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Autore: angelenergy_    31/05/2020    2 recensioni
"Era così dannatamente sdolcinato, così dannatamente non da lui ed estraneo al suo essere, ma ogni volta che la guardava, con i suoi capelli rossi come i papaveri che crescevano nel giardino dietro casa sua, con quegli occhi, quello sguardo su cui riusciva a leggere così tante emozioni, così tante parole non dette, con quella pelle di un colore etereo e quelle labbra con la forma del più bel fiore, tutto quel turbine di emozioni a cui non sapeva dare nome lo investiva, e staccava letteralmente la spina dei suoi pensieri. Nella sua testa, nel suo corpo, in ogni fibra di lui, non c’era altro che lei. E questo lo spaventava, lo destabilizzava, non sapeva come gestirlo perché era qualcosa di totalmente nuovo per lui, qualcosa su cui non possedeva alcun controllo. Cosa che, peraltro, lo mandava fuori di testa, e lo spingeva a odiare quella ragazza che continuava a rifiutarlo giorno per giorno con tutto sé stesso."
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Coppie: James/Lily
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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CATHARSIS

1. You’re somebody else
Well you look like yourself
But you're somebody else
Only it ain't on the surface
Well you talk like yourself
No, I hear someone else though
Now you're making me nervous
(You’re Somebody Else – flora cash)


 
 
 
 
Era così estenuante dover avere a che fare ogni singolo mese estivo con quel perenne caldo soffocante, che le impregnava la pelle e le rendeva pesanti e intollerabili i suoi caratteristici capelli color papavero, ormai irrimediabilmente cresciuti fin sotto al seno – erano il suo più grande orgoglio dopo la sua media scolastica: nessuno che non avesse voluto vivere il resto dei suoi giorni con qualche arto in meno avrebbe anche solo osato provare a sfiorarli con un dito; un’altra cosa che odiava e che rendeva insostenibile quel tempo passato in quella che un tempo avrebbe definito casa, ma nella quale si stava rendendo conto di star diventando pressoché un’estranea, era il fatto di dover essere costretta a rimpiazzare per tre lunghissimi e tediosissimi mesi la presenza delle sue meravigliose amiche con quella petulante e sgradevole della sorella Petunia: il suo odio nei suoi confronti era pari a quello di una tempesta marina implacabile, e, dopo tutti gli anni nei quali aveva sprecato così tanto fiato a ripeterle la stessa, medesima cosa, e cioè che l’essere maga non la rendeva meno umana o meno capace di volerle bene, ormai Lily aveva rinunciato ad avere qualsiasi rapporto civile con lei, e cercava in tutti i modi di distrarsi come poteva, per non pensare a come una persona a cui aveva così tanto voluto bene in passato fosse potuta diventare così di colpo un’estranea, nonostante vivessero ancora sotto lo stesso tetto per qualche periodo all’anno e avessero gli stessi genitori. Il suo cuore era un paese straziato, ma era brava ad accantonare quel dolore in qualche recesso di sé e far finta che non esistesse.  
La situazione era la stessa da sei anni a quella parte, e l’atteggiamento che la sorella mostrava nei suoi confronti non sembrava essere intenzionato a cambiare per quello che lei prospettava un tempo davvero lungo, ma si era davvero stancata di sprecare le sue energie per rincorrere una persona che evidentemente non la voleva.
Prima di vedersi con Chet, il ragazzo babbano con cui aveva intrapreso una relazione circa da quando era tornata a casa per le vacanze, quel pomeriggio era scesa dalla sua stanza a prepararsi un caffè all’italiana - quella che lei definiva ‘la bevanda degli dèi’ – quando improvvisamente aveva sentito sbattere violentemente la porta della cucina, mostrando ai suoi occhi smeraldini uno scorcio di soggiorno. Come vide catapultarsi nella stanza una chioma castana e ordinata in maniera quasi maniacale, spostò nuovamente gli occhi sulla sua moka, attenta a non versare neanche un briciolo di quella polverina scura.
“Ciao.”
Silenzio. Era quasi la metà di luglio, e, tra le cene di Petunia con le sue numerose amiche o con il suo enorme fidanzato, le sue uscite al cinema o le serate passate con Chet, quella era forse la seconda o la terza volta che si vedevano in tutta l’estate. Ed era ancora silenzio.
Un sorrisetto triste le era comparso sulle labbra, ed era pronta a chiudere con forza la macchinetta, che proveniva direttamente da un negozio italiano ed era tra i marchingegni più insoliti e scomodi da utilizzare che potesse mai decidere di acquistare come souvenir, quando, inaspettatamente, sentì una voce fredda alle sue spalle.
“Mi sposo.”
Si girò di scatto, credendo di aver capito male, ma gli occhi di un verde spento e forse anche più freddi della voce che incontrò le diedero una risposta che, beh, la lasciò di sasso. Rimase a guardarla come si guardava un fantasma, in petto la sensazione che la sorella le stesse letteralmente scivolando tra le dita, così come il loro rapporto ormai in frantumi.
“Mi sposo. A dicembre, durante le vacanze di Natale.” Si interruppe, guardandosi le mani.
Lily non riusciva ad esalare respiro. Era la prima volta che la sorella le parlava, le rivolgeva più di due parole in fila che non fossero monosillabi, che non le urlava contro che era un mostro. Non voleva rovinare tutto aprendo la sua stupida bocca a sproposito.
“Vernon mi ha chiesto di sposarlo.”
“Okay.” La sua voce uscì roca. Non capiva davvero dove voleva andare a parare.
“Non ti sto…invitando.” Pronunciò quella parola con una smorfia, come se avesse ingoiato un cucchiaio di aceto, e la infilzò con quegli occhi gelidi, intingendo ogni parola in una pozza di disprezzo, come prima si era dimenticata di fare. “Non mi sognerei mai di invitare una come te nel giorno più bello della mia vita.”
“Se non…” Lily prese un lungo respiro, cercando di ignorare quel dolore che cercava di contenere in un angolo del suo cuore che minacciava di salire in superficie. “Se non vuoi invitarmi non capisco perché sei qui a dirmelo.” Si interruppe, in volto una finta espressione dubbiosa.  “Ah, giusto, un’altra scusa per ricordarmi quanto mi odi. Be’, grazie tante, non me ne sono certo dimenticata, e ora che lo sai sparisci.”
Petunia strinse i pugni e la bocca assunse una piega stizzita, ma quando le rispose la sua voce era perfettamente calma.
“Sono qui per dirti che quando mi sposerò e uscirò da quella porta, sarà l’ultima volta che mi vedrai. Non ho intenzione di avere più niente a che fare con te e i tuoi…ridicoli trucchetti, né voglio che Vernon sappia mai della tua presenza e possa anche solo sospettare qualcosa sulla tua stramba natura. La mia esistenza è andata a catafascio dal momento in cui sei anni fa è arrivata quella lettera e, aprendola, anche tu sei cambiata e mi hai reso la vita un inferno, cosa che non ti perdonerò mai. Non permetterò che tu e le tue tendenze continuiate a rovinarmi anche il più piccolo dei miei momenti felici, né che ogni singola cosa che faccio venga più intaccata dalla tua maledetta ombra. Mi sposerò, avrò dei figli, invecchierò guardandoli crescere, ma non posso tollerare che tu sia di sfondo a tutto questo. Non posso tollerarti e mai lo farò. Voglio che tu ti tenga fuori dalla mia vita, per sempre.”
La sorella aveva sputato fuori tutto l’odio che si teneva in corpo da un bel po’ e l’aveva fatto senza distogliere gli occhi dai suoi neanche per un secondo. Lily doveva sentire sulla sua pelle quello che le aveva fatto, doveva capire che era stata la rovina della sua vita fino a quel momento, doveva capire che il disgusto che provava verso di lei la ripugnava a tal punto da non sopportare neanche di trovarsi nella stessa stanza con lei. Doveva capire che non voleva sprecare un solo minuto in più con lei della sua esistenza, che, in quella casa, era solo di peso. Doveva provare tutto il risentimento che aveva sentito lei quando l’aveva vista allontanarsi dalla sua vita e sbocciare in un mondo totalmente nuovo e infinitamente più bello di quello in cui si trovava lei, senza la capacità, però, di poterla includere. E Lily l’aveva capito, sì, l’aveva compreso alla perfezione. Gliel’aveva letto negli occhi, quegli occhi così simili ai suoi, ma allo stesso tempo così diversi, spenti, privi della sua luce che tanto la faceva piacere agli altri.
Il cervello di Lily aveva registrato ogni parola che aveva detto, ce le aveva stampate con un inchiostro indelebile davanti agli occhi. Ma il suo cuore si era sbriciolato nei suoi occhi, e qualcosa, dentro di lei, si era definitivamente rotto.
 






 
*   * ⋆   .
 
 






Mentre osservava scorrere davanti ai suoi occhi il paesaggio delle dolci colline britanniche, e accarezzava distrattamente con le dita sottili l’imbottitura patchwork del sedile sotto le sue gambe, Lily avrebbe volentieri regalato tutti i suoi risparmi conservati alla Gringott a James Potter piuttosto che accettare che quella conversazione, risalente ormai a più di un mese prima, fosse mai avvenuta.
Non aveva pianto. Malgrado la sorella l’avesse definitivamente cacciata via dalla sua vita, le avesse sputato in faccia tutto quanto il disprezzo che provava nei suoi confronti e avesse troncato, infine, ogni remota speranza, che la ragazza in cuor suo ancora sentiva nascere quando la guardava, di poter risanare un rapporto che ormai risultava irrimediabilmente lacerato, Lily Evans, Caposcuola Grifondoro di Hogwarts, la ragazza con la media più alta di tutta la scuola, conosciuta anche e soprattutto per i suoi storici scontri verbali, che non di rado sfociavano nel magico, tra i corridoi del castello con Potter, non aveva permesso che una sola lacrima le solcasse quel viso candido. Non lo permetteva mai. Non doveva mostrarsi debole, lei non era debole, e anche se neanche lei ci credeva poi così tanto, semplicemente lasciava che ogni difficolta o sofferenza che le faceva venire un groppo in gola venisse assorbita da una bolla di dolore che covava in qualche angolo di sé, che si stava facendo irrimediabilmente più grande ogni giorno che passava. La sentiva che gli doleva in un punto tra le costole e i polmoni, a sinistra.
Quanto tempo sarebbe rimasto prima che scoppiasse?
“Lils.”
Che cosa sarebbe successo nel momento in cui fosse esplosa?
“Lily J. Evans.”
Improvvisamente non pensava che fosse così forte come tutti la credevano, e come cercava lei di apparire, se effettivamente sotto c’era sempre qualcosa che minacciava di distruggerla, sia esternamente sia…
“C’è un primino al vento sul tetto con solo le mutande.”
“Dove? Che cosa?! POTTERR!!”
La rossa scattò in piedi, tutt’a un tratto vigile, facendo trasalire le ragazze sedute vicino a lei. Se qualcuno era nei guai o si trovava in una situazione di dubbia innocenza, Potter e la sua combriccola c’entravano sempre di sicuro qualcosa.
Marlene scoppiò in una fragorosa risata, e così anche Emmeline tentò di nascondere un risolino sotto le sue ciocche bionde. Notando il lampo di furia che aveva attraversato i suoi occhi smeraldini e la bacchetta sfoderata, pronta ad affatturare qualsiasi canaglia le si fosse presentata sotto il naso, la prima si era avvicinata e l’aveva presa per un braccio, ridacchiando. “Calma Lils, nessun primino rischia la morte.”
“Io e Marls abbiamo giocato talmente tante partite di magiscacchi che se quest’anno non ci prendono ai campionati mi ritiro da Hogwarts, non me ne frega. Sono ore che ti chiamiamo, ma tu non dai nessun segno di vita.” Intervenne Emmeline.
“Si esatto. Sembravi un blocco di cemento, ad un certo punto volevo pure metterti due dita sotto al naso per controllare se stavi ancora respirando.”
 “Be’ siete riuscite ad avere la mia completa attenzione.” Lily si rimise al suo posto fingendo un sospiro scocciato, anche se in realtà una scintilla divertita le illuminava il volto. Le ragazze avevano sempre quel potere su di lei, erano letteralmente la sua forza.
“Interessante come è venuto subito fuori il nome di Potter…” Ghignò Marlene, perfida.
“Marls. No.”
“Ma…”
“No.”
Scoppiarono di nuovo a ridere. Le erano mancate troppo, proprio non riusciva ad arrabbiarsi con loro, neanche per quell’allusione che ormai andava avanti da un po’, e sulla quale lei sapeva le due non avrebbero rinunciato fino a quando non si fosse sposata e avesse avuto dei figli con qualcuno; era la prima volta che le rivedeva dopo tre mesi, non aveva proprio voglia di una scaramuccia a causa di quel vermicolo con le gambe.
“Okay, okay, lo confesso. Sono follemente, irrimediabilmente, incondizionatamente, totalmente, pazza dalla voglia di James Potter.” L’abitacolo riecheggiò delle risa delle due amiche, che si tenevano la pancia dalle risate e si asciugavano le lacrime agli occhi, mentre Lily continuava con voce mortalmente seria. “Precisamente dalla voglia di buttarlo giù dalla torre di Astronomia, fargli fare tutte e 142 le scalinate rotolando, appenderlo al soffitto della Sala Grande con addosso solo i boxer coi boccini, fargli scomparire con un incantesimo tutte le ossa che ha in corpo e poi…” La ragazza non riuscì a terminare il suo monologo che la porta dello scompartimento si socchiuse, rivelando due figure maschili per niente desiderate.
“E’ per caso una dichiarazione d’amore quella che sento?” James Fleamont Potter fece il suo ingresso senza che nessuno glielo chiedesse, i capelli scarmigliati ad arte e lo sguardo malandrino puntato sulla figura di Lily; poco dopo anche il compare Black fece capolino da dietro le sue spalle, il ghigno perenne sulle labbra. In tre mesi non era cambiato assolutamente nulla.
“Oh, Potter! Parli del cinghiale e spunta il porco.” A quell’uscita le ragazze non riuscirono a trattenersi oltre e si piegarono in due dalle risate, mentre la rossa sfoggiava un sorriso a trentaquattro denti.
“Vedo che siamo in forma smagliante, Evans.” Ma i suoi occhi stavano scivolando su tutto il suo profilo, dall’alto in basso, più volte, una scintilla diversa gli illuminava l’espressione ed era evidente che non si riferiva soltanto alla sua lingua biforcuta. Di colpo la ragazza fu anche troppo consapevole della camicia tesa sull’ampio petto, che non ricordava che a giugno fosse stato così massiccio, della cravatta allentata e dei due bottoni lasciati slacciati apposta, della sua voce di un tono più profonda, roca, e del marrone dei suoi occhi così intenso, che tanto le ricordava il cioccolato fuso e…
E basta. Era soltanto Potter. Punto.
“Dici bene. A proposito, perché tu e Black siete ancora qui? Non dovete, che ne so, spaventare qualche primino?” Intanto le sue amiche si erano ricomposte e facevano saettare lo sguardo tra le due figure, come a guardare una partita di Quidditch dove Lily era il battitore e James la pluffa. Marlene stava per lasciarsi scappare nuovamente una risata, quando per sbaglio incontrò i pozzi di argento liquido di Sirius Black, il quale le rivolse un cenno di saluto col capo; non erano grandi amici, ma le loro famiglie, entrambe appartenenti a delle nobili casate di sangue rigorosamente puro, e il loro carattere per certi versi molto simile avevano fatto sì che sviluppassero una sorta di tolleranza reciproca, che però non era mai sfociata in una vera e propria amicizia, e la mora non ci avrebbe neanche tenuto: era infatti risaputa da tutti la tendenza del ragazzo, così come quella dell’amico, di passare felicemente di fiore in fiore, per quanto riguardava i rapporti con le altre ragazze, ed era una cosa che lei non poteva assolutamente accettare.
“In realtà…” E qui James avanzò di un passo verso la rossa, mentre la mano andava, senza che ce ne fosse alcun bisogno, a scompigliarsi la chioma ribelle, gesto abituale che faceva cadere ai suoi piedi più esseri femminili di quanto sarebbe stato possibile e aveva lo strambo potere di mandare Lily in bestia in un decimo di millisecondo. “Io e Felpato passavamo di qui per puro caso quando abbiamo sentito la tua soave voce pronunciare dolcemente il mio nome, per cui ho pensato avessi bisogno di me.”
“E invece hai mai pensato che il tuo ego è così spropositatamente grande che ti fa credere di sentire le voci di persone che ti chiamano quando in realtà non è così? E’ una malattia, Potter, si può curare, non so se hai mai sentito la parola babbana ‘ospedale psichiatrico’.” Stavolta neanche Sirius riuscì a trattenersi ed esplose nella sua risata spaventosamente simile a un latrato, al punto da guadagnarsi un’occhiata stizzita e una gomitata nelle costole da parte del diretto interessato.
“Sai cos’altro ho di spropositatamente grande?” Il moro esibì un sorrisetto di sghembo per niente rassicurante.
“Oh no, Ramoso, ti prego, ti scongiuro, non dire cosa stai per dire.” Fece Black mentre le guance di Lily si imporporarono in maniera del tutto inaspettata, e si lasciò per di più sfuggire una tosse imbarazzata.
“Intendevo dire, che ho una grande carisma e anche un grande senso di responsabilità”
“Questa penso sia la cosa più idiota che io ti abbia mai sentito dire, e fidati che da te di cose idiote ne ho sentite dire tante.” Era più forte di Lily, per una sottospecie di legge cosmica, quando James Potter le rivolgeva la parola o solamente disturbava la sua quiete con la sua presenza doveva per forza rispondergli per le rime; era una questione di principio, da ormai sei anni a quella parte, come era di principio che il ragazzo cercasse in tutti i modi di farla capitolare ai suoi piedi, perché, beh, Lily Evans era la ragazza più bella che avesse mai visto, e anche l’unica che non solo gli avesse rifilato un no secco e brutale, ma che fosse anche in grado di tenergli testa sia verbalmente, sia in quei non così rari e spettacolari scontri magici lungo i corridoi del castello che finivano sempre per suscitare la muta ammirazione degli studenti e l’ira più nera dei professori, a causa dei danni che essi arrecavano talvolta alla scuola.
Negli anni quindi, per James Potter, conquistare la rossa era diventata una vera e propria sfida personale senza esclusione di colpi; la diretta interessata ne era pienamente a conoscenza, e non aveva la benché minima intenzione di dargli corda.
Ma in realtà l’odio della ragazza nei suoi confronti non era limitato al solo fattore della natura da gigolò, per così dire, di James, esso aveva radici ben più profonde e ancorate saldamente a un terreno da cui nemmeno la più potente delle zollatrici babbane sarebbe riuscita a estirparlo. Precisamente risaliva al primo anno ad Hogwarts, quando Severus Piton era ancora una delle persone per le quali Lily avrebbe dato la sua stessa vita, malgrado egli fosse della casa di Serpeverde e nessuno, concretamente, vedeva di buon occhio il loro rapporto di amicizia proprio per questa ragione: James, infatuato dalla rossa, nel vedere che un altro ragazzo, a differenza sua, era riuscito a convogliare in lei tutto quell’affetto, sommando poi il fatto che quel ragazzo era una lurida serpe, si era autoproclamato sin dagli albori nemico giurato di Mocciosus – come lui e gli altri Malandrini l’avevano poi ribattezzato  -  e difensore decisamente non richiesto della Evans, cosa che in qualche modo aveva ritenuto lo autorizzasse ad andarsene in giro a lanciare fatture o esibire le più fantasiose cattiverie ogni volta che per sbaglio lo incontrava. Un tempo Lily si sarebbe tagliata un braccio con una seghetta arrugginita per far sì che i Malandrini smettessero di compiere angherie su di lui, ma al tempo egli non le aveva sputato contro l’offesa più grande che si potesse rivolgere ad una persona del suo stato, che mai avrebbe pensato di poter sentire uscire dalle sue labbra, e che aveva confermato la reale e orribile persona che si celava dietro quella facciata che, evidentemente, aveva tenuto per tutti quegli anni: l’aveva chiamata schifosa Sanguemarcio. E lei neanche ci avrebbe dato più di tanto peso se ad appellarla così non fosse stato il suo miglior amico. Malgrado l’inclinazione religiosa cristiano-cattolica con cui era stata cresciuta, della quale uno dei fondamentali principi era forse quello del porgere l’altra guancia, in futuro lei non sarebbe mai riuscita a dimenticare quel velo di disprezzo che per un fatale attimo gli aveva adombrato l’espressione, e in cuor suo sentiva che non sarebbe più stata in grado di affidare il suo cuore in mano ad una persona che sapeva non era mai stata sincera con lei sin dall’inizio.
Ma erano passati quasi due anni dall’avvenimento, e pensare a lui e la loro amicizia persa definitivamente non le faceva più provare quella sensazione di dolore cocente in petto; dentro di lei per lui era rimasta soltanto pena e una sottile patina di tristezza, aggiunte alla sfera di dolore che quel giorno di maggio aveva assunto una mole spaventosamente ampia.
“Ah sì, Evans?” La voce di Potter la tirò fuori dai suoi pensieri. “E allora perché nella lettera che ho ricevuto quest’estate dalla scuola c’era dentro anche questo?”
Con sommo orrore della rossa, il ragazzo estrasse dal taschino dei pantaloni della divisa un piccolo oggetto che immediatamente catturò la luce presente nella stanza in un luminoso scintillio rosso-oro, fregiato di una prorompente ‘C’ che, Lily ne era sicura, avrebbe segnato la sua rovina definitiva.
“Esatto, Evans, quest’anno saremo entrambi Caposcuola.”
 
 





*   * ⋆   .
 






 
“Primo anno! Primo anno da questa parte!”
Argh.
Lily aveva iniziato la sua carriera da Caposcuola da appena cinque minuti e già desiderava ardentemente avvolgersi al più presto tra le comode pieghe del suo letto a baldacchino, nel dormitorio proprio e delle sue amiche. Quando aveva scartato la lettera recata dalla scuola mediante un altezzoso barbagianni, e aveva visto la spilla rossa-oro scivolarle tra le dita, per quanto era stata su di giri aveva perso l’equilibrio ed era caduta col fondoschiena sulla superficie liscia del parquet del soggiorno, provocandosi un grosso livido violaceo che era rimasto lì, in bella vista, per ben due settimane; presa dall’euforia del momento, la sua mente era stata proiettata solo sui lati positivi che quella nomina avrebbe avuto sul suo profilo, le agevolazioni per i M.A.G.O., e il suo curriculum magico, e non aveva tenuto conto del fattore principale e più impegnativo: avrebbe dovuto introdurre definitivamente dei bimbetti di undici anni nel mondo magico, alcuni dei quali ne avevano forse sentito parlare soltanto il giorno prima. In realtà, stilando su un foglio una lista di tutte le attività che sarebbero spettate lei e il suo collega, al tempo ignoto, aveva passato in rassegna anche quella, ma, contando sul fatto che durante la sua prima esperienza nel castello era stata spaventata da morire, e praticamente aveva obbedito a qualsiasi cosa le avevano detto di fare, l’aveva banalmente catalogata come una delle più semplici, accantonandola e dimenticandola, senza sapere quanto realmente si sbagliasse.
La sua non poi così prorompente statura non l’agevolava di certo, le possibilità che anche solo un suo amico potesse riconoscerla lì in mezzo a quel marasma di persone erano pari a quelle che Silente mangiasse carne di Snaso per cena, e, con tutta quella confusione e quella calca di gente, non le era neanche concesso utilizzare la magia per richiamare su di sé l’attenzione degli studenti, il timore di ferire qualcuno per sbaglio le punzecchiava il cervello.
Si era ritrovata così a sgolarsi in mezzo ad un groviglio di studenti di tutte le età che non riuscivano a farsi spazio a causa del loro numero spropositato, al chiacchiericcio concitato di chi si era ritrovato per la prima volta di fronte alla maestosità della Sala Grande, e di chi, invece, la rivedeva dopo tre lunghi mesi di assenza ed era entusiasta e grata di possedere il privilegio di poterci trascorrere ancora un altro anno; ma il tumulto era tale che la rossa non era nemmeno sicura che quell’accozzaglia appartenesse tutta alla casa di Grifondoro, sentiva un esaurimento nervoso minacciare di farle esplodere la sanità mentale già dal primo giorno, il muscolo vicino all’occhio destro aveva iniziato a guizzare pericolosamente, come volesse uscirle fuori dalla pelle.
“In difficoltà, Evans?” Fu forse la prima volta che sospirò di sollievo nel sentire quella fastidiosa voce al suo orecchio.
La ragazza si girò di scatto e osservò in tralice il sorrisetto derisorio sul volto di Potter. Come non detto.
“In realtà me la stavo benissimo…”
“Cos’è quello?” Non aveva fatto in tempo a terminare la frase che James l’aveva afferrata rapidamente per la mano, trascinandosela appresso verso un punto lì vicino, in cui la massa di studenti sembrava farsi più fitta. Ora che guardava meglio, erano tutti disposti in modo da essere rivolti verso un’unica direzione, che in quel momento era però celata alla vista di Lily a causa della mole di persone.
E d’improvviso uno strillo, acuto. Poi un altro, e un altro ancora.
“Largo! Largo! Siamo Caposcuola!”
Potter non perse tempo, mentre la ragazza al suo fianco sfoderava trepida la bacchetta e la folla di colpo si diradava al loro passaggio; nel momento in cui anche l’ultimo studente si scostò, ai loro occhi si mostrò una visione agghiacciante, che fece venire la pelle d’oca sui bracci esili di Lily e sgranare più volte gli occhi a James, e che avrebbe tormentato i due ragazzi nei sogni  per molte notti a venire: c’era un ragazzo raggomitolato su se stesso, nel mezzo di quella sorta di cerchio umano, che si contorceva e si dimenava sul posto, come in preda alle convulsioni di una crisi epilettica; dalla sua bocca uscivano grida disumane, orripilate, e gli arti andavano freneticamente a tastarsi parti del corpo, quasi qualcuno stesse infilzando il suo corpo con cento spade e lui cercasse di tamponarsi ferite grondanti di sangue.
Ma non c’era nessuna spada, nessun sangue, solo quel povero ragazzo che si dimenava, torturato, disperato, e che, Lily notò con sommo sgomento, non poteva avere più di undici anni.
Le fu estremamente difficile scostare lo sguardo dalla visione che aveva parata davanti agli occhi, un groppo di terrore le era salito in gola senza più riuscire a mandarlo giù, mentre il petto le si stringeva in un morsa serrata; costrinse sé stessa a passare febbrilmente in rassegna tutto il diametro creato dalla folla, alla ricerca del responsabile di quella mostruosità, ma riuscì soltanto a scorgere gruppi su gruppi delle varie casate ammassati gli uni sugli altri, che si estendevano a perdita d’occhio nella sala. Notò anche, in mezzo a quel caos, una schiera di Serpeverde che si trovava quasi in prima fila, e tra essi la figura che, dal momento in cui aveva oltrepassato il binario di King’s Cross, aveva tentato di evitare in tutti i modi possibili; Severus Piton, affiancato dai soliti Avery e Mulciber, teneva gli occhi puntati sulla scena davanti a sé, i lunghi capelli neri come la notte gli sfioravano la mascella contratta. Non ci mise molto a capire di essere osservato, ma quando si rese conto che l’osservatrice era proprio Lily, la ragazza per cui qualche mese prima avrebbe fatto carte false affinché gli degnasse un minimo del suo tempo e della sua attenzione, la guardò per un attimo, per poi abbassare gli occhi, scottato, le guance pallide appena arrossate. In quel momento la rossa provò talmente tanta di quella rabbia che temette sarebbe potuta andare lì, prenderlo per il colletto e mollargli qualche cazzotto alla babbana. Così, tanto per sfogarsi.
Finite Incantatem!” La voce del professor Silente rimbombò nella sala, chiusa in un muto e surreale silenzio, solitamente così piena di schiamazzi e risa gioiose degli studenti. A Lily fece un effetto stranissimo.
Il primino aveva cessato improvvisamente di divincolarsi ma giaceva ancora lì a terra privo di sensi, e non sembrava in grado di rialzarsi senza che qualcuno lo aiutasse prendendolo per le spalle; alle sue spalle udì i passi affrettati e la voce di Madame Pomfrey, preoccupata, che sosteneva che il ragazzo doveva essere portato in infermeria all’istante. La rossa sembrava come pietrificata da quella visione, e, malgrado fosse Caposcuola e sarebbe stato suo dovere riscuotersi e assistere quello studente in difficoltà, malgrado dovesse essere la prima a non lasciarsi sconvolgere da quell’avvenimento, mandare giù quel boccone così amaro e dare esempio di forza e rassicurare gli altri studenti, non riusciva affatto a staccarsi da quel punto, aveva i piedi come ancorati al terreno, gli occhi vacui.
La sua attenzione venne improvvisamente attratta da un lieve scossone al braccio sinistro; lentamente, catturò con gli occhi quel movimento, in basso, e scorse una mano saldamente ancorata alla sua, un pollice stava effettuando tenui pressioni sulla pelle del dorso, come a richiamare il suo interesse. Risalì con sguardo indolente su per quella grande mano con le pellicine alle unghie, per quel braccio i cui muscoli erano mal celati sotto la stoffa bianca della camicia, tesa, su per quella linea del mento definita, dura, gli zigomi alti, fino a raggiungere un paio di occhi di un castano intenso, che non poté fare a meno di notare come in alcuni punti fosse impregnato da luminosi lustrini dorati, e in altri più scuro, come il caffè italiano che sorseggiava la mattina appena sveglia e il pomeriggio dopo aver terminato le lezioni. Un’improvvisa sensazione di familiarità e di calma la invase nel profondo, e all’improvviso si ridestò, sorpresa, sgranando gli occhi.
“Mi lasci e andiamo a fare il nostro dovere, oppure hai intenzione di tenerti la mia mano per sempre?” Sussurrò Potter con un piccolo sorriso, e solo in quel momento Lily si accorse che era lei ad aver stretto forte il palmo del ragazzo, e, soprattutto, di quanto fossero vicini in quell’istante. “Nulla da obiettare, eh. Sia chiaro.” Mollò immediatamente la presa, di colpo bollente, e mise tra loro qualche passo, scostando lo sguardo imbarazzata.
La folla si diradò lentamente, ognuno si diresse nei rispettivi dormitori, confuso, orripilato, e, mentre Madame Pomfrey, aiutata da James, caricava il ragazzo ancora privo di sensi su una brandina e lo trasportava fuori dalla Sala Grande, la McGranitt si avvicinò a lei e le diede veloci istruzioni sul comportamento e le attività che avrebbe dovuto svolgere quella sera: fintanto che Potter era impegnato in infermeria, avrebbe dovuto guidare i ragazzi del primo anno nelle loro stanze in Sala Comune, cercare in qualche modo di rassicurarli su quanto avvenuto pochi istanti prima – senza rivelargli, però, cos’era realmente successo, in quanto quel compito sarebbe spettato al professore che avrebbero avuto per primo la mattina seguente -, per poi ritrovarsi con James per compiere un breve giro di ronda. A Lily non lo disse, ma era molto probabile che i due incontrassero alcuni professori per i corridoi, quella notte, in modo da garantire ulteriore protezione per gli studenti.
La rossa fece tutto ciò che le era stato comandato, cercò di assumere un tono rassicurante mentre guidava quei marmocchi per le rampe di scale, spiegando loro quali gradini saltare per evitare di ritrovarsi con piede incastrato, indicando loro fantasmi, i personaggi mobili all’interno dei quadri, i corridoi proibiti; illustrò loro il ritratto della Signora Grassa, la parola d’ordine senza la quale non sarebbero riusciti ad entrare, la Sala Comune e, infine, la separazione dei dormitori maschili e femminili. Accarezzò la spalla di ogni sguardo spaventato che incontrava, e ad alcuni diede anche un bacio materno sulla testa; sapeva che non sarebbe bastato a cancellare le immagini dello scenario di poco prima, ma aveva sperimentato sulla sua stessa pelle che una carezza, un bacio o un abbraccio dati nel modo giusto sapevano infondere più serenità e conforto di mille parole dette quando anche colui che le pronunciava non ne era pienamente convinto.
 






 
*   * ⋆   .
 







 
“La maledizione Cruciatus.
Lei e Potter stavano percorrendo uno dei corridoi del terzo piano per quella che doveva essere almeno la quinta volta – così la McGranitt le aveva raccomandato di fare, controllare tutti i piani fino al quinto per almeno sei volte, del resto ci occuperemo io e il professor Lumacorno, poi filare a dormire -, e da un po’ di tempo la rossa stava proferendo quella stessa frase, alcune volte sottovoce, incredula, altre quasi urlando, furente, arrabbiata, fornendo al mondo un assaggio della bestia infuriata che albergava nel suo petto, che si risvegliava solo in casi rarissimi, e che solitamente era rivolta al personaggio che aveva di fianco.
“La maledizione Cruciatus.” Ripeté Lily. Il tono della sua voce stava assumendo una piega veemente, che seppur lieve, era il segno che tra pochi istanti la rossa sarebbe scoppiata in modo imprevedibile: avrebbe potuto far volare fatture che avrebbero distrutto ogni cosa che incontrava o avrebbero colpito chiunque le capitasse sotto tiro, non le sarebbe importato e avrebbe continuato a camminare; avrebbe dato fuoco all’intero castello con tutti i professori e gli studenti dentro, avrebbe danzato lei stessa davanti alle fiamme; avrebbe iniziato a ridere di una risata sadica, non sarebbe riuscita a smettere per un bel po’, e poi, se se lo fosse concesso, si sarebbe lasciata andare ad un pianto disperato. “La maledizione Cruciatus su un ragazzo di undici anni.
James vedeva il fuoco ardere nei suoi occhi, e non era la solita scintilla che scorgeva quando lui ne combinava una delle sue; stava assistendo all’edizione speciale di uno spettacolo che in pochi avevano visto coi loro occhi, forse nessuno, ed era tutto, solo e unicamente per lui: la furia Lily Evans stava prendendo vita. Era davvero grato che, per una volta, tutta quella furia non fosse rivolta a lui.
“La maledizione Cruciatus non verbale.” Rettificò lui.
La maledizione Cruciatus non verbale!” Esclamò Lily con la voce di qualche tono più alta del normale, e accompagnò l’affermazione alzando le braccia al cielo di scatto, per poi farle ricadere nuovamente ai suoi fianchi, infastidendo qualche quadro appisolato.
“Shhh, abbassa la voce, stai svegliando tutto il castello!”
La rossa si girò verso di lui, lentamente, e lo guardò come se si fosse accorta solo in quel momento della sua presenza, un sopracciglio rossiccio e sottile alzato. Oh, oh, avrebbe fatto meglio a stare zitto.
“Potter, non ti ho ancora eliminato dal Sistema Solare in cui vivo io solo perché devo ancora riprendermi da ciò che ho visto stasera, ma comunque ho ancora la facoltà di affatturarti e compromettere per sempre l’utilizzo di qualche sudicio arto che ti ritrovi, e, credimi, sono a tanto così dal farlo.”
“Oh, Evans, accoglierei a braccia aperte qualsiasi cosa tu possa decidere di farmi.” Quelle parole gli scivolarono via dalle labbra quasi avessero avuto vita propria, prima che avesse modo di connettere i due neuroni che, forse, aveva nel cervello, ed effettivamente comprendere cosa stava per dire.
Vide il verde dei suoi occhi liquefarsi e prendere fuoco, come benzina gettata su un prato e poi accesa con una fiamma, e si perse talmente tanto in essi, ne fu talmente ammaliato e disorientato che si rese conto della mano della ragazza incombere pericolosamente sul suo viso solo quando ormai essa aveva cozzato sulla sua guancia con uno schiocco sonoro, e vi aveva stampato sopra una sagoma rosata a cinque dita. James la guardò incredulo, i grandi occhi d’avana sgranati, ma non ferito, poiché sì, quel contatto bruciava, e da morire anche, ma non gli aveva fatto realmente male. E poi, se l’era pienamente meritato.
Lily aveva fatto un passo indietro, portandosi la mano incriminata al petto, il volto che ancora ardeva ma con meno intensità. “Sei un maiale, Potter! Come diavolo fai a dire certe porcherie quando poche ore fa quel primino…”
Bella domanda.
Se ripensava alla scena in Sala Grande, tutte quelle persone, l’undicenne rovesciato sul pavimento in preda agli spasmi, e a un dolore che un ragazzino della sua età non avrebbe neanche dovuto lambire col pensiero, nessuno dei presenti che alzava un dito per porre fine a quello strazio, James compreso, sentiva le viscere rimescolarglisi tutte dentro e un’ira cocente gli annebbiava la vista e i sensi, fino a che nella sua mente e tra le sue emozioni non rimaneva altro posto che per quella rabbia primordiale; il senso di colpa, poi, si insinuava viscido fra le pieghe del suo intelletto, e gli faceva patire un rammarico tale che avrebbe voluto rivivere nuovamente quel pezzo della sua esistenza solo per intervenire lui stesso e non essere restato lì, immobile, a guardare, mano per la mano con la Evans, mentre la sua presa si faceva di colpo più forte e lui avrebbe voluto solo che quel momento in cui i loro corpi si erano toccati, non per sbaglio, non per far volare sberle o incantesimi, non per una qualsiasi altra stupida costrizione dovuta dalle circostanze, fosse durato per sempre. E si sentiva una vera merda ad ammetterlo, ma quando, prima, i loro palmi erano ancora stretti l’uno contro l’altro e i loro corpi erano più vicini di quanto fossero mai stati, quando i loro sguardi si erano scontrati e il verde nei suoi occhi si era fatto più intenso, più scuro, avrebbe voluto annegarci dentro per sempre, avrebbe voluto che quella sensazione di serenità che gli aveva avvolto il petto e non gli aveva più fatto udire, per un attimo, quelle urla laceranti, non fosse mai terminata. Era così dannatamente sdolcinato, così dannatamente non da lui ed estraneo al suo essere, ma ogni volta che la guardava, con i suoi capelli rossi come i papaveri che crescevano nel giardino dietro casa sua, con quegli occhi, quello sguardo su cui riusciva a leggere così tante emozioni, così tante parole non dette, con quella pelle di un colore etereo e quelle labbra con la forma del più bel fiore, tutto quel turbine di emozioni a cui non sapeva dare nome lo investiva, e staccava letteralmente la spina dei suoi pensieri. Nella sua testa, nel suo corpo, in ogni fibra di lui, non c’era altro che lei. E questo lo spaventava, lo destabilizzava, non sapeva come gestirlo perché era qualcosa di totalmente nuovo per lui, qualcosa su cui non possedeva alcun controllo. Cosa che, peraltro, lo mandava fuori di testa, e lo spingeva a odiare quella ragazza che continuava a rifiutarlo giorno per giorno con tutto sé stesso.
“Ecchecavolo, ma ti sei bevuta il cervello?” Lei lo fissò con gli occhi ridotti a fessure, pronta a ripetere l’attacco. “E va bene, va bene, me lo sono meritato. Un pochino.”
 Sospirò, la guancia che gli pizzicava debolmente. “Non voglio giustificare il mio, come lo chiami tu, essere maiale, ma io credo che, sia io che tu, ci siamo lasciati turbare troppo da quello che è successo. Diamine Evans, siamo Caposcuola, dovevamo intervenire in qualche modo, dovevamo porre fine a quello schifo immediatamente, non appena l’abbiamo visto, dovevamo stare coi sensi in allerta, pronti a scattare. Silente ci ha lasciato questo incarico perché evidentemente pensa che noi siamo in grado di svolgerlo alla perfezione, per cui non possiamo permetterci di esitare, non possiamo permettercelo e non lo faremo; lo vedi anche tu quello che sta succedendo fuori da queste mura, fuori da Hogwarts: c’è una guerra, Evans, Tu-Sai-Chi è là, da qualche parte, e più passano i giorni, più lui raccoglie seguaci, diventa potente, e fa fuori senza pietà chiunque si metta in mezzo al suo cammino. Non possiamo permetterci che un evento del genere ci sconvolga, ci lasci inerti, perché là fuori è ancora peggio, la gente muore in continuazione, e se tutti pensiamo che ciò non ci possa toccare semplicemente perché siamo qui dentro o perché i nostri genitori sono Purosangue, ci sbagliamo di grosso, e quello che è successo stasera ne è la prova lampante.” Si fermò per un attimo, il fiato corto, come se avesse fatto il giro di un campo da Quidditch per cento volte. “Prima, quando sono andato in infermeria con quel ragazzo sulla barella, ho scoperto una cosa, Evans. Quel ragazzo era Mezzosangue. Il padre mago e la madre babbana. E sai questo che significa?”
Da quando aveva iniziato il suo sproloquio e  le parole avevano cominciato a fluirgli a ruota libera dalla bocca, senza freni, aveva tenuto gli occhi fissi su un punto davanti a sé, senza realmente vedere qualcosa, senza guardarla; ma quando lo fece, quando alzò gli occhi su di lei, le vide in volto un’emozione confusa che non le aveva mai visto rivolgergli, e improvvisamente il suo ego raggiunse proporzioni epiche, spiccò il volo e, librandosi, andò a farsi un giro per tutta la Foresta Proibita: era ammirata, ammirata e allo stesso tempo sconvolta dalle parole del ragazzo, e, anche se non aveva ancora proferito sillaba, sapeva che era d’accordo con ogni singola cosa che aveva detto.
“Significa che non siamo al sicuro da nessuna parte, neanche qui, nel castello. Significa che Tu-Sai-Chi è riuscito a fare seguaci anche tra gli studenti di Hogwarts. Significa che, presto o tardi, anche noi saremo chiamati a combattere.”
 
 
 
 



 
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angel's space
Ciao a te che ti sei imbattuto in questa storia (non ho la pretesa di considerarla realmente tale, solo sono solita chiamare tutte le fanfiction con questo nome per semplice e pura pigrizia) e grazie mille se sei arrivato fino a qui! Questa è la prima che ho il coraggio di pubblicare su questo social, e anche la prima su ogni social esistenze, quindi ogni critica, commento, recensione o anche un semplice pensiero che ti sia venuto in mente sono bene accetti, e prometto avrò la premura di rispondere ad ognuno di essi come ben merita. Non ho un giorno fisso per la pubblicazione, e non so neanche se riuscirò ad essere puntuale con essa tutte le settimane, complice tutto il grande impegno che richiede un liceo classico (soprattutto di questi tempi). Comunque tre una settimana la scuola giungerà al ermine, e con essa anche tutte le mie ansie e gran parte dei miei impegni, quindi tecnicamente non dovrebbe esserci nulla ad impedire una pubblicazione regolare: posso solo sperare che tutt'a un tratto non mi svegli la mattina con l'ispirazione per questa sorta di mostro che sto partorendo totalmente azzerata.
Baci
Angela
 
   
 
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