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Autore: Abby_da_Edoras    04/06/2020    7 recensioni
Questa è una minilong Starker (la prima di due) che ha lo scopo di modificare il finale di Endgame e di dare un lieto fine a tutti i personaggi. Questa prima storia in quattro parti avrà un finale aperto perché poi ce ne sarà una seconda, conclusiva. La storia si svolge mesi dopo la battaglia finale contro Thanos e la morte di Tony e Natasha. Peter non si è mai ripreso dal trauma subito e passa le giornate chiuso nella sua stanza, senza contatti con nessuno, deciso forse a lasciarsi morire. Un giorno, però, a casa sua arrivano Fury e Coulson e lo portano al quartier generale degli Avengers perché devono parlargli e allora... cambierà tutto?
Pairing: Tony Stark/Peter Parker; Pietro Maximoff/Bruce Banner (accenni).
Non scrivo a scopo di lucro e personaggi e situazioni appartengono a registi, autori e produttori del MCU.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Agente Phil Coulson, Bruce Banner/Hulk, Nick Fury, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: AU, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Legends never die'
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LUNA MY DARLING

Capitolo primo

 

Almost morning still dark is the sky
A timeless space for you and I
We touch the stars with our fingertips
Luna my darling

Soft and silent the time we had
Missing hours that never last
Whispering stars of the night we trust
Luna my darling…

(“Luna my darling” – Amberian Dawn)

 

Erano trascorsi lunghi mesi dopo la sconvolgente serie di avvenimenti che aveva portato alla definitiva sconfitta di Thanos e alla morte di Tony Stark, ma Peter non si era affatto ripreso, né accennava minimamente a reagire al dolore che lo aveva devastato fin nel profondo.

Non voleva nemmeno provare a reagire, in realtà. Davanti ai suoi occhi continuavano a scorrere sempre le stesse, terribili scene: quando aveva visto il signor Stark a terra e si era gettato su di lui in lacrime, quando aveva tentato in tutti i modi di farlo riprendere (per la prima e ultima volta dalle sue labbra era uscito persino il nome dell’uomo, Tony… ma non era servito a niente), quando si era trovato in mezzo a tanta gente venuta per il funerale del supereroe milionario e non riusciva a capire cosa ci facessero tutti lì.

Per molto, molto tempo aveva continuato a pensare che fosse tutto un piano di Tony Stark.

Non era possibile. Iron Man non poteva essere morto. Era il suo eroe, da sempre, era invincibile. Non poteva essere morto e prima o poi sarebbe tornato.

Ma Tony Stark non era tornato.

E Peter aveva compreso che non aveva più nessuna ragione per vivere.

Quando il signor Stark era morto, l’anima di Peter era morta con lui. Restava solo un guscio vuoto e il ragazzo sperava di potersi liberare presto anche di quello per potersi riunire all’uomo che amava, in un altro universo, in un mondo migliore.

Peter non era tornato a scuola dopo la battaglia con Thanos. Sì, sapeva che quello era l’ultimo anno di liceo. Sapeva che gli altri ragazzi si preparavano a godersi al meglio quell’ultimo anno per poi andare al college o iniziare a lavorare, ma a lui non importava niente.

Ci avevano provato tutti a scuoterlo dalla sua apatia. Erano venuti i suoi compagni, persino i suoi professori. Avevano insistito. Peter era uno studente così brillante, aveva un grande futuro, avrebbe potuto scegliere tra i migliori college, non poteva buttare via così l’occasione della sua vita.

Peter aveva rifiutato di vederli, si era chiuso in camera a chiave e si era tappato le orecchie con le mani, per non sentirli nemmeno.

Non aveva voluto parlare nemmeno con Ned. Sapeva che l’amico ne avrebbe sofferto e gli dispiaceva, ma non voleva sentirgli dire le stupidaggini che avrebbero detto tutti.

Il college, il futuro, la possibilità di una brillante carriera…

Peter Parker non voleva nessun futuro, nessuna carriera.

Per lui la vita era finita quel giorno di tanti mesi prima, accanto al corpo esanime di Tony Stark.

Persino il preside del suo istituto, un giorno, si era presentato all’appartamento in cui Peter viveva con zia May e aveva parlato con la donna, pregandola di convincere il ragazzo a tornare a frequentare le lezioni. La battaglia finale contro Thanos era avvenuta a febbraio e, dopo, Peter non aveva più messo piede a scuola. Il preside era stato paziente per il primo mese, poteva comprendere il trauma subito dal ragazzo ed era disposto a venirgli incontro, ma a maggio le cose non erano cambiate e lui non poteva più attendere. Se Peter avesse frequentato perlomeno l’ultimo mese di scuola, in considerazione dei suoi meriti passati e di quello che aveva dovuto sopportare, il preside avrebbe chiuso un occhio e avrebbe spinto i professori ad aiutarlo per gli esami conclusivi, altrimenti… beh, altrimenti Peter avrebbe perso l’anno scolastico. Niente college per lui, ma la prospettiva di dover frequentare di nuovo l’ultimo anno di liceo. Era un peccato, per uno studente promettente e dotato come lui…

Naturalmente, Peter non aveva voluto parlare neanche con il preside ed era rimasto chiuso in camera sua, lasciando l’uomo a discutere con la porta. Più tardi, quando il preside era andato via, aveva lasciato che zia May entrasse a spiegargli che era veramente un peccato che buttasse via l’anno così, che forse in quel momento non gliene importava nulla, ma magari, più avanti, se ne sarebbe pentito. E in fondo non era poi così difficile frequentare l’ultimo mese di scuola, no? Era solo un mese, poi avrebbe dovuto sostenere gli esami, ma per lui non erano certo un ostacolo, e infine avrebbe potuto scegliere il college che preferiva.

“No, zia” le aveva risposto, in un mormorio. Zia May era l’unica con la quale Peter scambiasse ancora qualche parola. Se Peter non si era ancora completamente lasciato morire era solo per non dare un dolore a lei. “Non tornerò a scuola e non andrò al college.”

“Ma allora cosa farai? Non puoi passare il resto della tua vita in questa stanza. Io non posso vederti così! Non hai più voluto nemmeno incontrare il tuo amico Ned e non rispondi alle chiamate di quel simpatico dottore tanto gentile, Bruce Banner…”

“Forse mi troverò un lavoro” aveva tagliato corto Peter, sperando così di tranquillizzare la donna. Ma zia May si era addirittura scandalizzata.

“Un lavoro? Sei sempre stato uno studente brillante, uno dei primi della classe, e adesso vuoi lasciare tutto per metterti a lavorare? E che lavoro troveresti, poi, a diciannove anni e senza nemmeno un diploma? Sul serio, Peter, stai buttando via la tua vita… e non mi riferisco soltanto a quella lavorativa.”

Non c’era stato bisogno di parole per spiegare che zia May era preoccupata anche perché Peter non aveva più nemmeno preso in considerazione l’idea di far parte degli Avengers e nemmeno di continuare la sua attività di amichevole Spiderman di quartiere. La donna era venuta a conoscenza della doppia identità del nipote per caso, circa tre anni prima, ma non ne avevano mai parlato apertamente. Quando, poi, Peter era andato a vivere con Tony Stark dopo la prima battaglia contro Thanos e le avventure sul pianeta Titano, zia May si era rassegnata al fatto che il ragazzo avesse scelto di essere un supereroe. Ogni volta che c’era una missione da compiere lei stava in ansia, sì, e quando Thanos era tornato e aveva distrutto il quartier generale degli Avengers aveva creduto di morire di paura, ma Peter era tornato sano e salvo… o meglio, era tornato e basta, senza ferite sul corpo ma distrutto nell’animo. L’identità di Spiderman aveva causato tanti problemi a lui e aveva dato infinite preoccupazioni a lei, certo, ma era anche qualcosa che lo motivava, che lo rendeva vivo, felice di aiutare gli altri e di vivere avventure inimmaginabili. May sarebbe stata più tranquilla, paradossalmente, se avesse visto Peter impegnarsi soltanto come Spiderman e votare la sua vita alla lotta contro il male per onorare la memoria di Stark, magari. Tutto, tutto, pur di non vederlo spegnersi giorno dopo giorno, disteso sopra il letto, chiuso nella sua stanza, senza parlare con nessuno e tirando avanti soltanto con un sandwich e un bicchiere di latte in tutta la giornata.

“Non sono più un supereroe, zia” aveva risposto Peter, laconico. Voleva solo che se ne andasse, era stanco di parlare. “Per favore, puoi lasciarmi solo, adesso?”

Zia May sapeva ormai da tempo quanto fosse inutile insistere. Con le lacrime agli occhi era uscita dalla stanza, sempre più angosciata. Si sentiva sola e spaventata e non sapeva a chi chiedere aiuto, ma capiva che, continuando così, Peter sarebbe presto morto o impazzito.

E lei non poteva farci niente.

La vita era andata avanti in quel modo per altri giorni, settimane, mesi. Il diciannovesimo compleanno di Peter, il 10 agosto, era passato sotto silenzio, un giorno come un altro. Si stava avvicinando settembre e zia May sapeva che Peter avrebbe dovuto almeno tentare di tornare a scuola, per recuperare quell’ultimo anno di liceo che aveva interrotto così bruscamente… ma non sapeva come iniziare il discorso con lui. Ora non stava più sempre chiuso in camera, ma vederlo vagare per casa come uno zombi, pallido e paurosamente dimagrito, con i capelli scarmigliati e occhiaie scure e pesanti sul viso sempre più affilato era forse anche peggio, le si spezzava il cuore nel vederlo così.

Poi era arrivata quella telefonata.

“Sì, parla May Parker, con chi…? Ah, Nick Fury, ha detto? Quel Nick Fury? Aspetti, provo a passarle Peter, anche se non so se vorrà… Ah, no? Vuole parlare con me? Ma come…”

Era stata una telefonata davvero molto strana per May. Nick Fury in persona, il direttore dello S.H.I.E.L.D., aveva passato almeno dieci minuti al telefono con lei, informandosi su Peter, sulla sua salute e il suo stato d’animo; poi aveva detto, facendola sobbalzare, che il giorno seguente sarebbe venuto a casa sua con un amico (un certo Phil Coulson, le pareva di aver capito…) e avrebbero prelevato Peter per portarlo al nuovo quartier generale degli Avengers, che era stato ricostruito proprio in quei mesi, al posto di quello distrutto da Thanos.

Lo S.H.I.E.L.D., gli Avengers… May aveva sentito una stretta al cuore, al principio. Forse c’erano dei nuovi problemi da risolvere e volevano coinvolgere Peter? Ma Peter, in quel momento, era appena in grado di reggersi in piedi, come avrebbe potuto aiutarli?

Però, chissà, forse sapere di essere stato convocato dal direttore Fury in persona e la prospettiva di potersi rendere di nuovo utile avrebbero finalmente riscosso Peter dal suo stato di totale apatia e disperazione. Con quella speranza nel cuore, zia May era andata a riferire al nipote del suo colloquio telefonico con il capo dello S.H.I.E.L.D., ma la reazione non era stata quella che lei si era aspettata.

“Non voglio vederlo, zia, non voglio vedere nessuno. E non sono più un supereroe” aveva detto Peter, con voce atona.

“Beh, che tu lo voglia o meno, Peter, domattina Nick Fury e il suo amico verranno qui e ti porteranno al quartier generale degli Avengers” replicò la donna. “Io non mi metterò di certo in mezzo a simili faccende, se non vorrai andare con loro dovrai essere tu a dirglielo. Comunque non credo che il direttore Fury sia il tipo di uomo che accetta un no come risposta.”

Quella notte, per la prima volta dopo mesi, May Parker si era addormentata rassicurata. Certo, Peter continuava a rifiutare ogni contatto umano e a lasciarsi andare, ma finalmente non era più sola, qualcuno le era venuto in aiuto. Sperava che Fury e gli Avengers potessero fare per Peter ciò che lei non era stata in grado di fare.

Peter, al contrario, non riusciva ad addormentarsi. La prospettiva di incontrare Fury lo metteva in agitazione e, nonostante ciò che aveva detto alla zia, sapeva anche lui che il direttore dello S.H.I.E.L.D. non si sarebbe fermato di fronte a un suo rifiuto e lo avrebbe portato al quartier generale degli Avengers che lo volesse o meno.

Prima di chiudere gli occhi, logorato dall’ansia e dalla disperazione, Peter ricordò quel giorno…

Subito dopo il funerale del signor Stark, tornati al loro appartamento nel Queens, Peter aveva chiesto alla zia il permesso di stare da solo e di fare due passi per il quartiere. Zia May lo aveva lasciato andare, pensando che camminare per un po’ all’aria aperta lo avrebbe aiutato. Peter, però, aveva altro in mente. La sua passeggiata lo aveva portato sulla riva dell’East River, il sole era tramontato da un pezzo e non c’era nessuno. Il ragazzo aveva messo la mano in tasca e ne aveva tratto il dispositivo che emetteva luce blu, proprio quello che il signor Stark aveva costruito per lui e gli aveva regalato due anni prima, il dispositivo che conteneva la sua nuova tuta realizzata con nanoparticelle. Il signor Stark glielo aveva donato prima che partissero per il pianeta Titano e quella sera, per provare le nuove tute, avevano volato insieme quasi fino alle stelle…

Ma Peter non voleva ricordarlo. Quei ricordi erano come tante pugnalate al cuore e lui voleva strapparseli di dosso prima che lo facessero impazzire.

Aveva lanciato il dispositivo nel fiume con tutta la forza che aveva, sperando che finisse il più lontano possibile e che scomparisse per sempre insieme ai ricordi, alla sofferenza, al vuoto totale che sentiva dentro di sé. Quella stupida tuta che non era servita a niente… non aveva salvato il signor Stark, era solo un inutile giocattolo, non voleva averci mai più niente a che fare.

“Io non sono più un supereroe” mormorò il ragazzo, cadendo poi in un sonno agitato.

Fine capitolo primo

 

   
 
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