Capitolo secondo: Reasons I drink
Nothing can give reprieve like they do
Nothing can give me a break from this torture like they do
Here we are
I feel such rapture and my comfort is so strong, oh
One more sip
It feels so helpful in my need for some long overdue respite
And these are the reasons I don't even think I would quit
And these are the reasons I can't even see straight, and
And these are the ones whom I know it so deeply affects
And I am left wondering how I would I function without it…
(“Reasons I drink” – Alanis Morissette)
Il Principe Alfonso
aveva imparato a sue spese, tre anni prima, a non concedere più tanto
facilmente la sua fiducia a qualcuno e, dopo la dolorosa perdita del Generale,
era diventato ancora più sospettoso e pronto a pensare il peggio di chiunque.
Pertanto si aspettava brutte sorprese dal giovane Borgia, che era venuto, a suo
dire, per proteggere il suo Regno da eventuali altre invasioni da parte dei
Francesi o di chissà chi.
Erano ben altre le
ragioni della sua presenza a Napoli, riteneva Alfonso.
Ricordava bene
quando, durante il viaggio verso la Francia, due anni prima, Re Carlo e il suo
seguito, del quale anche lui faceva parte seppure come ostaggio, erano stati
ospitati nel palazzo del Papa Borgia. Oh, sì, il pontefice aveva ostentato una
grande cortesia nei confronti del sovrano francese e anche del giovane
Principe… eppure lui sapeva benissimo che Re Carlo aveva proseguito
indisturbato la sua marcia verso la conquista del Regno di Napoli proprio con
la benedizione di Papa Alessandro VI. E per tutto il tempo in cui erano stati
suoi ospiti, Rodrigo Borgia non aveva fatto altro che dissimulare e tentare di
manipolarli, tutti quanti, cercando di tenere in piedi un doppio gioco che solo
per caso non era andato a buon fine. Il vero scopo del Borgia, infatti, era
quello di mettere sul trono di Napoli suo figlio Goffredo, sposato con Sancha,
la figlia illegittima di Re Ferrante. Rodrigo Borgia non lo aveva mai perdonato
per aver rifiutato, anni prima, la proposta di matrimonio con Lucrezia,
definendola una figlia illegittima indegna
di unirsi a un Principe aragonese… *
Juan Borgia non era
venuto a Napoli per proteggerlo, come
affermava.
Juan Borgia era
venuto per assassinarlo, su ordine del padre. Era stato mandato a fare il
lavoro sporco in cambio di chissà quale ricompensa, e sarebbero stati Goffredo
e Sancha, sotto l’egida del Papa, a governare Napoli.
L’unica cosa che
restava da scoprire era come e quando il giovane Borgia avrebbe fatto la sua
mossa. Era ospite nel castello reale già da due giorni e non aveva ancora
tentato niente, ma Alfonso era convinto che non avrebbe atteso oltre. Lui,
però, cosa poteva fare? Non aveva né amici né protettori, adesso che il
Generale era morto. Le famiglie nobili di Napoli lo odiavano come avevano
odiato suo padre e non avrebbero mosso un dito per salvarlo, pensando magari di
approfittare della situazione per ottenere privilegi e benefici.
Questi erano i
pensieri del ragazzo mentre, quel mattino, ammirava la straordinaria bellezza
del Golfo di Napoli, appoggiato ad una delle colonne del loggiato. Era talmente
assorto nei suoi pensieri e nella contemplazione del paesaggio da non
accorgersi che Juan si era avvicinato silenziosamente a lui; quando si accorse
della sua presenza, trasalì. Sentì che il cuore gli arrivava in gola e quasi
gli impediva di respirare, il sangue gli pulsava violentemente nelle vene e le
gambe parevano cedergli…
Certo, era la paura,
cos’altro poteva essere? Sapeva bene che il giovane Borgia era una minaccia per
lui.
Ma l’agitazione che
lo aveva invaso non si calmò, anzi parve addirittura aumentare quando Juan,
senza alcuna intenzione di nuocergli, gli si mise accanto e sembrò lasciarsi
anche lui incantare dal panorama offerto dal Golfo di Napoli.
“Mio padre aveva
ragione, questo Regno è davvero un paradiso di bellezza e di piaceri” commentò,
con un sorrisetto che, per qualche motivo, fece accelerare ulteriormente le
pulsazioni già impazzite di Alfonso. “Capisco perché Vostra Maestà vi sia tanto
legato e anche perché in tanti lo desiderino. Tuttavia non dovete più temere
un’invasione nemica ora che godete della protezione della mia famiglia.”
“Quando mio padre era
vivo bastava il suo nome a far tremare chiunque. I suoi metodi non erano sempre
giusti, questo è vero, ma forse era l’unico modo che aveva per mantenere il suo
Regno” rispose Alfonso. “Penso che ricordiate bene la sala da pranzo del Re che
vi mostrò mia sorella Sancha, quando veniste qui, sebbene siano passati più di
tre anni.”
Juan, in realtà,
ricordava ben poco di quella stanza, perché Sancha ce l’aveva portato, sì, ma
poi gli era saltata addosso ed avevano fatto di tutto meno che osservare come Re Ferrante trattava i
suoi nemici. Però, magari, quello non poteva dirlo ad Alfonso. O forse sì?
“Devo ammettere che
era buio e che alla tenue luce di una candela non potei rendermi conto
pienamente della disposizione della
stanza. Inoltre vostra sorella era… come dire… non molto informata su come si
erano svolti i fatti” replicò il giovane, con una luce maliziosa negli occhi.
“Perciò sarei molto lieto di potervi fare ritorno insieme a voi, che
sicuramente sarete in grado di raccontarmi l’origine della stanza.”
Ancora una volta
Alfonso trasalì. Il sorrisetto storto e lo sguardo penetrante con cui Juan lo
fissava lo facevano sentire ancora più strano, come se non fosse in grado di
muovere un passo; inoltre non era più tornato in quella stanza da quando il Re
francese ve lo aveva rinchiuso per punirlo,
una terribile sera di più di due anni prima. Troppi ricordi dolorosi erano
legati a quel posto, ormai…
“Io… penso che
abbiate visto comunque abbastanza per poter capire…” tentò di obiettare il
ragazzo, ma Juan gli circondò le spalle con un braccio (causandogli un
principio di fibrillazione…) e lo spinse con una sorta di amichevole insistenza
verso il corridoio.
“Io invece penso di
no e ci terrei molto a vederla con la luce del giorno” ripeté il giovane
Borgia.
Cosa poteva fare
Alfonso? Annuì, perché non riusciva nemmeno più a parlare, e si incamminò
lentamente verso la famigerata sala da pranzo di Re Ferrante, con Juan che non
si staccava da lui.
Nella mente confusa
da tante emozioni, il povero Principe si convinceva sempre più che le manovre
di Juan Borgia somigliassero in modo inquietante al modo di fare di Re Carlo e
che, con ogni evidenza, sarebbe andata a finire allo stesso modo. Altrimenti
perché tanta curiosità per quella stanza che, in fondo, aveva già visto?
Tuttavia lo
accontentò e, non appena giunti nella sala, la prima cosa che Alfonso fece fu
andare a spalancare tutte le finestre che, per fortuna, davano sul mare. Non
sarebbe rimasto in quel posto al buio nemmeno per cinque secondi, ricordava fin
troppo bene il terrore e l’angoscia provati quando Re Carlo lo aveva fatto
legare ad una di quelle sedie, come se fosse uno dei commensali, e lo aveva tenuto lì per ore.
Mentre il Principe
restava appoggiato al davanzale di una delle finestre, Juan Borgia camminava lentamente
per la stanza, guardando insieme affascinato e disgustato lo spettacolo dei
nobili nemici del Re Ferrante fatti uccidere, mummificati e disposti a tavola
come se fossero Gesù e i suoi Apostoli durante l’Ultima Cena. Cominciava a
pensare che crescere con un padre come il Re di Napoli fosse stato anche peggio
che crescere come un bastardo di Papa Borgia… Però non c’era dubbio che
difficilmente qualcuno avrebbe deciso di mettersi ancora contro quel sovrano.
Fatto il giro della
stanza, Juan andò a sistemarsi accanto ad Alfonso, davanti alla finestra. Si
rendeva conto che la sua vicinanza turbava oltremodo il giovane Principe e la
cosa lo incuriosiva e lo divertiva. Juan Borgia era abituato a piacere alle
donne ma, a dire il vero, la cosa non gli interessava più di tanto, anzi si era
sempre ben guardato dall’instaurare una relazione seria con qualcuna: quello
che voleva lui era il piacere che trovava nei bordelli, senza legami e senza
complicazioni.
Eppure, adesso,
vedere che Alfonso si imbarazzava e si sentiva a disagio in sua presenza gli
provocava un piacere diverso, più profondo… Beh, meglio così, si disse, visto
che il padre voleva che il Principe finisse per dipendere da lui!
Juan si appoggiò con
i gomiti al davanzale e rivolse uno sguardo accattivante ad Alfonso, che da
parte sua cercava accuratamente di evitare di guardare tanto il giovane Borgia
quanto i nobili avversari di suo padre.
“Dunque, Vostra
Maestà, quale sarebbe la storia di questa stanza?” chiese, come se stesse
parlando del tempo.
Alfonso si tormentava
le maniche del farsetto e non sapeva dove rivolgere lo sguardo.
“Le famiglie nobili
del Regno di Napoli non accettavano il dominio di mio padre, erano abituate ad
avere privilegi e favori speciali e si coalizzarono per impedire lo sviluppo di
una nuova organizzazione politica ed economica che avrebbe tolto loro potere.
Così ordirono una congiura contro di lui, ma mio padre la scoprì” iniziò poi a
raccontare. “Saputi i nomi di tutti coloro che avevano partecipato alla
congiura, mio padre li invitò ad un banchetto proprio in questa sala, fingendo
di voler festeggiare con loro le nozze di una sua nipote. In realtà, però, li
fece catturare dalle sue guardie, torturare a morte nelle segrete e, alla fine,
ordinò che fossero mummificati e messi in posa qui, come monito per chiunque
altro avesse tentato di ribellarsi a lui. Io allora avevo sette anni e ricordo
poco, ma mio padre mi ha raccontato molte volte questa storia. Certe sere lui
si dilettava a cenare qui, in compagnia degli antichi avversari…” **
Ancora una volta,
Juan si trovò a pensare che non doveva essere stato affatto facile crescere
come figlio di Re Ferrante!
“Immagino sia per
questo che Re Carlo, quando conquistò Napoli e mi catturò, pensò bene di
punirmi allo stesso modo” mormorò il Principe, talmente piano che Juan dovette
avvicinarsi ancora di più per riuscire a sentirlo. “Ordinò che fossi portato
nelle segrete e che fossi torturato con tutti gli strumenti più atroci e
terribili… e lasciò il dottore a sorvegliare le torture perché non voleva che
morissi subito… ogni volta che perdevo i sensi, il dottore doveva risvegliarmi
perché il supplizio continuasse… Non so quante volte… Suppongo che il Re
francese ci vedesse una qualche forma di giustizia
poetica.”
Questa volta anche
Juan, che non si era mai tirato indietro di fronte a risse, omicidi e brutali
assassini, sentì una specie di brivido lungo la schiena. Che razza di bestia
era quel Re francese? Torturare a morte un ragazzo, divertirsi a farlo soffrire
per una notte intera senza motivo alcuno… Lui stesso non aveva esitato a
rapire, torturare e minacciare di uccidere Benito, il giovanissimo figlio di
Caterina Sforza, ma lo aveva fatto davanti agli occhi di lei e solo per indurla
ad arrendersi. Ciò che il sovrano francese aveva fatto ad Alfonso, al
contrario, era una crudeltà gratuita e immotivata che non gli avrebbe arrecato alcun
vantaggio.
“L’idea di Re Carlo
era mettere anche il mio cadavere qui, in questa sala, nel posto vuoto in cui
dovrebbe esserci Giuda” le ultime parole di Alfonso furono quasi un sospiro.
“Se non fosse intervenuto il Generale, se non avesse convinto il suo Re a
risparmiarmi la vita e a tenermi come ostaggio, io sarei…”
Non poté finire la
frase, ma non ce n’era bisogno.
Lo sguardo di Juan
cadde sul polso destro del Principe che spuntava dalla manica del farsetto che
il ragazzo aveva tormentato fino a quel momento: vi spiccava una cicatrice
profonda che faceva pensare ad una ferita molto grave.
“Cosa vi siete fatto
al polso, Vostra Maestà?” chiese, incuriosito.
Il sorriso amaro che
sfiorò le labbra di Alfonso fece raggelare Juan, che non era solito lasciarsi
impressionare facilmente.
“Mi avevano
incatenato e mentre mi straziavano con… con uno strumento che mi avevano messo
in… beh, il dolore era talmente atroce e insopportabile che io, per tentare di
sfuggire a quella tortura, cercavo di sfilarmi le manette e il ferro… mi tagliò
quasi fino all’osso” rispose Alfonso, ora con uno strano sguardo fisso nel
vuoto. “Ma non me ne accorsi nemmeno, anzi, se avessi potuto mi sarei staccato
le mani a morsi pur di scappare…”
Ancora una volta Juan
circondò con un braccio le spalle del Principe, ma questo fu un gesto
spontaneo, non calcolato. Il racconto di Alfonso lo aveva veramente scosso e
sentiva il bisogno di stringerlo a sé. Nemmeno nelle sue esperienze più
violente, crude ed efferate aveva mai pensato ad una cosa del genere. Alfonso
non era un nemico, non era un ostacolo, e quando il Re lo aveva sottoposto a
simili sevizie era solo un ragazzino di nemmeno sedici anni…
“Non pensateci più,
nessuno oserà nemmeno immaginare una cosa del genere” gli disse. “Anzi, dovremo
fare in modo di essere temuti esattamente come lo era vostro padre, perché non
ci sia più pericolo di un’invasione. Siete sotto la protezione dei Borgia e mia in particolare, ma adesso voglio che
il mio e il vostro nome siano di nuovo il terrore di Napoli, come lo era quello
di vostro padre. Nessun nobile del Regno e nessun altro invasore straniero
dovrà metter piede nelle vostre proprietà, in ciò che vi spetta di diritto!”
Alfonso non sapeva se
si sentiva più sconvolto per aver ricordato l’orribile notte delle torture, per
le parole di Juan Borgia o… per il modo in cui lo aveva attirato a sé, per
incoraggiarlo o chissà cosa. Sapeva solo che non aveva mai provato nulla di
simile e non ne capiva il motivo!
“Vostra maestà,
dovrete portarmi a vedere anche queste segrete di cui avete parlato” riprese
Juan, “come vostro protettore e Capitano Generale dell’esercito papale che vi
difende devo conoscere ogni angolo del castello e credo che le segrete
rappresentino un luogo importante anche come deterrente per i vostri nemici.”
A queste parole, il
giovane Borgia sentì il corpo di Alfonso irrigidirsi e cominciare a tremare, ma
non poteva sapere quale incubo stesse passando per la mente del ragazzo e aveva
detto quelle frasi in tutta sincerità.
Ecco,
lo sapevo, è proprio come quella sera con Re Carlo, urlò
dentro di sé Alfonso, agghiacciato dal terrore. Anche il Re aveva finto di volermi al suo fianco e di parlarmi
amichevolmente per poi ingannarmi e farmi portare nelle segrete! E Juan Borgia
vuole fare lo stesso, vuole che le sue guardie mi strazino ancora in quel modo
e portino a termine il lavoro. Sono stato un idiota, eppure ormai dovrei aver
capito che non devo fidarmi di nessuno e tanto meno dei Borgia, sono loro i
primi a volere il Regno di Napoli! Lo sapevo che mi avrebbe ucciso, ma così…
così no, non posso sopportarlo ancora una volta, non così, non così…
Sempre tremando,
Alfonso inizio a piangere silenziosamente e a guardarsi intorno cercando
disperatamente un modo per sfuggire alla presa di Juan (ora capiva, finalmente,
perché lo avesse abbracciato… che stupido a credere che volesse solo fargli
coraggio!). Se avesse potuto, si sarebbe perfino gettato dalla finestra aperta:
meglio morire spezzandosi il collo che nella camera delle torture! Ma Juan non
lo lasciava e, a dirla tutta, lo guardava stranito, senza capire la reazione
esagerata del Principe. I ricordi di quelle segrete erano senz’altro
spaventosi, ma non c’era ragione di essere così atterriti…
Non poteva sapere
quanto il suo modo di fare gli avesse involontariamente ricordato la tremenda
farsa portata avanti da Re Carlo quella sera di tre anni prima!
Fine capitolo secondo
* Ho
raccontato questo episodio, da me inventato, nella mia long fic Shadows and lights… ma chi può dire che
queste non fossero le vere intenzioni di Rodrigo Borgia?
** La storia della congiura dei Baroni di Napoli contro
Re Ferrante è vera e anche la parte relativa alla vendetta (1486), non so però
se sia vera anche la storia della sala da pranzo…