LUNA MY DARLING
Capitolo primo
Almost morning
still dark is the sky
A timeless space for you and I
We touch the stars with our fingertips
Luna my darling
Soft and silent
the time we had
Missing hours that never last
Whispering stars of the night we trust
Luna my darling…
(“Luna my
darling” – Amberian Dawn)
Erano trascorsi lunghi mesi dopo la
sconvolgente serie di avvenimenti che aveva portato alla definitiva sconfitta
di Thanos e alla morte di Tony Stark, ma Peter non si era affatto ripreso, né
accennava minimamente a reagire al dolore che lo aveva devastato fin nel
profondo.
Non voleva nemmeno provare a reagire, in
realtà. Davanti ai suoi occhi continuavano a scorrere sempre le stesse,
terribili scene: quando aveva visto il signor Stark a terra e si era gettato su
di lui in lacrime, quando aveva tentato in tutti i modi di farlo riprendere
(per la prima e ultima volta dalle sue labbra era uscito persino il nome dell’uomo,
Tony… ma non era servito a niente),
quando si era trovato in mezzo a tanta gente venuta per il funerale del
supereroe milionario e non riusciva a capire cosa ci facessero tutti lì.
Per molto, molto tempo aveva continuato
a pensare che fosse tutto un piano di Tony Stark.
Non era possibile. Iron Man non poteva
essere morto. Era il suo eroe, da sempre, era invincibile. Non poteva essere
morto e prima o poi sarebbe tornato.
Ma Tony Stark non era tornato.
E Peter aveva compreso che non aveva più
nessuna ragione per vivere.
Quando il signor Stark era morto, l’anima
di Peter era morta con lui. Restava solo un guscio vuoto e il ragazzo sperava
di potersi liberare presto anche di quello per potersi riunire all’uomo che
amava, in un altro universo, in un mondo migliore.
Peter non era tornato a scuola dopo la
battaglia con Thanos. Sì, sapeva che quello era l’ultimo anno di liceo. Sapeva
che gli altri ragazzi si preparavano a godersi al meglio quell’ultimo anno per
poi andare al college o iniziare a lavorare, ma a lui non importava niente.
Ci avevano provato tutti a scuoterlo
dalla sua apatia. Erano venuti i suoi compagni, persino i suoi professori. Avevano
insistito. Peter era uno studente così brillante, aveva un grande futuro,
avrebbe potuto scegliere tra i migliori college, non poteva buttare via così l’occasione
della sua vita.
Peter aveva rifiutato di vederli, si era
chiuso in camera a chiave e si era tappato le orecchie con le mani, per non
sentirli nemmeno.
Non aveva voluto parlare nemmeno con
Ned. Sapeva che l’amico ne avrebbe sofferto e gli dispiaceva, ma non voleva
sentirgli dire le stupidaggini che avrebbero detto tutti.
Il college, il futuro, la possibilità di
una brillante carriera…
Peter Parker non voleva nessun futuro,
nessuna carriera.
Per lui la vita era finita quel giorno di
tanti mesi prima, accanto al corpo esanime di Tony Stark.
Persino il preside del suo istituto, un
giorno, si era presentato all’appartamento in cui Peter viveva con zia May e
aveva parlato con la donna, pregandola di convincere il ragazzo a tornare a
frequentare le lezioni. La battaglia finale contro Thanos era avvenuta a
febbraio e, dopo, Peter non aveva più messo piede a scuola. Il preside era
stato paziente per il primo mese, poteva comprendere il trauma subito dal
ragazzo ed era disposto a venirgli incontro, ma a maggio le cose non erano
cambiate e lui non poteva più attendere. Se Peter avesse frequentato perlomeno
l’ultimo mese di scuola, in considerazione dei suoi meriti passati e di quello
che aveva dovuto sopportare, il preside avrebbe chiuso un occhio e avrebbe
spinto i professori ad aiutarlo per gli esami conclusivi, altrimenti… beh,
altrimenti Peter avrebbe perso l’anno scolastico. Niente college per lui, ma la
prospettiva di dover frequentare di nuovo l’ultimo anno di liceo. Era un
peccato, per uno studente promettente e dotato come lui…
Naturalmente, Peter non aveva voluto
parlare neanche con il preside ed era rimasto chiuso in camera sua, lasciando l’uomo
a discutere con la porta. Più tardi, quando il preside era andato via, aveva
lasciato che zia May entrasse a spiegargli che era veramente un peccato che
buttasse via l’anno così, che forse in quel momento non gliene importava nulla,
ma magari, più avanti, se ne sarebbe pentito. E in fondo non era poi così
difficile frequentare l’ultimo mese di scuola, no? Era solo un mese, poi avrebbe
dovuto sostenere gli esami, ma per lui non erano certo un ostacolo, e infine
avrebbe potuto scegliere il college che preferiva.
“No, zia” le aveva risposto, in un
mormorio. Zia May era l’unica con la quale Peter scambiasse ancora qualche
parola. Se Peter non si era ancora completamente lasciato morire era solo per
non dare un dolore a lei. “Non tornerò a scuola e non andrò al college.”
“Ma allora cosa farai? Non puoi passare
il resto della tua vita in questa stanza. Io non posso vederti così! Non hai
più voluto nemmeno incontrare il tuo amico Ned e non rispondi alle chiamate di
quel simpatico dottore tanto gentile, Bruce Banner…”
“Forse mi troverò un lavoro” aveva
tagliato corto Peter, sperando così di tranquillizzare la donna. Ma zia May si
era addirittura scandalizzata.
“Un lavoro? Sei sempre stato uno
studente brillante, uno dei primi della classe, e adesso vuoi lasciare tutto
per metterti a lavorare? E che lavoro troveresti, poi, a diciannove anni e
senza nemmeno un diploma? Sul serio, Peter, stai buttando via la tua vita… e
non mi riferisco soltanto a quella lavorativa.”
Non c’era stato bisogno di parole per
spiegare che zia May era preoccupata anche perché Peter non aveva più nemmeno
preso in considerazione l’idea di far parte degli Avengers e nemmeno di
continuare la sua attività di amichevole
Spiderman di quartiere. La donna era venuta a conoscenza della doppia
identità del nipote per caso, circa tre anni prima, ma non ne avevano mai
parlato apertamente. Quando, poi, Peter era andato a vivere con Tony Stark dopo
la prima battaglia contro Thanos e le avventure sul pianeta Titano, zia May si
era rassegnata al fatto che il ragazzo avesse scelto di essere un supereroe.
Ogni volta che c’era una missione da compiere lei stava in ansia, sì, e quando
Thanos era tornato e aveva distrutto il quartier generale degli Avengers aveva
creduto di morire di paura, ma Peter era tornato sano e salvo… o meglio, era
tornato e basta, senza ferite sul corpo ma distrutto nell’animo. L’identità di
Spiderman aveva causato tanti problemi a lui e aveva dato infinite
preoccupazioni a lei, certo, ma era anche qualcosa che lo motivava, che lo
rendeva vivo, felice di aiutare gli altri e di vivere avventure inimmaginabili.
May sarebbe stata più tranquilla, paradossalmente, se avesse visto Peter
impegnarsi soltanto come Spiderman e votare la sua vita alla lotta contro il
male per onorare la memoria di Stark, magari. Tutto, tutto, pur di non vederlo
spegnersi giorno dopo giorno, disteso sopra il letto, chiuso nella sua stanza,
senza parlare con nessuno e tirando avanti soltanto con un sandwich e un
bicchiere di latte in tutta la giornata.
“Non sono più un supereroe, zia” aveva
risposto Peter, laconico. Voleva solo che se ne andasse, era stanco di parlare.
“Per favore, puoi lasciarmi solo, adesso?”
Zia May sapeva ormai da tempo quanto
fosse inutile insistere. Con le lacrime agli occhi era uscita dalla stanza,
sempre più angosciata. Si sentiva sola e spaventata e non sapeva a chi chiedere
aiuto, ma capiva che, continuando così, Peter sarebbe presto morto o impazzito.
E lei non poteva farci niente.
La vita era andata avanti in quel modo
per altri giorni, settimane, mesi. Il diciannovesimo compleanno di Peter, il 10
agosto, era passato sotto silenzio, un giorno come un altro. Si stava
avvicinando settembre e zia May sapeva che Peter avrebbe dovuto almeno tentare
di tornare a scuola, per recuperare quell’ultimo anno di liceo che aveva
interrotto così bruscamente… ma non sapeva come iniziare il discorso con lui.
Ora non stava più sempre chiuso in camera, ma vederlo vagare per casa come uno
zombi, pallido e paurosamente dimagrito, con i capelli scarmigliati e occhiaie
scure e pesanti sul viso sempre più affilato era forse anche peggio, le si
spezzava il cuore nel vederlo così.
Poi era arrivata quella telefonata.
“Sì, parla May Parker, con chi…? Ah,
Nick Fury, ha detto? Quel Nick Fury?
Aspetti, provo a passarle Peter, anche se non so se vorrà… Ah, no? Vuole
parlare con me? Ma come…”
Era stata una telefonata davvero molto
strana per May. Nick Fury in persona, il direttore dello S.H.I.E.L.D., aveva
passato almeno dieci minuti al telefono con lei, informandosi su Peter, sulla
sua salute e il suo stato d’animo; poi aveva detto, facendola sobbalzare, che
il giorno seguente sarebbe venuto a casa sua con un amico (un certo Phil
Coulson, le pareva di aver capito…) e avrebbero prelevato Peter per portarlo al
nuovo quartier generale degli Avengers, che era stato ricostruito proprio in
quei mesi, al posto di quello distrutto da Thanos.
Lo S.H.I.E.L.D., gli Avengers… May aveva
sentito una stretta al cuore, al principio. Forse c’erano dei nuovi problemi da
risolvere e volevano coinvolgere Peter? Ma Peter, in quel momento, era appena
in grado di reggersi in piedi, come avrebbe potuto aiutarli?
Però, chissà, forse sapere di essere stato
convocato dal direttore Fury in persona e la prospettiva di potersi rendere di
nuovo utile avrebbero finalmente riscosso Peter dal suo stato di totale apatia
e disperazione. Con quella speranza nel cuore, zia May era andata a riferire al
nipote del suo colloquio telefonico con il capo dello S.H.I.E.L.D., ma la
reazione non era stata quella che lei si era aspettata.
“Non voglio vederlo, zia, non voglio
vedere nessuno. E non sono più un supereroe” aveva detto Peter, con voce atona.
“Beh, che tu lo voglia o meno, Peter,
domattina Nick Fury e il suo amico verranno qui e ti porteranno al quartier
generale degli Avengers” replicò la donna. “Io non mi metterò di certo in mezzo
a simili faccende, se non vorrai andare con loro dovrai essere tu a dirglielo.
Comunque non credo che il direttore Fury sia il tipo di uomo che accetta un no come risposta.”
Quella notte, per la prima volta dopo mesi,
May Parker si era addormentata rassicurata. Certo, Peter continuava a rifiutare
ogni contatto umano e a lasciarsi andare, ma finalmente non era più sola,
qualcuno le era venuto in aiuto. Sperava che Fury e gli Avengers potessero fare
per Peter ciò che lei non era stata in grado di fare.
Peter, al contrario, non riusciva ad
addormentarsi. La prospettiva di incontrare Fury lo metteva in agitazione e,
nonostante ciò che aveva detto alla zia, sapeva anche lui che il direttore
dello S.H.I.E.L.D. non si sarebbe fermato di fronte a un suo rifiuto e lo
avrebbe portato al quartier generale degli Avengers che lo volesse o meno.
Prima di chiudere gli occhi, logorato
dall’ansia e dalla disperazione, Peter ricordò quel giorno…
Subito dopo il funerale
del signor Stark, tornati al loro appartamento nel Queens, Peter aveva chiesto
alla zia il permesso di stare da solo e di fare due passi per il quartiere. Zia
May lo aveva lasciato andare, pensando che camminare per un po’ all’aria aperta
lo avrebbe aiutato. Peter, però, aveva altro in mente. La sua passeggiata lo
aveva portato sulla riva dell’East River, il sole era tramontato da un pezzo e
non c’era nessuno. Il ragazzo aveva messo la mano in tasca e ne aveva tratto il
dispositivo che emetteva luce blu, proprio quello che il signor Stark aveva costruito
per lui e gli aveva regalato due anni prima, il dispositivo che conteneva la
sua nuova tuta realizzata con nanoparticelle. Il signor Stark glielo aveva
donato prima che partissero per il pianeta Titano e quella sera, per provare le
nuove tute, avevano volato insieme quasi fino alle stelle…
Ma Peter non voleva
ricordarlo. Quei ricordi erano come tante pugnalate al cuore e lui voleva
strapparseli di dosso prima che lo facessero impazzire.
Aveva lanciato il
dispositivo nel fiume con tutta la forza che aveva, sperando che finisse il più
lontano possibile e che scomparisse per sempre insieme ai ricordi, alla sofferenza,
al vuoto totale che sentiva dentro di sé. Quella stupida tuta che non era
servita a niente… non aveva salvato il signor Stark, era solo un inutile
giocattolo, non voleva averci mai più niente a che fare.
“Io non sono più un supereroe” mormorò
il ragazzo, cadendo poi in un sonno agitato.
Fine capitolo primo