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Autore: CatherineC94    30/05/2020    6 recensioni
E poi, era arrivata lei. Con quel sorriso perforante, quei modi di fare strani, un po’ altezzosi e un po’ folli come piacevano a lui; lei era vivace e colorata, umile ed elegante, bella nella sua diversità. Marlene si distingueva dovunque, come lui; ricordava ancora il loro primo incontro, quando era riuscita a tirarlo fuori da una situazione davvero spinosa. Storia quarta classificata al contest “Ogni amore ha la sua pietra preziosa” indetto da Zukiworld sul Forum di EFP.
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Marlene McKinnon, Sirius Black | Coppie: Sirius Black/Marlene McKinnon
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica, Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
- Questa storia fa parte della serie 'I Malandrini'
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Storia partecipante al contest "Ogni amore ha la sua pietra preziosa" indetto da Zukiworld sul Forum di EFP.
 
Gerbera Rossa
 

Gloucestershire, 1981
Ricordava molto bene quel pomeriggio assolato; aveva deciso di fare un giro, così tanto per sentirsi vivo e libero. Di tutte le sensazioni che aveva sempre bramato ed adorato, la libertà ne occupava i vertici; essere libero, poter muoversi, vedere, conquistare e vivere.
Sirius Black amava vivere, amava muoversi e sentire nelle vene e nei pori lo stimolo elettrico della libertà; i palmi delle sue mani  frugali e fugaci assaporavano l’aria. Come se l’aria potesse avere un sapore! Però, senza alcun dubbio Sirius l’invidiava per la sua eterna possibilità ed inesistente vincolo limitativo; si era promesso che nelle sua esistenza avrebbe vissuto così : vivo e libero.

Quel pomeriggio caldo di maggio si trovava nel Gloucestershire in incognito; come membro dell’Ordine della Fenice, doveva monitorare i luoghi che Silente gli assegnava per prevenire qualsiasi scorribanda da parte dei viscidi adepti di Lord Voldemort. Da mesi ormai, assieme ai suoi fidati amici combatteva senza tregua le folli megalomanie di quel essere; purtroppo il bottino delle vittorie era molto ridotto. Negli ultimi tempi i Mangiamorte avevano intensificato gli attacchi, anticipandoli e in molti casi trovandoli in qualsiasi nascondiglio; le morti di Caradoc Dearborn e di Dorcas Meadowes avevano buttato giù l’umore di tutti. L’ultima riunione era stata un vero supplizio, James era sempre più teso visto l’imminente parto di Lily, mentre Remus si trovava stranamente più distante, imboscato chissà dove a fare chissà cosa;  Peter invece sembrava essere dimagrito di botto dalla paura. L’unico ancora vigile e ricolmo di fiducia era Silente, che anche se dispiaciuto per le perdite incitava tutti alla lotta continua; prima o poi sarebbe finito tutto, lui se lo sentiva pure. Sentiva nel profondo del cuore che tutte quelle morti un giorno sarebbero state vendicate; quando guardava il ventre pieno di Lily, con dentro il piccolo Harry, il suo futuro figlioccio, Sirius sentiva che tutto sarebbe andato per il verso giusto.

Per non parlare di lei.

Quando si specchiava nei suoi profondi occhi blu,  oppure quando si perdeva nel suoi riccioli rossicci Sirius si diceva che nel mondo il male fosse inesistente; perché se c’era una donna così bella, così buona forse il bene avrebbe potuto distruggere il male e sradicarlo all’origine.
Lei era Marlene, la sua dannazione eterna. Sirius Black non avrebbe mai detto cose dolci o carine, quelle erano una prerogativa di suo fratello James, il cervide innamorato; no, lui avrebbe detto qualcosa di più incisivo e profondo. Perchè in realtà, Sirius nemmeno sapeva come era finito in quel cataclisma; non era il tipo di uomo che aspirava ad una famiglia tornando a casa la sera. Non aveva mai immaginato un piatto di zuppa di cipolle fumanti ed una torta di mele sfornata al momento da una donna in grembiule, mentre entrava ed appendeva il mantello al chiodo, dicendo vivace: « Sono a casa, cara!»; no anzi, aveva sempre pensato che la sua vita sarebbe stato un fiume di Whisky Incendiario e qualche pollastra raccattata di là o di qua. Forse era a causa della sua infanzia segnata dalle violenze psicologiche e fisiche impartite dalla degenerata famiglia Black; per anni era saltato di fiore in fiore, assaporandone il nettare senza mai sentire alcunché in realtà.

E poi, era arrivata lei.
Con quel sorriso perforante, quei modi di fare strani, un po’ altezzosi e un po’ folli come piacevano a lui; lei era vivace e colorata, umile ed elegante, bella nella sua diversità. Marlene si distingueva dovunque, come lui; ricordava ancora il loro primo incontro, quando era riuscita a tirarlo fuori da una situazione davvero spinosa. Era nella zona ovest di Londra assieme ai gemelli Prewett, immerso in un combattimento con i fratelli Lestrange, era una battaglia all’ultimo sangue che non dava segno di cedimento da nessuna delle due parti; lei arrivò, silenziosa, inaspettata  ed essenziale come la pioggia a maggio e con fare sbrigativo lo salvò, curandolo e trascinandolo via da lì, mezzo morto. Confuso, quasi svenuto la sentì dire fintamente indispettita: «Black, se mi muori qui come li prendiamo in giro i tre tonti dei tuoi amici? Ancora devono pagarmi da bere dopo l’ultima volta!»; fu così che, Sirius Black si disse che anche se non credeva nel matrimonio, avrebbe senza alcun dubbio creduto in lei.

Marlene l’aveva capito in realtà, che Sirius non l’avrebbe mai aspettata sotto una navata di fresie, lillà o qualsiasi altro fiore; ma sembrava che a lei non importasse, anzi, fra gli altri si faceva chiamare “La Signora Black” e si aspettava che tutti la salutassero così.
Memorabile fu quando James si azzardò a prenderla in giro per la sua presunta prepotenza; quel giorno lo appese per una caviglia nel giardino di Malocchio Moody e  mentre gli altri se la ridevano, Sirius nella penombra scopriva per la prima volta il concetto di felicità.
Riportò la sua mente al presente, ritrovandosi nelle viuzze della cittadina costellata da abitanti ignari del pericolo mortale che li attendeva; Sirius osservava il tutto circospetto, in attesa di qualche particolare che potesse destare qualche sospetto. Da quando era diventato un animagus, aveva affilato la vista ed ampliato il suo olfatto: riusciva a captare molto più di quanto desiderasse ammettere; in effetti,  secondo lui era fondamentale tenere nascosto qualche asso da tirar fuori nel momento giusto.

Sentì all’improvviso delle note olfattive fresche ed invitanti; si voltò di scatto e alla sua destra, di lato ad una vecchia casa che presumibilmente era disabitata da parecchio, c’era un campo zeppo di un fiore strano che catturò subito la sua attenzione.
Furtivo si avvicinò per osservarli da vicino, rapito da chissà quale pensiero caotico o desiderio improbabile; quel fiore era davvero diverso dagli altri fiori. Si guardò prima a destra e poi a sinistra, fece un balzo agile e si ritrovò seduto nel campo, sommerso dal rosso.
Rosso.
Si, erano tutti rossi quei dannati fiori che lo attiravano come una calamita; ne strappò uno e lo osservò con fare guardingo. Era molto bello, grazioso, vivace e non pomposo fino alla noia; era costituito da tanti petali  e da tante sfumature di rosso; al centro, predominava il rosso acceso, passionale e forte, mentre si schiariva sempre più verso la fine.

Sirius non poté fare a meno di pensare a lei; era il suo rosso, il rosso di Marlene e chiudendo gli occhi si gettò sul prato quasi provando ad immaginarsela. Al diavolo tutto, in quel momento era pieno di lei e di nessun altro; il tutto avrebbe potuto aspettare.
Non si accorse se erano passate ore, oppure giorni; quando un leggero formicolio lo investì sotto il naso, nell’attaccatura dei baffi. Fu travolto dalla consapevolezza che aveva perso tempo, invece di portare a termine la missione per l’Ordine; Silente l’avrebbe incenerito, beh alla fine sarebbe morto prima o poi se l’avrebbero preso i Mangiamorte quindi non faceva alcuna differenza..
«Mi aspettavo di vederti scodinzolare in realtà» disse una voce allegra all’improvviso, facendogli spalancare gli occhi per la sorpresa.
Era Marlene, che chissà come, era riuscita a trovarlo; aveva l’aria di chi era colpevole, forse l’aveva osservato per ore mentre dormiva, per la prima volta indifeso ai suoi occhi; Sirius si sentì denudato ma non debole, anzi. Si sentiva sincero e forse apprezzato da lei; per Merlino e tutti i maghi del mondo magico! Era così bella e seducente! Quel giorno, indossava un vestito giallo e Sirius pensò che quella visione l’avrebbe accompagnato per sempre nei suoi ricordi; era tutto così luminoso che quasi non riusciva a guardare. Lei era luminosa, come un sole; il suo sole.

«Come mi hai trovato?» le chiese sorridente, mentre con una mano le accarezzava il volto. Lei alzò gli occhi  fintamente scocciata e bofonchiò con fare provocatorio e ribelle : « Ho seguito l’odore di cane bagnato, James mi ha detto che stamattina hai fatto il bagno, Felpato».
Sirius la guardò interdetto per un instante, meditando di prendere a morsi il deretano del suo  migliore amico occhialuto, scoppiando a ridere fragorosamente poco dopo; Marlene si unì a lui, con gli occhi che brillavano. L’uomo, rapito dal tutto prese un gerbera mettendola dietro all’orecchio di Marlene, che piombò fra le sue braccia; Sirius pensò che il cuore potesse scoppiare dalla felicità.
«Rimaniamo qua ancora un po’, sembra che ciò che sta accadendo fuori qua non possa arrivare» mormorò Sirius guardandola intensamente; Marlene rossa in viso sorrise, e disse innocentemente: « Io e te per sempre su un campo di fiori. A saperlo avrei rubato la torta sul davanzale di una vecchietta che sta nell’angolo! Potevamo fare un pic-nic.». Si guardarono profondamente, mentre un’altra ondata di risate li avvolgeva, facendoli stringere ancor di più. Sirius annusò l’aria con fare circospetto, interrompendo il momento idilliaco affermando :« Dovremmo trovare un posto per ripararci, sento che sta per piovere»; Marlene lo guardò circospetta e un po’ mal fidata, quel giorno sembrava davvero perfetto e non c’erano tracce di pioggia, finché..
Finché qualcosa di freddo e duro la colpì in fronte.
«Dannato istinto canino. Grandine. Grandine! Ma dico io!» iniziò a lamentarsi Marlene, mentre Sirius con agilità la prendeva fra le braccia e la trascinava nella casa disabitata; lei rideva a crepapelle.
Si sedettero a terra, mentre Sirius le avvolgeva le spalle e avvicinava il suo viso a quello della donna, baciandola dolcemente; lei si strinse ancor di più nel suo abbraccio.
Marlene non era solo silenziosa, inaspettata ed essenziale come la pioggia a maggio; bensì  era anche come la grandine. Fredda e dura all’esterno, ma in quella catapecchia disabitata dolce, accogliente e ricolma d’amore; Marlene era la sua casa.
 
 
Azkaban, 1993
 
La parete era dura. Nemmeno lui sapeva come.
Era ricolma di una sostanza nera e viscida; gli veniva ribrezzo solo a pensarci, ma non aveva un letto. Doveva accontentarsi, dormire a terra su un pagliericcio sporco; di tanto in tanto i topi lo venivano a trovare. Ed eccolo lì che il fuoco lo attanagliava; dannato topo, dannato topo, dannato traditore, ti uccido, eccome se ti uccido..esco, eccome se esco….
Iniziò a ridere, la sua vendetta sarebbe stata folle, si perché lui era diventato folle eccome se lo era; avrebbe scontato dopo la pena giusta ed appropriata. Quella che ora, da innocente stava scontando ingiustamente. Crollò nel sonno.

Clap, clap, clap.

Qualcosa gocciolava. Ma cosa?
Si guardò intorno, non era nella cella. Era in una piccola casa, con le tende blu, immersa nel verde. Ma di chi era quella casa? Dove si trovava? Si girò, sospetto ed impaurito; aveva ancora la divisa della prigione, ma dov’era? Sapeva solo che era luglio e che faceva caldo.

Clap, clap, clap.

Si girò ancora e vide qualcosa di rosso, di rosso scuro a terra; come la zona centrale delle gerbere, vicino al polline. Si avvicinò, e vide che la macchia s’ingrandiva sempre più; si bloccò, perché notò un’altra sfumatura più chiara di rosso che si faceva più vicina.
Erano dei capelli, ricci.
Si inginocchiò, e solo in quel momento si rese conto che quella macchia rosso chiaro erano capelli di Marlene; Marlene giaceva a terra, con gli occhi spalancati e un rivolo di rosso scuro che usciva dalla bocca.

Clap, clap, clap.

Era sangue, il suo sangue, rosso sangue.
Sirius si alzò tremante, mentre la stanza si rimpicciolì; c’erano altre macchie nelle pareti, però era un rosso più chiaro, come quello nella parte esterna dei petali delle gerbere.
«Marlene» biascicò con una voce che non sembrava nemmeno sua; da quanto tempo non parlava?
Si rese conto che lei non avrebbe risposto, soffocata da quel rosso sangue intenso e l’unica cosa che le parve sensata fu di iniziare a ridere.

Dannato traditore, pensò, ti troverò, non impazzirò.

«Black svegliati! Black!» disse una voce burbera riportandolo alla realtà; sudava freddo.
Era il Ministro della Magia probabilmente;  Sirius lo guardò, diritto e fiero notando qualcosa di rosso che pendeva dal suo mantello da viaggio. Era qualcosa. Una foto, una foto sul giornale.
«Ministro, perché non mi da il giornale? Sa, sento la mancanza dei cruciverba. Qui come può ben immaginare è una noia mortale» gli chiese calmo; fu divertente vedere la sua espressione sbigottita ed incredula. Aveva pensato di trovarlo folle, ma lui aveva da fare molto prima di esserlo in tutto  e per tutto…
Così si ritrovò steso a terra, bramoso di cogliere quel rosso su quel giornale; di scatto lo trovò e lo lesse rapito. Era la foto di una famiglia di maghi, i Weasley che un angolo del suo cervello riconosceva; la memoria ormai gli giocava brutti scherzi. Il padre aveva vinto la lotteria ed erano andati in vacanza. Avevano tutti i capelli rossi.. un rosso acceso. Sirius Black li guardò ad uno ad uno, mentre notò sulla spalla di uno dei figli un topo.
Un topo. Un topo senza un dito.
Il poco sangue che aveva nelle vene gli salì al cervello.
«Trovato» disse piano, prima di iniziare a ridere forte. Rise per ore, folle e rabbioso e conscio che l’ora della verità sarebbe giunta da un minuto all’altro.
 Stanco si accasciò e chiuse gli occhi.
Quando li riaprì era ancora una volta circondato dal campo di gerbere rosse ed ancora una volta Marlene lo guardava sorridente; lei fece leva sul braccio e si mise di lato, aveva ancora la gerbera che le aveva posizionato con estrema dolcezza lui dietro l’orecchio.
«Appena avrai finito tutto, io ti aspetterò qui» sussurrò con voce dolce.
   
 
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