto ciò che dicevi mi sembrava sconnesso.
‘’ricorda tutto quello che è successo? Può dirmi, cortesemente, perché ha perso il dito?’’ Io insistevo, dovevo farlo .Era il mio lavoro. Ma sentivo montare dentro di me un rabbia immotivata per quella situazione assurda in cui mi ritrovavo.
‘’Ricordo tutto’’ mormorasti fissandomi negli occhi. I tuoi erano stanchi, solcati da occhiaie non sane e puzzavi maledettamente di gin.
‘’Jude, per favore una flebo di liquidi al signore e cortesemente ricontrolla la medicazione alla ferita mentre io chiamo chirurgia plastica. Dobbiamo essere veloci a ricucire’’
Scoppiasti in una risata amara. Non eri soltanto traumatizzato e  strafatto di morfina: eri anche incredibilmente triste.
‘’Hai sentito che ha detto Jerry? Che devono essere veloci a ricucire! Sono una cazzo di bambola’’
Lanciai uno sguardo preoccupato a Jerry dall’altra parte della stanza.
‘’signor Depp io la lascio riposare, tornerò qui tra una mezz’ora massimo.’’
Ti sei girato dall’altra parte dopo aver ripetuto ‘’fanculo’’ un paio di volte.
‘’abbiamo bisogno che lei firmi delle carte in cui ci conferma la massima discrezione per la faccenda’’ mi disse Jerry mentre uscivo dalla stanza. Registrai quelle informazioni a stento perché avevo i nervi a fiori di pelle.
‘’scusi può un attimo concentrarsi sul fatto che il suo capo ha perso un dito oggi?’’sbotto voltandomi
‘’firmerò le sue carte, le può mandare alla direzione dell’ospedale. E’ una cosa assolutamente scontata per me. Faccio il medico’’
‘’Io dovevo dirglielo’’ sussurra Jerry ‘’è il mio lavoro’’
Sento montare il senso di colpa per quell’immotivato atteggiamento. Annuisco leggermente.
‘’pensa di riuscire a sistemare il dito di Johnny?’’ mi chiede Jerry puntando lo sguardo nel mio.
Johnny. Johnny Depp. Ci sono situazioni in cui un medico non dovrebbe mai trovarsi e questa è una di quelle.
‘’Ho bisogno di  sapere come il signor Depp si è procurato la ferita perché dobbiamo limitare il rischio di infezione’’
Sono stata la prima a capire che non ti eri fatto del male da solo. Perché il silenzio che ha seguito quella domanda non l’ho mai dimenticato. Non conoscevo la tua storia, non conoscevo l’inferno che stavi attraversando ma di una cosa ero certa: è molto difficile perdere un osso dando un pugno ad una porta scorrevole.
‘’il signor Depp si è tagliato con un coltello mentre cucinava’’ mi dice Jerry guardandomi fisso negli occhi.
Prendo la tua cartella clinica, la mano mi trema leggermente mentre la compilo scrivendo il tuo nome
‘’sarebbe disposto a scriverlo su questa cartella clinica?’’ chiedo mentre scrivo. Mi era venuto fuori un tono di sfida e leggermene beffardo. Lì per lì non riuscivo a spiegarmi quel nervosismo. Non era soltanto il fatto che si trattasse di te, non era solo quello. Sarebbe stato più semplice: invece è stato incredibile fin dai primi istanti. Ero arrabbiata, infastidita.
Jerry non risponde.
‘’senta io non voglio immischiarmi anche perché il mio lavoro sarà lungo e le possibilità che perda il dito ci sono ma non ci credo’’
‘’cosa?’’
‘’io non credo che si sia tagliato con un coltello. Non ha una ferita precisa e ha perso parte di osso. Quindi le cose sono due: o ha messo il dito sotto una ruota oppure qualcosa gli si è frantumato addosso’’ rispondo guardando Jerry negli occhi
‘’scriva quanto le ho detto, non abbiamo altro da dichiarare’’
‘’se io mi assumo la responsabilità di prescrivere degli antibiotici al paziente a prescindere dal materiale con il quale si è ferito penso che lei potrebbe assumersi il rischio di dirmi la verità. Nel frattempo lasciamolo riposare perché ora avrà un po’ di sollievo, domani per lui sarà dura  ‘’. Passo la cartella clinica a Jude e mi allontano verso la corsia con il cuore fuori dal petto.
‘’ah, signori’’, dico mentre mi volto  verso la decina di persone fuori dalla tua  camera ,‘’non ho alcuna intenzione di compilare la sua cartella clinica affermando che si è fatto male con un coltello. Lasciatelo dormire e buonanotte’’
   
 
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